Titolo: Sotto
l'albero
Pairing:
Accenni a Pierre/Chloe e Apollo/Silvia
Rating: G
Conteggio Parole:
1083
Warnings:
Nessuno
Spoiler:
Nessuno
Note: La mia
prima
fanfiction su Aquarion. (Immaginatevi l'emozione!)
Questa e una storiella che ha l'unica pretesa di strapparvi almeno un
sorriso nell'avvicinarsi delle festività Natalizie: ma la
cosa veramente bella è che non solo sono riuscita a
mettereci dentro tutto ciò che volevo, ma anche qualcosina
in più. Fantastico!
Disclaimer:
Sousei no Aquarion appartiene agli aventi diritto. Questa fanfiction
non è scritta a scopo di lucro.
Dedica:
Sorpresa, sorpresa! Chi si è avventurato nell'oscuro e
semirimosso fandom di Aquarion per farti un regalo, Erato?
Be', io, naturalmente.
Ci conosciamo da poco, lo so, ma io ho l'inquietante abitudine di
affezionarmi alla velocità della luce, alle persone, specie
se
si dimostrano tanto carine con me come lo sei stata tu negli ultimi
mesi.
Spero di tutto cuore che il pensiero ti faccia piacere e che anche la
fanfic ti piaccia almeno un pochino.
Un grosso bacione, e buon Natale!
-:-:-
Alto, fiero, imponente. Svettava solenne al centro del grande salone,
agghindato con le sue decorazioni rosse e oro, spargendo
tutt’intorno una miriade di riflessi cristallini dalle luci
bianche che lo decoravano e che sembravano calare su di lui come
sfuggenti fiocchi di neve.
Silvia si portò le mani al viso, gli occhi azzurri le
brillavano. «È meraviglioso, vero,
Fratello?» Lo osservò nuovamente, da cima a fondo
e poi sospirò. «Sarà un Natale
stupendo, me lo sento!» Afferrò il braccio di suo
fratello e se lo strinse al petto.
Sirius sorrise. «Sì, Silvia. È
veramente sublime.»
«Allora! Non abbiamo mica intenzione di restarcene qui a
fissare questo arbusto tutto il giorno, vero?» Pierre
sorrideva come un idiota, portando in testa un cappello da Babbo
Natale. «Per una festa come si deve abbiamo bisogno anche di
roba da bere e da mangiare, senza dimenticarci i regali da scartare, si
intende.»
Tacque un attimo e i suoi occhi brillarono per un istante.
«Ehi, Chloe!» La chiamò,
dall’altro lato della stanza. La ragazza si voltò
a guardarlo. «Che c’è?»
Lui le si avvicinò e le strinse le mani nelle sue.
«A proposito di regali…» La sua voce si
era fatta pericolosamente bassa e seducente. «Che ne diresti
di scartarlo
adesso, il tuo regalo, mh? E magari io posso scartare
anche il mio…»
Lei arrossì e distolse lo sguardo, non del tutto certa di
aver capito bene cosa lui intendesse. «Credo che bisogni
aspettare la notte di Natale, per questo!» E per restare sul
sicuro, ritrasse anche le mani.
«In realtà la questione è
controversa.» I due, e anche tutti i presenti, si voltarono a
guardare Jun che si sistemò gli occhiali sul naso.
«Cos’è controversa? In che
senso?»
«Ci sono tradizioni contrastanti. Alcuni aprono i regali allo
scoccare della mezzanotte della sera della Vigilia, mentre altri
aspettano la mattina di Natale. Sono tradizioni che variano perfino
all’interno di una stessa area geografica!»
Pierre inarcò un sopracciglio. «E
quindi?»
«Be’…»
«Ma certo che aspetteremo la notte di Natale, per scambiarci
i regali!» Silvia lo guardava con la sua espressione
più feroce; poi, improvvisamente, si raddolcì.
«E allora potrò dare a mio Fratello il regalo che
ho preparato appositamente per lui. E manca meno di una
settimana!»
La luce del Sole, fuori dalle finestre, aveva iniziato a calare, e ora
gettava bagliori rossastri sulle piastrelle lucenti del grande salone e
sui visi sovra eccitati di tutti quanti i presenti. O quasi.
Jerome, rintanato in un lato della stanza ormai da diverse ore,
sbucò fuori dal suo nascondiglio con un’aria di
insofferenza sul viso. «Natale o non Natale, non potete
starvene qui a bighellonare tutto il giorno! Ora che abbiamo finito con
quest’albero, tornate subito alle vostre mansioni.»
