Non
saprei dirvi perché abbia accettato. Questa era una proposta
interessante, una proposta che mi avrebbe forse permesso di essere
più forte, di affrontare lo sguardo degli altri. E poi, perché
no? Non ho nulla da perdere. Non ho ricordi della mia famiglia.
Ricordo quella Casa, ma non so se voglio ricordare.
Non
conosco modo per avvicinarmi alle persone. Tremo, balbetto e, in
definitiva, preferisco non rivolgere la parola a nessuno. Io faccio
il mio lavoro, mi rendo utile. Tutto qui. Allora non ho nulla da
perdere a parte i ricordi. Intimamente prego che siano spazzati via,
intimamente prego di diventare una persona nuova, una persona diversa
dall'inutilità che rappresento.
Mentre
il medico mi afferra il braccio, ho un sussulto. Non amo essere
toccato. Mi ripugna essere sfiorato. Non è proprio il
sentimento migliore da provare quando si cercano persone a cui
affezionarsi. La sensazione di bruciore è intensa e mi
attraversa il corpo, ma stringo i denti. Sono un esempio. Sono il
Cancelliere, secondo solo all'Imperatore. E di questi seguo
ciecamente i desideri. Sono il braccio destro dell'Imperatore e come
tale devo comportarmi.
Come
se a qualcuno veramente importasse. Complimenti vuoti ed insensati mi
vengono rivolti continuamente, ma nessuno mai chiede. Nessuno mai
chiede chi sono. Chi esiste sotto la maschera. In Accademia non ero
visto di buon occhio e la situazione ora non è di certo
cambiata. Sono uno scherzo della natura, un uomo troppo solo per
meritare attenzione. La mia stessa solitudine mi rende solo.
Non
so da quanto tempo fisso questa bambola, ma mi irrita profondamente.
I tratti perfetti, la durezza e, nel contempo, la superficie liscia
di porcellana, gli abiti raffinati e preziosi... Nulla riesce a
smuovere il minimo sentimento in me. Preso dalla rabbia, aumento la
pressione sui suoi occhi di zaffiro e stringo i denti per la rabbia.
Odio questa inutile odiosa bambola. Deve morire, morire, morire.
Quando
finalmente sento la porcellana rompersi sotto le mie dita, il mio
corpo si rilassa all'improvviso e mi sento svuotato. Mi sento...
bene. Tra le mie mani vi sono frammenti di bambola. Tra le mie dita,
i suoi occhi mi guardano. Il suo sguardo mi accusa di cose
innominabili. E' uno sguardo che ho già visto migliaia di
volte. Per conto dell'Imperatore ho conquistato una parte di questo
inutile e patetico mondo. Ma perché accontentarsi di
conquistarlo? Perché non...?
-Kefka?-
Alzo
lo sguardo verso la porta e il mio sguardo si posa casualmente su ciò
che riflette lo specchio che vi sta accanto: un uomo, un adulto,
seduto a terra, con uno sguardo folle, i capelli scompigliati, che
regge tra le mani frammenti di bambola. Che cosa stavo facendo? Come
sono capitato qui?
Dita
fredde si posano sulla mia fronte. Chiudo gli occhi. E' un contatto
che non mi disgusta, che, al contrario, calma il mio respiro,
rallenta il battito del mio cuore impazzito. Che cosa stavo facendo,
Celes?
-Hai
la febbre.- sussurra, con voce calma. Celes non va mai nel panico. E'
forte. Nasconde bene i propri sentimenti. Sono stato un buon maestro.
Mi trascina fino al letto e mi rimbocca le coperte. Non è
imbarazzante. Ho fatto lo stesso con lei molte volte. E il suo tocco
è leggero. E non mi disturba.
-Kefka,
che cosa sta succedendo?- chiede, sedendosi sul duro materasso ed
abbassandolo di alcuni centimetri soltanto. Ha lo sguardo serio, ma
so che è preoccupata. Non dovrebbe. Non dovrei interessare a
nessuno, eppure... -Lo sai che...-
M'interrompe
con un gesto della mano e scuote la testa: -Se è per
raccontarmi una storia, non iniziare neppure. So che stai male
spesso, ma... Non in questo modo.- ribatte, serrando gli occhi. Fa
alcuni movimenti confusi uno dietro l'altro. Mi sfiora i capelli, si
ritrae, mi sfiora la fronte... Poi si alza e si risistema la divisa.
