Our Darkest Hour____
{ Sanctus
espiritus,
Insanity is all around us }
Piume nere. Piume
nere. Piume nere.
Tra fuoco e fumo, nel rosso di
fiamme che sarebbero state eterne,
ogni cosa era bruciata.
Anche lui, anche lui era bruciato, spalancando gli occhi, urlando
nomi già morti tra quelle fiamme che bruciavano tutto. E si
ripromise di
odiarle, di odiarle con la stessa intensità con cui esse
avevano bruciato il suo tutto.
Scomparendo
dal mondo tra urla di dolore,
nella consapevolezza di non
avere più nulla se non quel peso
inscindibile al petto.
Sarà sempre
così? Sarà sempre
così?
Lividi
e abrasioni, un corpo deturpato per oscuri motivi, un
dolore e una pena arrecati coscienziosamente.
Lacrime
caddero da occhi che avevano visto troppo, occhi che
preservavano l’innocenza dell’infanzia e celavano
un’orgogliosa rivalsa.
Pallida
eco
di risate dimenticate, voci
allegre, tutto
scivolava, tutto si
disfaceva, tutto bruciava contorcendosi per un ultima volta tra quelle
fiamme maledette.
Tra
lacrime trattenute a stento e urla senza voce, che squassavano
un corpo senza mente e una mente senza anima, una scintilla -unica
e sola in un baratro di
nulla -
colpì i grandi occhi blu.
Piume
nere.
Piume nere. Piume nere.
Piume
nere caddero lentamente in una danza che pareva sospesa a
mezz’aria, una domanda lasciata vagare tra tutto quel nero
danzante.
Una risposta che movimentò le piume, una risata che
riempì il
vuoto.
Un marchio a incidere la tenera pelle, un nuovo dolore a incidere
l’animo e a fossilizzarsi nella mente.
E
poi... Poi ci fu solo oscurità.
Sarà sempre
così? Sarà sempre
così?
***
Abitudini
che erano diventate quieta normalità.
Ognuno giocava il proprio ruolo in un elegante schema di quadrati
bianchi e neri.
Una scacchiera, forse?
Perdizione o redenzione?
Bianco o nero?
Erano
neri i capelli della bestia nelle vesti di maggiordomo, era
bianca la pelle della vittima che giocava
a comandare,
d’altronde,
era pur sempre un bambino.
Giocavano, giocavano in una danza senza fine, tra il dolore del
padrone reso vittima che non accennava a smettere e la quieta attesa
del
maggiordomo.
Ed era come le fiamme, non smettevano più, non
smettevano più.
Ridendo nel fuoco,
ricercando qualcosa che fugge via. Urlando ordini, aspettando la fine.
L a f
i n e
.
Il
maggiordomo si inchinò diligentemente prima di servire il
tè,
nell’apposito servizio di fine porcellana inglese, scelto per
quella giornata.
Si accinse a
tagliare la
torta di puro cioccolato, delineandone una fetta sottile, per poi
deporla nel
piattino candido ornato di fiori rossi.
“Signorino.”
Un
sussurro, appena accennato da labbra perennemente piegate in un
quieto sorriso.
Ma Ciel lo sapeva, quel sorriso si burlava di lui, ghignava piano,
nell’attesa di ciò che sarebbe avvenuto.
Non si voltò, non
lo
guardò, continuò a fissare imperturbato
fuori dalla finestra.
Non osservava nulla che si può descrivere, analizzava il
proprio
futuro con la cruda attenzione di un bisturi sulla fredda pelle di un
cadavere.
Senza attenzione e
senza
nessun tipo di cura,
vivisezionava se stesso, aspettando.
Aspettava quella fine osservandola da lontano, la guardava attento
e forse un po’ curioso, con quel vuoto che non accennava a
smettere e si
rifletteva in quei grandi occhi che a stento trattenevano tutta quella
tristezza.
“Signorino?”
