Prince Justn
C’era
una volta un bel principe a cui la natura aveva dispensato doni a piene
mani: il suo nome era Justin Taylor.
Justin era bello, intelligente, educato e amabile ma anche
terribilmente annoiato dalla sua stessa perfezione; sarebbe voluto
partire per conoscere il mondo, ma non poteva: sua madre ci sarebbe
rimasta secca come minimo e lui non voleva essere causa di sofferenza
per lei. Si sentiva già abbastanza in colpa
perché, pur avendo tutto,
non era felice. Dato che non poteva parlare con nessuno della sua
insoddisfazione, se la teneva dentro e passava le giornate sbuffando e
dipingendo e maltrattando i domestici.
Fu suo padre a decidere che era arrivato il momento per lui di
emanciparsi: aveva ormai l’età per sposarsi.
“Oltre la foresta dell’est c’è
una principessa addormentata”, gli disse il suo vecchio,
severo. “Trovala e sposala”.
Justin partì, con una scorta, per andare a sposarsi: non che
fosse
entusiasta all’idea, ma alla fine era un principe e
riprodursi era
l’unica cosa richiesta a quelli come lui, quindi non gli
pareva il caso
di fare tanto lo schizzinoso. C’era tanta gente che doveva
lavorare per
vivere!
Attraversare la foresta verso il castello della principessa
addormentata richiedeva una settimana; il principe viaggiava in una
lussuosa carrozza con tanto di servizio bar, mentre la sua scorta -
composta da 20 dei più valorosi guerrieri del suo regno -
viaggiava a
cavallo.
Accadde dopo la terza notte che il principe si rendesse conto di come
le file della sua scorta andassero assottigliandosi.
Chiese spiegazioni al capo delle guardie, un uomo serio, posato, che
lavorava per lui da anni e aveva un’insana passione per la
musica
classica.
“Insubordinazioni, mio signore!” Gli disse Theodor
Schmidt. “Qui vicino c’è il covo della
strega dell’est e i più giovani
e prestanti cavalieri vengono reclutati da lei per il suo
esercito”.
“Che vuole farne di un esercito?”, chiese Justin in
preda a foschi pensieri.
“Signore”, rispose l’uomo tetro,
“si preannunciano tempi duri per il
regno… per questo è bene che voi vi sposiate al
più presto e prendiate
possesso del potere della bella addormentata, delle sue riserve auree e
del suo esercito”.
Justin sentì per la prima volta spirare venti di guerra.
Quella notte stessa, il principe comunicò ai suoi cavalieri
che aveva
deciso di effettuare una deviazione sulla strada del matrimonio. Si
sarebbero diretti verso il covo della strega per studiare quale fosse
la reale minaccia per il suo regno e, se avesse scoperto che i sospetti
del capo delle sue guardie erano fondati, avrebbe fatto di tutto per
uccidere la strega.
Non avrebbe permesso che la sua patria
venisse sconvolta da una guerra: era pronto a tutto per fermare i piani
di conquista della vecchia strega cattiva.
Il regno della
strega era situato nella parte più profonda della foresta,
il principe
Justin era molto spaventato, ma cercava di non darlo a vedere: doveva
fare quello che doveva fare. A tutti i costi. Arrivarono al palazzo
della strega; nonostante avesse mandato un araldo ad avvisare del suo
arrivo, Justin non trovò nessun comitato di accoglienza. Le
strade
erano affollate, un brivido scosse le membra del principe quando si
rese conto che gli abitanti del regno della strega erano tutti fate e
folletti, creature infide, pericolose, e temeva per la sorte dei suoi
poderosi guerrieri che forse non erano spariti per arruolarsi in un
esercito, ma erano andati incontro ad un destino peggiore della morte:
quello di essere trasformati in fatine!
“Il famoso principe Justin è finalmente
giunto”.
Justin guardò l’uomo che gli si era rivolto, e che
non aveva mai visto;
era alto, indossava un paio di jeans sdruciti ed una maglia senza
maniche, ed era circondato da un gruppetto di ferventi accoliti.