Ha la pelle pallida, come quella di una bambola. -Spero che tu non mi
dia altri problemi.- sbuffa, con un gesto scocciato. Fa qualche passo
verso la porta, poi sembra cambiare idea e si volta. -Cerca di stare
bene.- bofonchia, prima di uscire dalla stanza con passo elegante.
Non
provo magicamente quasi nulla. Non so più apprezzare la
bellezza dell'arte, la bellezza di una donna. La Magia rimane la mia
unica ragione di vita. Lei sa farmi rabbrividire di delizia, lei mi
rende vivo. La Magia ruba le mie sensazioni ad una ad una, ma mi
scorre nelle vene e batte nel mio petto. Vivo nella Magia e per la
Magia. Devo diventare più potente per lei. Più potere
riceverò, più mi sentirò vivo. Scivolo nel
nulla, con essa. Scivolo in un nulla senza dolore, in cui i ricordi
scivolano ad uno ad uno. So che è lei a privarmi della dolce
sensazione del calore della mano di Celes nella mia.
Celes
aveva otto anni quando la vidi per la prima volta. Seppi, nell'esatto
momento in cui mi tese la sua bambola nel buio di una pinacoteca, che
eravamo simili. Per questo insistetti affinché subisse i miei
stessi esperimenti. E forse perché quel gesto mi fece sentire
meno solo. La bambola era molto bella, era bionda come lei e come lei
aveva occhi azzurri profondi e misteriosi. Aveva otto anni, ma non
sapevo cosa nascondesse dietro quello sguardo. Il suo gesto mi fece
comprendere a che punto fossimo destinati ad essere insieme per
sempre.
Non
amo Celes. E' come una figlia. Una sorella. Ma mai un'amante. Sarebbe
imbarazzante, nonché fuori luogo. Sono il suo maestro e, in un
certo senso distorto, ne sono fiero. Amo Celes perché mi fa
sentire meno solo. Amo il suo tocco leggero e letale. Amo il fatto
che sia una guerriera. Amo il fatto che possa essere fragile e fatale
allo stesso tempo. Ma non la amo. Celes è un'amica. Celes è
la mia unica amica.
Come
ha potuto, dunque? Come ha potuto, disgustosa piccola lurida
sgualdrina farmi questo? Abbandonarmi al silenzio della nostra torre
per unirsi a feste e trionfi e banchetti. E io solo, solo, solo in
questa torre vuota. Devo vomitare. Mago di Corte! Mago. Di Corte. Io,
il Cancelliere di Gestahl. Come ha potuto, quella faccia da cane,
quel Bassethound da strapazzo con un cubo di Rubik in testa! Io lo
odio.
Devo
vomitare, vomitare, vomitare. Bambole. Bambole ovunque, che mi
fissano, mi disprezzano... Sparite! Disgustose repliche di Madame
Adultera! Bruciate tra le fiamme dell'Inferno! Basta sguardi! Basta!
Devo mascherare tutto questo. Nascondere. Non sono degno, non sono
degno, non sono... Degno?
Chi
non è degno? Chi?! Loro non sono degni di osservare il mio
potere! Ma devo. Cambiare. Faccia. Vogliono un sorriso. Kefka è
triste. Ma Kefka è morto, mi sentite? Quel patetico. Patetico.
Patetico. Umano è morto! Brucia nel ghiaccio eterno
dell'Antenora! Traditore di sé stesso e della propria patria.
Diamo colore a questo viso deceduto, doniamo a Kefka il sorriso.
-Kefka?
Che cosa stai facendo?-
Mi
volto, consapevole di ciò che vedrà: un buffone di
corte, una maschera. E riderà. Si prenderà gioco di me.
Invece si avvicina e sfila un fazzoletto candido dalla tasca della
nuova divisa. Credo sia l'unica donna al mondo a cui possa stare bene
il giallo. S'inginocchia davanti a me mentre afferra una brocca e
v'immerge il pezzo di stoffa. -Fratello, sei un uomo adulto.-
Le
sue parole mi feriscono più di quanto l'avrebbe fatto il suo
disprezzo. Mi tratta come un bambino. Mi tratta come un bambino
mentre mi pulisce il volto dal trucco. Non sono più una
bambola. Sono di nuovo Kefka. Sono di nuovo un patetico fallimento.
Sono un essere umano che ha freddo e nausea. Ho i brividi e sento
l'acido risalire nell'esofago. Ma non posso alzarmi. Lei mi sta
ancora struccando. E ci sono lacrime sulle sue guance.
