Overture
Tra un paio d'anni
governerò io il mondo; perché ho deposto il
vecchio Dio.
(Friedrich Nietzsche)
Attraverso i suoi occhiali dalla montatura spessa Sosuke Aizen,
Capitano della Quinta Compagnia del Gotei 13, fece correre lo sguardo
sui suoi colleghi: scrutò il volto di ciascuno,
attentamente,
uno dopo l’altro. Tutto sommato, si trovava ad essere molto
stupito: era incredibile come tutto potesse procedere così
bene.
Di fronte a qualsiasi progetto, sogno, o anche semplice desiderio, una
persona saggia si aspetterebbe qualche intoppo… era una
sensazione irreale, constatare invece che ogni singolo pezzo del puzzle
si stava incastrando perfettamente con gli altri. Sentiva un piacevole
formicolio allo stomaco, come sempre, negli ultimi tempi, quando le
circostanze portavano in quella stanza i pezzi grossi della Seireitei;
come la prima volta che aveva messo piede lì, nel sancta sanctorum,
la stanza dei bottoni dove venivano prese tutte le
decisioni… purché altri le avessero
già approvate, naturalmente.
Era una sorta di piacere infantile, se ne rendeva conto,
eppure…
Ecco, è la
furba risata di un
bambino nascosto sotto il tavolo della sala da pranzo, che ascolta i
genitori parlare, sapendo di poter fare qualunque cosa senza essere
visto…
Aizen sorrise: poteva permettersi un sorriso, dopotutto. Quello era un
giorno di festa: un altro buco tappato nello squarcio sanguinante che
lui stesso aveva aperto… era stata la sua prova del nove,
doveva
ammetterlo. Ora, il Gotei 13 si rialzava zoppicando, leccandosi le
ferite del cambiamento; un’Idra a tredici teste, che si
credeva
invincibile, eterna, e non si accorgeva che le frecce di Ercole erano
avvelenate…
Il bambino eccitato dentro di lui rise di nuovo: beh, non è che le
cose siano andate proprio così, nella favola.
Ma a chi importa?
Questa, dopotutto, è la MIA storia.
La voce del Comandante Generale Yamamoto lo strappò ai suoi
pensieri, riportandolo al presente. Alzò la testa e lo
fissò: un viso inalterabile, solenne, pieno di
rughe… il
vero specchio dell’istituzione che rappresentava, e
l’uomo
che aveva odiato più di ogni altro sulla faccia della
Terra… se si eccettuava, naturalmente…
No. Non adesso. Idiota,
ecco cosa ti
succede a pensare a bambini acquattati sotto i tavoli. Oggi
è un
giorno di festa; il tuo sorriso deve essere sincero. Niente dubbi,
nessuno spazio ai ricordi, oggi.
“Signori, è una lieta evenienza a riunirci qui
oggi: lieta
per tutti coloro che hanno l’onore di occupare il seggio di
Capitano, perché un altro fratello si unisce finalmente a
noi;
ma particolarmente gioiosa per quelli che, fra noi, ricordano
personalmente il tragico episodio di alto tradimento che ha scosso le
basi stesse della Soul Society, più di
cinquant’anni fa,
ed ha privato la nostra famiglia di ben quattro dei suoi migliori
figli…”.
Il sorriso di Aizen si spense sulle sue labbra: il momento lo
richiedeva… il lutto lo richiedeva, ma il bambino pestifero
che
gli ballava nello stomaco gli strizzò l’occhio;
tutto come
previsto… i grandi continuavano a discutere di cose serie,
senza
badare a lui: poteva scegliere con calma quando e a chi mollare un
pizzicotto sulle gambe, per farsi finalmente notare. Ma prima doveva
far sì che i lacci delle scarpe di tutti fossero bene
annodati, in
modo che non potessero acciuffarlo. Sarebbero caduti tutti, rise a
crepapelle il fanciullo: tutti, tutti, tutti…
Non c’era solo il ben conosciuto monello, ad agitarsi sotto
la
pelle del Capitano Aizen… non era un bambino, dopotutto.
Conosceva bene quella sensazione di semplice, puro divertimento:
nonostante tutto, sapeva di doversi ritenere un uomo fortunato, a non
avere perso quel ponte con la sua infanzia. I bambini vedono cose che
gli adulti non notano neppure; era l’universo stesso, a
parlare
con la bocca dei bambini; ma l’adulto, dentro di lui, era una
presenza altrettanto forte. Prese per mano il piccolo, e lo
infilò sotto le coperte: era tempo di provare
un’altra
sensazione, tutto secondo la tabella di marcia.
Se qualcuno avesse prestato attenzione ai dolci occhi marroni sotto le
lenti, per un attimo avrebbe intravisto un’illusione ottica:
un
attimo di puro intento omicida, così rapido che anche un
osservatore attento avrebbe dubitato di averlo visto davvero.
L’uomo che attendeva sull’attenti al centro della
stanza
gli dava le spalle, ma fu anche l’unico che sembrò
registrare qualcosa: un viso affilato, un paio di occhietti semichiusi
passarono in rassegna le due file di ufficiali su ambedue i lati,
finché lo sguardo di Ichimaru Gin non incontrò
quello del
suo ex-comandante; l’onnipresente ghigno si
allargò
vistosamente. Aizen gli restituì un’occhiata dura:
da quel
giorno, le prove generali erano terminate, e si entrava in scena con il
primo atto… Storia
di un bambino prodigio, ovvero: il colpevole è sempre la
volpe dagli occhietti malvagi…
Il bambino rise, nel suo lettino caldo. Non era ancora completamente
addormentato… sorrideva, un dolcissimo angelo dai capelli
castani, ma Aizen già sapeva che qualcosa si agitava nel suo
piccolo cuore.
Posso lasciare la luce
accesa? Per favore…
No, piccolo Sosuke. La
luce va
spenta, quando si va a nanna. Altrimenti, domani come farà
il
sole a svegliarti con la sua luce dorata?
Il piccolo si drizzò sopra le coperte: un faccino disperato,
le manine giunte, un vero attore…
Ma io ho paura,
mamma… nel
buio ci sono i mostri! Quelli che dice sempre
papà… i
pholli, gli holli… gli Hollipop!
Lo scoppio di una risata squillante, argentina: Aizen era ancora in
piedi nella stanza, ma sapeva che la scena era cambiata: non
c’era più lui sul palco, seduto sul letto, a
parlare con
il bambino, ma una donna esile, dai capelli del suo stesso colore e dal
sorriso dolce e rassicurante, che lo abbracciava stretto
stretto… il piccolo sembrò un tantinello offeso,
e la
spinse via, imbronciato.