“Sei in vantaggio su di me”, disse Justin,
“tu conosci il mio nome, ma io non conosco il tuo”.
“Io sono la strega cattiva”, disse l’uomo
con un sorriso sornione e
tutti i suoi amici risero. Justin non capiva cosa ci fosse da ridere, e
lo fissò interdetto.
“Ben fatto Ted”, disse la sedicente strega,
rivolgendosi al capo delle sue guardie. Il principe si voltò
verso
Theodor Schmidt con volto di pietra, l’uomo pareva
imbarazzato, ma
anche piuttosto compiaciuto, Justin non riuscì a proferire
una sola
parola prima che la strega cattiva lo prendesse per un braccio e lo
trascinasse con sé per oscuri corridoi, verso stanze segrete.
“Tu e io dobbiamo parlare”, gli disse,
“ma lo faremo dopo. Prima conosciamoci meglio. Comunque io
sono Brian, Brian Kinney”.
Justin pensò, sconnessamente, che il modo per conoscere una
persona di
solito era parlarci, ma evidentemente quell’uomo aveva in
mente un tipo
di conoscenza diversa. Non gli ci volle molto a capire di che si
trattava.
“Dunque sono tuo prigioniero… era tutta una
trappola. Beh: complimenti”.
Justin giaceva sul letto disfatto, la schiena appoggiata alla
spalliera.
Brian sorrise compiaciuto mentre, nudo, girava per la stanza, bevendo
l’ennesima vodka.
“Mi compiaccio che tu la stia prendendo con lo spirito
giusto: non sopporto le checche isteriche”.
“Strano… infondo tu sei una checca e anche in
merito al tuo equilibrio mentale ho qualche remora”.
Brian sorrise di uno strano sorriso, tutto denti e minaccia.
“Ma che delizioso piccolo twink… diventerai una
fatina perfetta”.
Justin strinse i denti per la rabbia.
“Ah, già, ma tu stavi andando a sposare la bella
addormentata, vero?”
Continuò Brian ‘strega cattiva’ Kinney.
“Che peccato: puoi risparmiarti
il viaggio, sai? La bella si è svegliata parecchi anni fa ed
io ho
avuto pochissimo a che vedere con tutta la faccenda. Si chiama Lindsay
e, credimi, non sei il suo tipo”.
Justin cercò di non dare a vedere quanto fosse sconvolto.
“Posso chiederti per quale motivo ti sei preso tanto
disturbo? Hai
messo su una bella macchinazione solo per il piacere di avermi
qui”.
Brian lo guardò pensieroso e per una volta senza lo schermo
della malignità.
“Ted aveva ragione, a quanto pare. Tu non sai niente delle
intenzioni
di tuo padre. Ha disposto il suo esercito ai confini del mio regno,
vuole attaccarmi, ma il suo è un piccolo esercito e adesso
ho anche il
suo unico figlio maschio, l’erede. Non credo sarebbe troppo
contento se
ti trasformassi in una fata e questo forse lo porterà a
più miti
consigli”.
Justin lo guardò coi suoi occhioni azzurri. Suo
padre…?
Era lui l’aggressore? Nel profondo del suo cuore
già sapeva la risposta.
“Non capisco”, disse mestamente. “Se tu
disponi di un esercito più
potente del nostro, allora perché rapire me? Se sei sicuro
che
vinceresti?”
Brian non lo guardava quando gli rispose.
“La guerra costa”.
Justin ebbe l’impressione che Brian non parlasse di soldi, ma
di ben
altro. Pensò a quel che aveva visto quando era arrivato nel
regno della
strega, quelle fate e spiriti - pur nella loro iniquità -
parevano
piuttosto felici e, se scendevano in guerra, di quella
felicità sarebbe
rimasto ben poco.
Il principe Justin si chiese se non stesse
presumendo troppo: per qualche ragione il suo cuore aveva cominciato a
battere più forte.
