CARRY ME
CARRY ME
*
Al diavolo tutto e tutti,
al diavolo l’universo intero!
Perché? Perché non riusciva
ad ottenere quanto più aveva desiderato dalla più tenera età? Da quando, ancora
bambino, suo padre gli aveva raccontato la leggenda più sacra del suo popolo.
Il Super Saiyan, il
guerriero del mito, il combattente osannato dai suoi sudditi e non solo. Temuto
da Freezer, tanto da distruggere l’intera razza pur di impedirne la nascita.
Perché
Kakaroth? Cos’aveva lui di tanto
speciale? Cosa lo aveva portato a conquistare il bagliore che il Principe in
persona bramava? Lui che, più di ogni altro Saiyan, meritava per diritto
l’acquisizione della luce quasi divina.
Al diavolo Kakaroth! Al
diavolo lui e i suoi capelli dorati! Gli aveva portato via tutto, con la sua
arroganza. La sua vendetta e la sua rivalsa, tutto in un colpo solo. L’aveva
rispedito nelle tenebre dalla quale aveva cercato di emergere con fatica,
ricadendo nella sua profondità. E la sua chioma sembrava volergli ricordare la
sua condizione di schiavo eterno, troppo scura per smaniare la bellezza di
quella luce.
Era ridicolo, tutto quanto.
Quei pensieri, che continuavano ad affollarsi nella sua mente, dovevano
dissiparsi. Gli annebbiavano il cervello, gli impedivano di pensare, di
riflettere. Troppi ragionamenti sembravano trascinarlo lontano da ciò che
desiderava.
La vita era scorretta e
dolorosa. Non era giusto tutto questo. Era nato nella famiglia più importante
del suo Pianeta. Acclamato per il solo fatto di essere al mondo. Era stato
etichettato come colui che sarebbe diventato leggendario. Dimostrando, dal
giorno della sua venuta al mondo, che era superiore a qualsiasi altro neonato
della sua razza. Aveva il sangue puro, destinato a fare grandi cose. E non aveva
mai smentito le speranze che derivavano dalla sua stessa esistenza. Ma c’era
sempre qualcuno più forte di lui per impedirgli di troneggiare sulla vita, sua e
degli altri.
Schiacciato da una
miserabile terza classe, nato per essere un rifiuto e ripudiato dai suoi stessi
simili. Era
forse
giusta
la vita? No, che
non lo era. Se fosse stata legittima lui
avrebbe dominato un intero popolo, anzi no, l’intera galassia. Seduto su un
trono dalle giovani ma possenti radici, non chiuso in una stanza metallica allo
scopo di raggiungere quello che era un suo infimo suddito.
Al diavolo!
Ora basta, doveva smettere
di ponderare, doveva tornare in sé, doveva concentrarsi, doveva raggiungere, e
superare, quel guerriero dagli umili natali.
Un robottino sembrò
spuntare dal nulla. Lo vide comparire davanti ai suoi occhi con una velocità
mostruosa, dandogli appena il tempo di scansare l’attacco. Era troppo pesante,
non riusciva a muoversi, la gravità continuava a salire di minuto in minuto,
schiacciandolo come un verme ed impedendogli di combattere contro i marchingegni
terrestri che lui stesso aveva voluto.
Nell’evitare l’assalto,
Vegeta si era spostato quel tanto che bastava per riuscire ad intravedere un
secondo avversario comparire davanti ai suoi occhi stanchi. Cercò di muoversi,
veloce com’era capace di fare, ma le sue gambe erano impiantate al suolo.
Inchiodate dalla pesantezza che si respirava nella stanza.
“Maledizione” Farfugliò a
denti stretti, cercando di levare il braccio e di colpire il piccolo mostro
metallico prima che fosse lui a muoversi per primo. Il ki blast che si sviluppò
dalla mano del Principe non era molto forte, ma bastò per respingere l’attacco
nemico.