Non ridere!
L’ho sentito
papà, l’altra sera a cena! Mi avevi mandato a
letto, ma io
ho aspettato che tu te ne fossi andata e mi sono nascosto nella stanza
accanto… sono stato bravo, mamma! Nessuno di voi due mi ha
sentito! L’ho capito, sai, che papà è
sempre via
perché va a combattere gli Hollipop! Ha detto che ha ucciso
il
loro capo, che si chiamava Tatolode, ed era più piccolo
degli
altri per nascondersi meglio, ed era fortissimo e…
Ma al piccolo Sosuke la voce morì in gola, perché
si era
accorto del cambiamento sopravvenuto nello sguardo della madre:
qualcosa non andava… gli occhi della donna si erano riempiti
di
rabbia, la bocca era una linea diritta…
…mamma?
Lo schiaffo arrivò inatteso, e gli fece male.
Non devi mai
più origliare.
Hai capito, Sosuke? Non devi MAI PIU’ permetterti di
ascoltare
quando mamma e papà parlano per conto loro. Sono cose che ai
bambini non devono interessare…mi hai capito, Sosuke?
Il piccolo la guardò con occhi pieni di lacrime. Era scosso:
il
primo schiaffo della sua vita, perché mai la mamma lo aveva
sfiorato, se non per fargli una carezza… la sua prima
esperienza
con il dolore…
M-ma mamma…
mi
dispiace… guarda che io sono contento che papà
combatta
gli Hollipop! Papà è forte, e coraggioso! E anche
tu sei
coraggiosa… io lo so che tu lo vai ad aiutare, che combatti
anche tu! Ecco perché sei ferita…
Ferita? Di cosa stai
parlando, Sosuke?
Ora la donna era impallidita; istintivamente si portò la
mano
alla spalla, e altrettanto di scatto la allontanò,
riportandola
in grembo. Stava tremando.
Lì sotto,
sulla spalla… io sento che ti fa male, sento quando alle
persone fa male qualcosa…
Un fruscio di seta, la sagoma bianca che si alzava di scatto e si
allontanava, lasciandolo solo al centro della stanza scura, a fissare
la porta sul corridoio, sconvolto. Il giorno dopo la madre sarebbe
tornata, e lui avrebbe capito che gli voleva ancora bene: che non aveva
fatto nulla di sbagliato. Ma il mattino era ancora lontano, quando il
lume sul comodino si spense ed il buio lo avvolse…
Quel ricordo non se ne sarebbe mai andato, per quanti secoli Sosuke
Aizen potesse attraversare. Non faceva più male, comunque.
Proprio no. Aizen aveva smesso di soffrire da tempo. Aizen non aveva
paura di nulla.
Non
c’è nulla da temere
nel buio, piccolo. Avrai tutto il tempo di impararlo: nel buio ci puoi
vedere quello che vuoi. E neanche degli Hollipop
c’è da
avere paura. Non c’è nulla da temere davvero, al
mondo.
Il bambino si addormentò, finalmente: Aizen
sbatté le
palpebre, tornando al presente, e si rese conto che il suo piccolo
viaggio nei ricordi gli aveva risparmiato la maggior parte della
tiritera di Yamamoto.
Il mio cervello ha
pietà di
me, oggi… su, vecchio, recita fino in fondo la parte che ti
ho
assegnato. Incorona il Re che io ho scelto per te.
“… pertanto, avendo egli superato
l’esame e
raggiunti i necessari requisiti, nomino il Luogotenente della Quinta
Compagnia Ichimaru Gin Capitano della Terza Divisione. Congratulazioni,
Capitano. E’ per me un onore accoglierti come un
figlio.”
Il neo capitano si inchinò, e si affrettò a
prendere posto in uno degli spazi liberi.
Razza di
ipocrita… scommetto
che non hai dato neanche un’occhiata, ai tuoi veri figli.
Ukitake
sembra piuttosto triste… a Kyoraku, poi, non riesco neppure
a
vedere gli occhi; ha abbassato il cappello sulla fronte. Se solo li
avessi ascoltati, quando ti hanno supplicato di risparmiare Shinji e
gli altri, ora potresti vedere la mia spada puntata alla tua gola: ma
gli ordini dei 46 erano chiari, non è vero?
L’onore della
Soul Society prima di tutto, come quella volta… nessun
compromesso. Ma in fondo ti devo ringraziare… è
grazie a
te, che ho potuto vedere chiaro dentro me stesso, e nel cuore del
mondo. Per questo, ti garantirò una morte rapida, quando
sarà il momento.
Un sorriso increspò di nuovo le sue labbra, mentre i
Capitani
rompevano i ranghi. La figura snella di Soi Fon scomparve
semplicemente, invisibile all’occhio, sulle ali di uno
Shunpo;
Byakuya Kuchiki, la cui nomina in seguito alla morte di Ginrei aveva
preceduto quella di Gin di poche settimane, gli passò
accanto,
altezzoso e regale come sempre… il passo pesante di Komamura
Saijin, del cui segreto era uno dei pochi, fidati custodi,
sparì
oltre la porta…
Così giovani,
così giovani…
Gin lo deliziò con un altro dei suoi sorrisi storti: come da
copione, rispose con una smorfia di disgusto, assicurandosi che
Kyoraku, l’ultimo rimasto nella stanza, lo notasse
chiaramente.
Poi uscì anche lui, incontro al sole del pomeriggio.
Che si alzi il sipario,
dunque…
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Complici le ombre della notte, quasi nessuno notò la figura
sottile che percorreva il delizioso sentiero fiancheggiato da alberi
che conduceva agli alloggi della Quinta Compagnia. Non che il
silenzioso visitatore si preoccupasse eccessivamente di non essere
notato: uno dei vantaggi di essere diventato un Capitano era proprio
quello, il fatto di non dover più rendere conto a nessuno
dei
propri spostamenti; vantaggio che sarebbe stato sfruttato a dovere, nei
mesi successivi…
Lungo il percorso, incontrò un paio di sentinelle di
pattuglia:
lo divertì il fatto che sembrarono colti da terrore solo dopo
averlo riconosciuto. Sospettava che, quando fosse entrata in carica, la
piccola Hinamori sarebbe stata accolta con grande sollievo come nuovo
luogotenente…
Beh, io ho fatto tutto
quello che
potevo per incoraggiare le amicizie! Deve esserci qualcosa che non va
nel mio dopobarba… o forse sono semplicemente troppo
simpatico,
e la gente si sente minacciata dalla mia verve…
Terminato lo scambio di convenevoli, Ichimaru Gin riprese la sua
passeggiata, diretto alla fioca luce che si scorgeva in lontananza:
l’ufficio del Capitano Aizen si trovava un po’
discosto dai
dormitori, circondato da aiuole e cespugli ben curati.
