Profumo di sogno
Mi lascio cadere sul divano
sbuffando. Mia nonna mi guarda da sopra i suoi occhiali, chiude il libro che
stava leggendo e si alza, sparendo dietro la porta. Lo sa, lo ha già capito.
D’altronde non sarebbe la mia nonnina se non lo avesse compreso.
Ieri ho avuto un altro
appuntamento. Sono uscita con un collega di lavoro di Lavinia, una delle mie più
care amiche. Non è una cosa che mi piaccia fare spesso, ma questa volta ha così
insistito che non me la sono sentita di rifiutare quell’incontro al buio.
Neanche a dirlo è stato un disastro. Sin dal principio. Mi ha fatto attendere
mezz’ora davanti al ristorante che io stessa ho dovuto prenotare. Nel bel mezzo
della cena ha rimproverato un povero cameriere reo di aver sbagliato pietanza
e di avergli portato qualcosa di non richiesto. Ha protestato contro il
conto, secondo lui eccessivo considerata la qualità della cena, e alla fine, per
evitare ulteriori imbarazzi, sono stata costretta a tirar fuori velocemente la
carta di credito dalla borsa, a pagare il conto e a lasciare una lauta mancia al
cameriere. È stata una sera “horribilis”, come avrebbe detto mia nonna. Senza
contare il dopocena, quando lui ha cercato di convincermi a farlo salire in
casa. Cosa non aveva capito della frase “a mai più rivederci”?
Sbuffo un’altra volta,
sprofondando nel divano. Come ogni volta mi ritrovo qui, nella casa calda della
nonna, sul divano di finta pelle ormai quasi logoro, con il morale che mi arriva
sotto le scarpe, aspettando che mia nonna mi porti una tazza di tè bollente e
che ascolti i miei sfoghi e le mie frustrazioni. Sono rimasta orfana quando
avevo quindici anni e sono stati i nonni materni a prendersi cura
dell’adolescente problematica che ero. Hanno cercato di non farmi mancare mai
nulla, hanno dosato cautamente coccole e rimproveri, diritti e doveri. Anche
ora, che di anni ne ho venticinque e vivo da sola in città, ogni volta che mi
sento giù corro subito qui, fra le braccia di mia
nonna, come quando ero più piccola.
“Possibile che debba finire
sempre così?” mormoro passandomi una mano sugli occhi. “Deve esserci
qualcosa in me che attira solo gente simile!”
“Lo sai che non è vero, tesoro,
è solo che non hai ancora incontrato la persona giusta” mi dice, rientrando in
salotto con un vassoio sul quale spiccano due fumanti tazze di tè. “È che
oggigiorno, secondo me, manca un po’ di romanticismo.”
Sorseggio il liquido ambrato
facendo attenzione a non scottarmi.
“Parlare di romanticismo nel XXI
secolo non ti sembra un po’ anacronistico?” Allungo la mano per prendere un
biscotto dal piattino. “In un’epoca come questa,
fatta di tecnologia, rapporti veloci e nessun sentimento forte, parlare di
romanticismo è come…” Mi fermo a cercare la parola corretta.
“È
come parlare di favole?”
Appoggio la tazza sul
tavolinetto e mi lascio cadere sul divano, sussurrando un flebile “sì”.
“Ma un tempo ti piacevano le
favole…”
“Ma ora ho venticinque anni,
nonna, e non credo di aver più tempo per credere alle favole.”
La nonna mi sorride e si allunga
per prendere il suo libro. Si sistema con calcolata lentezza le lenti sul naso e
mi guarda: ha lo stesso sguardo di quando da bambina mi raccontava le favole
prima di andare a letto, prima che il mio mondo mi si sgretolasse sotto i piedi.
“Allora suppongo che sia
superfluo raccontarti questa storia letta in un libro tanto tempo fa…”
Sbuffo per l’ennesima volta da
quando sono entrata in questa casa di marzapane. Mia nonna ha il sapore delle
streghe.
“E sentiamo… inizia anche questa
con il fiabesco ‘c’era una volta’?”
