Salve!
Quanto tempo…lasciamo da parte convenevoli e sdolcinerie varie. Una nuova Draco-Herm nata tutto d’un fiato
in un pomeriggio piovoso…Che dirvi? Nel mio stile, nel mio genere…Spero
apprezzerete! Buona lettura.
Dedicato a: chi mi sopporta, alle ragazze, a chi c'è, a chi c'è stato...a chi a volte sarebbe meglio non ci fosse, e a chi non saprei rinunciare...
Sento ancora le
urla di mia madre, rimbombano nelle orecchie, e due parole ricorrono – Non puoi – si ripetono e sfumano fino a riconquistare la loro
precedente forza.
Fisso la strada che
sto calpestando ma davanti agli occhi fissa l’immagine
di disappunto di mio padre. Scuoto la testa, non serve, il marciapiede rimane
ai bordi del mio campo visivo.
Vedo alcune gocce
cadere dai miei capelli e tuffarsi al suolo, prive di suono, prive
di consistenza, di qualsiasi significato.
Alzo lo sguardo, mi
ritrovo a Radcliffe square,
un sorriso triste mi regna ora sul viso. Strane le coincidenze della vita. Prendo
la strada di fronte a me, dovrebbe portarmi al Paiolo Magico e di lì alla Londra
dei Maghi.
Percorro qualche metro,
quindici o sedici passi, e mi fermo. Percepisco la mia figura riflessa in una
vetrina ad un metro da me, fisso le iridi negli occhi
di quella donna riflessa. Già…Riconosco una donna, una giovane vestita d’oro e
di rosso, scorgo i miei ricci ormai inesistenti, sconfitti dalla pioggia senza
aver combattuto.
Proprio come me.
Vedo la sconfitta in quegli occhi riflessi, tutti dicevano che fossero color
miele ma ora tendono al castano scuro, al mogano quasi. Strano come gli occhi
possano dirsi sul serio lo specchio dell’anima. Sono gli occhi freddi di una
donna delusa da se stessa, colpevole di aver pensato per una volta alla sua
vita, di non aver obbedito alla lettera alle parole paterne, o materne, non che
facesse molta differenza a questo punto. Sposto lo sguardo, non che mi aiuti
quella vista e proseguo a testa bassa. Ancora quelle parole nella testa, come
potevo pensare che sarebbero stati felici per me? Come potevo anche
lontanamente pensare che dire loro che stavo con un ragazzo
mi avrebbe lasciato indenne? Se questo ragazzo poi era Serpeverde, privo di una
benché minima buona reputazione, ex-Mangiamorte…
Al solo nome Malfoy si era scatenato l’inferno.
Mancavano solo le
pentole che volavano poi sarebbe stato in tutto e per
tutto uno di quei film babbani che saltuariamente vedevamo in casa Weasley.
Ritornai in me
quando vidi a pochi metri da me una figura avvolta in un mantello scuro, di
certo non ero esattamente nelle migliori condizioni: fradicia
sotto la pioggia battente nella Londra babbana. Se fossi morta
almeno i miei avrebbero avuto qualche ripensamento, forse…
Misi da parte
questo veloce pensiero che era dettato dalla situazione a metà fra la rabbia e
il dolore in cui mi trovavo. Mi apprestai ad affrontare chiunque fosse quella
figura a pochi metri da me.
La vedevo avanzare
lentamente come se ogni passo le costasse una parte di sé, non era così che la
volevo vedere, mai. Aveva le mani strette a pugno e i capelli che le ricadevano
sul viso. Il volto contrito in una smorfia di dolore e amarezza, così come non
l’avevo mai vista. La vidi fermarsi e intercettai le sue iridi più scure del
solito. Era sulla difensiva, lo percepivo dalla rigidezza dei pochi gesti che
aveva compiuto negli ultimi secondi.
Scostai il
cappuccio del mantello così che potesse capire che ero io.
Non appena questo
ricadde sulle mie spalle la vidi sciogliere i muscoli,
avanzò fino a raggiungermi e senza una parole poso la testa sulla mia spalla e
mi passò le braccia sui fianchi.
Silente allargai le
braccia sotto il mantello posandole sulla sua esile figura così da ricoprirla
con il mio manto scuro. Nella frazione di pochi secondi la sentii singhiozzare
contro il mio petto, sentii le sue lacrime bagnarmi la
camicia. Avvertii uno strano impulso di baciarla, di impossessarmi delle sue
labbra salate mentre era così debole fra le mie braccia, mentre cercava conforto
in me. Per farle sentire che c’ero e che non l’avrei abbandonata, per
comunicarle nel modo più sincero possibile che mi rendevo conto di quanto le era costato questo gesto e che le ero grato che
fosse stata disposta a fare questo per noi. Strano come io fossi giunto a
pensare, e soprattutto a provare, queste cose.
Mossi un braccio
abbandonando la sua schiena per poi avvicinarlo lentamente al suo mento. Lei
percepì il mio movimento, e cercò di calmarsi.
Una volta raggiunta
la sua vellutata pelle applicai una piccola forza ma
lei mi oppose resistenza. Feci trasparire un ghigno sul mio volto. La mia
piccola, fiera, orgogliosa Grifondoro.
