INDAGINI
CONGIUNTE
*Eccovi
qua ancora un altro capitolo di questo crossover. Ci stiamo
lentamente avviando alla conclusione. Penso ci saranno all'incirca
ancora due capitoli su per giù, ma in questo il caso si
conclude. Anche se lascio ancora in sospeso la questione su una
coppia... quale sarà? Bè, lo leggerete... Ad ogni
modo
la canzone della prima scena si riprende nell'ultima, mi piaceva fare
questo piccolo collegamento con i due momenti più d'azione,
mentre ogni coppia ha una sua canzone (non per i testi ma per la
musica). Spero vi piaccia il capitolo e di aver fatto un discreto
lavoro. Grazie a tutti quelli che seguono e leggono. Buona lettura.
Baci Akane*
CAPITOLO
IX:
SALVEZZA
/A
pain that I’m used to – Depeche mode/
Quando
gli occhi castani di Don si posarono sulla figura del meccanico con
il volto tumefatto a causa di un recente contrasto fisico, gli parve
come se il tempo si cristallizzasse per un istante. Breve o lungo che
fosse, tutto si fermò. Non sentì più
la voce
dall'altoparlante che avvisava che tutti i voli erano stati
cancellati e che per motivi di sicurezza gli aerei decollati
sarebbero atterrati nuovamente, non captò l'aria fresca sul
viso o il sole che lo riscaldava. Il suo stesso cuore sembrò
non battere più mentre il respiro gli veniva meno. Il sudore
smise di scendergli e le rughe di tensione che solcavano la sua
fronte si distesero brevemente mentre il suo volto si pietrificava.
Gibbs
notò subito questo suo bloccarsi immediato e capendo che
qualcosa non andava si girò per guardare cosa avesse visto,
ma
non fece in tempo a realizzarlo e nemmeno a fare qualunque altra
cosa. Prima che potesse anche solo pensare che lui era uno degli
uomini che avevano organizzato tutto, Don era contro di lui a
colpirlo con una serie di pugni potenti, una raffica senza sosta che
non lasciarono il tempo a nessuno di reagire.
A
cavalcioni sopra di lui che era caduto a terra per la sorpresa e
l'impatto, scaricava tutta la rabbia repressa in quelle ore di
angoscia pensando solo che per colpa sua, innegabilmente sua, Colby
rischiava di morire.
Non
era poca.
Una
sorta di esplosione inarrestabile in realtà, qualcosa che
non
aveva paragoni e che stupì per primo Gibbs che assisteva a
pochi metri a quella scena che di sicuro non avrebbe mai pensato di
trovarsi davanti.
L'aveva
creduto incapace di un totale non controllo simile.
Anche
se in effetti lo comprendeva bene, l'istinto di farlo ce l'aveva
avuto anche lui.
Capendo
che lasciandolo fare l'avrebbe ucciso e non gli sarebbe più
stato utile, si decise a scattare anche lui e afferrando Don per le
spalle da dietro, strattonò con forza tirandolo via.
-
Basta! - Ringhiò stupendosi di fermarlo per una cosa che
onestamente avrebbe voluto fare lui stesso. Erano davvero
più
simili di quel che pensavano ma non del tutto. Gibbs sapeva
controllarsi alla fine, erano rari i momenti in cui si lasciava
andare a quel modo brutale e terribile. Succedevano, certo, ma
bisognava sperare che non arrivassero!
Di
norma era comunque letale anche se si controllava...
Don
era diverso, sapeva perdere la testa molto più facilmente
nonostante fosse un capo squadra.
La
cosa poteva stupire e ci si finiva per chiedere: se lui era
così,
com'era il resto della sua squadra? Di norma il capo è
quello
meno testa calda del gruppo...
Tralasciando
questi lampi che gli avevano attraversato per un attimo la testa, una
volta liberato l'uomo steso a terra che si copriva il volto dolorante
e sanguinante, Gibbs con il famoso controllo suddetto estrasse la
pistola, mise il piede sul suo petto e schiacciando con forza
premette la canna fredda alla tempia, quindi chinandosi fino ad avere
il viso vicinissimo a quello dell'altro che lo fissava con un certo
terrore oltre che sofferenza, chiese con una fredda calma che celava
una profonda malvagità pericolosa:
-
Sei tu uno di quelli che ha combinato tutto questo casino con gli
aerei e coi marine? - Don accanto a loro ancora tremava violentemente
dalla rabbia. Quando l'aveva visto si era sentito andare in fiamme ed
ogni sinapsi era andata in tilt. Non aveva capito più nulla.