Il rumore di un altro
soggetto risuonò per un attimo alle sue spalle, fece in tempo solo a voltarsi,
osservando per una frazione di secondo, che parve infinito, la luce rossa che
lampeggiava sulla parte superiore del macchinario.
*
I’ve been looking for something
sacred
running away from the light.
Gotta burn all the bridges in my head
that lead me away from my
life.
I question my own existence,
question the meaning of life.
*
“E del figlio della vicina
cosa ne pensi?” Le domandò sua madre, alle prese con i fornelli, mentre lei si
lasciò andare ad uno sbuffo frustrato ed annoiato. “Carino, ma non è il mio
tipo” Brontolò sfogliando una rivista di moda aperta sul tavolo della cucina.
Bulma aveva lo sguardo
scocciato e una mano a sorreggerle il viso dai lineamenti sottili e delicati.
Gli occhi fissi su notizie frivole che nemmeno stava leggendo, senza minimamente
sforzarsi di immaginare il volto del ragazzo che sua madre le stava suggerendo
in maniera più o meno velata.
“Che ne dici del panettiere
allora?” Insistette l’altra, dopo aver pensato vagamente a qualche bel ragazzo
nei paraggi. L’ennesimo sbuffo sancì, questa volta, la fine della discussione.
Bulma sollevò finalmente lo sguardo verso l’altra donna denotando una punta ben
visibile di esasperazione. “Mamma, io e Yamcha stavamo insieme da sedici anni,
non bastano un paio di mesi per cancellare una relazione così importante”
Puntualizzò infine, nel tentativo di farle presente l’attuale stato delle cose.
Era inutile dirlo, in un certo senso stava ancora pensando al suo primo grande e
unico amore.
La Signora Brief
osservò la figlia per alcuni istanti, come se stesse cercando di fare suo il
concetto scandito dalla più giovane. Lentamente tornò ad osservare il pranzo,
poggiandosi un dito al mento e sollevando, successivamente, lo sguardo verso
l’alto. “Ohh… e che mi dici di Vegeta?” Insinuò nuovamente, dando la sensazione
alla scienziata di aver appena parlato al vento.
Bulma bofonchiò a denti
stretti, tornando ad osservare il rotocalco e voltando la pagina con un gesto
seccato. “Quante volte ancora mi toccherà farti gli stessi discorsi? È meglio
stare alla larga da quel tipo” Stabilì nervosa, lasciando passare una nuova
facciata del magazine. Prima di compiere nuovamente la stessa operazione,
tuttavia, si fermò un secondo, lasciandosi andare ad un leggero sospiro che
pareva voler parlare da sé. “E poi te lo immagini come sarebbe aver una
relazione con lui? Mi sembrerebbe di tornare all’epoca delle caverne.
Probabilmente mi sentirei dire Donna, la clava(*)
un giorno sì e l’altro pure” Brontolò scuotendo leggermente il capo, assumendo
nel contempo lo sguardo un po’ rassegnato di chi, nella sua immaginazione, aveva
già vissuto quella scena in diverse occasioni.
La bionda la fissò
nuovamente per un attimo, constatando silenziosamente che, la figlia, stava
diventando sempre più lenta a smentire le sue insinuazioni sull’affascinante
ospite. Ridacchiò, senza però essere notata dall’interlocutrice, troppo presa
dai suoi pensieri per accorgersene. “A proposito di Vegeta, ti dispiacerebbe
andare ad avvertirlo che è pronto?” Le domandò dopo qualche istante,
costringendo la donna dai particolari capelli celesti a distogliersi dalle sue
misteriose riflessioni.
Bulma sbuffò nuovamente,
cominciando tuttavia ad alzarsi dalla sedia sulla quale si era accomodata. “A
dire la verità sì, mi dispiace. Andarlo a chiamarlo per sentirmi rispondere
non mi seccare è davvero qualcosa di cui potrei fare a meno, ma temo di non
avere alternative” Farfugliò poggiando la mano sul pomello della porta,
spalancando lentamente l’uscio.