Sostò per qualche attimo al di là del cerchio di
luce delle torce: il
Capitano Aizen era seduto su di un cuscino di seta, apparentemente
intento ad esercitarsi in calligrafia; con grazia estrema, faceva
scorrere il pennino sul foglio, lentamente, con mano esperta, sotto gli
occhi del terzo seggio Momo Hinamori che lo guardava amorevolmente.
Sembravano immersi in conversazione: ogni tanto Gin li sentiva
scoppiare a ridere. Una deliziosa scena di vita quotidiana…
un
ufficiale fortunato. Una Divisione fortunata. Un uomo che pareva avere
avuto tutto dalla vita; l’amore, e la serenità, il
rispetto dei subordinati… eppure, intenzionato a spogliarsi
di
ogni traguardo raggiunto. Inutile chiedersi perché, arrivati
a
quel punto, Gin lo sapeva fin troppo bene; il dado ormai era tratto, e
non restava che giocare. Perché, dunque, si preparava ad
indagare nei segreti di quell’uomo? La risposta,
come
spesso accadeva per le domande che Gin si poneva, era molto semplice:
era curioso. Tutto lì.
Fece un passo avanti e rivelò la sua presenza; Hinamori
trasalì al suo apparire, e portò istintivamente
la mano
all’elsa della spada: Aizen, rapido, le appoggiò
una mano
sul braccio, facendola rilassare immediatamente. Il suo ex-Capitano lo
scrutò freddamente: “Sei in anticipo, Gin. Eri
così
desideroso di vedermi?”
“Bé, Cap, è che sai… uno non
può
immaginare quante scartoffie un Capitano è costretto a
compilare, finché non si ritrova nei suoi panni. Ne
avrò
per tutta la notte… ma d’altro canto, ti avevo
promesso un
salutino… se hai qualcosa di meglio da fare, io ti capisco!
Fa
niente…” con un ghigno storto, spostò
gli occhi
lentamente dall’uno all’altra. Hinamori sembrava
equamente
divisa tra timore e disgusto: Aizen sostenne il suo sguardo in maniera
simile per qualche secondo, poi si rivolse alla luogotenente a bassa
voce: “Hinamori, devo chiederti di uscire per qualche
minuto… io ed il Capitano Ichimaru dobbiamo parlare in
privato.
Non credo di aver bisogno di assistenza, ma… posso chiederti
di
radunare i nostri quarto e quinto seggio, e di montare la guardia qua
fuori? E’ una semplice precauzione…”
Gin non riuscì ad udire la risposta, ma vide la piccola
Hinamori
ritirarsi, senza togliergli un attimo gli occhi di dosso; non appena la
porta si fu chiusa alle sue spalle, Aizen fece un mezzo sorriso ed
estrasse la sua Zanpakuto dal fodero appoggiato al tavolino,
conficcandola nelle assi del pavimento: era il segnale che, protetta
dai poteri di Kyoka Suigetsu, la conversazione poteva iniziare.
“Sono rimasto sorpreso nel ricevere il tuo telegramma.
Credevo
avessimo stabilito di incontrarci il meno possibile d’ora in
avanti, per non dare nell’occhio…”
Il Capitano della Terza Compagnia si limitò a prendere posto
accanto a lui, distendendo le gambe con soddisfazione: “Ohi
ohi
ohi… tutte quelle ore in piedi durante la cerimonia, e poi
all’ispezione delle truppe… e pensare che da
bambino
sognavo la “comoda” vita della
Seireitei… ma in
fondo è sempre meglio che morire di fame, o passare le
giornate
a cercare di sfuggire a qualche maniaco…”
Il sorriso dell’altro si allargò sornione:
“Molto
bene… Devo dedurne che la tua piccola ricerca è
finalmente andata a buon fine?”
Gin rimase per un attimo interdetto, poi riprese, ghignando a sua
volta: “ Perspicace come sempre, eh. Sì,
è andata a
buon fine.”
“Quando?”
“La farfalla infernale ha fatto rapporto ieri sera; i tuoi
uomini
l’hanno identificata al confine con il sessantesimo
distretto,
e
hanno immediatamente inviato le immagini, è proprio lei, non
ci
sono dubbi… Naturalmente, non sa che ci siamo io e te dietro
a
tutto; sembrerà che l’abbiano individuata per
caso, e le
pratiche per la sua ammissione all’Accademia sono
già
state avviate… del resto, è estremamente dotata,
scommetto che brucerà le tappe
dell’addestramento…”
“Il che mi costringe a ricordarti i termini del nostro patto,
Gin: niente distrazioni. Il piano viene prima di tutto.”
Il sorriso di Gin si incrinò; con una sfumatura di rimpianto
nella voce, replicò: “… già,
già… Decima Compagnia, come stabilito.
Però, Cap,
avresti dovuto vederla! Irresistibile, con quel faccino
spaventato… poi, ha messo su un gran paio
di…”
“Bene, Gin. Sono lieto che tu ti sia tolto un peso dal cuore.
Ora… possiamo passare al motivo della tua visita? Per quanto
mi
renda felice assistere ad un evento raro come un tuo sorriso sincero,
per riferirmi della tua amica sarebbe bastato il telegramma…
non
avrai avuto qualche ripensamento…?”
domandò Aizen,
guardando il suo luogotenente in viso per la prima volta.
Questi non rispose immediatamente; per qualche minuto,
nessuno dei due disse una parola. Tutto attorno a loro era pacifico, il
silenzio spezzato soltanto dal frinire dei grilli e dal fruscio delle
fronde.
Infine, Ichimaru sospirò e rispose:
“Nah… nessun ripensamento. Ho ottenuto tutto
quello che
desideravo, dopotutto: sono vivo. Sono al top della catena alimentare;
sono riuscito a proteggere la donna che amo… e presto lei
sarà in grado di difendersi da sola. E tutto questo lo devo
a
te, Capitano Aizen: no, non ci ho ripensato, e ti seguirò
nel
purgatorio… e poi nell’alto dei cieli, se
è davvero
lì che vuoi andare.
Ma… c’è un ma, Capitano.
Ahimè, io sono solo
un povero ragazzo di Rukongai: devo dartene atto, all’inizio
eri
quasi riuscito a fregarmi! Se
mi seguirai, piccola volpe, siederai al mio fianco nell’alto
dei cieli; nulla potrà fermarci.
Ah, Capitano! Avevo solo tredici anni… un orfanello sporco
di
sangue, e poi arrivi tu e mi prometti il mondo! Roba che uno si
innamora!”