Il sangue gli era ribollito furiosamente nelle vene e salito in massa
alla testa non aveva tenuto più il proprio corpo che si era
mosso d'istinto da solo con una tale velocità e forza che
solo
una cosa gli era costantemente passata per la mente annebbiata
dall'ira: quell'uomo aveva tentato di uccidere Colby.
Vedendo
che paralizzato dalla propria vita che si vedeva probabilmente
passare davanti agli occhi, il meccanico ancora non parlava ma anzi
tremava, Gibbs capì che era proprio uno di loro ma non certo
il capo e che se la stava facendo sotto.
Non
era il pesce grosso. Avrebbe parlato.
Quindi
mantenendo la sua calma, sforzandosi di non pensare a Tony a mille
miglia sospeso in aria con una bomba pronta ad esplodere, premette
ulteriormente la pistola sul suo viso pieno di lividi, gli occhi
stretti, le labbra piegate in una smorfia di paura.
Pietoso.
Ecco
cos'era... e voleva andare in giro ad ammazzare la gente!
Prima
doveva imparare per lo meno cosa significava essere uomini!
Ecco
perché non li sopportava quelli così... erano
solo
degli idioti incapaci di stare al mondo, non degni di essere chiamati
per quello che in teoria erano.
Avvicinò
ulteriormente il viso cupo e sempre più basso, penetrante e
minaccioso, disse fissandolo come fosse un insetto:
-
Lo sappiamo che lo sei. Ora hai due possibilità: vivere o
morire. Parli e vivi, non parli e muori. A te la scelta. Sappi
però
che io non ho problemi se scegli la seconda! - La verità era
che al 90% avevano preso gli altri responsabili ed ormai rimaneva
poco per mettere in salvo anche i passeggeri. La squadra artificieri
per disinnescare le bombe sugli aerei era già in arrivo. In
breve si sarebbe risolto tutto lo stesso. Quella persona
rappresentava solo un risparmio di tempo, oltre che un buono sfogo!
Lui
sembrò capire questa cosa e cercando di ragionare si disse
che
ormai era finita, per lo meno per lui. E se lo era per lui allora
tutto il resto poteva andare a quel paese!
Così
quando gli chiese di nuovo con quel tono da brivido più
simile
ad un killer spietato che ad altro: - Sei tu che hai messo su quegli
aerei i nostri agenti? - lui si decise tremante e convulsivo a
rispondere annuendo:
-
Si, sono stato io con altri come me che ora però non ci
sono.
Mi hanno lasciato qua a controllare che tutto procedesse secondo i
piani. -
Molto
più di quanto non avessero sperato. Fu qua che Don
intervenne
di nuovo premendogli la sua di pistola sulla fronte ringhiando:
-
Quali voli? - Il ragazzo guardò perplesso Gibbs pensando
fosse
il più ragionevole, non sapendo nemmeno di preciso cosa
sperare, quindi lui con un guizzo d'ironia fece piegando la testa di
lato:
-
Io al tuo posto risponderei... ha una gran voglia di ammazzare
qualcuno, proprio come te. Solo che lui si dedica alla feccia! -
Dopo
un ultima occhiata a Don dove una luce omicida albergava, si decise e
rispose con precisione anche a quella domanda fornendo il numero dei
voli in cui erano stati messi i tre agenti.
Fu
a malincuore che Don e Gibbs si alzarono per farlo portare via da un
agente che era nei pressi... del resto c'era qualcosa di più
importante da fare, ora!
/Just
breathe – Pearl Jam/
Dopo
aver chiesto a McGee di indicargli quali voli fossero quelli elencati
dall'uomo e dove stessero atterrando, Gibbs indicò con un
gesto brusco uno dei tre aerei da controllare per primo mentre lui si
diresse ad un altro.
Don
non si fece dire altro, si fiondò immediatamente capendo
cosa
intendesse, quindi sperando ardentemente di aver beccato quello
giusto, andò incontro all'enorme velivolo che ormai si stava
per fermare.
