Brevi foglie d'estate

di Manuel Lanhart
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Il pomeriggio di fine agosto era tutto nubi e pioggia scrosciante, e quella storia si ripeteva per il terzo giorno di fila, ormai. Di mattina un caldo incredibile, e dopo le tre, i primi tuoni si facevano sentire da lontano, portando entro le quattro acquazzoni invernali. Questa volta, le finestre di Private Drive erano sbarrate e zia Petunia doveva strizzare con rabbia i lembi di uno straccio da cucina, pur di non pensare a quello che facevano i vicini e che lei non poteva spiare. Vernon non era ancora tornato da lavoro, e il bello stava nel fatto che fra due giorni sarebbe entrato in ferie. Ma con quel tempo, passava la voglia di organizzare una qualunque uscita. Passando dai fornelli al salotto, Petunia diede una rapida occhiata al suo tesoro, assorto davanti ai cartoni animati, e si diresse di sopra cercando di sapere cosa stesse combinando l’anomalo. Era da troppo tempo chiuso in camera sua, silenzioso, e questo era alquanto preoccupante. Percorso a passi felpati il corridoio, la donna si accostò alla porta della stanza del nipote e origliò, ma non udì nulla, se non lievi fruscii, come se lui si stesse girando tra le lenzuola.
Era proprio strano: dormire in pieno pomeriggio e non dedicarsi a qualcosa di più nobile come leggere o cucire. Il pensiero le suscitò un risolino: Harry che faceva la calzetta, decisamente divertente! Temendo di essere stata scoperta, Petunia tornò di sotto, senza più curarsi del nipote, che invece aveva sentito persino i suoi più tenui respiri oltre la porta. La zia era delicata come una balenottera, alle volte, e ancora non si era accorta che il terzo scalino dall’alto scricchiolava se uno ci poggiava pesantemente il piede.
Dimenticandosi a sua volta della parente, il ragazzo si alzò dal letto e scostò le tende: la pioggia non accennava a diminuire, in perfetta sintonia col suo umore, né i tuoni avevano smesso di provocare vibrazione ai vetri, ma esplodevano di continuo gettando una luce accecante sulle strade deserte. E lui voleva uscire, voleva correre via da lì, smetter di sentire il peso opprimente di quelle pareti sul suo cuore, fuggire via e starsene per un po’ nel suo rifugio. Voleva scordare, ed essere ignorato, finché il primo settembre non fosse giunto di lì a poco cancellando il sapore di un’estate troppo dolce, troppo amara. Poteva starsene alla Tana, dove probabilmente avrebbe trovato pure Hermione, ma una volta tanto preferiva il buio dei ricordi alla gioia degli amici…magari in questo modo avrebbe potuto trovare la forza dentro di sé. Distolse lo sguardo dai vetri bagnati e cercò l’album di fotografie dei suoi, posato sul comodino. Saltò le prime pagine e passò direttamente alla sua preferita. James e Lily danzavano in un campo innevato sprofondando nella coltre bianca fino alle ginocchia, cadendo l’uno sull’altra e rotolando sotto i fiocchi che li ricoprivano quasi per intero. Poi il movimento riprendeva, come un repertorio monotono, come un movimento obbligato, eseguito senza uno scopo apparente, ma rimaneva la stessa espressione divertita sul volto dei suoi genitori, la neve continuava a cadere, e i passi della goffa danza non cambiavano. Si muovevano privi di un sentimento vero, cancellato nei colori sbiaditi di una vecchia fotografia, un amore vuoto che era destinato a mantenersi tale finchè Harry non avesse trovato il coraggio di strappare l’immagine. “Oh, ma che sciocchi pensieri!”
Eppure, in fondo anche lui si sentiva così, vuoto e depresso, deluso e amareggiato. Illuso.
