Long as I remember the rain been
comin' down
Clouds of mistery
pouring confusion on the ground
Good men through the
ages tryin' to find the sun
And I wonder, still I
wonder
Who'll stop the rain?
"Who'll Stop The Rain", Creedence Clearwater Revival
“E’ finita”.
L annuì con rassegnata convinzione, mentre il dito
che
teneva poggiato sulle labbra precipitava lentamente. Light lo guardava
trepidante, le mani strette sulle ginocchia davanti a lui, in febbrile
attesa
di una manifestazione di sconfitta o di sorpresa. Non poteva credere
che fosse
vero; ma, seppure in quel modo così inaspettato e raro sulla
scala delle
probabilità, era davvero finita. Avrebbe preferito qualcosa
di più risolutivo,
ma in fondo se lo aspettava. Combattere contro L non garantiva mai, in
ultimo
esito, una vittoria totale e definitiva.
“A quanto pare” disse infine Ryuzaki,
levando gli occhi
su di lui. Light non seppe cosa fosse, ma qualcosa nel suo sguardo gli
provocò
un brivido strano, come di disagio: gli parve persino di aver scorto in
quel
nero imperturbabile una strana forma di preveggenza, un che di destino
già
prefissato.
Nonostante ciò, le sue successive parole ebbero il
potere
di sorprenderlo.
“Sapevo che sarebbe andata
così” scandì pacatamente L,
appoggiandosi con lentezza contro lo schienale della sedia.
“Era il minimo che
potesse capitarmi in sorte, essendomi messo contro di te”.
Un lento sorriso gli affiorò sulle labbra, come se
il suo
stesso discorso lo divertisse intimamente. Light si impose di rimanere
impassibile
ma la curiosità lo stava lentamente vincendo, riuscendo in
un’impresa in cui lo
stesso L aveva fallito.
“Cosa intendi dire con questo?”
Il sorriso di Ryuzaki non accennò a ritirarsi.
“Che poteva finire molto peggio, per me. Ma non mi
illudo. Non sono riuscito a sconfiggerti, e tu non sei riuscito a
battermi:
tuttavia, in questa partita non giochiamo solo in due. Non è
ancora stata detta
l’ultima parola”.
Light scosse lentamente la testa, chiudendo gli occhi in
un veloce gesto di insofferenza. L non accennava né a
smettere di sorridere né
a distogliere lo sguardo da lui.
“Continuo a non capire”.
“Mi stupisci, Light” rispose Ryuzaki,
cadenzando il
proprio tono di voce. “Credevo che, essendo quello che sei,
fra tutti gli
esseri umani di questa terra saresti stato proprio tu il più
indicato ad
esacerbare la questione”.
“E chi sarei io?” ribatté
Light, infastidito. Conosceva
già la risposta.
L declinò il proprio sorriso in una smorfia che gli
sembrò quasi malinconica.
“Ma Kira, naturalmente”.
Sapevi.
Se ne ho avuto la
piena certezza soltanto quando mi hai guardato in fin di vita, tremante
fra le
mie braccia come un amante tradito, ne ebbi una strana ed irrazionale
consapevolezza quella sera.
Mi hai sorpreso
sino alla fine, L; fino alla fine sei rimasto quello che io ero per te.
Un enigma.
L’enigma per
eccellenza, forse. La schermaglia intellettuale portata alla
sublimazione.
La sfida per la
quale avresti ottenuto la vittoria o saresti morto.
Ero diventato il
tuo massimo obiettivo personale, il tuo chiodo fisso, la tua
ossessione. E da
questo sono assurto anche a tuo primo amico, secondo una tua delirante
definizione che non sono mai riuscito ad accettare.
E così, tenendo
stretto l’amico assassino, infine sei morto.
In questo momento,
a conti fatti, sono certo di poterti definire il mio capolavoro:
pianificare il
tuo trapasso è stato complesso e faticoso, ma decisamente
soddisfacente per il
mio ego.
E per quello di
Kira.
Ti sembrerà strano,
ma nonostante tutte le grane che mi hai provocato, mi trovo a vivere la
tua
morte in maniera molto più personale di quanto avrei mai
potuto pensare. La
centrale è piatta e inutile senza di te, senza il tuo
fondamentale apporto
intellettivo di cui io, proprio io- non è forse ironico
quello che noi umani
chiamiamo destino? – ho assunto la responsabilità.
Light come Kira e
come L. Difficile aspirare a qualcosa di più.
Un Dio che spicca,
fra tutte le sue qualità, per l’intelligenza pura
e perfetta.
Un giustiziere
efficiente e praticamente incapace di sbagliare.
Sarebbe potuta
continuare molto di più, L, e forse non mi sarebbe neanche
dispiaciuto – ma il
caso ha voluto che qualcosa di assolutamente ingovernabile ponesse fine
alla
tua vita. Io ti ho sconfitto, L: ma non sono stato io ad ucciderti.