Per
colpa del sole si era messo gli occhiali scuri ed il cappellino
cercando di non perdersi un solo movimento di quel che sapeva gli
interessava, quindi rimase lì ad aspettare con la tensione
che
cresceva a livelli storici.
Ormai
era fatta, si ripeteva. Era in salvo. Certo che lo era. Non poteva
che essere così. Certo Colby aveva una capacità
incredibile per avere la peggio in tutto quel che faceva, ma se se
l'era cavata quella volta che aveva tutti contro ed era creduto un
traditore dal mondo intero, non poteva non cavarsela anche ora!
Ripetendosi
sempre più ansioso queste cose, Don provò una
morsa
allo stomaco capace di farlo vomitare se solo non fosse stato
abituato a quel genere di sensazioni. Le conosceva. Sapeva che di
lì
a poco, vedendo Colby, si sarebbe calmato.
Quando
finalmente l'aereo si fermò e con più fretta
possibile
i passeggeri cominciarono a scendere dalla scaletta anteriore e
posteriore, accolti da altri agenti accorsi con lui secondo gli
ordini, le sue iridi castane corsero veloci su tutti quelli che
uscivano e non vedendo nessun giovane dai capelli castano chiaro, gli
occhi color mare e un fisico prestante, si tolse stizzito cappellino
ed occhiali rivelando i suoi capelli leggermente più lunghi
del suo solito taglio rado, tutti mossi e spettinati che gli stavano
sciacchiati e sudati sulla testa.
-
Ma dove diavolo è!? - Ringhiò sul sentiero di
guerra
non resistendo più fermo, poi ci pensò meglio
grazie
alla sua qualità di saper ascoltare il proprio istinto
specie
nelle situazioni più critiche, e capì. - Ma
certo, non
lo avrà messo fra i passeggeri... - Dicendosi questo corse
nella parte relativa ai bagagli e gridando impaziente a chi di dovere
di aprire la portiera ancora chiusa, salì senza pensarci.
In
fretta e furia rovistò in quello che ormai era un ammasso di
valigie e borsoni buttati per aria, infine riprese in mano
l'illuminazione di prima.
-
Il motore! - Poi si fermò e corrugando la fronte aggiunse
incredulo: - Ma non può aver davvero tentato di disinnescare
la bomba con un aereo in volo... è matto? -
Però
non concluse la frase che un ombra si fece strada proprio dal luogo
che stava fissando.
Con
la luce che veniva dall'esterno potè finalmente vederlo e
con
la camicia mezza sclacciata e completamente scarmigliato, sudato,
sporco ma stranamente non visibilmente ferito, stava Colby, colui che
più di tutti aveva sperato di vedere!
Si
paralizzò momentaneamente credendo di vederci male, quindi
senza più controllare la sua mimica facciale che in questo
momento presentava un espressione di puro stupore e ansia al
contempo, si trovò a mormorare interdetto il suo nome.
Il
compagno mosse stanco ma tranquillo i passi che rimanevano fra loro,
quindi asciugandosi la fronte con l'avambraccio senza toccarsi con le
mani sporche di nero, giunse da lui e fissandolo dritto e fiero, con
una luce di ironia, disse soddisfatto:
-
Questo ormai è a posto! - In un secondo istante Don
registrò
la sua uscita capendo cosa significasse, quindi dimenticandosi di
chiedergli se stava bene riprese la sua aria severa e accigliata:
-
Cosa? Hai disinnescato la bomba in volo?! Da solo? - A questa
reazione che Colby si aspettava, sorrise divertito puntando i dorsi
delle mani ai fianchi, cercando di sporcarsi il meno possibile, si
appoggiò su un piede e piegando la testa di lato rispose
schernendolo bonariamente:
-
Certo che sì, quando si va a fare la guerra ti insegnano ad
uccidere e a sopravvivere... saper fare e disfare le bombe era
nell'addestramento! -
Però
vederlo così contrariato e tormentato per lui era qualcosa
di
impagabile, come una cura che né ospedali né
psicologi
potevano dargli!
Rischiare
la vita così non era mai un gioco, lo segnava sempre, ma
mentre pensava a cosa poteva fare di concreto per sopravvivere e lo
attuava, ciò che gli permetteva di non fermarsi e non farsi
prendere dal panico era la consapevolezza che una volta finita quella
brutta storia i suoi compagni sarebbero arrivati. E lì
l'aveva
raggiunto una consapevolezza in più, quella che Don
sicuramente stava facendo il diavolo a quattro per lui.
