Buongiorno a tutti,
umani, hollow, shinigami e arrancar! Questa è la prima one-shot di una raccolta
di dieci destinate ad esplorare le caratteristiche dei mitici Espada, che tutti
noi amiamo e ammiriamo. Le idee alla base sono nate per essere realizzate in
forma di vignette, ma poi la mancanza di tempo e gli impegni vari mi hanno
impedito di disegnarle. Quindi, ho pensato, anziché buttar via tutto, meglio
riadattarle un po’ e farne dieci one-shot comiche da pubblicare in raccolta. Ed
eccomi qua… ogni shot rappresenta un Espada, cominciando da Stark, per poi
andare a salire di numero. Questa raccolta è destinata ad essere letta da chi
segue il manga giapponese: per gli altri contiene spoiler e battute che
risulteranno incomprensibili. Se non seguite il manga, pussate via! Andate a
leggervelo tutto e poi tornate XD! Ultime ciance: se volete apprezzare al
meglio i titoli dei capitoli, scaricate e installate il font Koenigsberger
Gotisc. Lo trovate facilmente, su Google; è quello dei numeri tatuati sugli
Espada.
Bene, fine delle
chiacchiere. Si comincia! Leggete e recensite!
Gan_Hope326 presenta…
Espada: la Morte in
dieci, facili lezioni
Lezione
n° 1
Il bar era vuoto e
triste. Solo la musica stonata di un disco jazz, che il giradischi di origini
preistoriche riproduceva a volume basso e con suoni distorti, impediva che cadesse
in un deprimente silenzio.
L’uomo sollevò il
bicchiere di birra, bevve un sorso.
Sospirò.
-
Io
la odio, la solitudine… - disse.
Stark,
la Solitudine
-
Ciao!
L’uomo
si voltò. La ragazza era giovane e decisamente carina. Una biondina dalla
corporatura minuta, con occhi azzurri grandi e vivaci, i capelli tagliati a
caschetto che le carezzavano la base del collo, il sorriso accattivante.
Indossava un ardito abito da sera, due strisce di stoffa che si incrociavano
sul suo ombelico e coprivano appena i capezzoli di quelle che si intuiva bene
fossero, con tutto il rispetto, due tette da favola. Si avvicinò con
naturalezza e chiese, con una bella voce squillante:
-
Che
dici, posso sedermi qui accanto?
L’uomo fece spallucce
e accennò a uno sgabello. La ragazza lo prese come un sì e si sedette. Poggiò i
gomiti sul tavolo, poggiò il mento sulle palme delle mani, piantò gli occhi
addosso all’uomo.
-
Ci
presentiamo? – disse.
Di
nuovo, l’uomo rispose con un gesto vago, ruotando una mano lentamente
nell’aria.
-
Fantastico!
Io sono Janet. E tu, ti chiami…
-
Stark.
– disse laconico l’altro. Prese un altro sorso di birra.
-
Stark.
Carino. E raccontami, dai, Stark, cosa fai nella vita, a parte frequentare
questo bar?
-
Beh…
L’uomo sembrò cercare
le parole giuste. Janet attendeva, fiduciosa.
-
Combatto
fino alla morte con cieca fedeltà affinché il mio padrone possa diventare il
signore e dominatore assoluto di questo universo.
La
ragazza parve restarci un po’ male. Non doveva essere quello che si aspettava.
-
Oh,
beh, immagino che sia un lavoro come un altro. – concluse infine – E quantomeno
sembra che debba essere ben pagato.
-
Pagato?
– fece Stark, dubbioso.
Cadde
il silenzio. Il disco era finito, girava a vuoto sul piatto producendo solo
fruscii incoerenti. Stark prese un altro sorso di birra.
-
Che
sete! – esclamò Janet.
Stark
prese un altro sorso di birra.
-
Già,
che sete! Se solo avessi qualcosa da bere… - continuò lei.
Stark prese un altro
sorso di birra.
-
Voglio
dire, se qualcuno mi offrisse da bere, sarebbe una cosa molto carina,
eh?
-
Oh,
scusa. Sono proprio un cafone. – fece l’altro, senza particolare convinzione.
Le
allungò il proprio bicchiere.
-
Ecco,
prendi pure. Ma non più di un paio di sorsi.
Janet
sgranò gli occhi. Biascicò un “non importa” e si voltò a guardare in avanti,
oltre il bancone.
Si
chiese se ci fosse qualcosa che non andava. Estrasse uno specchietto dalla
borsetta e diede un’occhiata veloce per verificare che il rossetto non fosse
sbavato. Nello specchietto vide per un attimo il suo interlocutore, e osservò
un particolare curioso. Qualcosa di appeso al suo collo; una collana che
sembrava fatta di denti, denti appuntiti, da belva feroce.
-
Carino
quel pendaglio. Mi piace l’etnico. L’hai comprato in quel negozio new age che
c’è qua vicino, o…
-
Non
l’ho comprato. E’ parte del mio corpo.