“Forse” mi dice. “Perché in
fondo ogni storia ha il gusto di una favola.”
Mi allungo per prendere la tazza
di tè e fare scorta di biscotti, poi mi accoccolo meglio sul divano e faccio
segno alla nonna di iniziare. Forse agli occhi di un osservatore esterno la
scena potrebbe risultare alquanto ridicola, lo so, eppure quando entro in questa
casa mi sembra che il tempo si sia congelato al periodo della mia infanzia. Gli
oggetti, le piante, persino gli odori che respiro una volta aperto il portone
sono rimasti gli stessi pur mutando aspetto e consistenza. Ritornare qui dalla
mia famiglia, in definitiva, è per me come ritornare piccola e farmi coccolare
resta la mia prerogativa principale.
“Quella che sto per raccontarti
è una storia vera” dice appoggiando il libro sul suo grembo e sfogliandone le
pagine un po’ ingiallite. “Una storia nata tanto tempo fa, quando ancora sulla
Terra regnavano i capricciosi Dei della natura e l’uomo non era che una piuma
sospinta dal vento…”
Assaporo un altro sorso di tè e
rimango in attesa. La nonna, proprio come allora, mi rivolge uno sguardo dolce e
poi ricomincia.
“E’ la storia di due innamorati,
di due anime che si perderanno e ritroveranno in una spirale di eventi guidati
dalla forza più grande dell’uomo, l’amore.
“Questi due giovani vivevano in
una cittadina affacciata sul mare e baciata dal sole. In questo luogo,
silenzioso e pacifico, i ragazzi erano cresciuti insieme, dapprima come amici,
poi come amanti. Tuttavia un’ombra divina macchiava il loro luminoso futuro. La
ragazza, infatti, era oggetto dell’amore del grande e potente Dio del mare,
Poseidone. Lui la guardava ogni giorno da lontano
e da lontano aveva visto crescere quel forte sentimento che la univa ad un
umano.
“Quando i due ragazzi,
inconsapevoli e innocenti, si scambiarono la promessa d’amore, accadde la
disgrazia: il mare da calmo mutò in tempesta, il cielo si oscurò e nuvole
cariche di pioggia nascosero il sole e il suo calore,
forti venti iniziarono a soffiare sulla piccola cittadina, piegando e
scuotendo gli alberi. Gli uomini, spaventati, abbandonarono le reti sulla
spiaggia e corsero a rifugiarsi nelle case. Trasportate dal vento, le urla di
terrore dei bambini quasi svanirono nel rombo assordante di fulmini e saette.
Improvvisamente dal mare profondo emerse il cocchio divino. Era maestoso! Creato
e costituito da acqua guizzante, si innalzava sul vasto oceano come un’onda su
una scogliera. Grande molto più di una casa, emetteva la luce di un sole.
Trainato da dieci maestosi cavalli, bianchi e dalle bardature dorate, veloce
come il vento, raggiunse in breve i due amanti attoniti. Dall’interno della
carrozza fuoriuscì un turbine d’acqua gelata che avvolse e fece sparire la
ragazza. Infine, con enorme frastuono, il cocchio ripartì sparendo fra i flutti,
lasciando sulla terra ferma il ragazzo nella più cupa disperazione. Nonostante
il fato contrario, però, si mise alla ricerca dell’amata. Passarono giorni,
mesi, anni, ma lui era instancabile e testardo,
come solo l’amore vero sapeva essere.
Apollo, Dio del Sole, commosso
da cotanto forte sentimento e tanta devozione, decise di aiutare il giovane e,
avvoltolo in una sfera di luce, lo condusse nelle profondità dell’oceano.
