Nota importante: questa breve one-shot
è nata dopo aver letto la
bellissima drabble di Fleacartasi
(nome tutt'altro che oscuro su EFP), una
delle mie autrici preferite, che mi ha ispirato a
tal punto da
far nascere questa storia. La
drabble, che possiamo
trovare all'inizio della splendida raccolta "A Drop of Liliac",
è
semplicemente perfetta e consiglio a tutti di leggerla.
Naturalmente,
prima di
pubblicare ho chiesto il permesso di Fleacartasi.
Ultimissima
cosa: il rapporto
che ho voluto descrivere, quello tra Lucius e Lily, è
secondo me il più
affascinante insieme a quello fra Sirius e Bella. Un rapporto strano, a
tratti
malsano, a tratti così assoluto da renderlo puro. Un
rapporto complesso,
intricato, che nella saga non esiste e che perciò noi
fanwriter possiamo
gestire e manipolare come vogliamo. Un rapporto che mi sono divertito
molto a descrivere,
e che spero di aver reso al meglio. Concedetemi la piccola licenza
poetica
riguardo all'età di Lucius: se secondo la Rowling era ben
più vecchio dei
malandrini, in questa one-shot frequenta il loro stesso anno.
Ah...
e ditemi cosa ne pensate
della mia dolce, dolcissima Lily! XD
Untouchable
***
L’aveva
sempre vista
camminare per i corridoi, bellissima e altera, fiera e orgogliosa come
il suo
cuore d’oro fiammeggiante. L’aveva seguita con lo
sguardo, da lontano, in
un’accavallarsi d’immagini e ricordi che ormai
avevano perso importanza,
sfumando impercettibilmente sempre più in un’unica
scena. Un unico momento
intriso di passione, e di una pioggia beffarda che, se solo sulle sue
labbra fosse
stata salata… avrebbe potuto ricordargli delle lacrime.
*
Il vento sussurrava al suo
orecchio, raccontandogli una
storia che aveva già sentito.
Ma non ricordava da chi,
né quando.
Spostò lo
sguardo grigio e implacabile verso il lago nero,
là dove il sole affogava in quelle onde spumeggianti e
scure, prima di
riportarlo verso il parco, su quel libro che lei
stava leggendo.
Un raggio di sole
accecante lacerò le nubi scure, colpì
obliquo i suoi occhi chiari –occhi di ghiaccio, ma che
bruciavano come fuoco
sulla pelle- così lui dovette fare un passo indietro, prima
di socchiudere le
palpebre e portarsi una mano all’altezza del volto
d’alabastro, perfetto quasi alla
pari con la costosa camicia che indossava, per ripararsi da quella luce
improvvisa e violenta, palpitante di vita.
I boccoli rossi le
scendevano sulle spalle come lingue
infuocate, incorniciando quel viso dalla bellezza crudele, sfiorando
quelle
labbra piene, fatte per essere assaggiate, morse, baciate.
Quegli occhi che
scorrevano famelici sul libro, come se la
loro ragione d’esistere iniziasse e finisse tra quelle pagine
ingiallite e stropicciate,
perdendosi all’inseguimento infinito di una parola
illeggibile, di una sillaba
mancante – si accorgeva di quanto fosse desiderabile?
Le labbra, oh quelle
labbra!, che si piegavano in un broncio
appena accennato per la concentrazione, lo sguardo di smeraldo acceso e
vivo, a
tratti oscurato da ombre rapide e ingannevoli, così
sfuggevoli da far dubitare
di averle scorte veramente.
Occhi di giada, crudeli e
splendidi nella loro beffarda
consapevolezza.
[Di
essere
intoccabili, intoccabile.
Almeno
per lui].
Lui che si
scostò una ciocca dei capelli biondi come schegge
d’oro pallido dalla fronte, mentre si appoggiava a una delle
colonne che si
affacciavano, timide e bianche, sul parco incendiato
dall’ultimo bagliore del
crepuscolo. Lo stesso bruciante, vivido riverbero che le infiammava i
boccoli,
le guance piene, lo sguardo sprezzante.
Il vento continuava a
soffiare, sussurrando, ma quella
storia non aveva senso – era una storia d’amore?
Forse. Una storia di passioni
e peccati, piaceri e sbagli. Vizi.
Lui piegò la
linea delle labbra in un ghigno storto, che
forse sarebbe potuto essere un sorriso d’amara ironia, mentre
si aggiustava la
camicia bianca; si saggiò il labbro inferiore con la lingua,
ben sapendo quanto
quelle labbra serrate e sporche
avessero spezzato la superba, fulgida alterigia che aveva sempre
indossato come
una corona d’alloro.
[E
allora dov’era il
mantello scarlatto e il viso dipinto di rosso?
Ma
in fondo… il suo
non era certo un trionfo].
Sfiorò
compiaciuto, con le dita lunghe e nervose, i polsini
che si stringevano sui polsi eleganti, le maniche ampie, i pantaloni
scuri,
neri come le nubi che si rincorrevano minacciose nel concavo blu del
cielo
estivo.