Benzina
migliore non l'aveva ancora trovata!
-
Tranquillo, sapevo cosa facevo, è tutto sotto controllo! -
Lo
rassicurò vedendolo ancora poco convinto. Però
dopo di
quello non avrebbe comunque mai pensato, e non l'avrebbe nemmeno
chiesto, che il suo capo squadra avrebbe finalmente reagito come un
normale essere umano con dei sentimenti e non più come un
maturo e responsabile dirigente che pensava prima al dovere e poi al
piacere!
Sentendo
la sua mano sul proprio volto che lo toccava per assicurarsi che
stesse bene e che quelle macchie fossero solo sporco, gli chiese con
delicata attenzione:
-
Stai bene, tu? - Stupendosi del fatto che avesse rinunciato a
rimproverarlo per l'enorme rischio che aveva corso, si disse che
qualcosa in Don era cambiato. E ad un'occhiata più attenta
alla sua espressione tirata ed ansiosa lo capì. Quella
cupezza
nascondeva una preoccupazione per lui che di norma non aveva per gli
altri, ad eccezione di suo fratello. Non a quei livelli per lo meno.
Lavorava
con lui da un paio d'anni e lo conosceva. Più di un
sbrigativo
'stai bene?', non indagava mai.
Però
quegli occhi, quella mano sudata che aveva appena smesso di tremare e
quella vicinanza esagerata per scrutarlo nei dettagli, non mentiva.
Quella
sensazione, non mentiva.
Don
aveva passato le pene dell'inferno, per causa sua, ed invece che
dispiacersene si trovò addosso una tale felicità
che
aveva dell'incoscienza!
-
Si... - Poi con ancora la sua mano sulla guancia che cercava di
pulirgli un punto, aggiunse addolcendo il proprio volto, rendendosi
così ancor più inconsapevolmente affascinante: -
Ti ho
fatto passare dei gran brutti momenti, eh? - E mentre lo diceva con
la sua voce roca ma carezzevole ripensava a quanto avrebbe voluto
essere con lui quando invece era stato solo a doversela vedere con
una bomba. A ciò che aveva pensato per darsi forza,
ciò
che aveva ricordato per non fermarsi e per andare avanti. A quanto
ormai era coinvolto in quello che si ostinavano a non chiamare
relazione.
E
allora cos'era il desiderio di rivedere l'altro subito e di impazzire
all'idea che potesse succedergli qualcosa?
Don
si fermò ma non abbassò il braccio, quindi
riportò
le sue iridi penetranti e tenebrose su quelle chiare, gentili e
addirittura dolci dell'altro.
-
Non ne hai idea... - Ammise finalmente. Colby ripensò
inevitabilmente anche alle volte in cui nessuno era mai riuscito a
tirare fuori da lui più di un 'ottimo lavoro' o 'grazie'.
Questo superava di gran lunga ogni aspettativa!
Non
mascherò il suo stupore, quindi sgranando gli occhi prese la
sua mano mentre stava per ritirarla, la portò senza pensarci
alle labbra e senza baciarla o che, mormorò avvicinandosi
ulteriormente a lui, sfiorando il suo corpo col proprio. Mille
brividi li percorsero.
-
Grazie per avermi trovato ancora. - ripensandoci si sarebbe
vergognato di quel gesto così strano, ma in quel momento gli
venne spontaneo.
Eppure
credendo che ancora una volta la cosa finisse lì e che da
lui
avesse già preso più di quel che avrebbe mai
osato
sperare, lo lasciò andare senza riuscire a muoversi e
smettere
di guardarlo con intensità.
Fu
allora che Don lo stupì di nuovo e non poco.
Calore.
Si
accorse che stava accadendo dal calore che sentì alle
labbra,
quindi si trovò le sue sulle proprie che dolcemente e
delicate
le stava accarezzando mentre entrambe le mani gli tenevano fermo il
viso.
Non
foga, non passione, non bisogno o impulsività. Solo un gesto
ragionato, voluto e cercato.
