Gennaio 2007,
Los
Angeles. Chateau
Marmont, chalet 82
Una
stanza buia, illuminata solo da poche candele. Un uomo è
solo, seduto
sul pavimento, accanto a una chitarra, un posacenere pieno e troppe
lattine di
birra vuote.
E’
spettinato, la barba incolta, l’aria di chi non riesce a
dormire da
giorni, perché se lo fa precipita in incubi spaventosi. Sospira, la testa tra le
mani, si rannicchia
sul pavimento come a non voler cadere in pezzi.
Sorrow rebuild me
As I step out of the light
Misery strenghten me
As I say my goodbyes
I heal my wounds with grief
Dream of you
And weep myself alive
La
verità è che, quando si inizia
a perdere ciò che si ama, forse è arrivato il
momento di fare qualcosa.
Due
anni dopo
Novembre
2009, Los
Angeles, Chateau Marmont, chalet 82
Una
ragazza dai capelli scuri
cammina per la stanza, si guarda attorno, i suoi occhi non abbandonano
nemmeno
per un istante l’uomo alto con cui, solo pochi minuti prima,
ha varcato la
porta della stanza.
“Perché
hai insistito tanto per
avere proprio questo chalet?” chiede, guardandolo di
sottecchi.
Lui
sorride, sedendosi sul letto
e facendole segno di sedersi accanto a lui. E
lei in un attimo è lì, seduta a gambe
incrociate, attenta. Lo guarda negli occhi, sorride.
Nessuno
dei due avrebbe pensato
che sarebbe andata così, quando il destino, o chi per lui,
li aveva fatti
incontrare quasi un anno prima in una libreria di Helsinki, affollata
di
persone a caccia dell’ultimo acquisto natalizio.
Le
loro mani si erano sfiorate
del tutto involontariamente, sulla copertina dell’ultima
copia di “The end of
Mr. Y”.
“No,
scusa, ma l’ho visto prima
io” Aveva detto lei, con il parlare un po’
impreciso di chi non è madrelingua
finlandese.
“Veramente
non mi sembra. Vedi?
Hai la mano sopra la mia, il che significa che sei arrivata
dopo” la corresse
lui, con in faccia il sorriso più canzonatorio che riusciva
a fare… e ci
riusciva davvero bene.
Lei
sbuffò, togliendo
immediatamente la mano dalla sua. “Ok… mettiamola
così. E’ la vigilia di
Natale, sono sola come un cane in una città che non conosco,
questo libro è
l’unica cosa che potrebbe salvarmi la serata, evitandomi di
ubriacarmi e
dormire fino alla fine delle feste. Quindi, per
favore…” lo guardò implorante.
Lui
la guardò negli occhi, di
nuovo il sorrisetto canzonatorio in faccia. “E se ti dicessi
che sono nella tua
stessa situazione?”
“Non ci crederei”
disse lei, seria “Sei
finlandese, si sente. Di sicuro vivi qui, quindi avrai una famiglia,
una moglie,
una fidanzata… qualcuno con cui passare il Natale, insomma.
Qualcuno che non
sia un libro”
Aveva
“qualcuno che non sia un
libro”? No…sì… una famiglia,
certo…dei genitori e un fratello che, come ogni
anno, lo aspettavano per festeggiare insieme. Ma al ritorno a casa non
avrebbe
trovato nessuno ad attenderlo, se non la sua chitarra, i suoi libri,
l’amata
solitudine della sua torre. Sospirò.
“Mi
interessa davvero, questo
libro… e non credo di ritrovarlo, almeno fino a dopo le
feste.”
“Ti
prego…” implorò lei, poi fece
una buffa espressione corrucciata “Ok…
potrà sembrarti una cosa completamente
folle, ma che ne pensi se lo compro io, lo leggo, tra qualche giorno ci
incontriamo e lo prendi tu?”
Lui
rise. Una risata
tremendamente buffa, che la fece sorridere. “E chi mi dice
che all’appuntamento
ci sarai veramente?”
Lo
guardò di nuovo “Io mantengo
sempre le promesse. Dovresti avere più fiducia nelle
persone. A volte possono
anche essere sincere”
Lui
la guardò attentamente “Ok,
andata” sbuffò “posso sapere come ti
chiami almeno? Sai, nel caso in cui
dovessi mettere dei cartelli in giro per Helsinki per
ritrovarti!”
Rise
“Mi chiamo Katherine” disse,
porgendogli la mano.
Lui
la strinse “Io sono Ville”
Una
settimana dopo, come
promesso, erano seduti ad un tavolino appartato del Bar Loose, davanti
a due
tazze di caffè bollente.
“E’
un bel libro, dovresti
davvero leggerlo” ridacchiò lei, consegnandogli
l’agognata copia di Mr.Y.
Lui
scosse la testa, la
ringraziò.
“Allora…
decisamente non sei
finlandese… come sei finita
quassù in
mezzo ai ghiacci?” chiese, sorseggiando il caffè.
Lei
sorrise. “E’ una lunga
storia… mi sono laureata in filosofia, ho trovato lavoro qui
e mi sono
precipitata… diciamo che volevo anche fuggire da una storia
d’amore andata
male, ma… queste cose non funzionano mai, di solito. Non per
me, almeno”
“Temo
che non funzionino per
nessuno. Non puoi fuggire da te stessa, con i tuoi demoni e i tuoi
fantasmi
devi riuscire a conviverci, a scenderci a patti in qualche
modo…” sospirò lui. “Devi
essere brava a cercare quel fondo di verità che si nasconde
nelle bugie
dell’amore, e inseguirlo…tutto qui”
Lei
lo guardò, affascinata
“Cinque anni di filosofia non mi hanno insegnato
nulla… se non una cosa: tenere
l’amore al di fuori della mia vita”
ridacchiò “Sentiamo… come li tieni a
bada i
tuoi fantasmi? Cosa fai nella vita?”