Con sua somma sorpresa, ad
attenderla dal lato opposto, non c’era altri che il Principe dei Saiyan in
persona e, lei, in un ultimo pensiero puramente egoistico sperò con tutta se
stessa che non fosse lì da molto, che non avesse ascoltato quei discorsi. Solo
in un secondo momento si accorse che, il Saiyan, era pallido come un cencio e
dallo sguardo sofferente. Forse un discorso tra donne in cui lui era il
protagonista non rientrava nelle sue principali preoccupazioni.
La terrestre era sul punto
di dire qualcosa, qualunque cosa, quando si accorse del sangue che ricopriva il
braccio del guerriero, del volto sfregiato e ricoperto dallo stesso liquido
scarlatto, e dell’orribile ferita che partiva dalla spalla sinistra e si
protraeva fino al fianco destro, dividendo in due l’intero torso.
“Santo cielo! Vegeta, stai
bene?” Fu la prima cosa che le riuscì di dire, suonando quasi ridicola con
quella domanda che poteva anche essere risparmiata. E lui non mancò di
puntualizzarlo, alzando su di lei uno sguardo quasi vacuo e sillabando un
sarcastico “Secondo te?” prima di chiudere stancamente gli occhi.
Vegeta barcollò per un
breve istante, prima di ricadere in avanti privo di conoscenza. E Bulma scoprì
di avere dei riflessi niente male, riuscendo ad afferralo prima che ricadesse al
suolo, trovandosi quindi schiacciata dal peso dell’alieno. Il primo pensiero fu
che, al contrario di quanto potesse sembrare a prima vista, lui era molto più
leggero del previsto, sebbene le esili braccia di una donna non allenata non
sarebbero riuscite a sorreggerlo ancora per molto. E meno ancora sarebbe stata
in grado di caricarselo in spalla per trasportarlo fino all’infermeria di
casa.
Durante quelli che parvero
attimi interminabili, prima di ricevere l’aiuto della madre, Bulma non poté fare
a meno di scuotere il capo, farfugliando un’impercettibile “Tu sei completamente
pazzo” a fior di labbra, che nessuno riuscì a sentire.
*
Why don’t you carry me?
Why don’t you carry me?
I can’t move on
I can’t live on
Carry me
Why don’t you carry me?
I can’t save me
I am crazy
*
Tutto andava nel verso
sbagliato, non c’era nulla di giusto. Perché non riusciva a diventare quello che
voleva? Sembrava essere divenuto incapace persino di allenarsi.
Era come se l’universo
intero si stesse coalizzando contro di lui, come se volesse a tutti i costi
impedirgli di realizzare i suoi sogni.
Freezer, Kakaroth e ora…
lei.
*
Now you…
*
Le pupille scure si
fissarono sul soffitto per qualche secondo. Gli bruciavano, doveva aver dormito
per molto tempo. Per istinto cercò di sollevare il braccio, affinché potesse
stropicciarsi gli occhi, ma qualcosa sembrò impedirglielo.
“Buongiorno” Lo accolse una
voce conosciuta accanto al suo letto, costringendo il Saiyan a voltare lo
sguardo per osservare la terrestre dagli occhi azzurri seduta sulla solita sedia
alle prese con quello che pareva essere un buon libro. “Hai dormito per tre
giorni, cominciavo a pensare che non ti saresti più svegliato” Gli spiegò
velocemente la donna, accavallando le gambe e richiudendo il tomo dopo aver
segnato, con un pezzo di carta, la pagina alla quale era arrivata.
Bulma fissò il suo ospite
che pareva ancora parecchio confuso. “Devi aver perso molto sangue… più del
solito almeno” Continuò con una nota ironica, posando il volume sulla scrivania.
Vegeta rispose con una specie di brontolio indefinito, prima di voltarsi
nuovamente verso il soffitto, riprovando a sollevare il braccio. Il tentativo
risultò ben presto vano, poiché qualcosa pareva bloccarlo al letto. I suoi occhi
si scostarono sulle lenzuola, sotto la quale era nascosto l’arto che sembrava
non volersi muovere. Sorte simile, tra l’altro, era toccata dall’altro braccio,
anch’esso impigliato in qualcosa che non riusciva a vedere.
