Ciao
a tutti! Questo dovrebbe
essere il PENULTIMO capitolo.. Poi ci sarà
l’epilogo.. A meno che non mi venga
un lampo improvviso.. Ma vi confesso che
“Scommettiamo” per me è stata una
grande delusione.
Era
partita bene, lo ammetto, ma
andando avanti ho capito che non era per niente la storia che avevo in
mente
fin dall’inizio. Non era la storia che volevo io.
E vabbè, capitano a tutti i piccoli incidenti di percorso.
Una storia che invece mi sta dando tantissimo e mi rende fiera di
averla
cominciata.. E’ quella che sto scrivendo con la mia Ary *.* (
_Pulse_
)
S’intitola “Incastrate”
e l’abbiamo
cominciata a postare da poco.. Vi consiglio di andarla a leggere! XD
Per
ora vi auguro una buona
lettura! Vostra, Ale **
DICIASSETTESIMO
CAPITOLO
Una
settimana dopo.
Tom se
ne stava sdraiato a letto a guardare il soffitto,
fermo come era ormai da troppi giorni. Mangiava poco, dormire neanche
se ne
parlava.. Si alzava solo per andare in bagno quando il bisogno si
faceva
davvero insostenibile. Per il resto era diventato un automa, niente di
più.
Non
era più tornato a trovare Viky.. L’idea di
rivederla in
quel letto d’ospedale, con gli occhi chiusi e il viso bianco
come la morte, gli
apriva una voragine nel petto, facendogli male da morire.
Bill, Gustav e Georg invece, ci erano andati tutti i giorni.. Parlavano
con
lei, le raccontavano le ultime novità.. Le dicevano di Tom.
Erano convinti che
lei potesse sentirli e forse in fondo, avevano ragione.
Prese
la sua borsa a tracolla e la appoggiò sul tavolo,
ficcandoci dentro il portafogli, il cellulare, le chiavi di casa e le
chiavi
della macchina.
Aveva
deciso che quel giorno avrebbe trascinato il gemello
con lui all’ospedale, con le buone o con le cattive maniere.
Doveva dargli una scrollata, non poteva continuare così, la
situazione era
diventata ingestibile, persino per lui.
Tom
doveva rivedere Viktoria, e chissà che
quell’incontro
non risvegliasse qualche cosa in lei. Era un ipotesi da non
sottovalutare
quella.
“Tom?”
Bussò alla porta senza riceve risposta, come al solito.
Sbuffò, tirando la maniglia verso il basso ed entrando nella
stanza del
gemello. Era semibuia, le persiane erano abbassate quasi del tutto e si
respirava una pesante aria di chiuso.
“Bill..”
sussurrò a voce bassa, accorgendosi di una presenza
nella camera.
“Tom,
vestiti..” Sussurrò, aprendo di poco le persiane
alle
finestre. Quel tanto che bastava per far passare un po’ di
luce solare.
“Perché?”
“Ora,
non me ne frega di quello che dici, andiamo a trovare
Vik. Andiamo.”
Rimarcò l’ultima
parola, lasciandogli intendere che quella non era una semplice
richiesta. Era
un ordine.
“Non
me la sento, Bill..” Mormorò l’altro,
sentendo le
lacrime
premergli sugli occhi.
Sospirando,
il moro si sedette sul letto di fianco al
fratello, sfiorandogli il braccio.
“Tom,
devi venire.. Lei vorrebbe così..”
Seguirono
parecchi minuti di silenzio, in cui Bill trattenne
il respiro, soffocato da quell’ansia che gli metteva vedere
il fratello ridotto
in quello stato.
“Bill..
Non..” Tentennò il rasta, portandosi una mano alle
tempie, massaggiandole.
“Basta
Tom!” Gridò esasperato Bill. “Credi di
risolvere
qualcosa rimanendo barricato nella tua camera da letto? Mentre la tua
ragazza è
su un letto d’ospedale a cavallo tra la vita e la morte!
