Save yourself and I…
Save yourself and I…
Dedicata a Vitto
“Non è la donna innamorata del maritino appena sposato come tu credi.” – Disse House instillando il dubbio.
“Che stai dicendo?” – Rispose il biondo australiano mentre a stento tratteneva la rabbia.
“Perché credi che ti abbia perdonato così facilmente?” – Disse
nuovamente House. – “Ma soprattutto, perché ti ha chiesto di andare via
da qui?”
Chase strabuzzò gli occhi. – “Per noi stessi, per ricreare un rapporto
di fiducia che in questo periodo è stato messo a dura prova.” –
Balbettò mentre ripeteva quello che gli aveva detto la “sua” Allison.
Gregory House sorrise malignamente. – “Immagino che abbia abilmente
sott’inteso che fosse solo colpa tua.” – Lasciando del tempo affinché
il “suo personale” canguro britannico digerisse quello che gli aveva
appena detto.
Il pomo di Adamo di Robert scivolò parecchie volte lungo la glottide e
la fronte gli s’imperlò di sudore. – “Lei non lo farebbe mai.” –
Sussurrò, mentre cercava di togliersi dalla mente il dubbio che il suo
ex capo aveva insinuato in lui. – “Lei non è così.” – Cercando di
convincere più se stesso che il suo interlocutore.
“Allora perché vorrebbe andarsene da qui in fretta e furia, senza
nemmeno espletare le formalità del preavviso.” – Un sorrisino diabolico
tornò a fare capolino. – “Cuddy sembra impazzita: Senza due pilastri
del PPTH in sol giorno.” – Imitando la voce lievemente isterica del
dean of medicine.
“Tu non sai quello che stai dicendo.” – Mentre Chase cercava di
razionalizzare quanto gli era appena stato detto. – “Tu vuoi solo
tormentarci per vedere quanto puoi tirare la corda, ma con me non
funzionerà!” – Dirigendosi a gran passi verso la porta. – “Hai fatto
troppe volte questo gioco con noi.” – Disse quando ormai mancava solo
un passo per valicare l’invisibile linea della sua salvezza.
House rise sonoramente. – “Forse con te no, ma con la tua bella
mogliettina funziona sempre e puntualmente finisce per fare quello che
voglio io!”
L’australiano per un istante si bloccò, ma poi, coraggiosamente riprese la sua marcia verso la porta.
“Sai che cosa disse Cameron a Cuddy quando rifiutò il posto temporaneo
di dean of medicine?” – Chase irrigidì la schiena contro la sua volontà
e si fermò, quello ero un argomento che lei aveva sempre abilmente
glissato. – “House è nella mia testa!” – Disse trionfante il diagnosta
conscio di aver segnato un punto fondamentale per giungere al suo scopo.
L’australiano afferrò lo stipite della porta e pregò che Dio gli desse
la forza di non picchiare qualcuno … ma poi chi? Sua moglie? Il suo ex
capo? O se stesso?
“La tua bella mogliettina già usciva con te, eppure non aveva scrupoli
a baciarmi proprio in quest’ufficio!” – Si fermò mettendo un dito sulle
labbra. – “Ah già … ma allora era solo sesso, no?” – Si fermò per un
istante pensieroso. – “E adesso cos’è? Sesso? Sperma? Un’ancora di
salvataggio? Un comodo ripiego?” – Mentre dava voce a tutto quello che
si era tenuto dentro per anni. – “Ma amore …” – Scosse la testa. – “…
no, non penso. Tutti quei dubbi prima di sposarti, il matrimonio quasi
saltato, e poi … tutti quei segreti che non ti ha mai rivelato.” –
Scosse ancora il capo come se fosse infelice.
“Quali segreti?” – Si lasciò sfuggire Chase che ormai era in balia dei dubbi che il suo capo gli aveva infilato nell’animo.