Questa volta il suo capo si
rivolese alla donna, in un’istintiva ricerca di spiegazioni, e lei sembrava
saperla molto lunga. Gli era bastato quell’attimo, infatti, per riconoscere sul
viso, stranamente inespressivo, di quella donna una certa colpevolezza. “Che
cos’hai fatto?!” Abbaiò dunque, verso quella che pareva essere la colpevole
della sua immobilità.
Le labbra della scienziata
si piegarono in un sorriso ironico e saccente, mentre lei si limitò ad
intersecare le braccia con la più assoluta tranquillità. “Dovresti imparare a
non sottovalutare un genio, mio caro” Cominciò a parlare il demone dal viso
d’angelo. “Siccome hai il pessimo vizio di andare ad ammazzarti ogni volta che
m’impegno a salvarti la vita ho preso le mie precauzioni” Spiegò alzandosi dalla
sedia e camminando con flemma verso il letto del guerriero, che giaceva inerme
ma diabolicamente agguerrito. Bulma afferrò un lembo del lenzuolo, sollevandolo
affinché anche l’indomabile paziente potesse osservarsi i polsi, legati al
giaciglio da alcune manette. Anche i piedi avevano subito la medesima sorte.
Lei osservò lo sguardo
sgomento del Saiyan, incredulo di non riuscire a spezzare delle banalissime
catene. “Sono la mia ultima invenzione, servono a tenerti legato fino a quando
non sarai completamente guarito. Ho cercato di riprodurre il materiale delle
vostre astronavi, aggiungendo la tecnologia degli scouter. Più forze sarai in
grado di recuperare e più riuscirai a muoverti. E quando ti sarai ripreso a
sufficienza le manette si apriranno automaticamente” Espose con una nota ben
evidente d’orgoglio.
“Liberami subito o ti
uccido!” Inveì Vegeta, non troppo contento della trappola che la terrestre gli
aveva riservato. Tuttavia, anziché tremare di fronte alle minacce del Principe,
l’ingegnere non poté fare a meno di ridere, ostentando una notevole superiorità.
“Non essere ridicolo. Se sei legato non puoi toccarmi, e quando finalmente ti
sarai liberato avrai altri modi per sprecare il tuo prezioso tempo”
Decretò, lasciando cadere il lenzuolo e coprendo, di proposito, parzialmente il
viso del Saiyan che ringhiò non contento. “Te la faccio pagare!” Dichiarò
quindi, aprendo il palmo e cercando, invano, di generare un ki blast. “Ah… ah,
niente colpi energetici, mi spiace” Lo informò falsamente dispiaciuta lei,
accomodandosi nuovamente accanto alla scrivania. “Ho creato un sensore che
inibisce qualsiasi trucco di voi scimmioni. Se vuoi il mio consiglio me ne
starei buono a riposare, così recuperi le forze più in fretta” Stabilì la donna,
incrociando le braccia e proclamandosi la vincitrice dello scontro. In quanto ad
intelletto non la batteva nessuno.
Vegeta parve rassegnarsi,
almeno per il momento, digrignando i denti e fissando definitivamente lo sguardo
al soffitto. Bulma, nel frattempo, non riuscì a staccargli gli occhi di dosso,
osservando i suoi lineamenti, studiandoli nei minimi particolari, almeno quello
che riusciva a vedere.
“Smettila di fissarmi, non
lo sopporto” Protestò il Principe, che non aveva potuto fare a meno di notare
quei due grandi scorci di cielo che lo avevano decisamente preso di mira.
Tuttavia, anziché preoccuparsi della sua reazione, la terrestre sembrò volerlo
osservare più attentamente. Finalmente si decise a svincolare l’indomabile
scimmia feroce da una tortura non necessaria, liberandogli il viso dalle coperte
che lo avevano nascosto. Successivamente si accomodò, senza timore, accanto a
lui, sul letto, scrutandolo da un’altra angolatura.
