the fame
»•The
Fame ~
La
fama ti da alla testa.
La
fama ti rovina.
La
fama non ti permette di riconoscere più cos'è giusto e
cos'è sbagliato.
Ti
fa entrare in un mondo dal quale non riesci più a venir fuori.
Ti
afferra e ti risucchia in un vortice che ti fa andare sempre più
giù, senza mai risalire.
La
fama non è un gioco.
La
fama va ad intaccare per sempre la tua vita.
Un
flash.
Macché
uno.
Un'infinità
di flash puntati fastidiosamente nei suoi occhi.
Un
sorriso falso prendeva posto sul suo volto, come da copione.
Chi
era? O meglio, chi era diventato?
Non
si riconosceva più neanche lui.
Era
diventato una macchina.
Quando
aveva cominciato ad intraprendere quella carriera di chitarrista, era
felice ed entusiasta.
Proprio
come suo fratello.
Tutto
per lui era apparentemente perfetto.
Vedere
il suo viso sulle copertine dei giornali.
Apparire
innumerevoli volte in televisione.
Tenere
concerti.
Avere
un mucchio di ragazze ai suoi piedi.
Essere
presente nella lista delle persone più amate.
Tuttavia
gli anni passavano ed il sorriso che non abbandonava mai il suo
volto, piano piano, cominciò a sparire, fino a cedere il posto
ad un'espressione più malinconica, triste, insoddisfatta e
persino stanca.
Aveva
solo vent'anni e non poteva permetterselo.
Svegliarsi
al mattino senza la solita voglia di vivere.
Eppure
il mondo poteva essere suo.
Poteva
sbaragliare qualsiasi muro se solo avesse voluto.
Il
punto era che non voleva.
Non
ne aveva più voglia.
Ora
desiderava solo andare contro corrente.
Contro
tutti gli insegnamenti che gli erano stati inculcati, dimostrando a
qualcuno che lui era libero di fare ciò che voleva, nonostante
tutto.
Voleva
vivere come più gli piaceva, di nuovo.
Aveva
promesso a suo fratello che mai più l'avrebbe rifatto.
Ma
si sa, le promesse sono solo parole leggere e non vengono mantenute
quasi mai.
Dopo
che si era fatto trovare sbronzo nella sua stanza d'albergo per
l'ennesima volta, aveva promesso a Bill che mai più avrebbe
toccato alcool.
Che
avrebbe ricominciato a sorridere.
Palle.
Tutte
palle e quello lo sapeva bene.
Guardava
le tre bottiglie di birra davanti a lui, posate sul pavimento, mentre
una sgradevole sensazione nauseante cominciò a salirgli in
gola.
Si
odiava, non si piaceva più.
Non
si voleva più bene.
Voleva
sparire.
Voleva
tornare semplicemente la normalissima persona che era, prima di
diventare “Tom Kaulitz, il chitarrista dei Tokio Hotel”.
Neanche
lui credeva che sarebbe arrivato a quel punto critico della sua vita,
che gli stava lentamente sfuggendo di mano.
La
cosa che gli faceva più male in assoluto era il rapporto
incrinato con suo fratello.
Stava
diventando una delusione per Bill.
Lui,
che aveva sempre rappresentato per il vocalist una figura quasi
paterna, rassicurante e protettiva.
Stava
fallendo anche come gemello.
Sapeva
benissimo che Bill stava versando lacrime a causa sua da giorni
ormai.
Ultimamente
non faceva altro.
Lo
sentiva attraverso la parete.
Legame
speciale, quasi magico, tra gemelli.
E
lui lo stava spezzando.
Era
diventato la rovina per lui e per il gruppo.
Era
diventato un nulla e si compativa da solo.
Era
schifosamente entrato in una depressione fin troppo umiliante per un
tipo come lui e i giornalisti ci sguazzavano.
Sempre
convinto di poter fare tutto, di poter avere qualsiasi cosa.
Depresso.
Era
caduto veramente in basso.
Si
portò alla bocca l'ennesima bottiglia di birra e sorseggiò
velocemente il liquido amarognolo al suo interno.
Strizzò
gli occhi posando di nuovo la bottiglia a terra.
Mai
avrebbe pensato di arrivare a tanto.
Cercare
di non pensare attraverso bottiglie di birra era il massimo che
riusciva a fare in quel momento.
Cercò
di alzarsi ma perse l'equilibrio ricadendo pesantemente a terra.
Dai
suoi occhi sgorgarono calde lacrime, quelle gocce salate alle quali
mai avrebbe dato il permesso di scorrere sul suo viso fino a pochi
mesi prima.
Si
vergognava di sé stesso.
Era
diventato debole.
Talmente
tanto che si nascondeva dietro a litri di lacrime.
Si
disperava come un ragazzino immaturo.
Ad
un tratto udì la porta di camera sua aprirsi, mentre un fascio
di luce faceva capolino nella sua stanza buia, quasi accecando i suoi
occhi brucianti e bagnati.
«Tom»
si sentì chiamare mentre dei passi si avvicinavano a lui. Le
braccia muscolose di Georg lo tirarono su fino a farlo sedere sul
letto. «Ti prego, smettila» sussurrò il rosso con
voce tremante. «Non capisci che ti stai rovinando da solo
sempre di più?» continuò speranzoso del fatto che
nella testa del chitarrista potesse entrare qualche parolina chiave
che gli facesse riprendere in mano la sua vita. «Rivoglio il
mio amico. Quello che mi prende sempre in giro» mormorò
il bassista mentre Tom lo guardava con occhi spenti, velati da una
tristezza che non gli apparteneva.
Georg
si alzò dal letto, recuperò tutte le bottiglie di birra
vuote dal pavimento ed uscì dalla sua stanza richiudendo la
porta.
Stava
male lui e faceva star male i suoi amici automaticamente.
Aveva
raggiunto il massimo.
Si
buttò con la schiena sul materasso e fissò il soffitto,
il quale sembrava non volesse smettere di ruotare velocemente sopra
di lui.
Un
forte conato di vomito lo spinse ad alzarsi subito dal letto,
facendolo sbandare qualche secondo, e correre in bagno.
Era
stufo di quella vita. Stufo.
Tornato
a letto, chiuse gli occhi e si portò il cuscino alla testa,
cercando di non sentire più i singhiozzi disperati di suo
fratello, provenienti dalla stanza affianco.
Che
cosa ne sarebbe stato di lui?
Sarebbe
riuscito ad andare avanti così ancora a lungo?
Quello
era il risultato.
Il
risultato di una vita passata ad inseguire i propri sogni credendo in
qualcosa di fantastico.
La
cosa alla quale teneva a tutti i costi inizialmente, si era ritorta
contro di lui come un boomerang.
Perchè
la fama aveva voluto da lui questo?
Perchè
la fama lo aveva portato a stare male, ad annientarsi sempre di più?
Non
dicevano tutti “Lotta, stringi i denti e credici, se vuoi che i
tuoi sogni si realizzino”?
Lo
aveva fatto... ma cos'aveva ottenuto?
«Un
cazzo» sussurrò asciugandosi le lacrime. «Ho
smesso di credere nei sogni».
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