Dovresti essere li con
lei, e non qui a piangerti addosso!” Concluse il suo discorso
con un leggero
fiatone, gli occhi sbarrati e il corpo rigido. Forse non avrebbe dovuto
dire
quelle brutte cose a Tom, ma quel ragazzo aveva seriamente bisogno di
una
scrollata!
“Lasciami
dieci minuti.. Mi preparo e poi scendo.” Mormorò
il chitarrista, tirandosi a sedere.
“Bravo
fratello.” Sorrise Bill, poggiandogli una mano sulla
spalla. “Sapevo che ti saresti deciso!”
Uscì dalla stanza, richiudendosi la
porta alle spalle.
Ancora
poco e avrebbe rivisto la sua piccola, ancora in quel
letto, ancora addormentata.
L’immagine
di lei in quelle condizioni non si lavava via dalla sua mente da una
settimana
a quella parte, era un’immagine inchiodata fissa davanti ai
suoi occhi.
Persino
quando li chiudeva, per cercare di dormire un po’,
lei era sempre li a ricordargli quello che era successo. Senza
lasciargli
tregue. Senza lasciargli un minuto di pace.
Molto lentamente si trascinò davanti all’armadio,
prendendo un paio di jeans e
una maglietta a casa, infilandoseli. Non mise nemmeno il cappellino e
la
fascia, non ne aveva voglia.
Quando arrivò al piano di sotto Bill era già
seduto al tavolo con davanti a sé
una tazza di caffèlatte. Ne aveva preparata
un’altra per Tom, che aveva
lasciato sui fornelli.
Bevvero
in silenzio, un sorso dopo l’altro, con gli occhi
persi nel vuoto.
Il campanello interruppe i loro pensieri.. Tom non diede nemmeno cenno
di
averlo sentito, così Bill sospirando, si alzò e
andò ad aprire la porta.
“Ehi.”
Salutarono Georg e Gustav “Allora? Tom?” Chiese poi
il biondino, entrando in casa seguito dal bassista.
“E’
una specie di robot automatico.. Ma verrà..”
Rispose
Bill, richiudendo la porta dopo aver fatto entrare i due amici.
“Ciao
Tom!” Gustav e Georg gli andarono incontro,
battendogli amichevoli pacche sulla schiena e sulle spalle.
“Ciao
ragazzi” Mormorò il chitarrista, riponendo la sua
tazza vuota nel lavandino.
Sparì in salotto, recuperando il cellulare che aveva
lasciato li da chissà
quanti giorni, e se lo infilò in tasca. “Possiamo
andare” decretò poi, uscendo
in cortile senza nemmeno guardarli.
Erano
in macchina di Georg, non un fiato nell’abitacolo,
nessuno fiatava. La strada per arrivare all’ospedale sembrava
più corta del
previsto.. Ormai erano vicinissimi.
Tom
era nervoso, lo si poteva benissimo notare, dal modo
frenetico con cui si stava torturando le mani.. Sembrava volesse
staccarsi le
dita una ad una!
Ed
eccolo li.. L’immenso palazzo bianco che si stagliava di
fronte a loro..
Mai avrebbe pensato di odiare così tanto un edificio. Ma
lui, quell’ospedale,
lo detestava con tutte le sue forze.
Scesero
dalla macchina in assoluto silenzio, varcando le
grandi porte che li fecero sbucare in un corridoio lungo e candido. Lo
percorsero, camminando fianco a fianco.
L’ascensore sembrava troppo stretta per i pensieri di tutti e
quattro.. In un
secondo li porto al terzo piano, dove c’era un altro infinito
corridoio da
attraversare, prima di arrivare davanti alla porta maledetta, che Tom
faticava
anche solo a guardare.
“Vai..”
Sussurrò Bill, dando una lieve spinta al fratello.