“Dubiti forse delle mie parole, Gin? Ho detto le stesse cose
anche a Kaname, e lui non era certo un bambino...”
“Oh, non metterti a giocare con me, adesso! Kaname è un
bambino; nessuno può davvero diventare adulto
finchè non può vedere il sangue sulla propria
spada.
Io invece sono cresciuto, Capitano; crisi ormonale, prima cotta,
perdita della verginità… casa, lavoro e famiglia.
Tutto
alle spalle. Beh, beh… forse la famiglia proprio no.
D’altronde, come farei con i bambini? Dopotutto faccio un
lavoro
ad alto rischio, non ti pare?” replicò Gin
ridacchiando.
“Ma... poi hai voluto strafare. Hai
parlato
della decadenza del Gotei 13, e dell’ipocrisia dei nobili,
che
restano al sicuro dietro pile di scartoffie mentre i loro sottoposti
muoiono in battaglia contro gli Hollow; dei milioni di anime che
soffrono la miseria nei distretti poveri di Rukongai… e poi
di
un nuovo trono nei cieli, di un nuovo ordine, in cui noi avremmo
regnato sugli Shinigami e sugli Hollow…”
“Ed ho mentito, amico mio?”
“Al contrario! Hai detto la verità…
già, esattamente
la verità che io e Kaname volevamo sentire.
Sì: noi
siamo quelli che non hanno mai avuto niente da perdere; noi
quelli che hanno sofferto la fame a Rukongai, e che non chiedono di
meglio che aprire una strada di sangue fino ad un Re così
bastardo da permettere tutto questo… ma tu, Capitano?
Tu sei nato nella Seireitei, un vero”sangue puro”;
tu eri
già potente, popolare e rispettato… tu hai sempre
avuto
tutto quello che uno potesse desiderare… o, perlomeno, questo
è quello che hai voluto far credere a tutti.
Già, perché ho fatto qualche piccola ricerca,
spinto
naturalmente solo dalla mia devozione al piano... e indovina che cosa
ho scoperto?”
“Che cosa, Gin?”
“Niente.
Assolutamente niente, a tal punto che in
tutti gli annali della Soul Society, il nome Aizen non compare nemmeno
una volta, fino alla nomina di un certo luogotenente della Quinta
Compagnia, più o meno duecento anni fa…”
Aizen rimase in silenzio, ma l’intensità del suo
sguardo
non intimidì minimamente Gin; ora sapeva che la domanda
sulle
sue labbra non solo non giungeva sgradita, ma neppure inaspettata: il
suo vecchio comandante stava di nuovo sorridendo, di quel sorriso
speciale che aveva sempre e solo riservato a lui…
l’espressione soddisfatta che indicava il superamento di
un’altra prova.
E forse questa
è davvero l’ultima, eh, Capitano Aizen?
“Così ho riflettuto, e mi sono detto: ok, so che
il
Capitano vuole salire nell’alto dei cieli; che è
abbastanza folle, o geniale per sfidare i pilastri
dell’Universo… ma, diavolo, dopo tutti questi anni
non gli
ho ancora chiesto perché
vuole farlo.” incalzò, e concluse:
“Così, te
lo chiedo adesso, Capitano… non vorrai lasciare proprio me
senza
una risposta, vero? Qual è la tua
verità?”
Aizen scoppiò in una risata dolce e tranquilla; rise a
lungo,
serenamente, come un bambino a cui è stata raccontata una
barzelletta divertente… poi, togliendosi gli occhiali ed
appoggiandoli in grembo, riprese asciugandosi gli occhi: “Ah,
Gin, non ho davvero più nulla da insegnarti… ero
sicuro,
sicuro che
la cosa non ti
sarebbe sfuggita a lungo. Bene, credo che tu abbia meritato di sapere, anche se temo che rimarrai
deluso… mi piacerebbe davvero poterti confessare che sono
riuscito a cancellare i dati su di me con un’abile
macchinazione,
o grazie ai poteri di Kyoka Suigetsu! Purtroppo, la mia
verità
è molto più banale…” e fece
una pausa.
“ Vuoi davvero udirla, Gin? Vuoi dunque sapere
perché
voglio salire dove nessun altro è mai arrivato? Ebbene,
eccoti
accontentato…”
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“… verrà con me, donna, che tu lo
voglia o no, dovessi trascinarlo via per i capelli”
“No, non lo farà. Non lo costringerai. Non
sarà mai
uno Shinigami… non lascerò che tu lo trascini nel
tuo
mondo delirante!”
Il suono secco di uno schiaffo... il secondo. La donna dai capelli
castani fu scaraventata a terra, ma non smise un attimo di fissare in
volto
l’enorme Shinigami avvolto in uno haori scuro, che
avanzò,
una luce fredda nello sguardo.
“Non osare mai
più rivolgerti a me in quel modo. Ricorda che
mi devi rispetto…!”
La fragile figura di sua madre alzò il viso e si
passò
una mano sul labbro rotto, davanti all’occhio spalancato di
Sosuke: perché il bambino era in piedi dietro la porta, e
sbirciava dalla sottile fessura tra i battenti… il reiatsu
del
genitore lo aveva svegliato nel cuore della notte, e non aveva neppure
pensato al fatto che stava disobbedendo di nuovo nello scendere le
scale… era quasi un anno che papà non tornava a
casa.
Voleva vederlo…
“Rispetto?
Rispetto?” replicò la donna con una
risata stridula “A te? Ho sopportato per anni la bestia che
sei… gli insulti, le botte e… e… ho
fatto tutto
quello che hai voluto…”
Fu il turno dell’uomo di ridere sarcastico: “Vuoi
disturbare il sonno del nostro piccolo, Kyoko? Non urlerei
così
forte se fossi in te… pensavo di portarlo via con me domani
mattina, ma se lo fai svegliare, lo farò subito! Sai che non
sopporto i piagnistei…”
“Non lo
porterai via da me, ho detto!"
“Sei una maledetta ingrata! Dopo tutto quello che ho fatto
per
te… A chi credi di dovere questa bella casa, i
domestici…
e, riflettendoci bene,
anche il moccioso...?”
“Tutte cose che puoi riprenderti all'istante! Ma lui
no… lui non sarà mai tuo!”
Un altro schiaffo. E un altro ancora. E un altro…
- io lo sento, quando alle persone fa male qualcosa-
Poi sua madre fu spinta con violenza contro il muro e crollò
nuovamente a terra; Sosuke non riuscì a reprimere un
sospiro,
attirando l’attenzione di entrambi verso la porta: gli occhi
di
lei si sbarrarono allarmati…
Mamma!