«Non è esatto!» Tutti i presenti si
voltarono, esterrefatti, quando sentirono – e poi videro
– Gen Fudo sbucare dalle tenebre. «E lei quando
è arrivato?»
«Sono sempre stato qui… E, comunque, tutti loro,
oggi, sono stati sottoposti ad un Addestramento Speciale!»
Jerome inarcò un sopracciglio. «E che genere di
addestramento sarebbe, si può sapere?»
«Le Tre Frecce sapranno indicare la via.»
«Ma che cosa diav…»
Ma lui era già sparito.
Gli Element rimasero immobili per un lungo istante con
un’espressione esterrefatta sul viso. Quell’uomo
era strano, davvero.
«Dopo tutto…» Reika si intromise,
timidamente. «È stata una giornata
tranquilla.»
Sirius scrollò le spalle. «Hai perfettamente
ragione.»
«A proposito di tranquillità
innaturale…» Pierre si tolse il cappello dalla
testa e lo lasciò cadere su una sedia, guardandosi attorno.
«Qualcuno ha visto Apollo?»
Ma nessuno ebbe tempo di rispondergli perché,
dall’ingresso del grande salone, entrò, correndo
come un matto, un grosso gattaccio nero con in bocca un altrettanto
grosso topastro e, dietro di lui, correva un animale ben più
grande e selvaggio con una criniera di folti capelli rossi e occhi
dorati che mandavano bagliori eccitati nella caccia.
Silvia si tirò indietro, urlando.
«Apollo!»
«Credo che tu l’abbia trovato, Pierre,»
commentò qualcuno divertito e Jerome, portato al suo limite,
iniziò a strillare come un matto, spostandosi da un capo
all’altro della stanza, indicando il gatto che, per fuggire
al suo cacciatore, si insinuava tra le gambe e sulle sedie.
«Ma chi ha fatto entrare quell’animale?»
Sirius, che per scansare la corsa di quei due si era trovato accanto
all’uomo, sollevò il mento e arricciò
il naso indignato, di fronte alla tragedia che si stava consumando
sotto i suoi occhi. «Quale
dei due?»
Apollo nel frattempo, incurante di tutto, continuava ad inseguire il
suo gatto in lungo e in largo, ribaltando sedie e poltrone e
danneggiando qualsiasi cosa su cui mettesse mani o piedi.
«Fermati subito, animale!
Stai distruggendo tutto!»
Ma lui, ovviamente, non aveva che occhi e orecchie per quel gattaccio
che gli aveva rubato la sua cena. Il felino, esausto e terrorizzato, si
lanciò in un’ultima corsa disperata tra le gambe
di tutti i presenti che, se non riuscivano a scansarsi, cadevano come
birilli travolti dalla furia della caccia.
Silvia avrebbe voluto picchiarlo. In pochi minuti quella bestia
selvaggia era riuscita a rovinare tutto il duro lavoro di una giornata
intera. Vide i bicchieri rotti sul pavimento, le poltrone rovesciate,
gli addobbi splendenti tutti sciupati, l’albero che stava
per… No. Spalancò gli occhi celesti e la bocca,
esterrefatta dall’orrore. L’albero no!
Istintivamente si lanciò verso di lui, cercando di fermarlo,
cercando di impedirgli di fare il danno più grave di tutti.
Non poteva rovinare l’albero, non poteva. «Apollo,
fermati immediatamente!»
Non si accorse del gatto che le passò a pochi centimetri
dalle gambe e quasi non si rese nemmeno conto di Apollo che, incapace
di oltrepassarla, le cadeva addosso, facendole sbattere la testa contro
un ramo basso e poi sul pavimento freddo.
Lei sbatté le palpebre, intontita, guardando la punta della
pianta oscillare insieme alle luci dorate che la ricoprivano. Luci
dorate? Erano luci, quelle?
«Ehi, principessa fessa, ma sei impazzita? Mi hai fatto
perdere la cena!»
No, non erano luci. Erano occhi. Occhi dorati. Lei si agitò
un pochino, a disagio, mentre tutte le figure tornavano a posto. Certo
che erano occhi, naturale. Poteva vederli benissimo, ora che erano
così vicini.
«Silvia? Stai bene?»
E quella era una voce. Una voce calda, molto diversa da quella che
aveva sempre voluto sentire. Ma come poteva ignorarla, ora, se quelle
labbra erano così vicine al suo orecchio, tanto vicine che
poteva sentire il fiato caldo sul suo viso.
«Silvia?»
Lei spalancò gli occhi, colta da un improvviso lampo di
realizzazione. Sentì le guance andare a fuoco e
desiderò ardentemente sprofondare nel pavimento.
Respirò a fondo.
«Psicocinesi!»
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