E questo incrina
leggermente la mia soddisfazione.
In una qualche
utopica concezione di scontro alla pari, mi sarebbe piaciuto porre
personalmente fine alla tua vita, da avversario leale.
L’avresti meritato.
Penso l’avresti anche voluto, invece di finire ammazzato da
uno Shinigami
afflitto da pene d’amore per Misa.
Ma non è il caso di
rammaricarsi. Con te è morto anche l’ultimo
baluardo di speranza elevato contro
Kira.
Perché nessuno, e
di questo sono certo, L, raggiungerà mai il tuo livello.
Nessuno rappresenterà
mai più il pericolo che tu sei stato per me.
Dovresti sentirti
onorato, Ryuuzaki. Si può dire che insieme a te termina
un’era.
La Giustizia umana
è morta: ora comincia l’operato della Giustizia
divina.
Light fece una smorfia seccata, appoggiando la schiena
alla poltrona con un gesto brusco.
“Mi risparmierò il fastidio di negare,
questa volta, ma
solo perché sono stanco di ripetere la stessa frase
all’infinito”.
L abbassò lo sguardo sulla scacchiera davanti a
sé,
annuendo come in contemplazione. I due re si fissavano immobili, quasi
spaesati
dalla posizione più unica che rara in cui si erano venuti a
trovare: solitari
superstiti di uno scontro titanico, che ironicamente era rimasto senza
un
vincitore né un vinto.
“Fai bene, Light” disse sottovoce L, lo
sguardo fisso sul
proprio re, il re nero “perché questa è
l’ultima volta in cui ti troverai costretto a
prenderti la seccatura di
mentire”.
Light aggrottò le sopracciglia. Il suo doppio sulla
scacchiera, bianco e lucido alla luce della finestra, sembrava guardare
di
sottecchi l’avversario disposto all’altro capo
della sua diagonale.
“Che cosa intendi dire?”
In risposta, lentamente, L allungò una mano e
afferrò il
re bianco. Sotto lo sguardo attonito dell’altro, lo fece
viaggiare da una parte
all’altra del campo di gioco e con un gesto calmo quanto
inesorabile rovesciò
il re nero.
Questo oscillò brevemente prima di rotolare oltre
il
bordo, sul tavolo, dove rimase inerte e inanimato.
“Che ho perso la partita” concluse
semplicemente L,
rimettendo il re bianco al proprio posto. Light lo fissò per
qualche secondo,
cercando nei suoi occhi impenetrabili una spiegazione a quella mossa
assurda;
poi, stanco del suo forzato silenzio, lo apostrofò
sarcasticamente:
“Quel che hai fatto, oltre a essere completamente
insensato, va contro le regole del gioco. Il re può muoversi
in tutte le direzioni,
ma di una sola casella: e in caso di parità i due giocatori
giungono alla
patta. Il risultato si mantiene quindi neutro per entrambi le
parti” concluse,
in tono saccente.
Con grande sorpresa di Light, L scoppiò in una
breve
risata di gola, che sembrò spiccare il volo verso il
soffitto per poi ricadere
in pezzi sul pavimento. Il suo volto era tirato e provato dal sonno, e
tutto il
suo essere dava prova di quella grande stanchezza propria della
rassegnazione
ad una sconfitta - ma i suoi occhi brillavano di sincero divertimento.
“Ma d’altro canto mi sembra ovvio che tu,
Light, o chi
per te, non giochi secondo le regole. Mi sbaglio, forse?”
disse, con voce alta
e leggera,come se stesse spiegando un concetto elementare a un bambino
un po’
stupido. “Una lieve forzatura, e il destino di un uomo cambia
per sempre.
Fossimo stati solo io e te, o io e te e la polizia, probabilmente
sarebbe
finita alla pari, come nella nostra partita: ma vi è una
mano potente e
infallibile che, alle volte, muove i pezzi al posto tuo, una mano
estranea che
io non conosco e della quale non posso prevenire le mosse. Fermami
quando il
mio ragionamento ti sembra troppo inverosimile” aggiunse poi,
spinto come da
una forma di strano rispetto.
“Stando così le cose avrei dovuto
zittirti appena hai
aperto bocca” rispose brusco Light, urtato dal suo
labirintico quanto
pertinente ragionamento. “Tutto quel che hai detto non ha un
minimo di senso”.
L fece un breve cenno del capo, simile alla leale toccata
di uno schermidore.