Chiuse
gli occhi cercando di catturare quel sentimento troppo grande per
lui, quindi lo prese per i fianchi, l'attirò a sé
e si
aggrappò per non cadere sentendo finalmente la tensione e la
stanchezza scioglierlo.
Come
se gli avessero tagliato i fili e dentro di sé non ci fosse
più nemmeno un osso!
Si
lasciò sorreggere da Don mentre la lingua si faceva strada
nella sua bocca e quando finalmente trovò la propria si
allacciarono fondendosi lentamente e sensualmente, con una dolcezza
che, ne erano certi, non sarebbero più riusciti ad usare.
Si
scambiarono un breve bacio prima di staccarsi, appoggiare le fronti
l'una all'altra e schiudere gli occhi annebbiati per guardarsi
vicinissimi e ansanti, scossi dalle forti sensazioni che provavano
ancora.
Fu
Don, di nuovo, a stupirlo fino in fondo...
-
Penso di starmi innamorando di te. Che ne dici di provare a stare
davvero insieme? -
Nemmeno
fra i pensieri più reconditi di Colby, avrebbe sperato di
sentirglielo davvero dire.
E
un'ondata di emozione gli arrivò da dentro esplodendo,
annodandolo.
Il
bacio con cui rispose e rimase appoggiato sulle sue labbra immobile,
fu la risposta migliore.
Colby
e Don avevano trovato la loro strada.
/Teardrop
– Gonzales/
Non
così fortunato fu Gibbs che appostato davanti ad un aereo
già
atterrato da cui i passeggeri stavano scendendo di gran carriera
scortati da altri agenti, notò sulla portiera anteriore,
sopra
la scaletta, il ragazzo della squadra di Analisi Comportamentale.
Morgan
tutto sudato e scarmigliato con un occhio chiuso e gonfio e il
sopracciglio spaccato che sanguinava su metà del viso
contratto, esortava i passeggeri a sbrigarsi con un aria fremente e
dolorante. Da lì capiva che non aveva disinnescato la bomba
e
che aveva convinto i piloti a tornare indietro e atterrare
immediatamente.
E
che non era quello l'aereo in cui stava Tony.
Vederlo
in quelle condizioni gli permise di chiedersi in quali condizioni
fosse il suo uomo.
Strinse
contrariato ed infastidito le labbra, quindi con un gesto stizzito si
girò in direzione del terzo aereo che il meccanico gli aveva
indicato, era atterrato anch'esso e stava aprendo le portiere dei
passeggeri.
Senza
pensarci oltre e nemmeno imprecare, corse velocissimo in quella
direzione stringendo gli occhi nella speranza di vederlo scendere da
solo.
“Se
non è riuscito a contattarmi significa che non era di sopra
con gli altri... dev'essere sotto, fra i bagagli.”
Pensò
andando diretto nella parte interessata ordinando bruscamente di
aprirla.
L'ansia
cresceva in lui e detestava stare così, non lo sopportava.
Era
meglio affrontare criminali pericolosi e rischiare la propria vita...
almeno poteva fare concretamente qualcosa per contrastarli. In quel
caso non poteva far altro che sperare che Tony stesse bene e di
trovarlo subito. Però avere a che fare con i propri
sentimenti
che gli toglievano il fiato e minacciavano di esplodere, non era una
passeggiata per lui.
Finalmente
riuscì a salire e calciando le valigie che incontrava sul
suo
cammino aguzzò la vista che nella penombra non gli
permetteva
di vedere bene quel che cercava. Quando la luce dall'esterno
l'aiutò
a visualizzare meglio le forme che erano in quel posto buio,
sentì
un colpo netto al petto, come se l'avessero fisicamente trafitto,
cosa che non era vera. La sensazione però fu quella e senza
respirare ancora si precipitò verso l'angolo in cui l'aveva
visto.
Una
forma immobile stesa a terra a faccia in giù.
-
Dannazione... - Ringhiò evitando di pensare che tanto per
cambiare la peggio ce l'aveva avuta lui. Lo prese svelto per le
spalle e lo girò non dopo aver notato il sangue sulla
schiena
e sul collo che proveniva da una brutta ferita alla nuca. Aveva perso
molto sangue ed il forte trauma in una parte così delicata
della testa non gli aveva permesso di fare molto. Il fatto che fosse
riuscito a liberarsi era notevole. Se avesse avuto più forze
sarebbe riuscito anche a fare qualcosa di più per l'aereo.
