Radio Freccia - our songs
C’era una stazione
radio vecchia ed in disuso nell’ultimo distretto del quartiere di Shibuya.
Ogni tanto, qualche
ragazzino vi entrava per giocare a guardie e ladri, qualche coppietta ci si
nascondeva per pomiciare in santa pace e a volte i barboni vi si accampavano
per la notte.
Era il sedici novembre
2001 quando un gruppo di giovani azionisti, forse durante il loro primo vero
lavoro, andarono ad osservare il posto.
Un paio di telefonate
e tanto lavoro occupò quei giorni freddi, incuriosendo la gente che solitamente
aveva girato a largo da quel posto quasi malfamato.
Ogni singolo essere
umano ricorderà la prima volta che Radio Freccia si presentò.
La voce giovanile di
un presentatore esordiente per nulla imbarazzato e quella dai toni più
maliziosi di una giovane donna la cui vita avrebbe potuto essere intrecciata a
quella del collega, forse.
Quella notte, il
ventitre dicembre 2001, quasi due milioni di ascoltatori si sintonizzarono su
quella radio, pronti a scoprire le vite di gente normale e canzoni sconosciute.
Canzoni che raccontano
di noi, di voi, di loro.
«Buonasera gente, qui
Satoshi per l’esordio di Radio Freccia, la radio che parlerà di voi e nessun
altro.»
«Qui è Mioko, la gal
di Shibuya. Che ne pensate di inaugurare la Radio con il nostro primo pezzo? A
te l’onore, Satoshi!»
La voce di Mioko era
squillante. Attirò subito l’attenzione di lavoratori stanchi, uomini le cui
vite ormai rasentavano il banale e studenti appena scaricati dalle proprie
ragazze, a due giorni da Natale.
Satoshi la guardava
ammirato, il sorriso vispo di quando era solamente un liceale e ancora non
sapeva nulla di lei, se non il nome.
«Iniziamo con la
canzone che ci ha accompagnato durante la creazione di questa stazione radio,
signori. You don’t nothing to love»
Mioko sorrise, le guance
imporporate ed il cuore che batteva, mentre le prime note di quella canzone si
perdevano nell’aria della stanza e per tutta Tokyo.
Ventitre dicembre 2001, stazione ferroviaria di Shibuya [318 parole]
Taguchi
sbadigliò sonoramente, guardando con occhi lucidi di stanchezza l’orologio
gigantesco appeso sopra la sua testa.
Il
treno che aspettava era in ritardo di ben dieci minuti, e la paura che esso non
passasse più aveva preso il sopravvento in lui.
Erano
le undici meno un quarto ed aveva finito di lavorare ad un progetto importante
da poco; avrebbe semplicemente voluto andare a festeggiare con un paio di amici
e magari qualche donna, così da non dover tornare al suo spoglio appartamento
di periferia, che non vedeva un sorriso da quando la sua ultima ragazza l’aveva
piantato, due mesi prima.
«Sei
un maniaco nerd del lavoro!» gli aveva sputato addosso senza alcuna pietà,
andandosene sbattendo la porta in un gesto che lui aveva giudicato fin troppo
teatrale.
Sul
momento non se ne era preoccupato: quella
donna non aveva mai apprezzato particolarmente le sue passioni, né era
riuscita a comprendere nulla dell’io di Taguchi.
Senza
contare che non ne era davvero innamorato. Quella donna era frivola, le sue
passioni si stagliavano dallo shopping all’estetica, per finire ai giornali di
moda.
Lui
aveva bisogno di una donna con i suoi stessi pensieri, magari appassionata di
manga e particolarmente sensibile. Con quel tocco di femminilità che non
rovinava nulla e con quella noncuranza per l’aspetto esteriore che proprio a
lui non era mai interessato.
Sorrise,
mentre le parole non smetterai mai di
amare il suo sorriso di una canzone troppo smielata per essere vera lo
riportavano alla realtà.