-Sai,
fratello, avrei voluto che ti complimentassi con me. Per una volta,
avrei voluto vederti sorridere per qualcosa che facevo. Ma sai cosa?
A te non importa di nulla. Sono stata promossa Ammiraglio ed è
il mio compleanno e... Avrei solo...- l'Ammiraglio quindicenne
davanti a me scoppia a piangere sommessamente, con un fazzoletto
macchiato di rosso e viola tra le mani. Vorrei fare qualcosa, ma sono
stanco. Come riuscirò ad alzarmi domani mattina e compiere il
mio dovere? Mago di Corte. Mago. Di Corte. Buffone. Quale dovere,
ormai, è il mio? Ridere e far ridere?
-Dì
qualcosa! Dì qualcosa, dannazione!- grida, afferrandomi per il
colletto della divisa. Mi scrolla ma non sento nulla, più
nulla. Chiudere gli occhi e dormire, tale è il mio destino.
Dormire. Sono stanco. Vi prego, qualcuno cancelli la mia inutile
esistenza, qualcuno rimuova dalla mente di Celes ogni ricordo che
attesti che ho vissuto. Mia sorella... Mia sorella piange per me.
-Sei
un mostro?- chiede la vocetta candida di un compagno di scuola. Alzo
la testa, tentando di ignorare il peso che grava sul mio petto.
Perché tanta crudeltà? Perché ancora questo
ricordo, tra tanti? -Dicono che tu sia un mostro. Non vuoi che
nessuno ti tocca perché poi ti sciogli.-
Ignoro
le ciglia umide, torno a fissare le formiche che camminano avanti ed
indietro in file ordinate. Avanti. Indietro. Avanti. Un piede ne
schiaccia alcune, ma quelle continuano a compiere la loro missione.
Altre cadono sotto il piede crudele, ma loro sembrano non curarsene.
Chissà cosa provano...
Il
bruciore allo stomaco si fa sentire a sorpresa, senza altri insulti.
Avrei apprezzato un avvertimento qualsiasi e, invece... Il pugno mi
mozza il fiato e crollo sulle ginocchia. -Mostro!- sento gridare, poi
riesco a percepire rumori ovattati e il dolore che aumenta ed
aumenta, finché non sputo sangue, finché non sento che
sto per morire. E allora, nel mio ricordo... -Figli di un subacqueo!
Prendetevela con qualcuno alla vostra altezza!- grida una voce
femminile. E' l'ultima cosa che ricordo.
-Mi
chiamo Maria.- sussurra la ragazzina, tendendomi la mano. Maria è
una ragazzina bruna dagli occhi castani. Normale, senza nessuna
particolarità speciale. Non è neppure carina. E'
normale. Ma non la ricordo. Davanti a me c'è Celes. Fa una
smorfia e si pulisce le ginocchia dalla ghiaia. Che cos'ha fatto per
essere così impolverata? Maria. Ma questa è Celes.
-Kefka.- rispondo, ignorando la mano. Non mi piace toccare le
persone. Ed ho una mano rotta. E' un motivo in più per non
usarla. -Lo so!- esclama lei, congiungendo le mani con un forte
rumore. Sorride e io mi accorgo che le mancano dei denti. -Tutti ti
conoscono qui! Sei il bambino più interessante, sai? E il più
carino. Voglio essere tua amica!- annuncia, alzando il braccio in
segno di vittoria.
Non
vedo i bei momenti trascorsi insieme, non vedo i sorrisi, le giornate
trascorse a disegnare o ammirare la natura. Non vedo nulla di tutto
ciò che mi ha mantenuto in vita per tanti anni in quella Casa.
Vedo semplicemente un corpo abbandonato in modo scomposto sulle
rocce. Il corpo di una ragazzina dai lunghi capelli biondi e lo
sguardo azzurro fisso, immobile.
Un
nastro tra i capelli, un abito ornato di pizzi. La mia bambola mi
restituisce lo sguardo quasi celato dalle folte ciglia ed arrossisce.
La tinta scarlatta delle sue guance risalta sulla pelle
straordinariamente pallida. La luce della luna piena le illumina il
volto per un breve istante, proprio nel momento in cui dubbio e
timore attraversano il suo sguardo azzurro.
La
afferro per la gola e stringo. Come osa. Come osa giudicarmi?! Lei
non è che un pezzo di ceramica vuoto. Un pezzo di ceramica che
non deve osare commentare, un pezzo di ceramica senza valore di cui
posso fare a meno. Soffoca, maledetta. Muori. Muori. Muori.