“Sono
un musicista, canto in una
band, gli HIM… e i fantasmi li tengo a bada proprio
scrivendo canzoni… la
musica mi ha salvato tantissime volte…”
abbassò lo sguardo.
Lei
sorrise “Un musicista? Non
sembra… avrei giurato che fossi tipo…un
professore di letteratura, qualcosa del
genere! E’ famosa la tua band?”
Lui
sorrise. Non gli capitava
spesso di trovare una persona con cui parlare liberamente, che non gli
cadesse
ai piedi all’istante solo per via del suo nome e di
ciò che rappresentava.
Parlarono
di qualsiasi cosa saltasse
loro per la mente, e non smisero fino all’ora di chiusura,
quando il
proprietario del locale si avvicinò chiedendogli gentilmente
di uscire.
E
fu la cosa più naturale del
mondo continuare la serata a casa di lui, scoprendo che le scintille
delle loro
menti erano nulla in confronto a quelle provocate dalla loro pelle.
Let’s fall apart together
now…
“Visto
che brava? Sono riuscita
subito subito a rovinare l’amicizia con la prima persona
conosciuta a
Helsinki!” rise lei, quando si salutarono la mattina dopo.
Niente
di più sbagliato. Il loro
rapporto prese forma giorno dopo giorno, resistendo ai frequenti viaggi
di
Ville e ai momenti
di solitudine. Lei si
era sempre rifiutata di ascoltare le sue canzoni : voleva tenere
separato il
suo Ville dalla fama e dal carisma che accompagnavano il cantante degli
HIM.
Non aveva mai voluto sapere cosa si nascondeva in fondo al suo cuore,
forse
perché era consapevole che, a quel punto, non sarebbe
più stata capace di non
perdere la testa per lui.
Non erano innamorati, non
erano solo amici,
non erano solo amanti. Era un qualcosa di non ben definito che ad
entrambi,
apparentemente, andava benissimo così.
Sarebbe
stato tutto perfetto… ma
non era abbastanza. Perché Ville aveva ricominciato a
desiderare l’amore, la
via più difficile, il modo migliore di complicare una vita.
Aveva
iniziato a scrivere le
canzoni per il nuovo album , rendendosi ben presto conto che ogni
parola, ogni
nota, la stava scrivendo per lei, affinchè lei potesse
cogliere ogni singolo
battito del suo cuore, potesse leggere ogni pezzetto della sua anima.
Non era
mai stato bravo ad esprimere i suoi sentimenti a parole, se non
riversando ciò
che provava in una canzone. Ed era quello che stava facendo. Nella
solitudine
della sua torre, versava pelle su un’anima morente, scrivendo
un’ode a colei
che, inconsapevolmente, gli stava rubando ciò che era
rimasto del suo cuore.
Catherine
Wheel. Uno strumento di
tortura medievale.
Katherine. These
are the things you make me do.
“Allora?
Perchè proprio qui?” chiede, acciambellandosi
sensualmente ai
piedi del letto.
“In
questa stanza ho registrato una delle canzoni di Venus Doom. In
questa stanza ho detto addio a tante cose, sperando di avere la forza
di
ricominciare. Ed è qui che vorrei che tu fossi la prima
persona ad ascoltare il
nuovo album…” sussurra, porgendole un Ipod nero.
Katherine
prende l’ipod, se lo rigira tra le mani. Il suo sguardo
indugia
su una frase incisa sul retro:
For Katherine.
My torture, my hope, my redemption.
Alza gli occhi, smarrita,
incontrando quelli verdi di lui.
“Ville…”
“E’
la stessa frase che ho fatto scrivere sul retro del booklet del
cd”
spiega, tenendo lo sguardo basso.
Per
la prima volta, Katherine comincia a prendere in considerazione
qualcosa che fino a quel momento era sembrato fuori
da ogni logica. In silenzio, ascolta
ogni parola, ogni
nota, ogni sospiro.
Alla fine, resta immobile a fissare il vuoto, per istanti che a Ville
sembrano
interminabili.
“E’
una dichiarazione d’amore….” Sussurra,
alzando lo sguardo su di lui “per
me…”
Lui
annuisce, leggermente imbarazzato. Odiava sentirsi così,
come un
ragazzino che teme di essere rifiutato. Avevano condiviso lo stesso
letto tante
volte, ma la situazione era diversa, da quando aveva capito di amarla,
da
quando aveva sperato che lei potesse ricambiare i suoi sentimenti.
“Perché
non me l’hai mai detto?”
“Non
sono tanto bravo, con le parole…” ridacchia lui.
“E mi accorgo delle
cose solo quando è troppo tardi…”
Lei
scuote la testa. “Io non ho mai detto che sia troppo
tardi”
Ville
la strinse a sé. Il suo cuore forse poteva davvero
riaccendersi di
speranza. La vita poteva davvero ricominciare, nello stesso posto in
cui, tempo
prima, stava per finire.
… and I’m not afraid to
say I
love you…
|