L’improvviso
rumore del treno in arrivo lo risvegliò dalle sciocche fantasie in cui era
caduto (di nuovo), con una ragazza dai capelli neri troppo impegnata e che di sparire nel cassetto più remoto della sua
mente proprio non ne aveva voglia.
Salendo
sul treno ebbe la certezza che, l’indomani, avrebbe chiamato Akira per un caffè
insieme. Come ai vecchi tempi, nessun impegno, solo amicizia.
Già, valla a
raccontare a qualcun altro, Sota.
Satoshi osservò Mioko
negli occhi color cioccolato e si ritrovò a pensare a Sawa.
Chissà come se la
passava. Era da tempo che non sentiva lei e Ran, troppo impegnati nella loro
vita sentimentale perfetta.
Sorrise amaro,
cliccando il tasto per riprendere i contatti con il mondo – Tokyo.
«Quando ero al liceo
ero un grandissimo idiota» esclamò senza alcun nesso logico, facendo scuotere
la testa alla ragazza seduta di fronte a lui.
Mioko lo sapeva bene,
quello. L’aveva sempre osservato di sottecchi e con affetto quasi possessivo,
tanto da sentirsi esageratamente sbagliata, a volte.
«Ero innamorato pazzo
di una ragazza. La ragazza di uno dei miei migliori amici» continuò Satoshi
sollevando lo sguardo verde speranza sulla collega, che arrossì.
Sapeva anche quello?
Sì, ovvio. Quando quella realtà le fu svelata le si spezzò il cuore in mille
pezzi.
«Mi sono comportato da
stupido, ho cercato di rovinare il loro rapporto»
Satoshi era
imbarazzato e lo sapeva, Mioko.
Si era comportato da
perfetto ragazzo infantile di quindici anni, andando anche ad intaccare
un’amicizia che durava da chissà quanto.
Eppure, nonostante
sapesse quanto lui fosse sciocco, infantile, frivolo, decisamente poco
attraente e indomabile si era innamorata di lui.
Perché l’amore è cieco
ed al cuor non si comanda, no?
«Poi sono rinsavito e
ho fatto altri mille errori. Ma non avevo il potere di scegliere di chi
innamorarmi, non ero e non sono Dio»
Ventitre dicembre 2001, studi cinematografici di Hokkaido [351 parole]
Terada allungò i piedi sul tavolino, buttando la testa sui
cuscini comodi del divano.
Era un vantaggio che Haruki fosse un attore di livello
piuttosto elevato e che gli venissero concessi certi privilegi, come camerini
dotati dei comfort più vantaggiosi.
Chiuse gli occhi la donna, riaprendoli subito dopo per
poter osservare il ragazzo che era stato il suo primissimo (e unico) lavoro
entrare nella stanza, la camicia sbottonata probabilmente da qualche fan
incallita.
«Puoi andare a fare la doccia, se vuoi. Io aspetterò» le
disse con un sorriso ammaliatore, facendole attorcigliare le budella.
Una donna della sua età – trentasette anni suonati – non
avrebbe mai dovuto perdersi in simili cottarelle adolescenziali, senza contare
con attori di cinque anni più giovani e di elevata popolarità.
Terada si ripeteva costantemente che il suo essere single
non dipendesse dal proprio cuore scalpitante ogni qual volta Haruki la
guardava, anche solo di sottecchi; cercava di imporsi ai suoi stessi
sentimenti, che ormai erano più che evidenti.
Sugishita la guardò mentre si sollevava e ne ammirò ancora
una volta la bellezza di donna. Quella stessa bellezza che lui da sempre
desiderava, forse fin troppo.
Le aveva rovinato numerosi appuntamenti – senza mai
pentirsene, ovviamente – e lei non l’aveva mai sgridato.
Sapeva bene che da anni, ormai, qualcosa tra di loro era
cambiato; forse dalla piccola storiella con Sawa, dopo la quale Terada l’aveva
consolato in tutti i modi possibili.
Forse fu perché si ricordò delle sue braccia che lo
stringevano in un gesto d’improvviso affetto che prese quell’insensata
decisione.