Era questo il termine più adatto per descrivere la sua condizione in quel momento, in perfetta sintonia col tempo tetro di fuori. Decise che non ne poteva più di stare rinchiuso in camera sua, e si preparò ad uscire, nonostante fosse la casa meno adatta ad fare. Afferrò un impermeabile e un ombrello, disse alla zia che se ne stava andando senza tante spiegazioni, e si richiuse la porta alle spalle. Il vialetto e il giardino erano un pantano, e Dudley non si era nemmeno curato di posare in garage la bici, che giaceva nel fango a breve distanza da Harry. Da una parte e dall’altra della strada, non si vedeva anima viva. Evitando le pozzanghere più grandi, Harry prese la direzione del parco, e sebbene la sua mente fosse persa in una sorta di limbo dove nemmeno i pensieri esistevano, aveva chiara la destinazione. Un paio di fari fenderono la semioscurità, e avendo riconosciuto appena in tempo la vettura di Vernon, Harry si appiattì dietro un ramo: ci avrebbe pensato l’adorata mogliettina a rivelargli che l’anomalo era uscito con quel temporale, atto degno della sua follia di cui loro non avrebbero dovuto stupirsi oramai. Di certo, almeno in questo il giovane mago concordava con i parenti: aveva reso la loro vita molto movimentata negli ultimi anni, una volta scoperto chi era veramente, aveva spezzato la monotonia di una famigliola assurda e sciocca da cui lui voleva separarsi definitivamente. Non gl’importava se quello era l’unico posto al mondo sicuro, tanto prima o poi Voldemort avrebbe trovato il modo di stanarlo anche da quella casa; non sarebbero stati certo dei babbani a bloccarlo.
Ma è la magia dell’amore che ti protegge, l’estremo incanto di tua madre che ti ha salvato da molti pericoli. Se non credi in questo, in cosa credi allora? Parole…parole sussurrate tempo prima, da Silente forse, o da qualcuno a cui lui stava a cuore e che voleva accanto, invano.
Di nuovo pensieri incoerenti lo avevano assorbito. Doveva mantenere la calma.
Passando accanto al parco e svoltando a sinistra, Harry ritenne che un’occhiata distratta alla panchina dove aveva parlato con Lily per la prima volta fosse più che sufficiente. Vi avrebbe volentieri sputato, se questo non avesse comportato scavalcare la recinzione e sporcarsi fino alle cosce di terriccio malsano, e di sdegno. La stradina dove si trovava l’arco venne raggiunta ben presto, e il vecchio magazzino abbandonato infuse nel ragazzo la solita sensazione d’intimità e protezione ogniqualvolta Harry si recava lì. Il vento aveva trascinato nel vicolo spazzatura e cumuli di foglie strappate dai rami, che volteggiavano attorno ad Harry come a solennizzarne il passaggio. Raggiunta la zona d’asciutto sotto l’arco, lui chiuse l’ombrello e penetrò in una stretta apertura un tempo ostruita da assi di legno. Una rampa di scale scivolosa lo condusse di sopra, a quella che il ragazzo amava considerare la sua vera casa. Era una camera dalle pareti vicine, e si estendeva per oltre quattro metri, affollata qui e là da scatoloni che emanavano odore di muffa, stracci, bottiglie di birra vuote, segno di precedenti inquilini, e una coperta avvolta su una sedia. Queste due ultime cose, le aveva procurate Harry in persona, ed infatti vi si assise coprendosi sino al mento, poiché l’aria fredda entrava da numerosi spifferi. Il ragazzo mormorò poche parole e una luce si diffuse dalla punta della bacchetta gettando chiarore sul sudiciume di quel luogo. “ Ormai, sei qui di fronte a te stesso, Harry, non puoi fuggire da te. Spiegati.”
