Il fato e il futuro

di Mea
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Non ho la minima voglia di tornare a scuola. Nessuna.
E non ci sarebbe nemmeno da stupirsene. Quale pazzo avrebbe intenzione di tornare nel posto in cui ha rischiato di morire una decina di volte nel giro di due anni? O a che serve prendere il diploma, quando sai benissimo che non avrai la minima possibilità di ottenere un posto di lavoro ai limiti della decenza?
Eppure sono qui, al binario nove e tre quarti. Sono qui, esattamente dov'ero nel settembre di otto anni fa. Otto anni passati tra le mura della scuola, dove, dicono, si trascorrono gli anni più belli della propria esistenza. Se poi li trascorri rischiando di lasciarci la pelle, be', è una questione che passa in secondo piano. Sono qui, aspettando che arrivi il treno, con una madre a cui improvvisamente non importa più che io prenda il diploma e che, anzi, pare visibilmente angosciata dalla partenza, e un padre che mi fissa da circa un'estate come se fossi nato solo ora. Non che mi dia fastidio, tutt'altro. Solo che sto sinceramente cercando di capire perchè mi trovo qui. E il fatto di non comprenderlo mi secca notevolmente. Anche se dovrei averci fatto l'abitudine, a sentirmi confuso.
 
Questi i miei pensieri di allora, quando dovevo iniziare di nuovo tutto. Come se fossi davvero morto, e avessi dovuto incominciare una nuova vita, in una reincarnazione notevolmente svantaggiosa rispetto all'esistenza precedente.
Non so come sarebbe andato tutto se non fosse successo quel che è successo. Se Lui non fosse mai tornato, se mio padre non avesse mai fallito, se non fosse stato incarcerato, se io non avessi mai dovuto trovarmi nella disperazione più completa. Se io non mi fossi, insomma, mai dovuto porre il problema di iniziare da capo. Forse sarebbe stato tutto uguale, o forse tutto diverso.






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