Ad
occhi bendati
«
La terra che desta il cuore all'emozione può concentrare in sé
Cielo e Inferno. »
Emily
Brontë
[Roma, 22 dicembre 2009]
“Ed ella non
l’amava”, diranno
di me un giorno, “come s’ama un fiore delicato; non
sospirava pensando a lei, come
si sospira d’affetto alle belle margheritine; non la
stringeva al petto come si
stringe, in un’estasi di sentimenti, una cosa amata, da
proteggere, senza la
quale più non si vive”.
“Ella la
guardava”, diranno, “come
si guarda la distesa infinita dei ghiacciai, che si erge bellissima e
terribile, e l’amava,” aggiungeranno,
“come
s’ama un abominio del cuore: nell’ombra e nel
silenzio di mille baci soffiati
con terrore”.
Questo sentimento, che per
quanto silente, mimetico, codardo, è pur sempre parto della
mia anima, mai
riuscirei a rinnegarlo, perché allora mi sembrerebbe di star
tradendo me stessa.
Tradirmi! Quante volte mi
hai
tradita, e non lo sai? Tante quante sono le volte che ti guardo, tante
quanti
sono i miei sospiri al tuo pensiero, tante quanto è il
numero delle tue ciocche
brune che io continuo a contare furtivamente.
Un amore modesto per la
più
egotista delle creature è cosa strana; cosa non si fa per una
persona il cui amore
non si osa dichiarare!
Diranno di me, che io ti ho
odiata dal principio: come s’odia una cosa bellissima
perché il modo in cui
agita il nostro animo lo scambiamo per paura, e t’amo e
t’odio qualunque cosa
tu faccia alla stessa maniera; amo odiarti e detesto amarti, ed eppure
non
posso fare altrimenti; non posso fare null’altro se non
abbandonarmi a questa
mia passione, trattenendo in me ogni stilla di verità
perché al confessare una
cosa così grande essa morrebbe sotto ai miei occhi, e ai
tuoi così belli e
profondi sembrerebbe cosa non più preziosa d’uno
dei tanti meschini gioielli.
Ma il mio è un
amore vigliacco
ed egoista. Per te non donerei nulla che rifiuterei allo sfortunato
senzatetto,
e non eviterei di dire male delle tue labbra rosse e sottili, che io
adoro così
tanto, né penserei a ritrattare se mi venisse chiesto cosa
penso di te e ne
uscisse un insulto. Quanto furono più forti di me, quei
poeti il cui amore,
seppur sviluppandosi in silenzio, rimase sempre puro e virtuoso, e non
una
cattiva parola scivolò da loro per quella donna che essi non
potevano amare!
Se non posso far divampare
il
mio sentimento nella dichiarazione d’un amore che non
oserà mai pronunciare il
suo nome, almeno io so di poter contare su quella fonte inestinguibile
di tutte
le tragedie umane, che è madre delle passioni più
furenti, e forse più vicina
alla nostra intesa di quanto potrebbe essere il suo opposto.
Sì, io mi rivolgo
all’odio ogni volta che il tuo nome deve essere fatto in
pubblico, e nell’odio
nascondo la mia viva, bruciante passione, ove essa si sporca,
avvolgendosi nell’ignominia,
trascinata nell’abisso di melma della mia vigliaccheria; i
cui fili d’oro ad
uno ad uno si sfilano, e il mio egoismo la riveste d’un panno
di rustico grigio.
Come posso vivere
continuando
a farti questo? Come tu vivi senza accorgerti di nulla: ad occhi
bendati.
Vorrei poterti bendare gli
occhi per sempre. Ogni giorno passato a pensarti, a guardarti, a
bramarti così
fortemente… lascia in me come piccole paure che le
innumerevoli tracce possano
disperdersi al vento, e divenire visibili così, come polvere
di stelle nell’aria.
Non guardare mai, questo mio amore unilaterale: non sminuirmelo, non
ucciderlo
sotto i colpi dell’amara realtà. Posso vivere
così, tra l’ombra e l’anima, in
una stabilità soffocante e incerta – e questo
basta, se in cambio posso avere
ogni giorno, almeno uno dei tuoi sorrisi.
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