Disclaimer
Il protagonista “Sam” (Isamu, o in kanji 伊佐武) e il
relativo manga/anime “Sam, ragazzo del West” (Koya no shonen Isamu, 荒野の少年イサム)
sono una proprietà di Koji Yamakawa e Noboru Kawasaki e della Tokyo Movie
Shinsha, e non vengono da me utilizzati a scopo di lucro oppure in violazione
dei diritti di copyright.
Il resto è frutto della mia fantasia.
Introduzione
Nel luogo dove ha trascorso l’infanzia, il giovane pistolero apprende la verità sul suo passato.
New Mexico – America ~ 18xx
Il pesante battente di legno si richiude alle sue spalle con
un tonfo; Sam resta per un istante soprapensiero, con lo sguardo assorto,
mentre meccanicamente una mano va a controllare la pistola nella fondina.
Si rende conto soltanto adesso di avere ancora stretto nell’altra
mano il cappello, che si era tolto per andare a parlare con la madre superiora,
così lo calca di nuovo in testa, compiendo un altro gesto ormai consueto.
E come fosse una specie di rituale, si guarda attorno con
attenzione, perché nel Far-West non si sa mai da dove potrebbe sbucare un tagliagole.
Ma ora il giovane pistolero si trova nel cortile antistante
l’orfanotrofio gestito dalle suore, quindi l’unico “pericolo” nelle immediate
vicinanze sono due bimbetti che si rincorrono ridendo, e una novizia che,
mentre ricama un fazzoletto, ogni tanto butta un’occhiata ai loro giochi innocenti.
* * *
Anche Sam aveva giocato con gli altri bambini in quello
stesso cortile fino a qualche anno prima, però, ora, a lui pareva che il tempo
trascorso da quando aveva lasciato l’orfanotrofio insieme ai “fratelli” fosse ben più lungo.
Aveva imparato piuttosto in fretta il significato della
parola ‘orfano’, così come aveva capito tante altre cose sul mondo dei grandi:
era un bimbo sveglio e curioso, e spesso le suore lo rimproveravano, quando lo
scoprivano ad ascoltare di nascosto i discorsi degli adulti da dietro le porte socchiuse.
Durante la – per lui noiosissima – messa domenicale,
il parroco ripeteva sempre che gli uomini erano tutti uguali davanti a Dio, e
invece il piccolo Sam si era presto reso conto che i bambini erano in qualche modo diversi.
Terminata la funzione, alcune coppie senza figli si recavano
all’orfanotrofio. Le donne riempivano di complimenti le femminucce
infiocchettate, mentre i mariti scrutavano i maschietti, a volte con l’analogo
interesse che avrebbero mostrato ad una fiera del bestiame. Mandriani e rancheros
cercavano ragazzotti robusti, che avrebbero potuto dar loro un aiuto concreto nel lavoro
in fattoria, medici e banchieri invece preferivano quelli più tranquilli e silenziosi, che
sicuramente sarebbero stati più portati allo studio. Le signore, all’opposto, badavano
soprattutto alla somiglianza fisica, perché vedevano nelle bimbe una piccola proiezione di se stesse.
In ogni caso, una cosa era sempre uguale per tutti: gli
americani sceglievano gli orfani dalla pelle bianca, i messicani sceglievano gli
orfani con capelli e occhi corvini.
Ma nessuno lo aveva mai scelto.
* * *
Sentendosi osservata, la giovane suora alza lo sguardo e gli
mostra un dolce sorriso; Sam ricambia il saluto toccando la tesa del suo
cappello, dopodiché si allontana.
I due ragazzini gli passano accanto di corsa, ma poi si
bloccano per guardare quello sconosciuto con attenzione; il cow-boy rivolge
loro un’occhiata divertita, riconoscendo un oggetto familiare, con cui lui
stesso aveva giocato tante volte.
– Ha una Colt vera nella fondina… –
sussurra il bimbetto dai capelli neri, mentre l’altro spalanca gli occhioni
blu, – Allora è un bandito… –
– Alejandro, George, è ora di rientrare! – li chiama la
novizia, e loro si allontanano di nuovo di corsa, mentre la bocca del suo
stomaco a quelle parole si stringe in una morsa. Sì, Sam è un bandito, o almeno
lo è stato fino ad oggi.
* * *
Sebbene le suore li invitassero di quando in quando ad
attività meno turbolente, i bambini dell’orfanotrofio di Santa Fe si
ritrovavano spesso e volentieri a giocare a ‘banditi e sceriffi’, che era semplicemente
l’imitazione più o meno inconsapevole della realtà in cui vivevano, dove veri
banditi e veri sceriffi erano i principali protagonisti della vita nel Far-West.