Una
quieta e tranquilla domanda che potrebbe sembrare quasi
preoccupata all’incauto osservatore.
Ma c’è di più, c’è
sempre di più. Oltre la maschera, oltre il
ruolo a lui insignito c’è di più.
Chiede, ma sembra pretendere, con quel sorriso in cui le labbra si
piegano appena e gli occhi si chiudono docili.
Non
crederci! Non crederci mai!
Recita
come il più talentuoso tra gli attori: i suoi sorrisi non
sono altro che un mancato mostrar di denti e gli occhi placidamente
chiusi non
sono che l’avviso del futuro attacco.
Ciel si voltò, osservò il volto del
suo fidato maggiordomo, oh sì,
fidato lo era davvero!, dedicando particolare attenzione agli occhi
rossi.
Sembravano bruciare.
La
domanda aleggiava come un monito inscindibile, la spada di
Damocle pendeva inesorabile sulla testa dell’orfano senza
però destare in quest’ultimo
il benché minimo interesse.
“Va
ad assolvere i tuoi compiti.”
Un
semplice ordine che,
pronunciato
da labbra così piccole e infantili,
avrebbe suscitato
un buffo interesse e un risolino leggero... Ma non c’è nulla
di
infantile in quegli occhi blu, nessuna traccia di un quieto sorriso su
quelle
labbra perennemente rivolte in basso.
E’ bruciato,
è bruciato tutto.
Tutto. Tutto.
Tutto. Tutto. Tutto.
Scrutando il mondo con sguardo attento e perennemente
accigliato,
cercherà di aggrapparsi alla vendetta vivendola come fosse
vita vera.
Aspetterà.
Aspetterà di ridere davanti ai cadaveri degli assassini dei
suoi
genitori, riderà fino alle lacrime e forse
allora si sentirà bene.
Il
maggiordomo s’inchinò di fronte al piccolo padrone
osservandolo
attento, col sorriso perennemente disegnato sulle labbra bianche, con
calma prese tra le sue la
mano del suo piccolo signore.
Sorrise,
e sorrise ancora di più quando notò muti
interrogativi negli occhi del
ragazzino: aveva sempre amato uscire dagli
schemi ed infrangere, con cura metodica, piccoli frammenti di quella
perfetta maschera
autoimpostasi.
Portò
lentamente la mano alle sue labbra, baciandola piano, mentre
gli occhi baluginavano di riflessi vermigli.
Inclinò la testa di lato sorridendo falsamente prima di
inchinarsi
di nuovo.
“Ai
vostri ordini, signorino.”
Sembrava
ridesse di lui in ogni momento, sembrava provasse un
gusto oltremodo fastidioso nell’arrecargli disturbo.
Sebastian si avviò alla porta,
afferrando il manico
d’ottone con una mano guantata prima di sparire in uno
svolazzo del frac nero.
Ciel aggrottò le sopracciglia infastidito.
La luce del tramonto rosseggiò sulle pareti
dello studio del conte
bambino: sembrava che quelle fiamme non si
fossero mai spente.
Sembrava
che quel
giorno fosse rimasto sospeso come quelle piume nere che attendevano
risposta.
Bruciavano gli occhi del
maggiordomo dai riflessi vermigli,
bruciava la vendetta nel corpo vuoto del bambino privato
dell’infanzia,
bruciava il tocco di quelle mani pallide.
Ma quello che succede quando Sebastian lo aiuta a cambiarsi per la
notte non è importante.
Non lo sono né le mani sul suo corpo, né la
lingua sul suo collo.
Ogni cosa ha perso importanza, apparte la sua vendetta, apparte la
fine che giungerà.
È
morto.
È
morto quel giorno, la sua vita è bruciata tra quelle fiamme
maledette che presto lo accoglieranno, di
nuovo.
È
morto nell’impossibilità di aiutarli, è
morto urlando i loro
nomi; eppure c’è quel peso sul petto, quel vuoto
enorme, quella voragine che
pare allargarsi ora dopo ora.