Riportò lo
sguardo su di lei, preghiera e bestemmia in quel
mondo d’alterigia e superbia; lo lasciò scivolare,
rovente e sempre più cupo,
sulla pelle bianca, sulla camicetta blu attillata, i jeans aderenti.
Poi lo
risollevò verso il viso d’acquarello, solo per
incrociare quello di lei, seduta all’ombra di un albero
antico.
Uno sguardo beffardo, uno
sguardo crudele. Uno sguardo di
passione che diceva tutto e niente, niente e tutto – o erano
quelle ombre, così
sfuggevoli, a parlare – a sussurrare?
Fu trafitto –ucciso-
da quegli occhi, ma c’erano apparenze da salvare a costo
della vita e lui lo sapeva
fin troppo bene, così non abbassò lo sguardo
implacabile, né lasciò che
qualcosa trapelasse dal volto marmoreo, in un istante di colpevole
debolezza.
Ormai anche
l’ultimo bagliore di luce era declinato oltre la
sottile linea dell’orizzonte, dietro le creste innevate dei
monti lontani, e
una pioggia leggera e fresca aveva cominciato a cadere.
Una pioggia dalla bellezza
crudele, come tutto il resto di
quella scena, che sembrò dilatare un istante
all’infinito, il semplice
incrociarsi -incontrarsi, scontrarsi-
di due sguardi diversi, eppure così simili.
In breve quei boccoli
furono fiamme cremisi, lingue di fuoco
scuro su una camicetta che aderì in modo insopportabile al
corpo sinuoso – lei
si mordicchiò il labbro inferiore, sensuale e pericolosa.
Lui fece un passo in
avanti, abbandonando la piacevole
sicurezza del coperto, dell’oscurità, e la pioggia
cominciò a scorrergli sul
viso, sulle iridi grigie e implacabili simile a serpenti di vetro - che, se solo sulle sue labbra fossero stati
salati, sarebbero potuti essere lacrime.
[Vuoi
giocare, Lucius?]
Glielo dicevano quegli
occhi, splendidi e bellissimi come
schegge di giada sotto la pioggia scrosciante, e lui sapeva di aver
già
accettato, non si ricordava neppure più quando, quella
tacita promessa di piaceri
squisiti e squisiti peccati – aveva già posseduto
quel corpo d’avorio e oro,
aveva già tracciato con le mani quelle linee perfette,
perdendosi nel vortice
della lussuria, baciando e morsicando quelle labbra sensuali.
Non era servito
– aveva preso ciò che voleva, in
un’ultima
speranza di salvezza, ma non era servito.
E se la vanità
–oh, la vanità!- l’aveva condotto
laggiù, era
stato l’orgoglio a farlo precipitare del tutto.
[Vuoi
giocare?]
L’ossessione che
gli era sorta sottopelle non sembrava poter
essere placata, neppure urlando, gridando al cielo tempestoso tutto
ciò che
sentiva dentro, in un eccesso di risa folli che lo avrebbero squassato
nel
profondo.
Era un cancro, una
malattia che opprimeva i polmoni e
schiacciava il cuore, crescendo sempre più, sempre
più ogni giorno. Era un
vuoto, immenso e terribile, che si spalancava come un abisso senza fine
in
mezzo al petto e gli strappava il respiro; aveva lo stessa amara,
infida
dolcezza di un veleno letale, che gli scorreva bruciante nelle vene
mischiato al
sangue – e che nascondeva un segreto da bisbigliare solo nel
silenzio più assordante,
un’oscenità dettata da pulsioni e passioni che non
potevano essere comprese
appieno, neppure da lui. L’osceno segreto del bisogno.
[Vuoi…
Il bisogno di averla,
sempre e comunque, sua e solo sua.
Un bisogno
così
rovente da divampare nella violenza, nel gelido furore lordo di
menzogne e
apparenze, in una lucida follia che legava a sé la torbida
gelosia, l’invidia
più aspra, la feroce vanità, l’orgoglio
più cieco.
…giocare…
Ma lei –lei!-
continuava a guardarlo, maliziosa, e il vento
sussurrava nella pioggia leggera.
Lui ghignò, e
non avrebbe saputo dire a chi fosse rivolto il
bruciante disprezzo che si poteva scorgere, a tratti, in fondo ai suoi
occhi.
…Lucius?]
L’incendio che
quello sguardo gli aveva acceso dentro
sembrava divorarlo ogni istante di più, implacabile e
devastante, e scoccando
un’occhiata al cielo burrascoso Lucius Malfoy si accorse che
presto la luna,
dietro quelle nubi scure e minacciose, sarebbe sorta fulgida e lucente,
sorridendo
beffarda, così ammiccò nella pioggia, prima di
voltarsi e andarsene.
Ma non senza aver sentito
ancora quella storia di vizi e
passioni, peccati e piaceri, sbagli; non senza aver visto
un’altra volta quegli
occhi di giada, crudeli e splendidi nella loro sprezzante ironia.
[Perché
lei –lei, Lily
Evans- adesso era intoccabile.
Almeno
per lui].
|