Alone
Non voglio pensare.
Non voglio piangere.
Che cosa mi sta
succedendo?
Non riesco a reagire.
Sento un enorme ferita
dentro di me.
Non riesco a combattere.
Non voglio.
Non senza di te.
E del resto combattere a
che servirebbe?
Ad essere ingoiati più
in fretta da ciò che non vedo ma sento.
Guardo davanti a me,
cercando di vedere.
Non vedo niente.
Ascolto, tendo le orecchie
davanti a me, cercando di sentire.
Non sento niente.
Cosa vale resistere?
Dovrei lasciarmi andare.
Non ne ho nemmeno la
forza.
Non riesco a far niente.
Non senza di te.
E del resto fare qualcosa
a che servirebbe?
Ad essere ingoiati più
in fretta da ciò che non vedo ma sento.
E a nulla vale dire che la
colpa non è stata mia, né tua.
Piango.
Non ce la faccio.
Devo sfogarmi.
Ma lo sfogo è
inutile.
Ovunque mi giri, tu ci
sei.
Ma non posso toccarti.
Sentire la tua voce.
Vederti.
La colpa è mia.
Dovrei accettarlo.
Altri dicono: la
responsabilità non è di nessuno.
E del resto negare a che
servirebbe?
Ad essere ingoiati più
in fretta da qualcosa che non vedo ma sento.
Sola.
Sola e nessuno a cui
appellarsi.
Nessuno a cui potere
aggrapparsi.
Eri tu il mio appiglio.
Il mio sostegno.
La mia luce nel buio.
Il mio scoglio nel vasto
oceano.
Da te venivo a piangere, a
ridere.
Ricordo.
Le lacrime scendono.
Non riesco ad immaginare
una vita senza te.
E del resto immaginare a
che servirebbe?
Ad essere ingoiati più
in fretta da qualcosa che non vedo ma sento.
Vado fuori.
Ricordo ancora.
Ti vedo.
Vedo come ci divertivamo.
Come ce la spassavamo.
Le lacrime scendono
ancora. Lente. Calde sulla mia guancia.
Che cosa mi resta?
Una casetta vuota.
Uno spiazzo vuoto.
Una vecchia coperta
fredda.
Fredda perchè non
ci sei più tu a scaldarla.
Una piccola striscia rossa
con una fibbia in metallo.
Il mio preferito lo hai
portato con te.*
Quando sei sparito.
Piango.
Perché te ne sei
andato?
Ora sono di nuovo nella
mia stanza.
Al buio rifletto, tormento
il mio animo ferito.
Perché lo hai
fatto?
Stringo i pugni.
Non voglio far vedere che
piango.
Voglio stare da sola.
Ma nemmeno essere
abbandonata all'ombra di me stessa.
E vedo la tua foto sul
computer.
Il monitor brilla,
l'immagine si riflette sui miei occhi lucidi.
Non riesco a guardare i
tuoi.
Le tue iridi color
nocciola aperte sul mondo.
Mi ricorderebbero che non
ci sei più.
E le volte passate assieme
a correre, a guardare il sole cadere dietro le colline.
Oppure ad immaginare il
finale giusto per una delle mie storie.
Sospiro.
Non voglio stare così.
Non più.
Gli amici dicono:
non devi stare sola. Non
devi lasciarti andare. Non puoi fare così.
Vorrei ascoltarli ma
vorrei anche non poterli sentire.
Ho perso due anni della
mia vita.
E non so nemmeno se
torneranno.
Mi sento tanto come se mi
avessero tagliata a metà.
Osservo una e poi l'altra
mia parte.
Una sta fuggendo.
Sei tu.
Osservo la tua fuga e non
posso fare niente.
Fisso il vuoto di fronte a
me.
Non ho voglia di piangere.
Non ho voglia di ridere.
Le risate erano per te.
Le lacrime le ho finite.
Non voglio guardare.
Vedere.
Quello che guardavo prima
con te mi piaceva troppo.
Ora forse non lo vedrò
mai più.
Ti ho cercato.
Ti ho chiamato.
Il freddo mi è
entrato nelle ossa e sono stata male.
Niente.
Non è successo
niente di nuovo.
La tua foto mi è
passata davanti tante volte mentre la fissavo ad una mia speranza.
Niente lo stesso.
Per il momento le speranze
si sono dimenticate di me.
E di te.
Forse.
Mi sveglio la notte.
Mi sveglio credendo di
averti sentito.
Credendo che tu sia
tornato.
Tornato da me.
Torno a letto.
A letto e ogni volta una
piccola ferita si apre.
Si apre e comincia a
sanguinare.
Mi fa male dormire senza
sentirti.
E la mattina arriva.
Esco dal letto e mi vesto.
Ancora nelle orecchie la
tua voce immaginaria.
Una voce che mi sono solo
immaginata, sognata.
Era un bel sogno.
Ma solo questo e niente di
più.
Corro al piano di sotto.
In fretta mi metto il
giubbotto.
Varco la porta di casa e
guardo nella buia mattina invernale anche per questo giorno.
Le colline si stanno
svegliando.
La brezza fresca e
tagliente della mattinata mi scorre sulla pelle.
Guardo nel buio.
Chiamo.
Ripeto il tuo nome.
Aspetto.
Comincio a tremare.
Le mani mi diventano
fredde. Non riesco più a muovere le dita.
Ma tu non ci sei.
E non ci sarai.
Chissà per quanto.
Torno in casa.
Faccio colazione.
Mangio ma nemmeno sento il
sapore.
Perché tu non ci
sei e non mangerai con me.
Esco.
La macchina mi aspetta.
Guardo verso il tuo
spiazzo.
Non ci sei.
Nemmeno stamattina mi
saluterai.
Nemmeno stamattina mi
guarderai e io ti dirò: tornerò.
Questo pomeriggio staremo
assieme.
Nemmeno oggi tu mi
aspetterai.
A
Peritas con una speranza,
la speranza alla quale mi sono aggrappata nella fict, e tanto
affetto.
Note:
Questo
che ho scritto mi è venuto fuori di getto in pochi minuti.
Premetto che la persona misteriosa che cito nella fict non è
una persona. Non c'entrano persone in questa faccenda.
un'altra
cosa: non state a capire cosa sia l'oggetto mio preferito che cito
nella frase con l'*.
grazie
a tutti quelli che leggeranno
Moon_Glade
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