Per il piccolo Sam era quasi scontato stare dalla parte dei
cattivi, ma non tanto perché ‘cattivo’ lo fosse davvero, era solo più abile
degli altri ad usare la pistola giocattolo, che consisteva in un semplice pezzo
di legno sagomato, che, premuta una levetta al posto del grilletto, “sparava”
innocui elastici ad una distanza relativamente limitata; ma lui era già in
grado di maneggiarla con destrezza, come se avesse saputo d’istinto che in
futuro avrebbe posseduto un vero revolver.
E comunque era decisamente più divertente cercare di non
farsi catturare! Trovare un nascondiglio sicuro tra i cespugli del cortile,
oppure negli anfratti del vecchio edificio, era sempre una piccola sfida per
Sam, che riusciva spesso a vincere, a volte senza essere “arrestato” dai suoi
compagni di giochi fino a quando le suore li chiamavano a rientrare per cena. E
fu proprio durante un paio di quelle occasioni che scoprì di essere diverso; o
meglio, si rese conto di essere diverso dagli altri orfani.
* * *
Il giovane pistolero si accosta al suo stallone bianco,
Fulmine, che lo sta aspettando legato alla staccionata, ruminando placidamente;
gli accarezza la folta criniera candida, e l’animale ringrazia con un lieve
sbuffo dalle narici. Poi Sam prende una razione di avena dalla bisaccia e
riempie la mangiatoia.
Si guarda di nuovo attorno, e quando il suo sguardo pensoso
scorge la doppia porta basculante, un’idea bizzarra si intrufola nella sua
mente: un po' di whisky è proprio quello che ci vuole, adesso.
Finora non è mai entrato in un saloon: “Sei troppo
pivello per frequentare un posto da uomini!”, gli avevano sempre ripetuto i
suoi fratelli sghignazzando; però adesso è solo, e non è più costretto
ad obbedire ai loro ordini.
Gli avventori lo scrutano, chi sorpreso, chi ironico,
qualcuno lo indica, ma Sam, spalle ritte e pollici infilati nel cinturone, si
dirige con passo sicuro al bancone. La barista gli scocca un’occhiata
perplessa, allora il ragazzo fa rimbalzare una moneta sul legno: i penny
evidentemente non sono troppo giovani…
Porta il bicchiere alle labbra e beve un piccolo sorso;
subito la gola brucia, ma cerca di darsi un contegno, perché un paio di cow-boy
lo stanno osservando dal lato opposto con un ghigno sarcastico; rivolge loro
un’alzata di spalle, butta giù il resto d’un fiato e ne ordina un altro.
* * *
Una volta Sam si nascose nella stalla dell’orfanotrofio,
dove solitamente riposava un unico vecchio ronzino, piuttosto malandato, ma che
a lui era sembrato comunque un bellissimo, grande animale. Lo accarezzò
timidamente, e poi decise che un giorno o l’altro avrebbe avuto un cavallo tutto suo.
Un’altra volta, invece, intanto che stava rintanato dietro
un muretto, aveva sentito le suore che parlavano, e una strana sensazione di
malessere lo pervase, perché si rese conto che l’argomento della discussione
riguardava proprio lui. Quella che al principio era stata soltanto un’ansia fugace,
man mano che riusciva ad ascoltare di nascosto scampoli di conversazioni da
dietro porte socchiuse, diventava consapevolezza.
Perché nessuna coppia, né di bianchi, né di messicani,
voleva adottarlo? Cosa c’era di diverso nel piccolo Sam, che lui stesso
stentava a comprendere?
Eppure anche lui, ogni Santa Domenica, si lavava per bene e
indossava gli abiti buoni, poi andava in chiesa e cercava, come tutti gli altri
bambini, di ascoltare il sermone senza sbadigliare; infine si presentava
educatamente ai signori che gli chiedevano da dove avesse origine quel nome
piuttosto inconsueto, dato che decisamente non era né inglese né latino. Lui si
limitava a stringersi nelle spalle, così era poi sempre una suora a prendere la
coppia in disparte e raccontare che un uomo lo aveva lasciato lì ancora in
fasce, dopodiché era come scomparso nel nulla.
E così, seppur mossi a pietà, anche coloro che avevano
mostrato un interesse finivano per scegliere qualche altro bambino, e una
brutta sensazione, come di essere ‘cattivo’, cominciò a serpeggiargli dentro.
