Nient’Altro
che Polvere
“Il Dottor Benton in Emergenza 1.
Il dottor Benton in emergenza 1!”, l’altoparlante
dell’ospedale spandeva il suo vocio metallico in tutto il reparto.
Contemporaneamente, nella piccola e anonima stanza di una
casa di riposo, un uomo alto e robusto e di tanto in tanto osservava il cielo
stellato, le mani appoggiate al davanzale della finestra, quasi a doversi sorreggere.
La testa era china. Amare lacrime di dolore scorrevano lungo
il suo viso. Non un singhiozzo. Non una parola.
Erano ormai diversi minuti che il suo cercapersone trillava
ininterrottamente. Peter lo estrasse con indifferenza
dalla tasca. Riconobbe il numero del pronto soccorso. Spense il cercapersone e
lo rimise in tasca del camice blu. Non potè
fare a meno di pensare – non senza una punta di rimprovero – che, in un’altra qualsiasi
situazione, probabilmente si sarebbe precipitato in ospedale a qualsiasi ora
del giorno o della notte.
Ma quella non era una qualsiasi
situazione. Dietro di lui, disteso su un letto, giaceva il corpo ormai senza
vita della sua anziana madre.
Non riusciva a non sentirsi in colpa, Peter.
Sentiva che era solo colpa sua se era caduta dalle scale, fratturandosi il
femore, perché lui, trascinato dagli incessanti ritmi di lavoro che la sua
aspirazione gli imponeva, si era addormentato e non si era svegliato in tempo
per darle la sua medicina.
Era solo colpa sua se era stato un figlio disattento,
assente e ingrato nei confronti dei suoi genitori, che si erano sacrificati per
consentirgli gli studi.
Peter non proprio non ce la faceva
a perdonarsi, ma soprattutto era il Dottor Benton che
non riusciva a darsi pace. Com’era possibile che quell’uomo
così razionale, controllato e ponderato avesse fallito? Com’era possibile che
ora stesse lì, piegato dal dolore, con lo sguardo distrattamente perso nel
vuoto? E anche se Peter riusciva a
concepire questo “atteggiamento” come umano e del tutto comprensibile, il
Dottor Benton non riusciva ugualmente a capire perché
LUI avesse ceduto. LUI non era un uomo come tutti. LUI era un medico. Non
poteva avere debolezze. Aveva sudato e sgobbato troppo per essere là dove si trovava
ora. Prima il diploma, poi la laurea in medicina e infine
quel tanto sospirato internato in chirurgia. Aveva dovuto lottare contro
tutto e contro tutti: aveva sempre voluto dimostrare
di essere il migliore. Mai un segno di arrendevolezza
o di insicurezza. Forse si comportava così perché era nero, e doveva dimostrare
di valere almeno quanto un bianco. Forse perché non voleva
deludere i suoi genitori. O più probabilmente perché era
l’unico modo per dover ammettere di avere paura.
Già, Peter ne aveva
avuta tanta di paura. Sapeva bene cosa voleva dire essere derisi e che cosa
significasse sentirsi, in ogni momento della propria vita, diversi dagli altri.
E così, Peter, aveva avuto
paura. Paura di fallire, di non essere adeguato, di non poter
reggere le redini della propria vita e di essere, così, eternamente succube.
Perciò decise di iscriversi a medicina.
L’idea che la vita di un altro essere umano fosse
completamente tra le sue mani, gli infondeva un senso di sicurezza. Si impegnò sempre al massimo Peter.
Essere bravo non bastava. Doveva essere il migliore. Ne aveva
bisogno. E doveva contare solo sulle sue forze, per
poter dimostrare – in primo luogo a se stesso – che lui c’era e poteva farcela.