La raggiunse con due ampie falcate, parandosi di fronte a
lei. La vide spalancare la bocca rossa in una domanda che intuì.
«Terada, penso di essermi innamorato di te» le disse con
una sicurezza tale che quasi vacillò la donna.
Fu per un non so che di professionale che si sistemò gli
occhiali sul naso, deglutendo piuttosto rumorosamente e cercò di far ragionare
senza successo il giovane attore.
Sugishita alla sua ennesima protesta sollevò le spalle,
chinandosi per baciarla.
«Non si può
scegliere chi amare» canticchiò al suo orecchio al ritmo della canzone che
riempiva la stanza, mentre nella mente di Terada la strofa continuava.
Non smetterò mai di
amarti.
Satoshi e Mioko non
erano fidanzati, anche se passavano notti a fare l’amore e a volte si baciavano
per strada come dei ragazzini.
Lui pensava di
approfittarsi di Mioko, ma ogni qual volta le esprimeva i suoi pensieri la
giovane scrollava le spalle e gli diceva ti amo una decina di volte, come se i
suoi sentimenti bastassero per entrambi.
«Alla fine del liceo
mi dichiarai ad un ragazzo» parlò con voce forte e chiara, stoppando ancora una
volta la canzone.
Certi ascoltatori
sentirono un piacevole formicolio allo stomaco nell’udire quella voce calda e
sensuale, chiedendosi che volto dovesse avere la proprietaria.
«Lui mi rifiutò perché
amava un’altra. Lo incontrai anni più tardi, durante un colloquio di lavoro e
capii che non l’avevo dimenticato» spiegò con un tono di pianto che fece
deglutire Satoshi, allontanatosi per qualche secondo dalla postazione.
Cercò di incrociare lo
sguardo di Mioko, ma quest’ultima teneva gli occhi chiusi in direzione del
nulla.
Pensò che fosse
bellissima.
«Lo amo ancora oggi,
perché l’amore non finisce da un giorno all’altro, sapete?»
Ventitre dicembre 2001, quartiere Hikarigaoka, Tokyo [357 parole]
Sachi
Konishi attraversò il salotto di corsa, ridendo come
non mai e saltando con particolare agilità il divano di pelle nera.
Alle
sue spalle, Ogawa la chiamò falsamente arrabbiato, apparendo imponente dalla
cucina vestito da casa e con un mestolo tra le mani.
«Ehi,
honey, guarda che hai fatto!» con tono di voce
divertito indicò l’ampia macchia di pomodoro sulla maglietta, facendo scoppiare
a ridere di gusto la giovane compagna che da qualche mese conviveva con lui in
quella casa.
Lasciando
cadere il mestolo a terra, la raggiunse e le si buttò addosso, facendola cadere
supina sul divano e sovrastandola.
Sachi
sorrise maliziosa, leccandosi le labbra. Già sentiva l’eccitazione di Ogawa tra
le sue gambe e ne era particolarmente soddisfatta.
Nonostante
avesse da poco compiuto diciotto anni tra loro il sesso non era stato un
problema: Sachi era sempre stata pronta per lui, lo amava da sempre.
Nonostante
fosse uno snob fissato con i propri capelli e avesse tredici anni più di lei. E
non si facesse la barba ogni giorno, spinandola così quando la baciava, proprio
come in quel momento.
Ogawa
premette per errore il telecomando oltre la testa di Sachi, così che la radio
partì immediatamente.
Le
lente note di una canzone sconosciuta – la loro
– lo fece sorridere contro le labbra al sapore di ciliegia della ragazza.
«Non si può smette di amare» cantò stonato
e con voce gutturale, andando ad accarezzarle la pancia piatta e baciandole il
collo.
Sachi
rise, aggrappandosi alle spalle ampie dell’uomo.
Chiuse
gli occhi, cantando con più intonazione.
«Non si può scegliere chi amare»
E
per loro era davvero così. L’età non aveva contato nulla – alla fine – e coloro che li circondavano
sembravano essersene fatta una ragione.