Ma ciò che Sam non aveva mai potuto sentire era il resto
della conversazione che lo riguardava direttamente, che spiegava appunto la
ragione della reticenza nei suoi confronti, anche da parte delle coppie di
messicani che subito pensavano fosse latino per via del colore scuro di occhi e capelli.
* * *
L’uomo dai lineamenti asiatici era arrivato all’orfanotrofio
all’improvviso, come un fantasma; sembrava quasi in preda alla follia e borbottava
strane frasi incomprensibili per le suore, che non potevano di certo sapere che
egli stava soltanto piangendo la perdita della compagna, e parlava solo la sua lingua.
Ad ogni modo, in quella parola ripetuta così tante volte,
indicando il fagottino avvolto in una tela, non fu difficile riconoscere il nome del neonato: Isamu.
L’ipotesi più probabile era che il poveretto domandasse
semplicemente un posto dove rifocillarsi e prendersi cura del suo bambino, e
allora le religiose gli aprirono le porte offrendogli ospitalità per la notte; invece
questi era andato via lasciando il piccolo. Poi, qualche giorno dopo, qualcuno
aveva riferito di averlo visto vagare nel deserto mentre trascinava una lettiga
che sorreggeva un altro fagotto, ma di una squaw morta.
La madre superiora, non conoscendo le usanze rituali funebri
dei pellerossa, si augurò inorridita che “quel folle” non tornasse a
riprendersi il bambino, e misericordiosamente, forse, il Signore ascoltò ed
esaudì le sue preghiere, perché lui sparì davvero nel nulla. E non solo non
ritornò mai più all’orfanotrofio di Santa Fe, ma nessuno lo vide più, proprio
come se fosse stato davvero soltanto uno strano fantasma.
* * *
Ricordi e pensieri si mescolano turbinando dentro la testa
di Sam, un poco annebbiata dall’alcool ingoiato troppo in fretta; solo dopo
molte reticenze e conseguenti insistenze, Suor Ines, la madre superiora, si è finalmente
decisa a svelargli tutta la verità sul suo passato. Anche se adesso lui è a
conoscenza di tutti i perché, il presente ha comunque un sapore amaro, come quello del whisky.
Perché il giovane cow-boy ha realizzato di sapere ancora
troppo poco di se stesso: una madre pellerossa che non potrà mai incontrare e
un padre forse venuto dalla Cina in cerca di fortuna come tanti altri emigranti.
Ma la suora gli ha anche detto, a malincuore, che nessuno
dei cinesi allora interpellati lo aveva riconosciuto come un volto familiare o
membro della loro comunità, anzi, questi riferirono che era più probabile che
fosse invece un giapponese. Cina, Giappone, Asia… Paesi troppo lontani per un
ragazzo che conosce a malapena il New Mexico.
Il giovane pistolero si fruga nelle tasche, ma non ci sono
più penny, perché è andato via in fretta e furia dal luogo dove ha vissuto
finora con i “fratelli”, senza curarsi di prendere almeno un briciolo del
bottino accumulato durante le loro numerose scorrerie, sebbene una parte di
esso sia stato ottenuto anche grazie alla sua abilità di bandito.
Quel danaro era lordo di sangue, e lui era disgustato anche
solo a toccarlo, perciò adesso è costretto a rinunciare ad un terzo bicchiere,
che forse gli avrebbe potuto concedere almeno un paio d’ore senza ricordi; così
saluta la barista, che lo invita con un sorriso a ritornare presto, ed esce dal saloon.
* * *
Madre Ines, una volta, eludendo pietosamente le sue
legittime domande, lo aveva rassicurato: prima o poi una famiglia speciale lo
avrebbe scelto. E un giorno, la banda Wingate lo portò via dall’orfanotrofio.
Sam era stato al contempo felice e rammaricato. Era dispiaciuto
perché non aveva potuto salutare le suore che si erano sempre occupate
amorevolmente anche di lui, senza distinzioni di razza o di origini, ma gli
spiegarono che non c’era tempo, perché dovevano andarsene subito, inoltre in
quel momento era davvero contento che quei tre uomini, grandi e dall’aria
determinata, avessero scelto proprio lui.
In seguito, il piccolo Sam si era ritrovato praticamente
rinchiuso in un tugurio a fare loro da sguattero, incassando insulti e botte;
anche se fosse riuscito a fuggire, dove avrebbe potuto andare da solo nel
Far-West un bambino piccolo come lui?
