Memory of a Past
Life
Il buio è assenza
o scarsità di luce, oscurità che avvolge tutto, sfocando il mondo fino a farlo
scomparire. Se chiedi ad un bambino cosa sia,
la sua risposta sarà mancanza di luce. Se lo chiedi ad un fisico, ti
dirà che è una qualità dello spazio.
Se lo chiedi ad Arleen ti dirà è la sua
vita.
L’ultimo lampione ritardatario si accese,
gettando una luce inquietante sul vicolo, mentre la nebbiolina autunnale si
alzava, nascondendo i particolari di quel luogo.
Un gatto si mosse agile, incurante del
senso di gelo che regnava in quel posto, saltando da un cartone all’altro,
cercando di non bagnarsi nelle pozze d’acqua accumulatesi durante il temporale.
Un lampo solitario divise il cielo in
due, distogliendo l’attenzione dell’uomo
seduto su un gradino nel vicolo. Il suo sguardo seguì il fulmine, continuando a
fissare la vastità della volta celeste sopra la sua testa. Con il diradarsi del
temporale cominciavano a vedersi le stelle.
«Stai cercando il paradiso?» una voce
alle sue spalle lo fece sussultare, mentre si girava di scatto, pronto a
difendersi da eventuali pericoli, un lungo coltello da caccia spuntò tra le
mani.
Scansionò ogni centimetro della via,
scavando con gli occhi la nebbia ormai fitta, ma non individuò la fonte della
voce, benché sapesse già a chi apparteneva.
«Con quello non faresti male nemmeno ad
una persona normale, figurarti a me.» Lo canzonò la voce, facendolo voltare
nuovamente. Un moto di stizza attraversò il suo volto. Possibile che ogni volta
dovesse fare così?
Con accurata lentezza l’uomo si rilassò, rinfoderò l’arma e si voltò di nuovo. Di fronte a lui ora stava
un’altra figura, più bassa di almeno una decina di centimetri. Come aveva
immaginato, era sempre la stessa storia.
«Di’
un po’, ti diverti vero? Non credi di essere un po’ cresciuta per questi
giochetti?»
La figura alzò la testa, mostrando un sorrisetto infantile
su quel volto così giovane e innocente. ‘Pensieri pericolosi’ pensò l’uomo,
quella ragazza era tutto tranne innocua.
«Allora… ora posso sapere perché hai
fatto uscire questo vecchio sacco d’ossa in una notte come questa? Dev’essere qualcosa di importante per averti fatto tornare
qui.»
«Entriamo in casa, non vorrei ti prendesse un colpo mentre
parliamo.» Detto questo Arleen estrasse una chiave e,
saliti i gradini, la infilò nella toppa della vecchia porta.
Entrata accese una luce per il vecchio; a lei, creatura della notte, non
serviva.
«Ho trovato le risposte che cercavo da
tempo…» la voce le si incrinò,
mentre una lacrima rossa le solcava il viso «e avrei bisogno di parlarne con
qualcuno.»
Una ragazza correva, lontano dalle urla
che sovrastavano qualsiasi rumore alle sue spalle. I capelli lunghi le
ondeggiavano sulle spalle, mentre aumentava il ritmo per allontanarsi
dall’inferno che si era scatenato. La camicia da notte sventolava, rischiando
di farla inciampare ad ogni passo. Corse, e corse ancora, finché le gambe non
la tennero più su e si accasciò al suolo, stremata per la corsa e per il
terrore che ancora scorreva puro
nelle sue vene.
Si portò le ginocchia al petto, mentre
con la mente riviveva i minuti precedenti.
La tranquilla serata in famiglia si era
trasformata in un orrore, la pace era stata travolta dalla paura, mentre
quell’”essere” era comparso dal
nulla. Le guardie non lo avevano fermato alla sua entrata nella cittadina,
troppo pericoloso fermare uno straniero vestito di tutto punto, con le tasche
piene di soldi; avrebbe potuto essere un signorotto locale, e si sa bene che è
meglio non inimicarseli. Così era entrato indisturbato, proprio dopo il calare
della notte, poco prima che i cancelli chiudessero i battenti. E dopo…
Il dopo è rimasta solo lei a raccontarlo. Ha visto i suoi genitori, le sue
sorelle, i suoi vicini venir mangiati uno dopo l’altro, mentre cercava una via
di fuga. Per fortuna il cancelletto usato per scendere al fiume si era rotto
facilmente sotto la pressione dei suoi colpi, ed era riuscita a scappare, lasciando dietro di se i suoi cari.