“Sosuke! Torna immediatamente in camera tua! ORA!”
La sagoma imponente di suo padre fece due passi nella sua direzione;
l’espressione sul suo volto mal rasato era a metà
tra il
divertimento e il disgusto: “Ma guarda, il nostro piccolo
Sosuke
è sveglio… e guarda come si è fatto
grande.”
Sospinta da una forza invisibile, la porta si spalancò con
uno
schianto, mentre Sosuke indietreggiava impaurito. “Allora
è questo
il meglio che tua madre ha saputo insegnarti…
strisciare lungo i muri ed origliare le conversazioni degli altri! Un
comportamento vergognoso. Vieni qua, ragazzo: da domani mattina le cose
cambieranno. Otto anni, proprio l’età a cui
è
cominciato il mio addestramento. Donna, per stavolta
soprassederò al tuo atteggiamento ribelle. Ora và
a
preparare le sue…”
Si udì un rumore metallico, seguito da un sibilo minaccioso:
l’uomo dall’haori nero si voltò, ed il
suo ghigno si
incrinò per un attimo: la donna si era rialzata e lo fissava
con
occhi spiritati, brandendo una Zanpakuto comparsa dal nulla, il fodero
abbandonato per terra.
“Ti avverto, Aizen, sta’ lontano da lui!
Altrimenti…”
“Dopo tutta la fatica che ho fatto per farti ritirare dal
servizio attivo… non credevo fossi ancora capace di tirare
fuori
quella roba.” fu il commento sprezzante dell’altro,
ma non
pareva più così tracotante: “Ma ora mi
hai
stancato: preparati ad essere rimessa al suo posto,
donna…”
Non aveva ancora mosso un passo, che Sosuke aveva ceduto completamente
al terrore, ed istintivamente aveva spiccato una corsa, per cercare
rifugio presso la madre, grosse lacrime di paura che gli scorrevano
sulle guance; il padre lo catturò non appena gli
passò
accanto, afferrandolo per un braccio e sollevandolo crudelmente in aria.
“Ma-mammaaaah!”
“Piantala, moccioso, o te lo do io un buon motivo per
piangere...”
“AIZEN!!!”
Sembrò impossibile che un ruggito del genere potesse
provenire
da una figura così delicata: un’ondata di reiatsu
anomalo
inondò la sala come un fiume in piena, ricoprendo gli
oggetti
con una sorta di nebbiolina argentea, mentre la spada calava con un
preciso fendente in direzione del suo obiettivo…
“Dispiega,
Yuurei-Shinsen! Ali dello Spettro!”
Una folata di vento gelido e tagliente prese a soffiare nella sala,
sollevando le tende e facendo tremare le fiamme delle candele; la
nebbia sempre più fitta però non
accennò a
dissiparsi, anzi, acquistò spessore e cominciò a
ruotare
vorticosamente attorno al bambino ed al polso dell’uomo che
lo
teneva stretto, gonfiando i suoi vestiti… tutto accadde in
poco
più di dieci secondi.
Uno squarcio scarlatto si aprì lungo il braccio teso, dalla
spalla all’avambraccio, mentre uno schizzo di liquido caldo
ed
appiccicoso colpiva in pieno volto Sosuke, che sentì tra le
labbra un sapore metallico: suo padre, colto alla sprovvista,
grugnì di dolore e rabbia e perdette la presa… il
bambino
fu strappato dalle sue mani e sbalzato via, ma un attimo prima di
precipitare a terra fu avvolto dalle spire di foschia, che si avvolse
attorno a lui come un essere intelligente, fermandone la caduta e
depositandolo dolcemente sul tappeto, dove si accasciò
singhiozzante, il suo piccolo cuore che batteva forte…
“Sosuke, vai VIA! SCAPPA!”
MAMMA!
Rimase: paralizzato dal dolore e dallo shock, non c’era altro
spazio nel suo cervello che per le ultime immagini spezzate del suo
mondo stravolto, di quell'uomo che non era suo padre, che era uno
Hollipop venuto a divorare lui e la mamma, che era tutto il male ed il
buio e la paura e che aveva estratto la sua spada nera come la notte,
ringhiando come un animale feroce; il mostro si gettò in
avanti,
folle di furia omicida, disperdendo la corrente che aveva raggiunto
l’ intensità di un piccolo tornado, nascondendo la
donna
alla vista del bambino…
“Ci sei,
puttana!”
...e le candele si spensero.
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“… quella fu l’ultima volta che vidi mia
madre: i
domestici trovarono il suo cadavere pochi minuti dopo, credo, ma io ero
già stato portato via. Ti lascio immaginare come la faccenda
andò a finire; come avrei presto scoperto, mio padre era un
Capitano del Gotei 13, e mia madre… uno sfortunato ufficiale
di
seggio che aveva attirato la sua attenzione anni prima. Io ero il suo
unico figlio, e nella sua mente contorta, sarei dovuto diventare anche
il suo successore; mia madre commise l’errore di provare a
fermarlo. Doveva amarmi molto…
Non ci fu neppure un’inchiesta. A voler essere onesti, anni
dopo
venni a sapere che i nostri amabili colleghi Kyoraku ed Ukitake avevano
proposto
che mio padre venisse punito e destituito, ed io cresciuto a spese
della Seireitei; ma il vecchio Yama aveva ricevuto ordini
precisi… l’onore ed il prestigio del Gotei 13
sarebbero
stati macchiati irrimediabilmente da un processo per omicidio ad uno
dei Capitani: di fronte a questa vergogna, che cosa era mai la vita di
mia madre? Che cosa era mai la vita di un bambino di otto
anni?”
La voce di Aizen era irrealmente tranquilla; il suo tono era distante e
malinconico, gli occhi celati alla vista di Gin dai riflessi sulle
lenti. Il tenue sorriso con cui aveva cominciato a parlare non aveva
abbandonato il suo viso nemmeno per un secondo.
“Come sai, il ritiro di un Seggio non viene mai
ufficializzato;
non fu difficile insabbiare tutto, mettere i testimoni a tacere e
registrare il decesso di mia madre come avvenuto in missione. Ciliegina
sulla torta, mio padre ottenne il mio affidamento, e poté
cominciare ad “addestrarmi” a piacere, sempre che
di
addestramento si possa parlare: temo, ahimè, che non
corrisposi
mai alle sue aspettative…” ed Aizen fece una
pausa,
passandosi una mano tra i capelli.
“Immagino, Gin, che il giovane Hisagi ti abbia già
recapitato la Gazzetta della Seireitei come ogni mese, giusto?