-Fra...
tello.-
Torno
in me e mi allontano in fretta. Cosa stavo facendo? Perché le
mie mani erano sul suo collo? Il profumo delle rose mi stordisce.
Devo uscire da questa stanza. Devo uscire dalla stanza di...
-Chi
sei?- chiedo alla ragazza che mi sta di fronte. Perché è
vestita come una bambola? Perché non ricordo? Perché le
mie mani avanzano di nuovo, come se possedessero vita propria?
Lei
le intercetta e le afferra tra le sue. -Fratello! Sono Celes! Celes!-
esclama, inquieta. Celes. Una bambola di nome Celes. So che mi ha
afferrato le mani, ma non lo percepisco. Perché? Cosa mi
succede? Devo uscire da questa stanza. Troppe sono le rose. Troppo è
ciò che potrei rompere. Le rose. Le rose si chiamano... Celes.
-Celes.-
ripeto, ma non è solo il nome delle rose. La persona che mi
sta di fronte, la bambola, si chiama Celes. Le ecchimosi che si
stanno formando sul suo collo mi accusano silenziosamente. Poso
nuovamente le mani su di esso e mormorò parole che non capisco
ma che mi sono familiari da ormai troppo tempo. Chiudo gli occhi. La
Magia che fluisce attraverso il mio corpo è una delle poche
sensazioni piacevoli che riesco ancora a percepire.
-Celes.-
ribadisco. Ma ora sono consapevole di ciò che sto dicendo.
Ricordo la ragazzina in giallo che ancora mi guarda con i suoi grandi
occhi azzurri spalancati. Non leggo paura nel suo sguardo. C'è
pena nel suo sguardo, ma nessuna paura. Ho tentato di ucciderla. Ho
tentato... Sento l'acido in bocca, ma mi trattengo.
Lei
annuisce e sospira. O forse si ricorda finalmente di respirare. Il
suo è un sospiro tremante, quasi un singhiozzo. -Meno male. Mi
fai sempre preoccupare, fratello!- esclama, con un sorriso tirato.
Distolgo lo sguardo dalla sua figura esile e quello incontra uno
specchio. Un pagliaccio dall'aria triste ricambia l'occhiata. Mi
porto le mani al volto. Cosa mi sta succedendo? Cos'è questo
assurdo travestimento? Gemo. Sto impazzendo. Sto impazzendo. Sto...
-Kefka.-
La
bambola si siede accanto al pagliaccio ed appoggia la testa sul suo
braccio. Apro la bocca per dire qualcosa, ma dimentico cosa. Nella
mia testa ci sono immagini confuse. Maria. Celes. Due perfette
bambole. Maria morta perché... Per colpa mia. Mia. -Kefka.-
ripete la bambola dal nome di rosa, prendendomi la mano che scava nel
mio braccio. Ho le unghie lunghe. Dipinte di rosso. Quando è
successo? Gemo nuovamente. Voglio gridare.
-Resta
con me.- sussurra Celes, osservandomi nello specchio. -Non importa
come. Resta Kefka, non cambiare di nuovo.- mi implora, passando le
dita sul dorso della mia mano. Non provo nulla. Rido senza motivo. La
mia risata mi spaventa. -Un pagliaccio.- mormoro. Lei sorride, ma il
suo corpo è teso.
-Non
importa.-
Trovo
il coraggio di distogliere lo sguardo dalla superficie riflettente e
guardare Celes. Il suo abito nero e bianco accresce la sensazione di
disperazione nei suoi occhi cerchiati di rosso e nero. Quanti anni
ha? Sedici? Perché è qui? Perché è un
militare? Perché... Perché non le importa?
Osservo
le mie mani pallide. Da quanto tempo non esco dalla mia stanza?
Vorrei vedere il sole, ancora una volta. Mi sembra di vedere delle
ombre su queste mani. Ombre rosse di sangue raggrumato e putrido.
Ombre di morte. Io esisto per dare la morte. Solo la vita che scivola
via dal corpo di chi muore per mano mia mi riempe di piacere. Scuoto
la testa ed arretro. Le rose. Devo allontanarmi dalle rose. Non pensa
che trattenere qualcosa di così fragile tra le dita possa...
Deve uscire, altrimenti... Andare via da lei.
-Kefka,
resta qui, non andartene.- lo implora, con gli occhi pieni di
lacrime. Non deve darmi ordini! Come si permette? Stupidi occhi
azzurri, bisogna distruggere gli occhi azzurri, distruggere quello
sguardo, distruggere i suoi sentimenti. Annientare la rosa, farla
nostra. Sorprendentemente, le sue labbra sanno di rosa. Buon per noi,
sarà più piacevole.