“Tu hai ucciso un uomo e lo hai confessato, ma lo ha fatto anche lei …”
– Il tendersi dei muscoli del collo e delle spalle dell’australiano
fecero sapere al diagnosta quello di cui aveva bisogno. – “ … già,
anche lei come te.” – Si fermò per un istante per dare più enfasi al
discorso e poi riprese. – “La situazione, in effetti, era un po’
diversa, ma la sostanza non cambia.”
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La tromba di Miles Davis raccontava lo struggimento interiore del suo
esecutore e House non poté fare a meno di lasciarsi trasportare dalle
malinconiche note. Il fatto che Wilson fosse stato richiamato al lavoro
gli dava la scusa necessaria per non rispettare i confini che si era
auto imposto negli ultimi sei mesi. Da un sacchetto di carta fece
dolcemente scivolar fuori una bottiglia di doppio malto scozzese
invecchiato vent’anni. Erano mesi che ne desiderava un goccio, eppure
si era trattenuto per non distruggere tutta la sua faticosissima
riabilitazione, ma questo era il momento perfetto: aveva riottenuto la
sua licenza e lei non se ne sarebbe andata, non né aveva più motivi.
Cercò di cancellare l’ultima motivazione, la più riprovevole, ma quella
si agitava ancora più forte nel suo animo e per farla tacere buttò giù
un lungo sorso che gli bruciò beneficamente lingua e gola.
Il telefono riprese a squillare, ma volutamente lui lo ignorò, tanto
c’era la segreteria cui aveva tolto il volume. Diede un’occhiata veloce
a quello strumento infernale e seppe che per ben dodici volte era stato
cercato, ma per quella sera lui era disponibile solo per la sua “amata”
bottiglia e per il garzone del ristorante cinese che stava per arrivare.
Diede un’occhiata al divano e poi alla porta. – “Troppa fatica.” – Dopo aver valutato accuratamente le distanze.
Senza bastone zoppicò fino alla porta e la socchiuse, le strategie per
non faticare le aveva inventate assieme a Homer Simpson. Si abbandonò
poi sul divano facendo il pieno di buona musica, non appena la sua cena
cinese fosse arrivata, avrebbe avuto tutto.
Chiuse gli occhi e permise ai muscoli in tensione di rilassarsi,
riavere tutto il suo team allargato era stato più faticoso del
previsto, ma nonostante tutto, aveva vinto, questo era l’importante.
Il delicato bussare alla porta lo riscosse dal suo leggero dormiveglia.
“Entra!” – Disse burbero. – “La porta è aperta.” – Sentì un leggero
cigolio e poi un paio di passi titubanti. – “Non essere timido. Sono
qui.” – Sventolando una mano oltre lo schienale del divano. – “Appoggia
pure la cena sul tavolino e chiudi la porta quando te ne vai.”
“Mi spiace deluderti.” – Disse una conosciuta voce femminile. – “Non
sono il garzone che stavi aspettando.” – Mentre la donna si faceva più
vicino al divano.
Per un istante House pensò di essere finito in uno dei suoi vecchi
sogni o peggio ancora in una delle sue numerose allucinazioni, ma
appena riuscì a guardare oltre allo schienale del divano capì di essere
sveglio e perfettamente lucido, del resto lei indossava un lungo
cappotto nero e non certo una camicia blu.
I capelli biondi cadevano liberi sulle spalle e se non fosse stata per
la pelle tirata del viso avrebbe potuto benissimo essere uno degli
arcangeli. – “Sei qui per farmi una ramanzina?” – Chiese beffardo
cercando di prenderla in contro piede.
“Servirebbe a qualcosa?” – Chiese dolcemente.
Lui scosse il capo quasi ammaliato.
“Allora non te la farò, sarebbe solo tempo sprecato.” - Lei girò
attorno al divano e lo guardò sorridente. – “Sono qui per salutarti.” –
Disse tendendo la mano.
Lui la guardò sospettoso. – “Te ne vai da diagnostica, ma il pronto soccorso non mi sembra poi così lontano.”