C’era un articolo un po’ infantile, ma molto
interessante a
pagina 17…”
“Parli di quel sondaggio idiota che fanno una volta
all’anno sul presunto Ufficiale Comandante più
popolare?
Quello in cui sei in testa da, diciamo, cinque o sei lustri? Aw, se
penso che sono addirittura dietro a quel fricchettone di
Kurotsuchi…” rispose Gin. Si era sdraiato sulla
schiena,
le braccia pigramente incrociate dietro la nuca, apparentemente intento
a contare i tasselli di legno del soffitto.
“Proprio quello. Tra le altre cose, conteneva uno speciale
che mi
classificava, pensa un po’, come il Capitano più
potente
dopo il vecchio… e questo, nonostante non abbia mai mostrato
a
nessuno nemmeno la metà delle mie abilità
effettive.
Riesci a crederci, Gin?”
“Beh, in realtà non faccio fatica
a…”
“E ti sbagli. Non nego di essere arrivato ad un soddisfacente
livello in tutte le Quattro Vie, ma, come sai bene, mi sono anche
scontrato da un pezzo con il limite delle mie
capacità…” Aizen sospirò
tristemente.
“La mia padronanza del Kido ancora impallidisce di fronte a
quella di Retsu Unohana, dopotutto, e non solo la compianta Yoruichi
Shihohin, ma persino la piccola Soi Fon mi ha sorpassato
nell’efficacia dello Shunpo; anche l’unico vero
talento che
mi
sia sempre attribuito, e cioè un intelletto acuto, ha
trovato il
suo degno rivale dall'ingresso sulla scena di Kisuke Urahara…
Il potere in me si era manifestato con eccezionale
precocità; ma
era un potere mediocre… e tanto più mediocre
appariva a
mio padre, che sperava di forgiarmi, questa era la parola che
usava… in un paio di occasioni arrivò a spezzarmi
le
braccia, rammento; di solito le nostre toccanti serate padre-figlio si
concludevano quando cominciavo a sputare sangue, e non ero
più
nemmeno in grado di strisciare fino al mio letto per leccarmi le
ferite, mentre lui si allontanava inviperito dandomi
dell’essere
inutile.
No, amico mio, non sono mai stato un bambino prodigio… come
te.”
Gin sbadigliò vistosamente, cominciando a grattarsi la
testa;
Aizen proseguì, facendo finta di niente: “Non feci
alcun
progresso nelle mani di quell’uomo, nonostante volessi
diventare
forte quanto e più di lui… perché
presto desiderai
ucciderlo, naturalmente; perché la mia fanciullezza ebbe
presto
termine, non appena smisi di versare lacrime nel buio per mia madre e
cominciai a sognare il momento in cui avrei trafitto il cuore di chi mi
aveva portato via l’innocenza. Cominciai a non provare altro
che
odio, verso mio padre e verso tutti gli Shinigami, e nella mia
immaturità speravo che quell’odio mi avrebbe reso
più forte…
Ma era tutto inutile: dopo qualche decennio, disgustato, perse
finalmente interesse e mi abbandonò all’Accademia,
ormai
un giovane schivo e complessato, divorato dal desiderio di vendetta e
disperato per la sua debolezza… Gli anni presero a scorrere
veloci, Gin, e mi vergogno nel ricordare quanto fui ostinato nella mia
ricerca di vendetta…”
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La galleria degli specchi. Pavimenti di moquette rossa. Fruscianti
tende di perline che ricoprono in egual misura le aperture e le
superfici riflettenti, ingannando l’occhio e costringendo il
giovane Shinigami a procedere a tentoni, sbattendo contro i vetri,
imboccando vicoli ciechi, aggirandosi angosciato in un labirinto di
forme spettrali… i riflessi distorti della sua magra,
sproporzionata figura adolescente che si contorcevano ghignanti. Il suo
mondo interiore: null’altro che un fragile gioco di specchi.
“Ti prego. Non scappare. Dimmi il tuo nome, ho bisogno di
te!”
“…scappare? Ma piccolo Sosuke, sei tu che stai
fuggendo da
me! Ogni passo che fai, ogni svolta che prendi ti allontana sempre di
più dal centro del labirinto. Io sono una che ci tiene alle
buone maniere: non posso proprio dare confidenza ad uno che non riesco
neppure a vedere in faccia...”
“Ho bisogno di te! Per favore, dimmi come ti
chiami… per
distruggerlo, per vendicare la mamma… ho bisogno della
forza!”
La risata della sua Zanpakuto riecheggia divertita lungo i corridoi di
vetro: le superfici scintillanti stridono e si incrinano, spezzando le
immagini in mille frammenti grotteschi; lo Shinigami è
costretto
a coprirsi il volto con le mani, per proteggersi dalle schegge
taglienti…
“La forza… La forza! Vendicare la nostra povera
mamma,
morta per salvarci! Lo vedi, piccolo Sosuke, che sei sempre
più
lontano? Sei rimasto un bambino… un bambino imbronciato
perché gli hanno rubato il suo giocattolo
preferito…
vorresti la forza per punire il ladro, non è vero?
Per
punire tutti i ladri di questo mondo, e per riparare a tutte le
ingiustizie…povero, piccolo bambino disilluso. La forza la
possono ottenere in tanti, ma quello che ti offro io è il
potere
più grande di tutti: e non lo avrai mai, finché
insisti a
guardare il tuo riflesso negli specchi. Il mondo è
così
grande, Sosuke… credi che la tua sia l’unica madre
al
mondo che è stata uccisa davanti agli occhi del figlio? O
che
l’Universo si arresti davanti alle porte della Seireitei? No,
Sosuke. Il mondo è immenso, e tu ti ostini a pensare in
piccolo… finché questi specchi non rifletteranno
che la
tua immagine, non ti permetterò di pronunciare il mio
nome!”
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“Ok, ok, Cap. Guarda che se hai intenzione di
tenere per
te i tuoi piccoli segretucci, bastava dirlo
prima…”
sbottò improvvisamente Ichimaru, raddrizzandosi finalmente
con aria
stizzita. Aizen si interruppe e lo guardò con
curiosità.
“Sei stato tu ad insistere. Te l’avevo detto che
era una storia noiosa…”
“Questa non è una storia, è un romanzo
Harmony!
Davvero commovente… E spiega proprio tutto, neh! Il nuovo
ordine, l’odio per gli Shinigami, il desiderio di salire in
alto,
di essere davvero il più forte di tutti… tutto ha
origine
da una così nobile vendetta! Ma che animo pieno di
giustizia, Capitano! Quasi un santo!