C’è
quel dolore acuto a ricordargli d’essere vivo, vivo
e solo.
E fa male, così tanto e così duramente, che finge d’essere morto per sopportare
d’esser vivo.
Osserva impassibile il mondo rimanendo pietrificato, come se fosse
ghiacciato, mostrando la propria tristezza alle rassicuranti ombre, le
ombre
del suo passato che lo accoglieranno come sempre.
Tutto pur di fuggire alla solitudine.
Il
maggiordomo sorride apertamente, mentre osserva l’anima del
suo
padrone tingersi d’odio, rancore ed
infinito dolore; si chiede che sapore delizioso possa avere e se lo
chiede
ripetutamente ogni sera, quando è lui
stesso a sporcarla.
Ma
a Ciel non importa, lui finge d’esser morto.
Eppure
non può esimersi dal gemere piano, non può
smettere di
piegarsi ai suoi tocchi e ai suoi voleri.
Cercherà di piangere, ci proverà mille volte, e
mille volte
fallirà perché nemmeno piangere è
importante.
E quando arriverà la fine riderà nel fuoco di
quelle fiamme ormai
eterne, cercando refrigerio da quel peso inscindibile al petto,
cercando di
disfare quello spesso velo in quegli occhi così belli.
E che sia dolorosa questa fine, che sia lunga, che non lasci
scampo!
Non
piangerà quando vermi mangeranno le sue carni, non
piangerà
quando il dolore tornerà a fargli visita per
l’ultima volta.
Il mondo scomparirà davanti ai suoi occhi, che non hanno mai
vissuto, ma lui riderà, riderà.
Riderà,
riderà, riderà.
Riderà
fino
alle lacrime.
[Schiacciato da un dolore che
vuole distruggere.]
Sarà sempre
così? Sarà sempre
così?
Riderà anche il maggiordomo leccandosi le labbra prima di
affondare nel suo corpo sporco, riderà di quei
gemiti rubati e di quel
corpo bianco tra le sue mani e in suo potere.
Semplicemente riderà di lui
e di quelle ore così oscure
passate
in sua compagnia.
Tra una distruzione fatta con coscienza e lacrime inespresse, che
si infrangono in sorrisi quietamente falsi, tra maschere e bugie in una
vita che
aspetta la morte, ogni pedina giocherà
ordinatamente il proprio
ruolo.
Ed è come ballare tra peccato e redenzione, tra
sanità e follia,
tra lacrime mai nate e gemiti di piacere mal celati restando,
però, nell’ordine
autoimposto di una scacchiera.
Sarà sempre
così? Sarà sempre
così?
Cerca di piangere e provaci
seriamente, perché sì, sarà sempre
così.
S e m p r e c
o s ì.
Una voce flebile, proveniente da lenzuola sfatte, sussurrerà ad
un nuovo mattino preghiere
che non verranno ascoltate.
“ Spirito santo, perdonaci,
la follia è intorno a noi, intorno a noi …
“
Desiderando la morte,
accontentandosi di un’infinita attesa.
{Piume nere.
Piume nere.
Piume nere. Piume nere.}
…
Note
della Red_________________
Era tecnicamente il
mio quarto contest ed è
la mia prima fanfiction su KuroShitsuji e, arrivare quinta con un
punteggio di
49/55 e vincere, immeritatamente, il premio Giuria è proprio
fantastico.
Senza contare che mi sono
'scontrata' con delle
autrici meritevolissime. Che dire? Sono contenta. **
Il sottotitolo della
fan fiction e la frase
sussurrata da Ciel e messa in grassetto a fine fic,
è tratta dalla
canzone ‘Our Solemn Hour’ dei Within Temptation.
Grazie a
DarkRose86 per il giudizio completo e per i due
meravigliosi banner. Contami pure nella prossima edizione, cara! XD
Alla
prossima!
Red.
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