Non dovevo venire. Sola a
casa sarei stata da cani, ma qui è peggio.
Parlano, ridono, bevono, c’è chi balla.
Io mi sento un’estranea. A
volte, uno sguardo mi si posa sul viso e penso che, almeno lui, mi rivolgerà la
parola. Ma, ogni volta, lo sguardo scivola via.
Vorrei pensare che non mi
riconoscano, dietro alla maschera, ma so che mi
riconoscono fin troppo bene.
Mi trovano imbarazzante. Avrei
dovuto ritirarmi in buon ordine, sparire.
Non ho ceduto, sono venuta lo
stesso e me la fanno pagare.
Che stupida! Credevo che, se avessi incrociato il suo sguardo, mi sarei ricordata che sono
io, quella che ama.
Sarebbe valsa la pena
sopportare questa festa insulsa, questi esaltati vestiti da vampiri e fantasmi,
se mi avesse concesso un’occhiata complice.
Invece mi ignora.
Ogni tanto si china e
abbraccia quella.
Voglio solo che la serata
finisca, tornare a cancellare tutto nella nebbia in cui sprofondo
appena sono sola.
Mi trattengono l’orgoglio e
la speranza di riuscire a ottenere una minuscola
conferma dei suoi sentimenti.
Ormai è mezzanotte. Cosa spero di ottenere?
E all’improvviso si volta e mi vede. Mi guarda dritto
negli occhi.
Vorrei abbassare lo sguardo,
nascondere il mio cuore, ma sono di vetro: è lui a
distoglierlo per primo.
Quella è lì.
“Cos’hai?” chiede.
Sbuffo: lo tratta come un
bambino.
“Mi è sembrato di vedere
Ilaria” .
Sembrato! Sono a due passi da
loro.
La cretina assume un’aria
compassionevole: “Non è stata colpa tua. Non le avevi promesso
nulla”.
Illusa. Infinite volte ha
promesso che ti avrebbe mollato. Voleva me, non te: mi ha lasciato per paura
della passione.
Lui affonda il viso in una
mano e io, ancora adesso, vorrei consolarlo: “Però…”
“Era pazza. Non potevi aspettarti
che reagisse così”.
Cosa avrebbe dovuto aspettarsi? Che
ne fossi felice? Che capissi? Lo amavo da morirne.
Un ricordo improvviso riaffiora.
Mi guardo le mani. Incredula le sollevo di fronte al viso.
Attraverso le dita
evanescenti, scorgo le sue labbra mormorare: “Mi sento come se l’avessi uccisa
io”.