Scommetto che la piccola Hinamori ne trarrà motivo di
consolazione, quando le spezzerai più o meno letteralmente
il cuore... E il
Capitano Hirako, ovunque si trovi, apprezzerà che il suo
nuovo
make-up permanente sia stato provocato con intenti così
nobili!” continuò l’altro, agitando le
braccia in
maniera teatrale. “Queste sono parole degne di Kaname, e
non
mi piacciono nella tua bocca… perché tu non sei
un santo,
Capitano Aizen: tu ti stai divertendo…
almeno tanto quanto me.
Nutrivo la speranza che alla fine avresti voluto confidarti, ma ehi!
Pazienza… non mi infilerò nel mio futon a
piangere.
Ma non insultare la mia intelligenza inventandoti una storia
strappalacrime…”
“Ma è una storia a lieto fine. Non vuoi sentire il
resto?
“…che, tra l’altro, fa acqua da tutte le
parti!
Dico, non lo avessi detto adesso,
che il nome Aizen non compare nemmeno
una volta negli annali! E vieni a dirmi che Babbo Bastardo era un
Capitano? Gli archivi tengono traccia di tutti coloro che raggiungono
il…” ma si bloccò improvvisamente,
colpito da un
pensiero improvviso; la sorpresa nella sua reazione fu così
evidente che Aizen, per un attimo, riuscì ad intravedere le
sue
pupille.
“…Bankai?” concluse per lui, annuendo
condiscendente.
L'altro ci mise qualche secondo a riaversi dallo stupore; dovette
constatare che in quel modo tutto acquistava un senso... come diavolo aveva fatto a non pensarci prima!?
“Stai scherzando, vero?”
“Affatto. Hai detto bene, non c’è alcuna
possibilità che il nome di qualcuno che ha raggiunto il
rango di
Ufficiale Comandante non venga registrato negli annali della Soul
Society… ma è possibile che tale nome venga
cancellato, a
seguito di un avvenimento così vergognoso da costituire
un’onta per tutto il Gotei 13: un fatto, ti prego di notare,
molto più grave agli occhi del Consiglio persino di un'accusa
per omicidio…”
“… come, per esempio, subire
un’umiliante sconfitta
e venire massacrato davanti a centinaia di subordinati, magari ad opera
di uno sconosciuto straccione, sbucato fuori dal nulla alla periferia
di Rukongai…” sussurrò rapito il suo
luogotenente,
mettendo insieme gli ultimi pezzi del puzzle.
“Un ottimo esempio, sono lieto di vedere che stai al passo.
Il
nome Aizen venne effettivamente sradicato dagli archivi
duecentotrentasei
anni fa; mio padre era il precedente Capitano dell’Undicesima
Divisione… e fu ucciso da Kenpachi Zaraki.”
continuò Aizen.
“Quel giorno, la mia vita fu stravolta per la seconda volta:
retrospettivamente, non
esito a dire che il cambiamento per me fu epocale. Io ero
lì, amico
mio, e vidi tutto… riesci ad immaginare mesi, anni, decenni
passati ad allenare corpo e mente, giorno e notte, quasi un secolo
dedicato a coltivare il seme della rabbia in solitudine, a sognare il
giorno in cui avrei abbattuto il mio mostro… tutto spazzato
via
da un singolo colpo di spada?
In dieci minuti, la belva giaceva a terra, uccisa non dal suo
giustiziere, ma da un’altra belva ancora più
sanguinosa:
Zaraki mi derubò della mia vendetta e del mio
scopo… e di
fronte alla sua risata maniacale sul cadavere sventrato, raggiunsi
finalmente la comprensione.
Capii ciò che era stato la mia vita fino a quel punto: una
semplice prigione illusoria, in cui avevo immaginato di essere
destinato ad uccidere mio padre; compresi che il destino non esisteva
affatto, e che parole come “giustizia” e
“forza”, di cui ogni Shinigami ama riempirsi la
bocca, non
avevano in realtà alcun significato all’infuori di
quello
che le costringevamo
ad avere; tutto quello che la mia Zanpakuto aveva
cercato di farmi capire, tutto quello che avrebbe fatto di me
ciò che sono fu improvvisamente chiaro come la luce del
giorno.
Perché cominciai a guardare la folla che mi stava attorno,
con
il distacco di un ubriaco, e mi accorsi che i loro sguardi riflettevano
altrettante illusioni; alcuni Shinigami sussurravano tra loro, altri
sembravano eccitati, altri sconvolti, mentre gli ufficiali tentavano
inutilmente di rimettere ordine in quella confusione; quanti tra loro
avevano perso una madre, o un fratello, o un figlio…?
Soltanto lui,
la belva, si allontanava con noncuranza, gettandosi il
mantello insanguinato di mio padre sulle spalle, senza voltarsi
indietro; quel giorno mi resi conto che soltanto lui era libero,
perché viveva immerso fino al collo nella morte e nel
dolore, ma
non ne era toccato: era libero, ed innocente, e si divertiva,
perché non aveva mai preteso di dare un senso alla sua
esistenza.
La mia illusione di giustizia e vendetta era stata
frantumata… e
credo che non potrò mai ripagare questo debito con il nostro
folle collega.
Rientrai in caserma, e dormii un sonno sereno e senza incubi, come non
era mai successo da quella notte in cui mi era stata rubata
l’innocenza: sognai migliaia di specchi che si frantumavano,
e
lei mi
apparve sorridente, lieta che avessi finalmente capito: alle
prime luci dell’alba mi svegliai, e finalmente conoscevo il
suo nome; meno di
un mese dopo, pronunciavo per la prima volta la parola
Bankai.”
concluse Aizen, e si voltò verso l’amico.
Trovandosi di fronte l’ennesimo, furbo ghigno,
rammentò
ancora una volta cosa lo avesse spinto, dopo secoli di pianificazione
solitaria, a prendere con sé un piccolo assassino dai
capelli d’argento.
“Poi ti incontrai per caso, Gin”
proseguì senza
smettere di fissarlo “e non dubitai per un istante di aver
trovato uno spirito simile al mio: anche tu, che eri solo un bambino,
eri ritto al fianco di un cadavere, e sorridevi… avevi forse
visto che il colore del suo sangue non era diverso dal tuo,
così
come quello di mio padre non mi era apparso diverso da quello di mia
madre? Ti eri reso conto anche tu che non aveva senso ritenere una
vita, forse nemmeno la propria, più importante delle altre,
se
una spada è in grado di spegnerle tutte con tanta
facilità? Forse no. Dopotutto, c’è nel
tuo cuore
una vita per la quale saresti pronto a donare la
tua…”
“Ehi, un uomo deve pure avere un punto debole… la
cosa,
come vedi, non mi ha fatto rinunciare a divertirmi!”
replicò Ichimaru in tono noncurante.
