Questa storia partecipa all'iniziativa Criticombola
del sito Criticoni,
prompt #77: "Remember"
Nonostante sia fondamentalmente una purista per quanto riguardi le
leggende arturiane (Malory è la mia guida e la mia ragion d'essere), ho
apprezzato il film "King Arthur" di Fuqua, per come ha saputo
reinventare i personaggi e renderli credibili. Tranne Lancelot che
detesto in qualsiasi versione, film o checchessia. Qui, la mia
attenzione e il mio infuocato amore sono andati dritti verso Bors,
Vanora, Dagonet e il piccolo Lucan. E lì resteranno.
REMEMBER
La
grande pozzanghera era ghiacciata durante la notte, e ostacolava la
strada
alla piccola folla diretta al mercato. Vanora fece una smorfia e si
alzò le vesti, decisa ad attraversarla; il bambino si offrì di
precederla. Non era proprio il caso di rischiare che il ghiaccio
cedesse e che la sua madre adottiva si prendesse un'infreddatura o
peggio: era di nuovo incinta, ma questa volta non di un bastardo - Bors
l'aveva sposata, finalmente, pochi mesi dopo il matrimonio di Arthur e
Guinevere.
"Ma no, Lucan, ce la faccio... non darti pensiero."
Vanora si
era affezionata subito al bimbo biondo, serio e risoluto, piovuto dal
Nord in seguito all'ultima missione voluta dal vescovo. Era così facile
volergli bene: più arduo sarebbe stato strappargli un sorriso.
Se ne
stava spesso in disparte, senza partecipare ai giochi rumorosi dei suoi
nuovi fratelli e sorelle. Ascoltava i discorsi degli adulti, piuttosto.
La sera restava spesso davanti al fuoco, stringendo l'anello tra le
dita ancora troppo sottili e delicate. Qualche volta cullava
il piccolo, che non
camminava ancora, e lo guardava addormentarsi. Era bello assistere a
quelle scene. Bors non si meravigliava, o almeno non lo dimostrava; si
schiariva la gola e biascicava qualche bestemmia di compiacimento.
Quel mattino Lucan si era avventurato sulla superficie opalescente,
ipnotica, che cricchiava minacciosa sotto le sue scarpe.
Il suo sguardo era concentrato e cupo. Un passo cauto dopo l'altro,
aveva raggiunto la metà del laghetto e si era voltato.
"Fin qui sembra a posto..."
Bors
si era sentito gelare nelle vene. Più tardi avrebbe maledetto la figlia
maggiore troppo vanesia, che voleva uno specchio ora-e-subito, e la
giornata luminosa, ingannevole per chi spera nella primavera da un
momento all'altro. Non sarebbero dovuti uscire, non su quella strada e
non a piedi, almeno.
Ma in quel momento non pensava a nulla, mentre lentamente il terrore
gli scolpiva i lineamenti rudi e un tempo feroci.
Vedeva qualcosa di già accaduto, di inarrestabile, e tuttavia sentì
prepotente l'urgenza di impedirlo, di mantenere in vita ciò che aveva
di più prezioso:
"Dag! Dag,
fermati! Torna indietro!"
Senza dimenticare la prudenza, nonostante lo stupore, Lucan ubbidì. E
quando lo vide al sicuro tra le
braccia di Vanora, mentre i suoi figli e i domestici arretravano
sbigottiti e lo guardavano come se fosse diventato matto, Bors tornò al
presente, alla realtà, rendendosi conto di
non aver ancora superato lo choc del primo scontro con
l'esercito
sassone e la perdita del suo migliore amico.
"Rimani... con
me... con noi..."
Quella notte, accarezzando i capelli della moglie, pianse.
Raccontò la storia che Vanora conosceva già a memoria, la storia di due
ragazzi partiti insieme verso l'ignoto da un villaggio della Sarmazia.
Due amici tanto diversi tra loro, eppure uniti da un affetto
che non aveva bisogno di parole.
E si sentì meglio, dando un nome al dolore e alla gioia.
Un poco, un poco alla volta.
"Gilly è a posto. La più grande, Twaile. Poi Threnden. Ford. Fivar."
"Fivar? Non è per niente adatto ad una bambina."
"È il suono, 'Nora, il suono... ci è abituata. Sexor. Sevanna."
Quando giunsero al piccolo Evan, Vanora non chiese quale sarebbe stato
il nome della creatura che portava in grembo. Era ormai tempo di
ricordare e onorare il passato, non più di rimpiangerlo.
E la primavera giunse su un regno di pace.
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