-Kefka.-
Una parola. Il mio nome. Cosa sto facendo? Sono un uomo adulto e lei
è una ragazzina, dannazione! Lei ne approfitta per spingermi
via e io reagisco senza pensare. La Magia fluisce oltre le mie dita e
lei finisce lontano. C'è molto sangue. Sangue. Sangue. Non
vediamo altro. Smettila. Smettila! L'incantesimo di cura la investe
con una forza che non credevo di possedere, ma lei non apre gli
occhi. Al contrario, il suo polso si fa debole. L'ho uccisa. Ho
ucciso...
Grido.
-Oggi
festeggiamo due importanti avvenimenti.- annuncia Gestahl, alzando il
calice. Non stiamo sorridendo. Stiamo osservando la ragazza. Ha
sangue invisibile sulle mani, come me. Grida silenziose di vittime
bruciate vive. Miranda non la fa dormire e io so. So tutto quello che
accade nella piccola testa piccina della bambolina. E se non vuole
ricordare quel suono così dolce, se non vuole ricordare quel
coro soave di mille vittime, glielo ricorderò io. Sì
sì.
-Prima
di tutto, la disfatta di Miranda. Generale Chere, congratulazioni per
questa vittoria esemplare.- continua il Bassethound, con un sorriso.
Stupido inutile dittatore. Ipocrita figlio di una cagna. Lascia ai
tuoi Squali il compito di uccidere, continua a farlo, cane. Prima o
poi ascolterò le tue grida di agonia. Ti farò soffrire
a poco a poco. Non ti ucciderò subito. -Siete un esempio per
tutti i nostri soldati.-
La
bambolina non si muove, sembra che non le importi, ma in realtà
sta pensando che forse doveva morire prima. Anche noi l'abbiamo
pensato. Ma in realtà è meglio che tutti gli inutili
esseri che abitano questo mondo muoiano. Lasciamoli implorare di
risparmiarli. E poi con una risata risponderò: no!
-Un
membro importante della nostra grande famiglia è tornato tra
noi. Vorrei che voi tutti faceste un brindisi in suo onore.- aggiunge
il cane, stupido vecchio, ecco il mio momento di gloria. Ho preparato
un discorso che ti lascerà a bocca aperta. -Leo Christophe,
bentornato.-
Sotto
le mie dita, il bicchiere si frantuma. So che gran parte del vetro si
conficca nella mia carne, ma non lo sento. LEO CHRISTOPHE?!
Quell'inutile... Tutti gli sguardi finalmente si concentrano su me.
E' il mio momento. -Chi è quel pagliaccio?- sento chiedere. Mi
volto verso il Capitano Jason e sotto le mie dita, oltre al dolore,
percepisco finalmente il gambo del calice, a cui è rimasto
attaccato qualche frammento di vetro. Celes scuote la testa e gli
risponde. Qualche istante dopo è investita da un getto di
sangue. Le nostre mani si sono mosse da sole. Non sono stata io a
tagliare la gola di quell'inutile uomo, non io gli ho spalancato la
gola. Io sono innocente. Non siamo state noi. E' stata la bambolina.
Lei e solo lei è responsabile. Lei e solo lei ci ha fatto del
male. Lei ha risposto male. Lei non doveva dire che non ci conosce.
Piccola ingrata!
Il
mio viso a pochi centimetri dal suo. Il suo sguardo ancorato al mio
esprime disprezzo. Odio nei suoi occhi. Che bello! Che bello! Odio
odio odio! Non mi conosce?! Ma io la conosco, sì sì sì!
Conosco ogni centimetro di lei e la potremmo uccidere anche ora, ma
vogliamo che lei soffra di più. Deve piangere e inginocchiarsi
davanti a me. Poi le strapperò gli occhi. E mangerò il
suo cuore. I suoi occhi li voglio mettere in un barattolo, sono così
belli. Odiami, Celes! Odiami!
Rido.
Rido mentre tentano di allontanarmi da lei. Ma loro bruciano,
bruciano, bruciano! Mi colpiscono, ma io rido. Grida, sangue, fumo e
quell'odore dolciastro del grasso che si scioglie e sfrigola. Che
suono melodioso ed eccitante. E io rido rido rido. Sono un
pagliaccio, no?
La
risata di Kefka è il primo grido della nostra rinascita.
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