Aizen annuì di nuovo, sorridendo.
“Così, quello è diventato il tuo
traguardo…
il cielo è diventato il mio. Perché nonostante
tutto, le
persone sono imperfette, ed anche coloro che vedono attraverso le
illusioni non possono esistere senza scopo: che sia
l’ebbrezza
del combattimento, la curiosità intellettuale o un grande
amore… non possiamo evitare di aggrapparci a qualcosa, anche
se
ne riconosciamo la futilità.
Per questo, ho deciso di conquistare, se mi riesce, l’alto
dei
cieli. Possiedo il potere di governare le illusioni degli altri , dando
loro ciò che più desiderano o precipitandoli
nella
disperazione, e lo userò, per giocare, recitare, costruire,
governare… per vedere fin dove riesco ad arrivare, per
mettermi
alla prova con il mondo insensato retto da un Re e da angeli ipocriti,
fino ad aprire un varco nelle nuvole… e quando
sarò
arrivato lassù…” ma improvvisamente si
interruppe.
Ormai consumata completamente, una delle torce appese ai muri si era
spenta all’improvviso, immergendo nell’ombra la
zona in cui
era seduto Ichimaru, che si voltò istintivamente verso il
mozzicone; con la coda dell’occhio, allo Shinigami parve di
vedere per un istante Aizen irrigidirsi… ma quando si
voltò di nuovo verso di lui, il suo Capitano era
perfettamente
tranquillo, e gli sorrideva alzando le braccia a mo’ di
scusa:
“Ah, che peccato! Pare proprio che la nostra chiacchierata ci
abbia fatto
perdere il senso del tempo! La povera Hinamori deve essere ancora
lì dietro a morire di sonno… Cosa dici, Gin,
posso congedarti
senza apparire scortese?”
Gin diede in un lungo sbadiglio e si rialzò faticosamente,
stiracchiandosi:
“Uurgh!
Ma sììì, perchè
no… in realtà
non l’ho detto prima per non fare brutta figura, ma anche a
me si
stanno proprio chiudendo le palpebre… più
del loro solito, potrei aggiungere per fare un pò di
autoironia.
Grazie per avermi dedicato del tempo, Capitano Aizen.”
“Hai avuto le risposte che cercavi?”
domandò l’altro.
Gin ghignò con aria complice, smontando dal soppalco
sull’erbetta del sentiero: “Ho avuto quelle che mi
servivano. Dopotutto, hai realizzato la mia illusione:
sarei proprio un ingrato se non ti aiutassi a realizzare la
tua…”
Rimasero in silenzio per qualche secondo, l’uno in piedi e
l’altro seduto, a fissarsi negli occhi, come due bambini che
facciano a gara a chi distoglie per primo lo sguardo.
Poi Gin si voltò e prese a risalire il sentiero, con le mani
nelle tasche.
“Sei davvero
un ragazzo intelligente, Gin… sono fortunato
ad averti al mio fianco.” mormorò Aizen a voce
bassa.
Ichimaru agitò un braccio in segno di saluto.
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“Davvero non ne comprendo
l’utilità!”
borbottò Szayel Aporro Grantz, rivolto più a
sé
stesso che ai suoi due illustri ospiti; non era cosa di tutti i giorni che i luogotenenti di Aizen, Kaname Tosen ed Ichimaru Gin,
venissero a fargli visita nel suo laboratorio, anche ora che i lavori
di costruzione della possente fortezza di Las Noches erano finalmente
completati.
A trent’anni di distanza dal turbolento incontro tra Sosuke
Aizen
e il Dio Re dello Hueco Mundo (ora Segunda Espada Barragan Luisenbarn),
centinaia di torri d’avorio circondate da mura punteggiavano
le
sabbie dello Hueco Mundo, raccolte attorno alla cupola centrale che
ospitava la Sala del Trono e i quartieri degli Espada.
La fioca luce lunare che penetrava dalle finestre non era sufficiente a
rischiararne l’interno, ed il luogo era perennemente immerso
nella penombra: comunque, nulla che giustificasse il ricorso ad un
meccanismo di quelle proporzioni, secondo l’opinione
dell’Arrancar.
“Né è richiesto che tu la
comprenda”
replicò Tosen, asciutto. “E’ un ordine
diretto di
Sua Eccellenza Aizen, e questo è tutto ciò che ti
serve
sapere.”
“Ma stiamo parlando di dirottare il 60% della produzione
energetica di Las Noches in un meccanismo di nessuna valenza
pratica!” insistette l’Octava. Visibilmente
contrariato, si
avvicinò ad un' enorme leva situata vicino ad un quadrante
luminoso che rifletteva uno schema della cupola.
“… disse quello che impiega da solo per i suoi
giochini
tutto il rimanente. Per la centesima volta, comunque,
serve per il monitoraggio…” tentò Gin,
conciliante.
“Assurdo! Disponiamo di Numèros il cui pesquis
è
già un sistema efficace, per non parlare del complesso di
telecamere già installato…”
“Sì, ma vuoi mettere l’effetto estetico?
Su, da
bravo, facci vedere come sei bravo a pasticciare con i cavi
elettrici…”
Le labbra arricciate in disapprovazione, Szayel Aporro
abbassò
la leva, ed un ronzio di intensità crescente si
propagò
all’interno della cupola; la sua superficie interna
cominciò a mandare bagliori incerti simili a lampi, poi
tornò nera come la pece; infine, con un ultimo tremolio, si
accese di azzurro intenso, assestandosi rapidamente in una perfetta
copia del cielo terrestre, punteggiato da nuvole bianche: la cupola di
Las Noches era ora perfettamente illuminata a giorno.
“Comunque, insisto
che è uno spreco di risorse
inaudito” continuò l’Espada incrociando
le braccia
sul petto, imbronciato. “Dico, neanche Sua Eccellenza avesse
paura del buio…”
“Szayel Aporro! Questa è mancanza di
rispetto!” lo rimproverò Tosen stringendo i pugni.
“Heee! Secondo me, invece, è molto
divertente… te
lo immagini, Cap che se ne va a letto con l’orsacchiotto?
Questa
al prossimo tè gliela racconto… paura del buio!
Vedrai,
si divertirà un sacco anche lui…” disse
Gin.
Non aveva smesso un attimo di sorridere.
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NdA:
Dedicato a Stateira, perchè il primo flash per
scriverlo mi è venuto leggendo il capitolo "Kyoka Suigetsu -
Io sono solo un gioco" della sua bellissima fic "Zanpakuto". Dategli un'occhiata, vale davvero la pena!
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