Justin poteva muoversi liberamente nel
regno della strega cattiva, ma Brian minacciò di lanciargli
contro i
suoi terribili lupi se solo avesse osato provare a scappare. Justin non
ci provò neppure a fuggire. Un po’
perché i suoi uomini erano stati
trasformati tutti in fate e quindi avrebbe dovuto andarsene da solo, a
piedi, attraverso una fredda e minacciosa foresta: era una cosa troppo
idiota; e poi anche perché, di fatto, non era quasi mai
solo. Brian
finiva per essere sempre nelle vicinanze, forse temeva che si
ammazzasse cercando di tornarsene a casa sua, ma quando un paio di
fatine cercarono di fare amicizia con lui e giocarci insieme, Brian si
mise in mezzo e le cacciò via: qui Justin si fece una certa
idea sulla
famigerata strega cattiva.
Raccontò l’episodio ad una fata con cui
aveva fatto amicizia, il suo nome era Emmett Honeycutt ed era amico di
Brian: forse per questo riusciva ad avvicinarsi tanto a Justin da farci
due chiacchiere.
“Ammetto che è un comportamento piuttosto
strano”,
gli confermò Emmett, “di certo molto lontano dal
Brian Kinney che noi
tutti conosciamo… e verso cui proviamo sentimenti
contrastanti”.
L’uomo pareva perplesso poi posò il suo sguardo
dolce su Justin e sorrise:
“Abbiamo atteso a lungo il tuo arrivo, Ted ci aveva tanto
parlato di te
e di quanto adorabile tu fossi: aveva ragione!”. Justin
arrossì
violentemente, sorridendo timidamente a quell’uomo
così piacevole: la
strega cattiva arrivò all’istante e lo
rapì. Di nuovo.
Le notti nel
regno della strega scorrevano lente e il principe le passava sempre nel
letto di Brian; presto si rese conto che la magia della strega
cominciava ad entrargli dentro e che sarebbe diventato anche lui una
fatina come tutti gli altri.
“Quindi hai deciso di trasformarmi comunque”.
“Già”.
“Perché?”
“Quale migliore arma contro tuo padre che fare di te, il suo
diletto figlio, uno di noi?”
“Mio padre potrebbe cacciarmi per questo”.
“Davvero? Che peccato… in quel caso immagino che
resterai qui, ti
troveremo qualcosa da fare, anche se un principe come te dubito sappia
fare qualcosa”.
“Io sono un pittore, bastardo di una strega!” Disse
Justin piccato e, tirandogli una cuscinata in testa, se ne
andò a
dormire sul divano.
Arrivò presto il giorno in cui un
messaggero giunse dal regno dei Taylor. Il re comunicava che non aveva
più un figlio a nome Justin Taylor e quindi Justin, che
ormai era una
fata, non era più un principe. Non si aspettava che suo
padre sarebbe
arrivato a tanto: aveva immagino che l’intercessione di sua
madre
avrebbe ammorbidito la rigidità di suo padre ma, a quanto
pare, la
vergogna di avere una fata come figlio non era in alcun modo sanabile.
Justin attraversò un brutto momento quando il padre lo
disconobbe, si
sentiva intrappolato in un vicolo cieco, e non avrebbe davvero saputo
cosa fare se non ci fosse stata la bella addormentata ad aiutarlo.
Lindsey era una bellissima donna bionda che Justin un po’
rimpiangeva
di non aver conosciuto prima, prima che lei si svegliasse e scegliesse
la sua compagna Melanie, e prima che lui diventasse una fata. Sarebbe
stato tutto perfetto allora; si ricordò di come fosse
insoddisfatto
della perfezione quando era giovane e innocente, ma adesso avrebbe
tanto voluto poter tornare indietro. Ovviamente non poteva, il destino
aveva deciso altrimenti, e lui non poteva far altro che giocare con le
carte che gli erano toccate. Lindsey e Mel lo ospitarono per un
po’
adesso che Justin non poteva né tornare a casa,
né stare da Brian.