“No
dai, venite anche voi..” Li guardò implorante, con
gli
occhi lucidi, ma i suoi amici non sembravano voler cedere, nemmeno
davanti a
quello sguardo carico di emozioni.
“Tocca
a te adesso..” Gli sorrise Georg, appoggiato da
Gustav, che gli mostrò entrambi i pollici alzati.
Mortificato
aprì la porta, richiudendosela alle spalle..
Senza girarsi a guardare il letto marciò davanti alla
finestra, appoggiandosi
al davanzale con i palmi, guardando in basso.
“Tu
non sai Viky.. Quanto mi sia costato venire qui a
trovarti, sapendo le tue condizioni.. Non te lo puoi nemmeno
immaginare”
sibilò.. Non ce la faceva a girarsi, non riusciva a
guardarla. “Piccola, se tu
ti svegliassi adesso.. Se tu aprissi gli occhi.. Ce la farei a dirti
tutto
quello che provo per te. So per certo che sarei in gradi di farlo in
questo
momento!” Guardò fuori dalla finestra.. Il sole
era coperto dalle nuvole,
creando un’ atmosfera tetra e spenta. “E’
proprio vero, ti accorgi di..amare
una persona, solo quando ti
rendi
conto che ti sta scivolando via..” Sorrise amaro.. Poi, con
una lentezza
inesorabile si girò, verso quel letto che sapeva lo avrebbe
ferito più di una
scarica di pugni in pieno stomaco.
Lei
era li.. Meravigliosa come sempre.. I capelli corvini le
ricadevano ribelli sul viso bianco borotalco.. Era pallida come la
morte,
persino il suo tipico rossore alle guance era sparito.
E i
suoi occhi.. I suoi occhi blu erano chiusi, serrati..
Non li vedeva.
E Dio
solo sapeva quanto sarebbe stato disposto a pagare pur
di rivedere l’immenso di quegli occhi, avrebbe dato qualsiasi
cosa..
Perché, non l’aveva mai ammesso apertamente, ma a
quella nanetta mora ci teneva
più di quanto avesse mai immaginato.. Senza di lei, adesso,
sarebbe stato un
inferno.
Si
sedette sulla sedia che era stata abbandonata di fianco
al suo letto, magari da Bill o dagli altri, e le prese la piccola mano
tra le
sue grandi e callose.
Un
groppo gli serrava la gola, impedendogli di deglutire..
Aveva voglia di piangere, ma non l’avrebbe fatto. Per lei.
“Viky..
Svegliati” Sussurrò per poi appoggiare la testa
sul
braccio di lei. Istintivamente la ragazza si mosse, ma quando Tom
alzò la testa
di scatto i suoi occhi erano ancora chiusi. Era stato un semplice
riflesso
involontario. Succedeva spesso alle persone in coma..
“So
che non sei cattiva piccola.. Svegliati. Apri gli
occhi.. Ti prego..” Mormorò. La voce strozzata dal
pianto che gli stava salendo
agli occhi, seppur contro la sua volontà.
Passarono
infiniti minuti, che lui passò con la testa
appoggiata al suo seno che si alzava e abbassava regolarmente.. Grazie
ad un
respiratore che la teneva in vita.
Il
petto ad un certo punto si arrestò, bloccandosi di colpo.
Tom,
terrorizzato, alzò fulmineamente il capo per guardarla:
aveva gli occhi spalancati e impauriti.
“Viky..
Piccola mia.. Sei sveglia..” Sussurrò tra le
lacrime.
“Tom?”
“Si
sono io, sono qui!” Le prese il viso tra le mani,
asciugandole due lacrime ribelli che erano sfuggite dai suoi occhi. La
baciò
sulle labbra, ma fu come baciare una lastra di vetro.. Viktoria era
ancora
sotto shok.
“Che
è successo.. Che cosa è successo!” Si
agitò,
prendendogli le mani e stringendogliele forte. La voce roca e bassa,
dopo una
settimana di silenzio totale.