Sachi
l’aveva sempre amato, con tutti i suoi difetti e mai quell’amore era sfumato
negli anni.
Ogawa,
nonostante la sua vanità e il suo essere pieno di sé, aveva trovato qualcuno
che riuscisse ad eguagliarlo per bellezza e a completarlo dentro.
Che
poi si trattasse di una diciottenne già affermata nel campo della moda,
leggermente vanitosa e con manie possessive non importava.
Infondo,
non si poteva scegliere la persona da amare, no?
Satoshi si stiracchiò,
sentendosi comunque teso mentre Mioko attraversava la stanza e andava a sedersi
sulle sue gambe.
Arpionò i suoi fianchi
formosi, sentendo improvvisamente il cuore in gola.
«Che stai facendo?» domandò
con voce strozzata, mentre lei gli levava le cuffie dalle orecchie.
Mioko premette il
tasto per parlare agli ascoltatori, la mano libera poggiata sulla spalla destra
di Satoshi e il microfono davanti alle labbra.
«Sapete, non importa
quanto tempo passi e come sia l’altro. Quando ti innamori ti innamori e basta.
Se lui è brutto chiudi gli occhi, se ha un pessimo carattere o è troppo diverso
cerchi di adattarti, se ama un altro gli stai vicino per quanto sia possibile.
Non siete d’accordo?»
Guardò Satoshi negli
occhi, premendo il tasto “muto” e lasciando che le note di una canzone rock dei
Blast inondasse l’aria satura di amore di Tokyo.
Si piegò su di lui e
lo baciò, spingendosi contro il suo corpo, strusciandosi e passandogli ogni
singolo sentimento che provava in quel momento.
Rabbia, ira,
eccitazione, desiderio, speranza, follia, amore.
«Mioko, è proprio vero
che t’innamori quando meno te l’aspetti»
Ventiquattro dicembre
2001, Radio Freccia [158
parole]
Mioko si stropicciò gli occhioni blu e sbadigliò
rumorosamente, facendo mugugnare Satoshi sdraiato al suo fianco sul divano in
pelle che loro stessi avevano comprato durante l’allestimento della sala.
Guardò il computer di fronte a lei lampeggiare e lesse
piuttosto stupita il numero di messaggi ricevuti.
567 messaggi, 723 richieste di chiamate e il milione
superato di ascoltatori.
Aprì il primo messaggio con titubanza e per quasi non
scoppiò a ridere.
«Spero che tu e quell’idiota di Kido
abbiate risolto le vostre...divergenze.
Perdonalo se è un po’ tardo. Io e Akira prendiamo un caffè insieme, oggi.
Salutacelo e buon lavoro! S.T.»
Rise di gusto leggendo le iniziali, mentre la canzone
della notte prima ricominciava a suonare lentamente nella sua testa.
Accarezzò con distrazione la testa scarmigliata di Satoshi
Kido, osservando poi i primi fiocchi di neve che al
di là del vetro cominciavano a cadere.
Non si può scegliere
chi amare, non si può smettere di amare.
Mai.
N/A
Checché chiunque ne possa pensare, questa è una
raccolta di Flash!Fic il cui filo conduttore è la radio da cui viene trasmessa
la canzone – da me intitolata You don’t nothing to
love – e che riporta le frasi a volte come sono, a volte differenti della
citazione da usare.
Per quanto riguarda la scelta del cambio di lavoro
di Kido e l’età di Terada...mi sono presa una licenza
poetica. J
Parlando del contest, diciamo che ne sono
pienamente soddisfatta: terza classificata, quando i personaggi non sapevo
manco se fossero IC o OOC. Ecco, beh io ho considerato questo punto un po’ come
un muro da scavalcare, e visto il giudizio positivo di Hachi92 ho il cuore in
pace.
Non so chi leggerà questa Fic, forse nessuno, ma
se ci fosse un’anima pia che volesse farmi sapere cosa ne pensa... *_*
Love you,
Cà.