Convinse Poseidone a mettere alla prova i due giovani e la sincerità dei loro
sentimenti. Egli richiamò la ragazza al suo cospetto e le pose innanzi delle
preziose tele, imponendole di sceglierne una. Benché non ne capisse il motivo,
la giovane le osservò tutte con attenzione, e alla fine ne scelse una. Nella
tela prescelta vi era raffigurato un semplice scenario
agreste, con una collina e un piccolo paese sullo sfondo. Non vi erano
pietre preziose né fili d’oro ad adornarla, contrariamente alle altre, eppure le
parve che brillasse. Fu allora che il castello d’acqua si sciolse in mille bolle
e la ragazza si ritrovò sulla collina raffigurata nella tela. La voce del Dio
Apollo, come un imperioso tuono, proruppe potente nell’aere immoto e le disse
che gli abitanti del paese erano vittime d’incanto: il potente Dio delle acque,
infatti, aveva tramutato tutti gli abitanti in fredda pietra. Se prima del
tramonto del sole fosse riuscita a riconoscere l’amato fra gli oggetti
impietriti, allora l’incanto sarebbe svanito e loro avrebbero riconquistato la
libertà; in caso contrario sarebbe appartenuta per sempre al Dio Poseidone e
l’amato avrebbe conquistato l’eternità diventando pietra immutabile.
Quando il Dio terminò di
parlare, il tempo riprese a scorrere veloce. La ragazza corse a perdifiato fino
al villaggio, perlustrò strade e vicoli nella speranza di riconoscere, nel
caleidoscopio di grigia vita incantata, qualsiasi cosa la potesse ricongiungere
al suo amore. Durante l’affannata corsa contro il tempo, inciampò su di una
pietra e rovinò a terra. Alzò lo sguardo e vide davanti a sé un piccolo
cuoricino di pietra rozza, così si mise a sedere,
lo prese fra le mani e lo osservò: era scheggiato e privo di una metà. Lo
avvicinò al viso e pianse, proprio mentre il carro solare ormai spariva oltre ai
flutti, pensando a come quel cuore le ricordasse il dolore sprigionatosi dalla
perdita del suo amore. Le calde lacrime scivolarono lungo la sua guancia e
accarezzarono lentamente il piccolo cuoricino. In quel momento dal mare si udì
un ruggito spaventoso. La terra tremò violentemente e si squarciò, le case
crollarono su se stesse e vennero risucchiate all’interno della voragine creata
dal terremoto, il sole esplose in un turbine di luce e mille palle infuocate si
infransero lungo il crinale della collina. Nel tentativo di proteggersi, la
ragazza si voltò di lato e si coprì gli occhi. La terra allora smise di tremare,
le case e gli uomini di pietra scomparvero e il frastuono cessò. Aprì gli occhi
e si ritrovò davanti il volto dell’amato. Alle loro spalle il mare ondeggiava
lento e pacifico, il vento le accarezzava le vesti leggere, mentre in alto il
sole abbracciava i due amanti ritrovati.
Il loro amore era riuscito a
vincere la capricciosa volontà di un Dio.”
Appoggio la tazza del tè sul
tavolino. Guardo mia nonna alzarsi e dirigersi verso la cucina. La seguo senza
rendermene conto.
“E’ proprio una bella storia,
sembra un sogno.”
“Tutte le storie d’amore
sembrano sogni.”
“Lo sai?” le dico scostando una
sedia dal tavolo, “ascoltandoti mi è proprio venuta voglia di innamorarmi davvero.”
La nonna non dice niente. Dà uno
sguardo all’orologio e si lega un grembiule attorno alla vita.
“Resti a cena?” mi chiede
armeggiando fra i fornelli. “Il nonno sarà felice
di rivederti.”
“Solo se mi permetti di darti
una mano!” le dico avvicinandomi e abbracciandola da dietro.
Sento la porta d’ingresso
aprirsi e, poco dopo, il nonno borbottare qualcosa sulle nipoti irresponsabili
che si dimenticano dei vecchi. Non posso vederli ma so che stanno sorridendo. E
mentre lo penso capisco finalmente cosa voglio dalla vita: voglio vivere anche
io un amore come il loro. Voglio anche io un amore “per sempre”, capace di
affrontare le difficoltà e di uscire vittorioso. Voglio invecchiare
rispecchiandomi negli stessi occhi che mi hanno visto giovane e bella. Voglio
vivere un amore vero.
Romanticismo del XXI secolo?
Forse potrebbe essere un azzardo, però mi è venuta voglia di scommettere ancora.
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