“Concordo con te sul fatto che quel che dico
può sembrare
strano, ma concedimi un’ultima parola a riguardo prima di
andare a dormire,
Light: per quella mano, sia io che te non siamo altro che
pedine” disse,
sporgendosi avanti sulla poltrona, in precario equilibrio sulle punte
dei piedi
“pedine altamente sacrificabili, e tu non farai la
differenza: un accesso di noia,
un improvviso cambiamento d’idea…”
L colpì col dorso della mano il re bianco, in un
gesto
preciso e violento. Light compì istintivamente un veloce
scatto all’indietro e
rimase fermo,in attesa, gli occhi sulla parabola discendente che il suo
re
stava inesorabilmente compiendo in aria. I suoi respiri accelerarono di
un
colpo, come in sentore di un grave pericolo: poi, con un lieve
rintocco, la
pedina toccò il pavimento e dopo un goffo rimbalzo rimase
rovesciata su un
lato.
“…e il re bianco muore, impotente, come
tutti i pedoni,
gli alfieri, i cavalli, le torri, le regine che l’hanno
preceduto”.
Quello che non sei
mai riuscito a capire, Light, è che il vero mistero non
è mai stato Kira: eri
tu.
Lo studente
modello.
Il freddo
approfittatore.
Il fine razionalista.
Il figliol prodigo.
L’affascinante
oratore.
L’amante della
Giustizia.
Tutto questo era
seducente e accattivante.
Tutto questo ti
aveva reso il mio primo e ultimo amico.
In alcune cose eri
simile a me; in altre, decisamente positive, eri il mio opposto.
Eri un L senza
un’infanzia nebulosa, senza le sempiterne occhiaie scure,
senza il bisogno di
assumere buffe posizioni per usare al meglio il proprio intelletto;
senza il
mio vuoto, senza le mie mancanze, senza le mie stranezze.
Ti ho sempre considerato
un L che fosse degno di dormire più di quanto facessi io, e
di mostrarsi alla
luce del sole, e di avere una ragazza, degli amici e una famiglia che
fossero
fieri di lui.
Mi affascinavi.
Era la prima volta
che incontravo qualcuno da poter considerare al mio livello, qualcuno
che
potessi paragonare a me, qualcuno con cui potessi confrontarmi.
In te mi ritrovavo:
e che colpo, quando non ti sei rivelato nient’altro che il
volto presentabile
di Kira.
Tu stesso sei stato
la falla nel mio ragionamento perfetto; tu sei stato la mia debolezza
più
grande, quando non ero nemmeno certo di possedere debolezze di sorta.
Eri la proiezione
della parte più vulnerabile della mia natura e,
com’era logico che fosse, mi
sei stato fatale.
Tutto questo perché
a te mi ero attaccato.
Tutto questo –
penso sia giusto dirlo così – perché ti
ho amato.
Come un fratello,
come un padre, come un figlio, come un amante, non saprei: non ho mai
provato
niente di simile per nessuno, a parte quel sentimento meno conflittuale
e
problematico che sentivo verso Watari.
Forse quel che mi
legava a te comprendeva tutte queste pulsioni sconosciute.
Anche se è tardi
ormai, mi piacerebbe capirlo fino in fondo.
L’unica cosa che so
per certo è che non mi pento di averti incontrato: senza di
te, sarei morto solo
e con un inutile mucchio di certezze assolute fra le mani.
Ed essere soli non
significa per forza non avere nessuno accanto.
Si può anche essere
soli in sé stessi, soli in una folla.
Da quella
solitudine non si guarisce; ci si può solo imparare a
convivere.
Il silenzio otturava le sue orecchie come un rombo assordante.
L era scivolato giù dalla poltrona con la sua
consueta
liquidità ed ora stava chino ad osservare il re caduto,
considerandolo con una
sorta di pietà. Light digrignò i denti.
Quel gioco era durato anche troppo.
“Ryuuzaki” sibilò, freddamente.
L si girò con lentezza,
giocherellando col re che aveva preso in mano: lo sguardo che gli
rivolse
esibiva due occhi ingenuamente in attesa di qualcosa, come di una bella
notizia.
“E’ tardi” continuò
Light, conficcando le unghie nei
braccioli della sedia prima di alzarsi. “Domani è
un’altra giornata di lavoro,
ho bisogno di riposare”.
“Oh” gli rispose l’altro, a voce
bassa “ma certo, Light.
Scusami. Con questa storia della partita
ti ho tenuto sveglio più di quanto probabilmente tu avessi
intenzione”.
Stava lì, ginocchioni sul pavimento di moquette,
illuminato dalla luce opaca dei lampioni di strada che lo rendeva
simile a un
qualche animale randagio. Light gli rivolse una lunga occhiata,
dall’alto della
sua posizione eretta: stranamente, non gli veniva in mente niente con
cui
rispondergli. La serata stessa, dal suo pricincipio sino a quella
inquietante
fine, l’aveva lasciato spiazzato. Subito dopo cena Ryuuzaki
era venuto da lui,
la scacchiera in mano come un’offerta di elemosina, e gli
aveva chiesto nel suo
solito tono lento ed educato se gli andava di giocare con lui. Light
aveva
accettato; se spinto dall’ennesima sfida lanciatagli da L o
dal gesto infantile
che lui aveva fatto, quello stupido movimento che fanno sempre i
bambini – scuotere
i pezzi dentro la scatola -, non lo sapeva.