“Ne
parliamo dopo, ora torna giù che chiamo il dottore.
Piccola stai calma” Vederla così inquieta non gli
piaceva per niente. Ma
d'altronde doveva mettersi nei sui panni: risvegliarsi dopo una
settimana in un
letto d’ospedale senza sapere assolutamente che cosa fosse
successo.
“Signorina
Lein, la informo che è in ottima forma,
assolutamente. Dovrà seguire un corso di riabilitazione
quando toglierà il
gesso, ovviamente. Ma la sua frattura alla gamba destra non
è così grave.” Le
strizzò l’occhio. “La terremo sotto
osservazione ancora per una notte, domani
potrà tornare a casa non si preoccupi.”
Guardò i ragazzi, accennando loro un
saluto con un cenno del capo e poi uscì dalla stanza,
sparendo nel corridoio.
Bill,
Georg e Gustav erano entrati nella camera con Tom,
appena saputo che Viky si era svegliata. Per poco Bill non sveniva in
sala
d’attesa!
“Che
spavento ci hai fatto prendere Vik..” Sussurrò il
moro,
vicino a lei.
“Mi
dispiace ragazzi..”
“L’importante
ora è solo che tu ti senta bene!”
Esclamò
Gustav, con uno dei suoi sorrisi concilianti.
“Sto
molto bene, non vi preoccupate. Mi sento solo tanto
stanca e debole.”
“E
questo è comprensibile.” Dissi Georg, che se ne
stava in
piedi davanti al letto della ragazza.
I
ragazzi si scambiarono una lunga occhiata d’intesa,
vedendo l’improvviso scambio di sguardi che si stavano
passando Tom e Viktoria.
Così, silenziosamente, uscirono dalla stanza lasciandoli
soli.
“Tom,
mi dispiace così tanto.. Io, dovevo perdonarti solo..
Ero così arrabbiata” Mormorò a bassa
voce una volta che i ragazzi se ne furono
andati.
“Shhh
non dire niente, è colpa mia.” Le passò
una mano sulla
fronte, per poi baciarle dolcemente una tempia.
“L’unica cosa che importa
adesso è che tu ti riprenda.”
Seguì
un silenzio imbarazzante, mentre i due continuavano a
guardarsi negli occhi, scambiandosi sorrisi affettuosi e carezze.
“Sai..
Al dottore ho detto di essere il tuo fidanzato.”
Sussurrò, quasi senza pensarci, mentre le passava una mano
fra i capelli neri
spettinati.
“E..
lo pensi sul serio?”
“Si..”
Le sorrise, baciandole il labbro inferiore e
lasciandola senza fiato.
“Io..
Io ti amo Tom..” Arrossì imbarazzatissima.. Non
era
una delle circostanza migliori per confessare una cosa di quella
importanza,
decisamente no. Ma in amore non si segue mai una logica, in amore ci si
lancia
senza pensare a cause o conseguenze. Amore è
spontaneità.
Tom si
bloccò, guardandola come se avesse detto la cosa
più
bella del mondo. E forse per lui era proprio così.
Le prese la nuca, avvicinandola a se e la baciò come prima
non aveva mai fatto.
“Lo
prendo come un anche
io?” Sorrise lei,
accarezzandogli lo zigomo con il dorso della mano.
“Decisamente..”
Sussurrò sulle sue labbra. “Forse è
stata
proprio la tua lontananza a farmelo capire. Non lo so. So solo che ti
amo, ed è
bellissimo..”
Le passò una mano sul viso, riprendendo a baciarla..
Consapevole che quella
nana dai capelli neri gli avrebbe cambiato la vita.
Ringrazio
tutte quelle che hanno recensito lo scorso
capitolo e quelle che invece hanno solo letto. Vi adoro tutte quante,
davvero!
Solo non ho molto tempo! La prossima volta vi ringrazierò
due volte! XD
Grazie di cuore! Vostra, Ale *.*
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