Con
una mano sulla sua nuca tamponando alla meglio la ferita, lo
voltò
sorreggendolo senza perdersi un solo particolare del suo viso. Non
aveva altre ferite ma era sudato, pallido e affaticato.
Avvicinò
il volto al suo e lo chiamò con preoccupazione e dolcezza
allo
stesso tempo, dimenticando tutto il casino che era stato prima, la
storia dei marine morti che l'aveva fatto quasi uscire di testa, il
pericolo in cui si era incoscientemente messo da solo... dimenticando
che avrebbe voluto sgridarlo e dirgli di tutto per non avergli detto
nulla prima di andare in aeroporto.
Premeva
solo una cosa. Che Tony si svegliasse.
-
Tony... ehi... - Cercò di essere meno brusco possibile, ma
non
era sicuro di esserci riuscito.
In
realtà il sussurro della sua voce bassa era stato quanto di
più delicato avesse mai tirato fuori.
Quello
era proprio il tono che il suo ragazzo adorava, gli trasmetteva
sempre dei brividi da capo a piedi, come tante scosse elettriche.
Solo la sua voce che bassa e penetrante, carezzevole, lo chiamava con
fare intimo.
-
Avanti… - Mormorò quindi a denti più
stretti e con
l’ansia che tornava ad impadronirsi di lui proprio come
quando
aspettava fuori il suo aereo.
Ce
l’aveva lì e non si sentiva per niente
meglio… cosa poteva
fare?
Un
breve senso di impotenza lo invase e per contrastarlo si
sforzò
di pensare da agente e non da fidanzato, quindi contrariato prese il
cellulare e sbrigativo fece per chiamare qualcuno che potesse
aiutarlo, qualcuno di più competente.
Non
poteva davvero essere così grave… con cosa
l’avevano
colpito?
Mentre
se lo chiedeva e componeva il numero il lamento di colui che reggeva
lo fece sussultare, abbassò di nuovo gli occhi azzurri
più
tendenti al grigio e lo scrutò teso con un bisogno enorme di
vederlo sollevare le palpebre e venir guardato da lui.
Mentre
si dimenticava della telefonata e lasciava la voce dall’altro
capo
parlare da sola, puntò tutta la sua attenzione su Tony che
finalmente si muoveva facendo una smorfia di dolore. Un altro lamento
flebile dalla sua gola.
-
Tony… - Avrebbe voluto dire qualcos’altro ma non
gli uscì
altro, sentendosi stupidamente le corde vocali annodate.
Non
percepì nulla di sé stesso, troppo preso da
captare
ogni singolo ed insignificante cenno dell’altro.
Appoggiò
senza accorgersene il cellulare a terra, quindi mise la mano libera
sul suo viso affaticato, l’accarezzò cercando di
richiamarlo
in ogni modo possibile, e portando il volto sul suo fino a sentire
l’uno il respiro dell’altro, sussurrò
ancora:
-
Mi senti? – A quello una specie di mugolio che in un secondo
momento fu percepito come una risposta. – Eh? –
Chiese non avendo
capito ed avendo invece un gran bisogno di riuscirci. Allora Tony
raccolse le sue forze e con voce meno biascicata e più
chiara
ma sempre affaticata, ripeté:
-
Se parli si… - Tipica risposta da scappellotto!
Lui
era preoccupato e passava le pene dell’inferno e quello si
permetteva di sminuire tutto con una specie di ironia del cavolo!
Eppure
nonostante la propria contrarietà si sentì anche
stranamente contento di sentire che aveva ancora la forza di
rispondergli a quel modo, seppure con fatica!
Il
sorriso di rimando che gli venne fu luminoso anche se leggermente
velato di preoccupazione. Gli occhi lucidi vennero subito nascosti
dalle palpebre che si abbassarono in fretta mentre di slancio si
abbassava ulteriormente per posargli le labbra sulla fronte. Un lieve
bacio spontaneo di sollievo e ringraziamento.
-
Tutto qua? – Si lamentò allora Tony riprendendo
meglio
possesso di sé e della propria coscienza. Gibbs non
riuscì
a non staccarsi per ridacchiare, quindi con un espressione
indecifrabile si alzò dalla sua fronte per guardarlo meglio.