Quando diventò finalmente il Dottor
Bentos, le sue paure iniziarono a scomparire. Dopo la laurea scelse la specializzazione in chirurgia. Disse di averla
scelta perché era la più impegnativa, ma anche la più gloriosa. In fondo, però,
egli sapeva bene che il vero motivo che lo aveva indotto ad optare
per quella strada era il fatto che non si sarebbe dovuto confrontare spesso con
i suoi pazienti. Mentre lui avrebbe operato, loro
sarebbero stati sotto anestesia, e non avrebbero potuto parlargli, né confidargli
i loro problemi. Non avrebbero potuto minare quell’instabile
muro di distacco che il Dottor Bentos aveva creato attorno a sé. Non avrebbero
potuto mettere a nudo i suoi sentimenti e le sue
angosce.
Pensava che quella sarebbe stata la strada migliore. Ma ora, cosa gli era rimasto tra le mani? Nient’altro che
polvere.
Mentre era tutto preso ad affermarsi nel mondo e a levarsi
dalla folla per urlare “Ci sono anche io!”, si
dimenticò completamente del mondo esterno. Trascurò gli affetti, perse di vista
le cose importanti della vita, come l’amore, la serenità e l’amicizia.
Non aveva molti amici, né conoscenti. Solo
alcuni colleghi di lavoro che stimavano il Dottore, ma biasimavano –
purtroppo non a torto. Ma Peter
se ne stava rendendo conto solo ora – l’Uomo.
Non aveva una donna. L’ultima sua storia d’amore – sempre ammesso
che così si possa definire – risaliva ai tempi del
liceo.
Non si curava dei suoi affetti. Dopo la morte di suo padre,
la madre aveva cominciato a dare segni di squilibrio che, coll’avanzare
dell’età, si erano fatti sempre più vividi e marcati. Ma
Peter sembrava non accorgersene. Esistevano solo il
suo lavoro, i suoi studi, sé stesso. Sua sorella e suo fratello, badavano all’anziana donna da ormai molti
anni. Ma Peter non si curava
nemmeno di questo. Vedeva i suoi parenti molto poco. Non
si ricordava delle feste, dei compleanni e per lui oramai non
esistevano né Natali, né Capodanni. Nulla, solo la sala operatoria e i
manuali di chirurgia.
Sperava di avere del tempo Peter. Era
sicuro che, una volto ottenuto un buon posto di
lavoro, si sarebbe potuto dedicare alla sua famiglia, all’amore, all’amicizia.
Avrebbe potuto ripagare la sua vita di sacrifici con la gioia e la
spensieratezza.
Ma il destino fu crudele e non
volle concedergli il tempo che lui anelava.
Le condizioni si salute di sua
madre peggiorarono improvvisamente, così come il rapporto – peraltro già
precario – con la sua famiglia. Gli venne chiesto di
occuparsi dell’anziana donna, in modo da alleviare il peso che gravava sui suoi fratelli. Come poteva
spiegar loro che non era possibile? Come li avrebbe potuti
convincere che non poteva mollar tutto proprio ora che
i suoi sogni iniziavano a realizzarsi?
Si prese alcuni giorni liberi, scambiando dei turni coi colleghi. Ma ben presto si
trovò a dover coprire le ore scambiare con dei turni extra. Lavorava anche 24
ore di seguito. Cominciarono ad arrivare le prime sgridate dai superiori e anche in famiglia
le cose non andavano meglio. I suoi turni extra non gli lasciavano molto tempo
da dedicare a sua madre e, anche quando poteva, era troppo stanco.
E così, una mattina, sua madre
cadde dalle scale fratturandosi il femore, solo perché lui aveva ceduto alla
fatica e al dolore e non era riuscito a svegliarsi alle 6 – non è possibile Peter, sei abituato a svegliarti a qualsiasi ora del giorno
e della notte! – per dare la medicina a sua madre.
E ora si trovava là, in un’anonima
stanza di una casa di riposo, col cadavere di sua madre che giaceva in un letto
dietro di lui. Sentiva che gli eventi e le circostanze gli stavano inesorabilmente
scivolando tra le dita.
Aveva inseguito l’oro, ma in mano non aveva altro che
polvere.
Il Dottor Benton riaccese il cercapersone e si precipitò fuori dalla stanza
senza neppure voltarsi.
Ma Peter
era rimasto là, con le mani appoggiate al davanzale della finestra, fissando di
tanto in tanto il cielo stellato.