Lei scosse il capo. – “Me ne vado da Princeton, domani ho un aereo da prendere.” – Senza mai ritirare la mano.
“Perché?” – Chiese disarmato non capendo le motivazioni che la stavano
spingendo a prendere questa decisione. – “Non devi proteggere Foreman
questa volta, il tuo nobile gesto sacrificale è assolutamente inutile.”
Lei ruotò gli occhi indispettita e lasciò cadere la mano lungo i fianchi. – “Tu non rendi mai a nessuno le cose facili, vero?”
“Chase ha ritirato le sue dimissioni, me lo ha detto Cuddy.” – Buttando
le gambe oltre il bordo del divano per mettersi seduto. – “Non hai più
la scusa di salvare il tuo matrimonio. Se lui resta e tu te ne vai, il
tuo matrimonio è comunque sfasciato.” – Facendo appello alla
razionalità che sapeva essere insita nella donna.
Lei chiuse gli occhi per un istante e i muscoli del collo e del viso si
tesero. – “Già, il mio matrimonio è sfasciato.” – Ammettendolo per la
prima volta ad alta voce. Prendendo una pausa prima di riprendere. –
“Non ho motivi per restare.”
“Sei tornata.” – Disse lui. – “Due volte.” – Un sorriso malizioso gli
si dipinse in volto. – “Devo offrirti ancora una volta una cena? Un
appuntamento in piena regola con fiori e ristorante costoso?” –
Cercando di farla apparire un’offerta allentante.
Sul viso di lei apparve un sorriso imbarazzato. – “Non penso che
basterebbe questa volta.” – Cercando di accantonare quell’argomento che
non toccavano da anni nemmeno di sfuggita.
“Allora che cosa vuoi Cameron? Oppure è solo un’altra delle tue inutili
crociate sacrificali?” – Disse House sentendosi alle strette.
Un lampo di rabbia apparve negli occhi della donna, ma poi cercò di
calmarsi ricordando il perché era lì. – “Una volta aiutavi le persone
perché era giusto farlo. Ora perché lo fai?”
House si sentì vulnerabile come non gli capitava da tempo, mosse la bocca a vuoto e non riuscì a risponderle.
“Ora lo fai solo perché annoiato.” – Lei si prese un momento per
formulare la frase. – “Ora lo fai solo perché hai voglia di giocare,
non perché i tuoi pazienti t’interessano veramente. Una volta ti
preoccupavi per noi, per il tuo team, magari in malo modo, ma cercavi
di fare il nostro bene, ora invece sei solamente un uomo curioso che
indaga sui difetti altrui dimenticando che c’è una persona con dei
sentimenti dell’altro lato. Non sei più l’uomo che ho conosciuto ed io
non ho più motivi per restare.” – Sussurrando le ultime parole.
Nessuno mai gli aveva sbattuto la verità in faccia con tanta grazia, e
allo stesso tempo con tanta durezza. Guardò il pavimento senza avere il
coraggio di incontrare quegli occhi verdi che sperava che lo stessero
guardando con infinita aspettativa, ma il terrore di incontrarvi la
delusione lo bloccarono.
Lei rimase in piedi, fissandolo in attesa del segno che si era
sbagliata nel suo giudizio, che c’era ancora speranza per lui, e quindi
per lei, ma questo non avvenne.
Sospirò pesantemente e s’incamminò verso la porta, domani avrebbe
iniziato una nuova vita con un po’ meno di speranza di quanto si
aspettasse.
Più che sentirla, percepì il suo allontanarsi e istintivamente
l’afferrò per un braccio. – “Che vuoi che faccia?” – Gli chiese
timoroso e vulnerabile come lei non lo vedeva da anni. – “Vuoi più
soldi? Un’auto nuova? Un parcheggio migliore?” – Ripetendo un vecchio
discorso.
Per un attimo Cameron ebbe la tentazione di dirgli nuovamente: una
cena, ma si trattenne. – “Voglio che torni l’uomo che eri.” – Sussurrò
senza ritrarre il braccio cui lui sembrava essersi ancorato. – “Voglio
che torni l’uomo che fa le cose perché è giusto farle, ecco che cosa
voglio.”