Aveva aperto gli occhi e lo guardava, erano arrossati e si capiva gli
girava ancora la testa, la ferita dietro la nuca era davvero brutta,
ma si sforzava di rimanere sveglio e attivo. Ci riusciva tanto da
chiedergli un bacio migliore!
Con
una felicità che non provava da giorni a causa di quella
dannata organizzazione, si trovò a pensare che era meglio
che
Tony non cambiasse, dopotutto.
Quindi
borbottò cercando di controllarsi:
-
Magari ti meriti qualcosa di più… - Una specie di
ammissione
che da un lato aveva fatto circa un buon lavoro, anche se
dall’altro,
appena si sarebbe rimesso, gliene avrebbe dette di tutti i colori per
l’incoscienza dimostrata!
Dopo
quel che anche lui stesso si era meritato per ciò che aveva
patito!
Senza
aspettare oltre adagiò leggero e delicato le labbra sulle
sue,
quindi accarezzandole un po’ gliele aprì facendosi
strada
con la lingua. Trovatolo constatò che non stava poi tanto
male
visto che gli era venuto incontro cercandolo e ricambiando. Fu un
bacio lento, calmo e con una certa sensualità per la
scoperta
che nonostante tutto riuscivano ad avere. Scoperta di alcuni
sentimenti che fino ad un momento prima li avevano quasi fatti
impazzire e che ora li curavano avvolgendoli in un assurdo senso di
benessere incontaminato.
Il
bacio durò alcuni istanti che parvero lunghi, tolse ad
entrambi il fiato e la coscienza del proprio corpo. Gibbs
lasciò
che la mano sul suo viso rimanesse lì per tenerlo fermo e
voltato verso di sé, mentre l’altra cercava ancora
di
fermare il sangue sulla nuca.
Per
essere uno che se l’era vista brutta, se ne concedeva di cose!
“Tu
mi farai morire…”
Pensò
l’uomo più grande mentre finalmente si sentiva
meglio
avendolo nella sua bocca che lo cercava e lo tratteneva a
sé.
Quando
si staccarono lentamente a malincuore, la smorfia di Tony fu per il
dolore che non riusciva più ad ignorare, ma nonostante
quella
alzò la mano e posandola sulla guancia del compagno che
l’osservava preoccupato e accigliato, mormorò
ancora con un
filo di voce, imponendosi di riuscirci:
-
Grazie… - Ogni altra aggiunta sarebbe stata superflua,
così
come le odiate ‘scuse’ e simili. Andava bene
così. Loro
sapevano per cos’era quel ‘grazie’ e cosa
comprendeva. Gibbs in
risposta appoggiò la fronte sulla sua sudata e
mormorò
con un forte senso di sollievo e al tempo stesso bisogno di dirlo,
come se sancisse la fine di quel terribile caso:
-
Ti amo. – Qualcosa che avevano imparato a non dare mai per
scontato
e a non vergognarsi di dire. Le labbra di Tony si incurvarono in un
sorriso a suo modo dolce e felice al tempo stesso, nonostante il male
che sentiva, quindi disse a sua volta nel medesimo tono:
-
Anche io ti amo. – Tutto qua.
Semplicemente.
Il
resto, ora, lo si poteva finalmente affrontare.
Tony
e Gibbs si erano ritrovati.
/A
pain that I’m used to – Depeche mode/
L’adrenalina
era alta e il tutto durò poco rispetto a quanto ci avevano
messo per capire ogni cosa, chi fossero, cosa volessero fare e dove
fossero.
Però
l’importante era che ora ce l’avevano fatta e che
non avevano
sbagliato di nuovo.
Con
una musica che era cresciuta d’intensità nelle
loro menti e
che ora esplodeva insieme a loro, Hotchner accompagnato da Ziva, Reid
ed altri agenti richiamati per l’occasione, fecero irruzione
nel
secondo rifugio identificato.
Con
soddisfazione constatarono che questa volta non si erano sbagliati e
senza la minima esitazione, gridando chi fossero e di non muoversi,
arrestarono gli uomini colti di sorpresa che reagirono pur non
aspettandosi di essere trovati a quel punto.
Ci
fu una sparatoria ed il momento che seguì fu di caos, la
scena
in sé si consumò in pochi atti e senza nemmeno il
tempo
di realizzare cosa stava accadendo, chi sparava a chi, chi uccideva
chi e chi veniva ferito.