Justin trovò un lavoro alla tavola calda,
cominciò a frequentare i
ritrovi delle fate, cercando di essere la miglior fata possibile e di
non pensare né a suo padre, né a Brian. Erano due
stronzi: entrambi lo
avevano soltanto usato.
Ogni giorno si susseguiva uguale al
precedente e, tornando da lavoro, nelle ombre della sera che si
addensavano, Justin passava sempre di fronte al nuovo negozio di
Abercrombie & Fitch, dove un giovane violinista suonava, usando
le
luci e la ricchezza di quelle vetrine come palcoscenico per la sua
arte. Sulle note intense di quel violino, volavano pensieri
d’amore
verso il biondo Justin, che si trovò a ricambiare quei
pensieri,
aggrappandosi disperatamente ad una speranza di felicità. Il
nome del
violinista era Ethan ed entro breve tempo i due vivevano insieme.
Justin stava dipingendo quando suonarono al campanello di casa. Ethan
era fuori per un concerto quella sera e Justin non aspettava nessuno.
Andò ad aprire: era Brian.
“Mi fai entrare?”
Justin non era
affatto felice di vederlo lì, non era felice che fosse ancor
più bello
di come lo ricordasse, non gli piaceva il suo inebriante profumo che
invadeva la stanza e lo avvolgeva.
“Cosa vuoi?”, gli chiese, facendosi da parte.
“Ho notizie della tua famiglia”.
Justin lo guardò, senza fiato.
“Mio padre ci ha ripensato?”
“No, non ci ha ripensato. Non aspettarti che lo faccia. Lui
ci odia:
non ci ha attaccato soltanto perché adesso tu sei uno di noi
e i
sovrani degli altri regni lo disprezzerebbero se spargesse sangue
nobile, tanto più quello di suo figlio”.
La voce di Brian era dura.
“Dimenticalo”, gli intimò.
“E’ mio padre!”
“E allora? Tu adesso sei uno di noi e non potrai mai tornare
indietro.
Fattene una ragione. Vivere nel rimpianto è da
perdenti”.
Justin strinse le labbra, preda della rabbia, e Brian gli sorrise.
“Vedo che non hai perso il tuo bel caratterino. Meglio per
te: ti servirà ora che non sei più un
principe”.
“Cosa diavolo vuoi Brian?” Sibilò Justin.
“Insomma: non sei per nulla educato! Sono venuto di persona a
portarti un messaggio di tua madre e tu mi tratti
così…”.
Brian sventolò una lettera sotto il naso di Justin che fece
per afferrarla, ma Brian gliela tenne fuori portata.
Justin lo guardò in cagnesco, Brian pieno di aspettative.
“Per favore, posso avere la lettera di mia madre?”
disse a denti stretti.
“…signore…?”
suggerì Brian.
“Fottiti Brian!”
Con un sorriso, Brian lasciò che Justin afferrasse la busta,
e se ne andò lasciando dietro di sé il suo
profumo.
Justin era al mercato a fare la spesa, le bancarelle erano fornite di
ogni bene di prima necessità per una fata: caviale,
champagne,
anabolizzanti, barrette dietetiche, integratori salini…
oltre a
completi Armani e Hugo Boss, profumi francesi, scarpe italiane,
squisiti pezzi di arredamento Van Der Rohe, insieme alla paccottiglia
Ikea.
Justin che, al contrario di tutte le altre fate, non aveva
soldi da spendere, ed era rimasto a corto di mele, fu costretto a
girare per mezz’ora prima di trovare un banco che vendesse
della
frutta. Lo trovò nascosto in un angolino, il negoziante era
una fata di
mezz’età di nome Vic, che donò a Justin
un’arancia per un suo sorriso.
L’ex principe si stava chiedendo se un pompino poteva
valergli una
fornitura continuativa di frutta, quando incontrò lo sguardo
di un
ragazzo moro, che pareva trattenersi a stento dal pestarlo.
“Che diavolo vuoi?” Gli chiese, sentendosi a
disagio sotto il suo sguardo cattivo.