Si odiava per questo, ma prima di capire cosa aveva fatto si era ritrovata
fuori casa, correndo alla ricerca
di una via di fuga.
Ora, ferma in quel campo, a malapena nascosta da quel
masso così freddo, ripensava all’accaduto e si malediceva. Ma nonostante ciò si
sentiva viva, come non lo era mai stata.
Una mano fredda sulla spalla interruppe
il flusso dei suoi pensieri. Si pietrificò mentre una voce sentita poco prima
le diceva che l’aveva trovata, solo che ora era più dolce, non si sarebbe mai
detto che quella voce apparteneva a qualcuno che poco prima aveva ucciso e
bevuto il sangue di un intero villaggio.
Si costrinse a voltarsi, almeno se doveva
morire l’avrebbe fatto vedendo il suo assassino in volto. Quest’ultimo parve
sorpreso, mentre un sorriso divertito gli spuntò sul volto. Si ricordava
perfettamente cosa le aveva detto, o quanto l’avevano tormentata quelle parole.
«E così non hai paura di me… ma che
coraggiosa ragazzina abbiamo qui.»
E a quel punto aveva fatto un’altra cosa
che non si sarebbe mai aspettata da se stessa. Gli aveva risposto.
«Non sono una ragazzina, ho già diciotto anni.» E questo l’aveva fatto
ridere, una frase così stupida; ma aveva avuto quell’effetto.
«Così non mi temi, eh piccola?» una
conferma. Era questo che voleva, la conferma ad un gioco che lei aveva
iniziato. Ma se serviva a farla sopravvivere…
«No, so cosa mi aspetta, e so che non posso cambiarlo,
perciò la risposta alla tua domanda è no. Non ti temo, non più ormai.» Lo
sguardo fermo, deciso, i suoi occhi fissi sul suo viso, mentre scrutava le ombre che lo avvolgevano.
E poi era successo… chissà che era passato
per la testa a quell’essere. Questione di una frazione di secondo e se lo era
ritrovato sul collo, che le succhiava la vita. Il torpore cominciò a dilagare
per il corpo, rendendolo insensibile. Chiuse gli occhi, almeno avrebbe rivisto
i suoi cari.
«Questo è quello che ho scoperto. La sera
dopo mi sono svegliata in un sotterraneo, e il resto è storia…»
La voce le tremava un po’, ma non le
importava, conosceva quel vecchio da una vita, era stato il suo migliore amico,
poi invecchiando era diventato una specie di padre.
«Capisco, mi spiace davvero Arleen... io…
non so che altro dire, mi spiace.» Un colpo di tosse lo fece interrompere,
mentre Arleen si alzava veloce e lo copriva con una vecchia coperta lì da chissà quanto.
«Non importa. Ormai non posso più fare
niente. I morti sono morti, e tali devono restare. Sai.. sono andata a vedere
com’è ora il paese… è sempre lo stesso, piccolo, con pochi abitanti, anche se
sono passati quasi 400 anni. E… beh… ho fatto una visita in parrocchia... e al
cimitero. Ci sono ancora le loro tombe... Ho lasciato dei fiori. Sono stati
ignorati per troppo tempo, è ora che qualcuno si prenda cura di ciò che resta
di loro.»
Lui la guarda, riesce a vedere il suo
dolore, nonostante la maschera perfetta che indossa, la conosce troppo bene
oramai.
«E così hai scoperto tutto, l’hai cercato
per tutta la tua vita. Che intendi fare ora?» Ha un presentimento e vuole
sapere se è così, ma allo stesso tempo ha paura di chiedere. Ha paura della
risposta.
«Ora?» un sorriso maligno le increspa il
visto giovanile, trasfigurandolo. «Ora inizia la caccia.»
Passare 400 anni
nel buio ti rende come lui, potente, affiliato e letale. Una lama a doppio
taglio che può ferire anche colui che l’ha creato.
Fine
Ok… puoi
uccidermi per dedicarti una cosa del genere per il tuo compleanno… se vuoi
posso rimediare con una fettina di torta, ti va?
Beh… il succo
del discorso resta quello.. BUON COMPLEANNO VALE!!!!!!! *passa torta con le
candeline