Testardo perseverai
nell'attirare le sue labbra verso le mie fino a quando avvertii la sua resa, la
voltai verso di me, i nostri volti a pochi centimetri, feci scontrare le mie
iridi con le sue. Impressi vi erano il dolore, la delusione verso se stessa ma
anche la consapevolezza della necessità di vivere la sua, e unicamente sua,
vita. Recondita vi era la forza che era in grado e voleva usare per combattere,
per far sopravvivere quello che aveva costruito per far andare avanti questo
rapporto che aveva condiviso con me.
Poggiai le mie
labbra sulle sue, portando via le lacrime dalle sue guance con l’indice destro.
Quando riaprii gli occhi vidi le sue iridi ora di
nuovo color miele e un debole ma vero sorriso sulle sue labbra. Il ghigno tornò sul mio viso accentuando quel
sorriso che tanto mi faceva sentire vivo.
Si staccò da me, mi
prese la mano mentre cercava di regolarizzare il suo
respiro. Strinse le mie dita fra le sue fragili falangi, a mia volta feci lo
stesso. Quando le lacrime non rigarono più le sue
guance mi si avvicinò, appoggiò le sue labbra sul mio collo, poi in un mormorio
sommesso disse - Andiamo–.
Mi prese per un braccio ma questa volta opposi io resistenza.
- No Herm, tu vai a
casa, mia madre ti sta aspettando e tu hai bisogno di farti un bagno – le dissi
osservandola sotto la pioggia con i vestiti che le aderivano al corpo, una
vista di certo degna di una certa attenzione se non avessi avuto qualcosa di
più importante da fare.
Lei mi guardò
spaesata – Dove devi andare? – chiese.
- Devo fare una
cosa importante, poi ti spiegherò, ci vediamo a casa, non ti preoccupare - cercai di
rassicurarla.
- No invece, mi
preoccupo – ribadì lei, testarda almeno quanto me.
Mi avvicinai di un
passo – ti fidi di me? – le sussurrai, sfoderando uno dei miei ghigni.
- No – mi rispose
lei. Fingendosi arrabbiata.
La guardai
sorridendo – Ah si? – le feci eco facendo finta di essere sul punto di
alterarmi.
- Non capisco perché
non possa andare a casa ora – confessò, poi aggiunse – Ma mi fido, devo fidarmi a quanto pare -.
Le rivolsi una
smorfia a metà fra un ghigno e un sorriso, posai un bacio sulla sua fronte
bagnata e le diedi le spalle calando il mantello sugli occhi.
Giunsi davanti a quella casa bianca che lei più volte mi aveva descritto, dal
porticato potevo scorgere la luce accesa nella cucina.
Senza esitare oltre
percossi con vigore la porta verde. Sentii dei rumori dall’interno e
approfittai di quegli istanti per deporre il cappuccio sulle spalle.
Quando la porta si
aprì i di lei genitori rimasero basiti. Posso capire che trovarsi Draco Malfoy
sulla porta di casa non sia esattamente nella norma.
Non chiesi neanche
se potevo entrare, semplicemente li salutai.
- Buonasera –
dissi. Compresi che non avrei ricevuto una risposta da loro, probabilmente
erano rimasti già abbastanza scossi dalla notizia portata dalla figlia, e
trovarsi me davanti non doveva essere molto rassicurante.
- Sono qui perché sono
consapevole che vostra figlia non avrebbe mai il coraggio di trattarvi male,
capisco il rispetto che porta verso i suoi genitori e non spetta a me
giudicarlo. Tuttavia – Mi sentivo un po’ il Professor Piton in quel momento,
ma proseguii – Credo che voi, come me, vogliate il bene di vostra figlia sopra
di ogni cosa. Ora lei ha scelto me, ben sapendo che tipo di persona sono, ma
credo anche nella vita si possano commettere errori e che la cosa più
importante sia riconoscerli. Vostra figlia mi ha fatto capire tante cose
riguardo alla vita e a me stesso, ma più di tutto che quando si ama, si ama veramente intendo – feci una pausa – si voglia la
felicità di quella persona più della propria. Ora voi, credo dobbiate
rispettare la scelta di vostra figlia se la rende felice e anche non riuscirò a
renderla felice quanto vorrei – continuai senza distogliere gli occhi da loro
due – Hermione Jean Granger, ossia vostra figlia, è abbastanza intelligente da
capire in quale situazione è, da assumersi tutte le responsabilità che comporta
la mia presenza al suo fianco e, soprattutto, di sbagliare liberamente –. Ora come
tono assomigliava di più a quello di Silente.
Anche questa volta
non giunse nessuna risposta. Indi per cui conclusi – Spero
che almeno sarete presenti nel giorno che lei credo considererà il più felice
della sua vita, con chiunque sarà. Buona serata -.
Mi
invitarono solo ora ad
entrare ma rifiutai, era troppo per me, non potevo tollerare che i suoi stessi
genitori non fossero fieri di lei, anzi la facessero soffrire.