Man mano che il tempo passava, questi lo avevano cresciuto
come un bandito: prima qualche scippo e furtarello di poco conto, poi anche
vere e proprie rapine e assalti ai viandanti nel deserto. Un giorno, tuttavia, qualcosa cambiò.
I fratelli gli regalarono un cappello da cow-boy, un
magnifico cavallo bianco e un vero revolver, così Sam era tornato ad essere un
ragazzino felice, ma solo per poco; si era illuso che finalmente lo avessero
accettato come membro della famiglia, pensando che tutti quegli anni trascorsi
quasi come uno schiavo fossero stati soltanto una prova, e serviti a forgiare
il suo carattere per farlo diventare “uomo” come loro.
Così, quando realizzò che la vera prova doveva ancora essere
compiuta, e che si trattava della più spregevole delle azioni, qualcosa dentro
di lui si spezzò ed il piccolo bandito si ribellò.
* * *
Sam è di nuovo accanto allo stallone bianco che, ignaro dei
suoi fantasmi, continua a ruminare la biada; il giovane cow-boy ripensa con un
fugace sorriso a quante volte ha dovuto lenire le numerose contusioni provocate
dai suoi zoccoli mentre tentava di domarlo, ma alla fine c’era riuscito, e ora
Fulmine è il suo cavallo.
Anzi, è il suo unico amico. E pensa che sia l’unica
cosa buona che ha ottenuto dalla convivenza con i fratelli Wingate, perché la fedele
Colt è invece solo uno strumento, necessario per sopravvivere nel Far-West.
Adesso più che mai, perché è solo; ha deciso di lasciare per
sempre quella famiglia sbagliata, che gli ha insegnato una vita sbagliata,
e come “prova del fuoco” gli ha chiesto di sparare ad un pover’uomo a sangue
freddo: uno sconosciuto sorpreso a vagabondare smarrito nel deserto, che
probabilmente nessuno avrebbe pianto o magari nemmeno seppellito. Una specie di
fantasma, che però al giovane pistolero è sembrato così stranamente familiare.
Forse perché il suo aspetto asiatico, adesso che sa, gli rammenta di
esserlo anche lui per metà?
È un pensiero illogico, forse anche causato in parte dai
fumi dell’alcool, ma nemmeno poi così improbabile: e se l’uomo che si è
rifiutato di freddare fosse stato davvero suo padre? Quante sono le possibilità
di incontrare un giapponese nel deserto, si chiede retoricamente; troppo poche,
si risponde amaramente. Forse una sola.
E lui l’ha ormai perduta, risparmiandogli la vita ma al
contempo abbandonandolo da solo ad un destino di morte certa.
* * *
Madre Ines ha ipotizzato che l’uomo che lo ha portato
all’orfanotrofio potrebbe essere ancora vivo. Le persone che lo avevano incrociato
insieme al suo fagotto di morte riferirono che egli non ricordava nulla, né di
sé, né del bambino che aveva lasciato alle suore, e forse per questo motivo non
era più tornato a riprenderselo.
Probabilmente lei ha soltanto cercato ancora una volta di
rassicurarlo, con la sua misericordiosa ma illusoria carità cristiana; o
magari, invece, si è sentita in parte responsabile per Sam, dato che a suo
tempo ha volutamente ignorato quella che forse era soltanto una richiesta di
aiuto di un povero disperato.
Ma la suora ha agito con le migliori intenzioni, convinta
che il meglio per quel neonato sarebbe sicuramente stato venire accolto in una
vera famiglia, quindi il ragazzo non può e non vuole incolpare lei del suo destino.
Il giovane pistolero monta in sella, gli gira un po' la
testa a causa del whisky bevuto a stomaco vuoto, ma sprona ugualmente Fulmine
al galoppo; forse l’aria fredda della notte lo aiuterà a fare chiarezza in quei pensieri cupi.
Forse deluderà la barista del saloon, ma non tornerà a Santa
Fe tanto presto, almeno non prima di aver scoperto qualcosa di più sulle sue origini.
Un lampo passa nel suo sguardo di ghiaccio, mentre nel
silenzio del deserto l’unico rumore è quello degli zoccoli del cavallo che
corre veloce; un piccolo lume di speranza si è finalmente acceso.
Prima di andare via, quando d’istinto le ha confidato di
volersi mettere in cerca di suo padre, Madre Ines ha mormorato visibilmente
commossa che pregherà per lui; però ormai Sam sa che d’ora in poi un fantasma
giapponese lo perseguiterà nei suoi sogni.