“Toglimi una curiosità,
Vegeta. Come puoi diventare più forte se passi più tempo a guarire dalle ferite
che tu stesso ti procuri?” Non riuscì a fare a meno di chiedere dopo qualche
secondo, ottenendo uno sguardo di sbieco in risposta. “Sono un Saiyan, posso” Fu
la spiegazione lapidaria, ma precisa, che ricevette dallo scorbutico paziente.
“Già, certo” Mormorò flebile la donna, domandandosi, nel frattempo, perché quel
tipo continuava ad obbligarla a pregare, la notte, affinché le ferite che
costantemente si procurava guarissero al più presto.
Passò qualche istante di
silenzio, prima che Vegeta decise di diventare improvvisamente loquace. “Sono
nato per essere il migliore, il più forte sul campo di battaglia” Affermò con
rabbia, diventando per un attimo irriconoscibile.
Bulma lo fissò per diversi
attimi ancora, cercando di comprendere a cos’era dovuto quello strano discorso,
peraltro già concluso, che era giunto inaspettato. Nel suo altrettanto strano
silenzio, la terrestre parve immersa in un tentativo di ascoltare le parole che
lui non aveva detto. Come un giocatore di poker che cerca di capire le carte in
mano all’avversario solamente guardandolo in volto.
*
It takes horns to hold up my halo
and strength to get through the
fight
Now I'm laying my cards on the table
praying everything will be alright
I question my own existence
question the meaning of life.
*
“Mi stai fissando ancora,
smettila!” Brontolò Vegeta, dopo qualche secondo di silenzio, risvegliando la
terrestre dai suoi pensieri che, effettivamente, avevano imbambolato lo sguardo
sul Saiyan per infiniti istanti. “Ah, scusa” Si giustificò quasi subito la
donna, dopo aver scosso il capo.
Vegeta continuò a scrutarla
per pochi attimi ancora, prima di volgere lo sguardo oltre la finestra. “Stavo
solo cercando di capire” Tornò a parlare Bulma, sorprendendo lo scorbutico
Principe che la osservò di sbieco. “Capire cosa?” Volle sapere subito dopo,
forse un po’ infastidito. Lei cercò di fissarlo negli occhi per un secondo, ma
distolse lo sguardo un istante più tardi. “Di capire te” Confessò, fissandosi
sulle proprie mani che, nervose, si intrecciarono tra loro. “Tsk, che idiozia,
non c’è nulla da capire” Ringhiò l’altro, non troppo incline ad essere
analizzato da quella che riteneva solo una creatura inferiore. “E’ qui che ti
sbagli, Vegeta” Replicò la scienziata, poggiando i palmi sul materasso e
sfiorando il braccio dell’uomo nascosto sotto le coperte. Rabbrividì, per un
attimo, esitando qualche istante prima di continuare a parlare. “Il fatto stesso
che ti nascondi dietro un muro d’odio vuol dire che c’è parecchio di te che deve
essere capito” Riprese, cogliendo un’espressione sorpresa sul tenebroso volto
del Saiyan. “Non ci si sveglia una mattina decidendo di odiare il mondo, è una
cosa che avviene col tempo. E allora, mi chiedo, cosa ti ha portato a tutto
questo? Cosa ti ha spinto a diventare così duro con te stesso e con gli altri?”
Lei sembrò titubare ancora un po’, parlando forse più a se stessa che al diretto
interessato, che rimase a fissarla per diversi secondi. I ruoli si erano
invertiti, ora era lui che studiava attentamente i lineamenti della donna,
cercando di capire l’essenza di quel discorso apparentemente campato in
aria.
“Stai solo sprecando il tuo
tempo. Perché non ti cerchi qualcun altro da analizzare?” Brontolò infine il
Principe dei Saiyan, scostando il capo e ringhiando sommessamente. Ma Bulma, per
nulla impressionata dal tono duro con la quale lui aveva parlato, scosse
amaramente il capo, restando ad osservare un punto imprecisato sul pavimento.