Forse quella sera
non fui oggettivo, forse non avrei dovuto intromettermi, forse tutto era nato
da una incomprensione, o forse solo siamo tutti
talmente orgogliosi da non voler ammettere che evitiamo certe cose per il male
che ci fanno.
Quando arrivai a casa trovai Hermione ad aspettarmi a tavola con mia madre,
fu una vista che mi fece sentire stranamente bene. Passai la cena ad osservarla, poi mia madre ci congedò per andare dalle sue
amiche.
Non appena sentimmo
la porta richiudersi lei mi rivolse quella domanda che le vedevo brillare negli
occhi da almeno un' ora. – Dove sei stato? – mi
guardava con aria quasi d’accusa, pensai se dirle la
verità o meno, conclusi che sarebbe stato meglio.
- Sono andato dai
tuoi genitori – risposi secco.
Diventò d’un tratto pallida, poi sbraitò – Ti cosa? Cosa
hai fatto? – allontanandosi da me.
- Stai calma – le dissi
avvicinandomi.
- No – disse lei
scuotendo la testa – Perché? Dimmi perché? –. Notai che aveva ricominciato a
piangere.
- Perché non voglio
che tu stia male, perché non sopporto vederti così – confessai impreparato
persino a me stesso.
Si sedette sul
divano, feci lo stesso e le raccontai cosa avevo fatto. Alla fine mise la sua
mano sulla mia e si appoggiò al mio petto.
Mormorò una sola
parola – Grazie -.
Rimanemmo così per
alcuni minuti poi le dissi – Vado a fare una doccia -.
La sentì seguirmi
per le scale fino alla camera che ormai anche mia madre sapeva
essere nostra. Si sedette sul letto guardandomi mentre toglievo le scarpe. Guardai
per un attimo i suoi occhioni color miele, mi avvicinai e la baciai.
La sua reazione mi
fece pensare che la doccia avrebbe dovuto sfortunatamente aspettare, poi un’idea
abbastanza perversa balenò nella mia mente.
- Seguimi – le mormorai in un orecchio quando ormai la mia
camicia era già finita sul pavimento.
La presi per mano e la guidai verso il bagno. Non appena
comprese le mie intenzioni protestò – Ma io ho già
fatto la doccia -. Mi voltai verso di lei dopo aver aperto la porta del bagno
della nostra camera – Si ma non con me – affermai
tirandola a me.
Aprii l’acqua della
doccia e aspettai che facesse il fumino in un modo
molto proficuo a mio parere, appena la quantità di nebbia mi soddisfò trascinai
la ragazza con me sotto quel getto caldo. Le baciai il collo, le
labbra e ancora il collo, accarezzai il suo corpo fino
a che volontariamente lo fece aderire al mio. Un brivido mi percorse la schiena
nonostante l’acqua bollente mentre le sue dita seguivano la linea della mia
spina dorsale.
Quando decisi che
era abbastanza chiusi l’acqua e senza staccare le
labbra dalle sue afferrai l’asciugamano a pochi centimetri da noi. Avvolsi me e
lei nello stesso gigantesco asciugamano verde chiaro.
Le concessi di
asciugare con un altro asciugamano i suoi ricci, ci rivestimmo un minimo, ma
appena usciti dal bagno, maliziosa puntò verso il letto. Scostò la coperta blu
notte per stendersi poi fra le lenzuola azzurro cielo. Come rifiutare un invito
del genere?
Osservai i suoi occhi
brillare dell’amore che provava per me, ancora minimamente vestito mi stesi
sopra di lei, la baciai più volte poi passai ad
occuparmi del suo collo…
Quando sentii i
suoi denti affondare dolcemente nel mio collo lasciai correre i miei pensieri a
lei, lasciai che i nostri vestiti cadessero velocemente sul pavimento quando altre
volte mi ero divertito a torturarla…
Quella notte capii
che l’avrei voluta con me per tutta la vita, la mattina seguente all'alba facemmo di
nuovo l’amore e le chiesi di sposarmi.
A 24 anni ci sposammo, suo padre la accompagnò all’altare come
aveva sempre voluto, mi guardò sorridendo.
Non parlai mai più
con i suoi genitori, non sentii mai le loro voci, videro il nostro primo
figlio, mi guardarono sempre con rispetto…
Fui fortunato,
avevo lei, avevo dei figli da lei, la amavo…Non ho mai smesso. Ma lei?
Nella vita non
importa quanto ami, quanto odi, quanto soffri, l’importante
è amare, è crescere mentre si soffre e capire ciò per cui vale la pena soffrire
ma soprattutto vivere…
Ci saranno momenti
in cui sembrerà più facile mollare tutto, in cui anche chi ti vuole bene
sembrerà remare contro. Tutto sta nell’avere accanto persone adeguate a
condividere il tuo cammino…
Elli
Eccoci in fondo, spero vi
sia piaciuta, ormai sono solita mettere qualche perla di saggezza qua e là,
questa shot è nata per tanti motivi, perché si cresce
e non sempre le cose vanno come vorremmo. È per questo che
gli amici esistono, che ci sono le persone che anche con storie come queste ci
fanno sentire un po’ meno “odiati”, spero.
Hugs and Kisses
Vostra…