Il motivo per cui aveva sentito la necessità di allontanarsi da casa gli appariva semplice e pauroso allo stesso tempo: cercare una risposta a quello che era successo, cercare un alibi per colpe non commesse, costruirsi una difesa per assimilare quella delusione. Lily lo aveva lasciato di punto in bianco, dopo che si erano fidanzati. Lei, con sommo stupore di Harry, aveva accettato la natura di mago di quel ragazzo che gli piaceva tanto, era stata lei a proporre un cambiamento di rapporto che andava al di là della semplice amicizia, e lui aveva annuito entusiasta, senza riserve, onorato. Due settimane era durata quella situazione, dopo un mese di amicizia intensa, e poi Lily, come era entrata all’improvviso nella sua vita, così ne era uscita. Un giorno, poche parole…<>... parole che erano bastate a suscitare nuovamente tutti i vecchi fantasmi che avevano angustiato il ragazzo nella prima parte d’estate e che adesso tornavano a galla. In particolar modo, era la solitudine a ferirlo di più, ad accentuare quella differenza tra lui e gli altri, a isolarlo sempre di più da quel mondo in cui aveva tuttavia vissuto ininterrottamente durante i primi undici anni di vita e poi solo per le vacanze da quando frequentava Hogwarts.
<>, con esplicito riferimento al suo ex. <>, ed era andata via correndo, forse piangendo, ma nulla importava ad Harry, che era rimasto attonito, troppo stupito anche per ribattere, finché a passi lenti non era ritornato a casa sua, verso un vecchio stile di vita. E da quel momento erano cominciati i dubbi.
Chiedendosi a lungo se era lui l’errore della situazione, se era lui ad essere nato sbagliato, ad essere inadatto per il mondo babbano, aveva passato notti insonni, ma quegli interrogativi erano rimasti irrisolti. Eppure, per quanti cercasse di addossare la colpa esclusivamente a Lily, non sentiva un’ombra nell’anima? Non si accusava forse di non averle donato abbastanza, in quei gioiosi giorni d’estate? Non era cavo il cuore di Lily, che lo aveva trattato in modo simile?
Fino a quel momento della vita, Harry era venuto a conoscenza dei più disparati sentimenti, dalla passione alla gioia estrema, dall’odio all’amicizia, ma i patemi d’amore, gli erano sconosciuti, né avrebbe potuto immaginare, prima d’incontrare Lily, che fosse in grado di raggiungere livelli di profondità tanto elevati. Almeno lo credeva fino alla separazione da Lily, al suo ingiustificabile allontanamento, perché adesso cominciava a sospettare che l’amore fosse solo un’utopia dell’essere umano, che pur di non vedere gli orrori dell’esistenza, si rifugiava in sogni irrealizzabili. Questa delusione era per Harry molto più…umana di quella avuta per Cho. Forse perché in questa circostanza non era in ballo la magia(o non del tutto, se si considerava che probabilmente Lily, spaventata infine da ciò che Harry rappresentasse nel suo mondo, si era tirata indietro), forse perché lo reputava troppo bambino, forse perché era stata mossa da una sincera nostalgia nei confronti del suo precedente ragazzo, fatto stava che nulla poteva supportare un atteggiamento del genere.
Harry si alzò e da un buco del muro osservò la pioggia continuare ad inondare le strade deserte della città babbana, in un mondo a cui ora più che mai il giovane mago non sentiva di appartenere. Inutile fingere che presto o tardi avrebbe potuto trovarsi bene tra la gente babbana: lui era diverso, era “inconciliabile” per quelle persone che della magia ne sapevano tanto quanto lui ne sapeva dei costumi indiani. E sebbene Lily lo avesse fatto, temporaneamente, ricredere riguardo tutto ciò grazie a quello che era riuscita a trasmettergli, adesso Harry ne era convinto assolutamente, e desiderava con ardore avvertire la presenza solida e sicura delle mura di Hogwarts attorno a sé, ed essere circondato dai suoi veri amici. Lì era un esiliato, un nascosto – come d’altronde gli suggeriva quel lercio rifugio sconosciuto ai più, ma comunque un rifugio – e per trovare la sua pace e la sua realizzazione, si sarebbe dovuto limitare al mondo magico, e smettere d’illudersi dei babbani, tra i quali era un emarginato anche quando era ignaro dei suoi veri poteri. Era solo al momento; la compagnia di Lily era stato un miraggio di felicità.