“Non posso” Ammise dopo poco, “Amare qualcuno vuol dire anche volerlo capire”
Alt! Un momento. Quest’ultima frase l’aveva pensata o detta ad alta voce? Solo
pensata, vero? Vero?!
Bulma si trovò a
socchiudere le palpebre, pregando silenziosamente di non aver espresso quella
nuova consapevolezza anche a lui. Timidamente si voltò a guardarlo e per la
prima volta vide un’espressione sinceramente stupita sul viso del Saiyan.
“Cosa?” Domandò uno sconvolto Vegeta, che ora la stava fissando ad occhi
sgranati.
Cavolo, l’aveva detto a
voce alta, lei e la sua dannata boccaccia! Ok, niente panico, poteva sempre
rimediare… forse. “Non guardarmi in quel modo, è dannatamente difficile essere
innamorati di uno scimmione come te. E pare che tu abbia bisogno di qualcuno che
lo faccia” Certo, perfetto, ora sì che aveva risolto la situazione.
*
The hardest ones to love
are the ones that need it most
*
Bulma scattò in piedi come
una molla, dopo quella scottante dichiarazione, fatta prima a se stessa che al
Saiyan, che non le aveva ancora staccato gli occhi di dosso. Persino un
inesperto di questioni sentimentali, com’era lui, si sarebbe accorto che la
terrestre era decisamente nervosa. Qualcosa doveva averla sconvolta, durante il
suo stesso discorso. Ma questo, Vegeta, non sarebbe mai riuscito a comprenderlo,
non per il momento almeno.
Si limitò ad osservare le
spalle della ragazza, che con passo un po’ indeciso si avvicinò alla scrivania.
Le piccole dita affusolate si posarono sul libro, sorreggendolo tra le mani.
Senza voltarsi indietro avanzò ancora, soffermandosi davanti alla porta. Solo lì
sembrò esitare per un istante, scrutando attentamente il pomello che ancora non
aveva toccato.
“La sai una cosa Vegeta?
Non sempre è possibile portare da soli i propri pesi, a volte ci fa bene
caricare gli altri dei nostri problemi” Aveva parlato senza guardarlo,
restando ad osservare il legno della porta davanti a sé. Non sapeva con che
espressione lui avesse reagito, tuttavia, per qualche strana ragione, sembrò
immaginarsela. Era come se riuscisse a vedere quegli occhi scuri puntati su di
lei, corrugati sotto le sopracciglia che avevano assunto una postura quasi
interrogativa. “Dovresti provarci ogni tanto” Continuò a dire Bulma, decidendosi
una volta per tutte a voltarsi, scoprendosi a scrutare l’espressione che si era
immaginata. “E se mai ti verrà in mente di farlo, sappi che io sarò disposta a
caricarmi i tuoi pesi in qualunque momento” Dichiarò infine, prima di svanire
definitivamente dietro l’uscio della stanza, senza attendere alcuna risposta.
Vegeta, che come sempre era
rimasto nell’assoluto mutismo, osservò l’ingresso per pochi istanti, prima di
lasciarsi andare ad un ringhio animalesco e a volgere lo sguardo verso il
soffitto bianco. L’amica di Kakaroth raccontava un mucchio di sciocchezze. Non
avrebbe permesso mai a nessuno di condividere i suoi pensieri. Né di farsi
carico dei suoi pesi. Lui era il Principe dei Saiyan, avrebbe strisciato pur
di impedire a chiunque l’opportunità di avvicinarsi troppo a lui. E poi aveva
cose più importanti a cui pensare, doveva liberarsi di quelle manette, per
iniziare.
*
Carry me
*
FINE
*
*
(*)
Citazione de “I Flinstons.”
*
Chi conosce la canzone si
sarà accorto che ho tolto un po’ di ripetizioni. Per chi invece non la conosce
si tratta di “Carry me” dei Papa Roach.
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