Con
le giuste precauzioni si poteva ottenere con sicurezza il risultato
voluto e tutto finì in fretta.
Abbassando
ancora tesi e fortemente provati le rispettive arme, i tre della
squadra che avevano collaborato per risolvere quel difficile caso,
poterono constatare con ancora il sangue che ribolliva nelle vene e
l’adrenalina che li scuoteva fortemente, che era tutto finito
e che
ce l’avevano fatta, anche se a discapito di molte vite
innocenti di
marine che non avevano avuto alcuna colpa.
Disarmandoli
e assicurandosi che nessuno potesse più innescare alcuna
bomba, li arrestarono portandoli immediatamente via. Erano un numero
di persone non indifferenti, tutte americane.
Ne
rimasero colpiti anche se Reid, Hotch e Morgan se lo erano aspettato
dall’inizio della loro analisi.
Eppure
nonostante tutti provarono un immediato sollievo nel mettere la
parola fine a quell’indagine tremenda che aveva preso da
tutti
molte energie e forze, uno fra loro rimaneva ancora cupo e
preoccupato. La tensione di Reid non si allentò per nulla ed
anzi dovette far fatica a non lasciarsi andare ad un potente conato
di vomito. I nervi pronti a saltare da un momento all’altro e
il
pensiero unicamente rivolta a colui che ora come ora contava
maggiormente per lui.
Anzi.
Forse
l’unico che contasse davvero.
Senza
aspettare oltre prese subito il suo cellulare in mano e con
l’istinto
di fare il numero di Morgan, si fermò rendendosi conto che
non
l’aveva più con sé dopo essere stato
rapito e messo
su quell’aereo.
Chi
poteva chiamare per sapere come stava?
Non
aveva il numero di nessuno degli altri che probabilmente erano sul
posto… e chiedere a Hotch che lo facesse per lui era
pesante. Si
sentiva paralizzato, le corde vocali atrofizzate e il terrore di
sentire una notizia terribile gli impediva di muoversi e parlare
sensatamente, cercando magari anche di nascondere ciò che
provava.
Fortuna
però che il suo capo sembrava leggergli nel pensiero e
mettendogli una mano sulla spalla e stringendo in modo significativo
per dargli coraggio, chiamò Gibbs avendo preso il suo numero
per tenersi informati.
Quando
rispose aveva un tono molto strano che nemmeno con la sua spiccata
bravura nell’analizzare gli altri, riuscì a
decifrare.
Suo
malgrado lo informò dell’azione andata a buon fine
e senza
ancora crederci lui stesso che finalmente era finita, chiese:
Fu
mentre lui sentiva la risposta con la solita espressione seria e
tirata, che a Reid parve venire un collasso. Se non sapeva
immediatamente qualcosa probabilmente sarebbe svenuto!
-
Va bene, ci vediamo in ospedale. – Già a quelle
parole il
famoso collasso parve coglierlo davvero e barcollando pericolosamente
si appoggiò alla prima cosa che trovò, quindi
fissando
spaventato il proprio supervisore, chiese con una muta domanda cosa
gli aveva detto.
Hotch
capendo al volo le sue condizioni lo prese per le spalle, lo
raddrizzò e trasmettendogli di nuovo forza e sicurezza, lo
fissò deciso rispondendogli svelto:
-
Stanno tutti bene, chi più chi meno. Qualcuno è
ferito.
Li stanno portando in ospedale. Ci vediamo tutti là, ora.
–
Poi notando la brutta cera del ragazzo che già di norma non
splendeva di una forte salute, si affrettò ad aggiungere: -
Forza Reid, va tutto bene. È finita. – Ma la mente
del
giovane dai capelli biondi e scarmigliati che arrivavano un
po’
ondulati fino alle spalle, era rimasta all’ospedale!
L’uomo
più grande comprese che qualunque cosa gli avrebbe detto,
sarebbe stato inutile, quindi stringendo dispiaciuto le labbra per
non potergli essere più d’aiuto, lo cinse
protettivo come un
padre e lo condusse fuori alla macchina.
-
Andiamo da Morgan. – L’unica cosa davvero utile.
Morgan
e Reid aspettavano di rivedersi.
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