“So chi sei”, gli disse, “tu sei quel
Justin Taylor di cui tutti
parlano. Devi smetterla di girare intorno alla strega cattiva: sono
chiaro?”
Justin aveva già visto quel tipo, si ricordò
anche dove: faceva parte della gang di Brian e si chiamava Michael.
“Non sono io che giro intorno alla strega…
è lei che mi gira intorno: le piace il mio culo”.
Michael divenne verde di rabbia, Justin lo guardò
interdetto: lui stava solo scherzando.
“Hey, datti una calmata”, gli disse seriamente,
” io non ho più nulla a che vedere con Brian, puoi
stare tranquillo”.
“Allora perché ha messo a repentaglio la sua vita,
cercando di
intercedere colla tua famiglia, se non perché glielo hai
chiesto tu?!”
Justin lo guardò privo di espressione, un silenzio post
atomico si protrasse tra loro per qualche secondo.
“Io non gli ho chiesto nulla”.
Fu la volta di Michael di rimanere senza parole, i due si guardavano
mentre veniva fatto un piccolo passo degli uomini, ma un grande passo
per l’umanità, verso la comprensione di
quell’universo arcano che era
la psicologia di Brian Kinney.
Camminarono per un po’, fianco a fianco, senza proferire
parola, ognuno perso nei propri pensieri.
“Brian ti ama”.
“Lo so”.
A quel punto non poteva far altro che saperlo, lo aveva sospettato fin
dall’inizio, ma non era riuscito a crederci.
“E tu… lo ami?” chiese titubante Michael.
“Si”, rispose Justin senza esitazioni, lo sguardo
perso nel vuoto, e in mano i sacchetti della spesa.
Michael lo guardò onestamente confuso.
“Ma allora che diavolo ci fai con quel violinista?”
Justin lo guardò parimenti confuso. Quella era una buona
domanda.
L’ex principe Justin era nato col proverbiale cucchiaio
d’argento in
bocca ed aveva sempre pensato fosse suo dovere essere felice. Poteva,
uno che aveva tutto, lamentarsi perché… aveva
tutto? No, non poteva.
Neppure poteva sperare di dire a chicchessia che sentiva la mancanza di
qualcuno che non aveva mai incontrato, senza che questi lo prendesse
per scemo. Quando era arrivato nel regno delle fate, Justin aveva perso
ogni cosa e aveva trovato anche l’unica cosa che veramente
desiderasse.
Era bello, alto, isterico e narcisista. Era la strega cattiva. Era un
dio del sesso. Era uno stallone, emozionalmente inibito, che poteva
solo essere intuito e non conosciuto: in Brian Kinney ci si poteva solo
credere… e sperare di non aver preso una cantonata.
Justin fece
armi e bagagli una domenica mattina, Ethan ne fu sconvolto ma sarebbe
sopravvissuto così come aveva fatto Justin, e si
presentò a casa di
Brian.
“Cosa diavolo credi di fare?” Gli chiese la strega
cattiva, in mutande e coi capelli sconvolti.
“Ho bisogno di un posto in cui stare. Ethan mi ha buttato
fuori”.
“E vorresti stare qui?” Brian era attonito.
“E perché ti ha buttato fuori?”
“Il tuo castello è enorme: non ti accorgerai
neanche che sono qui. E mi
ha scaricato perché… beh, mi ha beccato mentre mi
scopavo il
fruttivendolo”.
Brian lo guardò truce.
“Tu, stronzetto, cosa cerchi di darmi a bere?”
Justin gli fece il suo sorriso più innocente.
“Posso prendere un paio di cassetti?” Chiese,
mentre si dirigeva verso
la camera da letto, e Brian gli urlava dietro: “Questa casa
non è un
albergo!”.
Justin lo prese come un si.
@solly - grazie dei complimenti^^ Mi fa piacere che qst fic ti sia piaciuta, dovevo scrivere un AU fiabesco per una challenge ed è venuta fuori questa cosa qui. E si, effettivamente non c'è nulla di innocente in questa fiaba: come potrebbe esserci con Brian Kinney come protagonista? XDD
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