Lui aprì la bocca un paio di volte, ma inizialmente i suoni sembrano
non uscire. – “Se io ti prometto che tornerò quello che ero …” – Chiese
lentamente. – “… tu rimani?”
Lei scosse il capo. – “No, non rimarrò.” – La delusione che lesse in
House le strappò un pezzo di cuore. – “Ma puoi chiamarmi quando questo
avverrà, tornerò a trovarti.” – Posando delicatamente una mano sul
braccio che la stava trattenendo. Poi, come se seguisse un’ispirazione,
si chinò su di lui e gli sfiorò le labbra con un veloce bacio. –
“Almeno ora non penso che stai per morire.” – Mentre una leggera risata
divertita le nacque dal cuore.
Rimasero per lunghi secondi a guardarsi, parlando con gli occhi come un
tempo erano soliti fare e il tempo sembrò entrare in stasi.
“Corriere espresso dal ristorante il giardino di giada.” – Disse il garzone interrompendo un istante epico.
House e Cameron persero il loro contatto visivo e questo permise alla
donna di riappropriarsi della propria dignità e di scivolare via dalla
presa possessiva dell’uomo.
“Buona serata House.” – Disse Cameron ormai alla porta.
“Buon viaggio Cameron.” – Rispose quasi automaticamente lui. – “Prima o poi ti chiamerò.” – Aggiunse in fretta.
“Io ci conto.” – Gli rispose sorridendo prima di scomparire dalla sua vista.
“Sei in ritardo!” – Disse House al garzone, nascondendo immediatamente
le forti emozioni appena provate. – “Sul menù c’è scritto che se le
consegne non avvengono entro trenta minuti io non devo pagare nulla!”
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Non che se lo aspettasse veramente di vederlo in aeroporto, ma dopo la sera precedente lo aveva fortemente sperato.
Aveva rifiutato il passaggio che Foreman le aveva gentilmente offerto,
ma sapeva che per iniziare una nuova vita da zero, doveva fare tutto da
sola. Aveva salutato Chase e forse era stato più facile di quanto si
aspettasse e questo le diede quel briciolo di coraggio in più per
lasciare tutto. Del resto se, dire addio al proprio marito, non fa poi
così male, forse vuol dire che si è presa la giusta decisione.
Cuddy e Wilson li aveva già salutati il giorno precedente al PPTH
assieme a Taub e a Hadley, non c’erano state lacrime, era ormai una
donna adulta in grado di gestire le proprie emozioni, ma allora perché
aveva dovuto reprimere quelle che erano spuntate lasciando la casa di
House?
Scosse il capo e cercò di concentrarsi sul futuro eppure non poté fare
a meno di portarsi le dita alle labbra. Seppure il contatto era stato
fugace, il sapore l’era rimasto impresso o forse era solo un lontano
ricordo che riemergeva dall’abisso in cui l’aveva esiliato.
Sospirando si diresse al gate, non sarebbe venuto.
Nell’istante in cui consegnava il proprio documento all’ufficiale ebbe
la sensazione di essere osservata. Si voltò di scatto, ma dietro di lei
si trovava solo il normale via vai di un aeroporto internazionale,
null’altro.
“Prego, può andare signora.” – Disse l’ufficiale tendendole documento e biglietto.
“Grazie.” – Afferrando un po’ distrattamente le cose che le stava
porgendo l'uomo, si guardò nuovamente attorno, ma la sensazione era
scomparsa.
Alzò gli occhi verso il grande schermo che annunciava le partenze e vi
lesse che stavano per aprire l’imbarco. Cameron rinsaldò la presa sul
suo trolley e con passo sicuro si avviò verso il suo gate, senza mai
sapere che un uomo dotato di bastone si nascose nell’ombra per poterla
seguire con lo sguardo fino a quando i suoi occhi glielo consentirono.
Fine |