La partita era durata dalle nove alla mezzanotte e mezza.
Nessuno di loro due si era sorpreso di quanto la strategia
dell’altro fosse
simile alla propria; in qualche modo, se lo aspettavano.
L gli aveva lasciato i pezzi bianchi. Light inizialmente
aveva tentato di rifiutare ma c’era un che di rassegnato che
rendeva la
sicurezza del detective insormontabile. E così si era
ritrovato ad accettare
quel cortese vantaggio che in verità lo infastidiva,
provocando il suo orgoglio.
La prima ora era passata senza neanche una pedina
mangiata: entrambi aveva tessuto una fittissima ragnatela di inganni in
cui
però nessuno dei due era ancora caduto. Fu Light a
mangiargli il primo pedone,
e il sorriso di sincera soddisfazione che gli aveva rallegrato il viso
mosse
dentro a L una strana quanto immotivata tristezza. Si era dimenticato
di quel
modo che Light aveva di dimostrare gioia: il modo inoffensivo,
discreto, che
non ne affilava i tratti ma al contrario li distendeva piacevolmente.
L gliel’aveva visto in faccia pochissime volte ma,
in
quel momento, non aveva esitato un attimo a riconoscerlo.
“Bella mossa” gli disse, un dito a
tormentarsi il labbro
inferiore alla ricerca di un buon contrattacco.
“E’ solo un pedone” gli rispose
lui, monotono, senza
alzare gli occhi dalla scacchiera.
Sì. Certi pezzi, certi esseri umani, per Light erano
sempre stati solo pedoni.
“Non mi ricordo chi disse che su una scacchiera, al
pari
di un campo di battaglia, il sangue scorre a fiumi”
sillabò attentamente L,
spostando in concentrazione un alfiere di tre caselle. Light
seguì la mossa con
lo sguardo, le dita incrociate sotto il mento e le sopracciglia
convergenti in
una piega spigolosa.
“Il paragone calza” disse, lapidario.
Erano rimasti in silenzio fino al termine della partita,
fino a che, pezzo dopo pezzo, erano giunti a quella ridicola impasse
che non si
riconosceva nella realtà.
“Allora buonanotte”.
Al suono della sua voce calma, Light si riscosse dai suoi
pensieri. L lo guardava immobile, piegato in avanti con le mani nelle
tasche;
sulla scacchiera, il re bianco era tornato sulla casella di partenza.
Guardò il proprio orologio. Era notte inoltrata.
“Tu non vai a dormire, Ryuuzaki?” chiese,
neutro. L in
risposta fece un piccolo sorriso. I capelli gli erano scivolati
davanti agli
occhi come una cortina di fumo e mascheravano il resto del viso, neri e
impenetrabili.
Light lo guardò voltarsi lentamente verso
la finestra e poggiare una mano sul
vetro, assorto e imperturbabile come lo era stato durante la partita.
Sottili
strisce di pioggia scivolavano sulla superficie macchiando la luce di
riflessi
azzurrini.
“No”. L’aveva detto
così piano che Light si domandò se
non se lo fosse inventato lui stesso. “Non penso che stanotte
dormirò”.
Light non trovò niente da dire e imboccò
la porta,
silenzioso, spingendo la maniglia con religiosa attenzione.
L ne seguì il suono leggero con la mente.
“Piove…” disse in un sospiro.
Sentì che lui si fermava, un piede già
nel corridoio: L
attese, ma Light non si voltò, e non tornò
indietro.
Nel silenzio, la serratura scattò come una
condanna.
Il giorno dopo pioveva ancora.
Dall'autrice: so
che sto diventando monotona con tutte queste fic sulla morte di L, ma
in questo momento non riesco a scrivere altro su Death Note. Da quando
ho visto la puntata 25 la mia testa è rimasta fissata
lì.
Il giorno di pioggia più traumatico della mia vita
ç__ç
Speriamo prima o poi di riuscire a operare uno straccio di catarsi,
altrimenti non riuscirò più ad andare avanti con
l'anime e la storia merita di essere conclusa, dannazione.
Scusatemi il piccolo sfogo, ma è più forte di me.
Se vi è piaciuta, lasciatemi qualche commentino, e
farò salti di gioia per la stanza...^^
P.S. Lascio qui la traduzione della canzone messa in apertura:
"Da quando riesco a ricordare, la pioggia viene giù
Nuvole di mistero che scaricano confusione sulla terra
Uomini buoni che attraverso gli anni cercano di trovare il sole
E mi domando, continuo a domandarmi
Chi fermerà la pioggia?"
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