<>, disse alla polvere e ai rifiuti accatastati. <>. Difesa, si, di quella Harry aveva bisogno: un alibi per salvaguardare la sua serenità, già a lungo minata con l’andare degli anni. Voleva sentirsi innocente e guardare avanti, pur consapevole che in quell’avanti quasi certamente erano riserbate ulteriori sofferenze. Finché Voldemort non spariva, egli era destinato a soffrire i più atroci tra i dolori.
“Oh, se mi togliessero Ron ed Hermione!In quel caso, sì che morirei”.
E ancora una volta il pensiero tornò a Sirius e a quello che per lui era stato: non solo un padrino, non solo una nuova casa, bensì anche una forma diversa di amore, che riuscisse in grande misura a compensare l’affetto mancato dei suoi genitori. Ma anche questo gli era stato negato, e lui, tra le sventure della sua giovane esistenza, aveva la colpa di essere Harry Potter. Questo nome significava una minaccia per molti nel mondo magico, ed era sgradito anche in quello babbano, punto e basta. E lui poteva amare, poteva sperare, poteva desiderare qualcuno che condividesse con lui le sue emozioni, ma sarebbe stato tutto vano.
Amare era tale confusione? E perché ad attimi felici, faceva seguire sempre i tormenti interiori? Per Harry, erano domande a cui non poteva, o forse non voleva rispondere. Comunque, una sentiero positivo lo intravedeva ai suoi piedi: aveva imparato ad amare, e aveva capito un po’ di più di se stesso. Questo gli sarebbe senz’altro servito per il futuro. Era cresciuto, e solo per ciò era grato a Lily. Lui assaporava ancora l’amaro, ed era piangendo che abbandonò l’arco, sicuro di essersi recato lì per l’ultima volta quell’estate, poiché la partenza era vicina, era piangendo quello che aveva perduto che ritornava nel vicolo bagnato. Il vento vi aveva trascinato foglie secche o verdi che, brevemente, avvolsero Harry mentre tornava a casa, e tornavano a rotolare lontano sparendo dalla sua vista e dalla sua estate. Si, Lily gli mancava e non riusciva ad odiarla, ma dentro ora era più ricco e avrebbe cercato col tempo di risolvere quegli enigmi che avevano fatto capolino nella sua vita. --------------------------- Note conclusive Spero che questa storia vi sia piaciuta e spero che commentiate, ci terrei molto! Ritengo giusto spendere delle ultime parole prima di congedarmi. Questa è la prima fanfiction che scrivo, e ho voluto trattare di un tema che mi affascina molto, il rapporto mondo magico/mondo babbano. La storia riguarda esclusivamente l’estate di Harry e gli accenni a Ron, Hermione, altri personaggi ed Hogawrts non hanno una funzione determinante, ma mi sono serviti a contestualizzare questo racconto nell’estate tra il quinto e il sesto anno di studio. Fa ovviamente eccezione Sirius, importante per capire la psicologia di Harry. Per qualunque altro chiarimento, sarò lieto di rispondere o nell’area commenti, o via email! Un grazie speciale a Thilwen: i tuoi commenti sono preziosissimi per me e il tuo apprezzamento costituisce uno stimolo a fare meglio e a scrivere sempre di più. Le tue parole mi emozionano come i tuoi lavori stupendi e ti sono grato dell’attenzione che mi presti. Un bacio immenso! Marco: Il tuo consiglio è giustissimo, segno che hai letto con grande azione le pagine di questo squinternato che sarei io. Il quinto capitolo sì, è una confessione a se stante e non volevo spezzarla inserendo altro. Spero almeno di aver reso l’idea, perché in questa parte è racchiuso uno dei significati più importanti di questo lavoro, significati completati in questo ultimo capitolo, che spero commenterai con altrettanto favore e spirito critico! Grazie! Elisabetta: Sono contento che ti sia piaciuta. Essendo la mia prima prova in questo campo ero un po’ impaurito, ma posso ritenermi soddisfatto!Attendo il tuo commento ai capitoli che ti restano! Spero che possiate dare un’occhiata agli altri miei lavori,ci terrei tantissimo. Ciò non vale per te, mia cara Thilwen, che li hai premurosamente letti, lasciandomi recensioni indimenticabili. Grazie ancora.




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