Janet
rise un po’ forzatamente, cercando di convincersi che quella doveva essere solo
una battuta. Allungò la mano per prendere il ciondolo e osservarlo meglio, ma
quando fu all’altezza del petto dell’uomo si sentì confusa, non riuscendo a
trovare il suo torace dove si aspettava. Guardò meglio e lanciò un urlo. La sua
mano entrava dritta nel petto di Stark, in un buco rotondo dai margini netti.
-
Che…
cosa… è…? – balbettò, impressionata.
-
Oh,
quello. Beh, è successo quando ho perso il cuore.
Janet
ritirò lentamente la mano e abbassò gli occhi. Pensò che fosse molto indelicato
domandargli come diavolo facesse a sopravvivere senza cuore; già era stata una
gaffe fargli notare quella invalidità con cui doveva essere estremamente difficile
convivere. Sicuramente era stato salvato da qualche miracolosa operazione.
Dopotutto, oggigiorno la chirurgia fa miracoli.
Decise
di cambiare bruscamente argomento cercando di vivacizzare la serata e rompere il
ghiaccio una volta per tutte. Prese un respiro profondo e si buttò.
-
Senti,
Stark, la notte è ancora giovane, e questo bar… - fece una risatina - …beh, non
è poi così vivace. Quindi che ne dici di uscire, andare da qualche altra parte
e folleggiare un po’? Eh? Yuu-huu!
Il
suo gridolino di entusiasmo non suscitò effetti particolari. Stark continuò,
con assoluta noncuranza, a bere dal suo bicchiere di birra. Janet lo fissava,
con un sorriso speranzoso.
Stark
smise di bere.
Posò
il bicchiere.
Restò
qualche secondo in silenzio.
-
Splendido.
– disse piatto – Ci sto.
Dentro la testa di Janet,
ottantamila tifosi alla finale dei Mondiali si alzarono in piedi esultando per
il gol della vittoria.
-
Devo
solo avvisare Lilynette che farò tardi.
L’arbitro fischiò e
annullò il gol. Tifosi zittiti. Janet assunse un’espressione corrucciata.
-
E
chi sarebbe questa Lilynette? – domandò, gelida.
-
La
mia compagna.
Oh,
bene. Bravo il signor
bevo-la-birra-da-solo-sono-un-gran-figo-rimorchiatemi-forza.
-
Stasera
dovevamo allenarci alla fusione.
Fusione?
-
Insomma,
sai? Quando due si toccano, e poi i loro corpi si uniscono, ed è come se
diventassero una cosa sola?
Oh,
“fusione”. La chiamano così, adesso.
-
Hai
presente?
-
Ne
ho sentito parlare. – sibilò la ragazza.
-
Ecco.
A me scoccerebbe pure, ma Lilynette continua a seccarmi… ‘dai, proviamo la
fusione!’, ‘Oggi dobbiamo fare pratica con la fusione!’. Una rottura.
-
Oh,
poveretto. – commentò sarcastica Janet – E sicuramente questa Lilynette è più
giovane e carina di me, vero?
-
Più
carina, non direi. – disse Stark, senza fare una piega – Giovane, per forza…
Prese,
di nuovo, un sorso della sua birra.
-
Dimostra
undici anni.
Fu
come un’esplosione.
-
ECCO!
LO SAPEVO! – ruggì inferocita Janet – PERCHE’ OVVIAMENTE, OVVIAMENTE, QUANDO UN
UOMO COMINCIA A PIACERMI, E’ NATURALE CHE DEBBA ESSERE UN DANNATISSIMO
PERVERTITO!
-
Ma
io… - provò ad obiettare Stark.
-
ED
IO CHE PENSAVO CHE TU FOSSI CARINO! E ANCHE CHE ASSOMIGLIASSI UN POCHINO A
VIGGO MORTENSEN! LA VERITA’ E’ CHE SEI UN PORCO! VOI UOMINI SIETE TUTTI DEI
PORCI!
-
Però
non volevo dire…
-
E
NON TROVERO’ MAI NESSUNO, E VIVRO’ SEMPRE DA SOLA, E MORIRO’ POVERA VECCHIA E
BRUTTA CIRCONDATA DA GATTI PUZZOLENTI IN UNA CATAPECCHIA COME UNA MISERA
ZITELLA! BOO-HOO-HOO!
La ragazza scappò
via, in lacrime, tenendosi il volto fra le mani. Stark rimase immobile, senza
il tempo di reagire, gli occhi sgranati, una mano inutilmente levata a
mezz’aria, a cercare di puntualizzare che forse c’era stato un piccolo
equivoco. I singhiozzi di Janet sparirono in lontananza.
Stark abbassò la
mano.
Riprese il bicchiere
di birra.
Con un ultimo,
lunghissimo sorso, lo finì.
Sospirò, ancora.
-
Davvero…
– mormorò – Io la odio, la solitudine…
Fine
Nota: questa è
l’unica delle shot che, al momento, potete anche vedere sotto forma di vignetta
(in inglese, però). Ecco qui il link:
http://ganhope326.deviantart.com/art/Stark-the-Loneliness-132564555
Alla prossima!