Nemmeno so da dove
iniziare.
Dunque, scritta per la
exchange di Natale, questa fic è ispirata al prompt della
rivelazione dei poteri di Merlin ad Arthur.
Non mi vergogno di dire
che è stata un'impresa atrocemente difficile per me scriverla. Non
perché non sapessi cosa fare, ma perché il prompt in sé lasciava
talmente tanta libertà che non sapevo dove sbattere la testa.
Risultato? Questa che
leggerete è la sesta, e sottolineo, sesta fic che il prompt mi ha
ispirato. Dietro a me ci sono altri 5 parti di cui ho scritto circa 2
pagine l'uno che poi ho abbandonato perché non mi sembravano consone
all'exchange... Quindi ora ho altre 5 fic che, giustamente,
pretendono di essere finite.
Scrivo questa introduzione
prima di aver finito la storia, augurandomi che questa sia quella
definitiva.
Ho optato per questa
perché la scoperta della magia è la protagonista indiscussa, mentre
nelle altre Arthur scopriva la cosa di conseguenza ad altri
avvenimenti che erano più rilevanti nella trama. Spero di averci
visto giusto. Comunque prima o dopo (immagino prima) leggerete anche
le altre 5 storie e poi magari mi darete della scema perché ritenete
che una a random delle altre sarebbe stata migliore di questa.
Beh, faccio tantissimi
auguri di Natale a tutti, specialmente a chi questa storia è
dedicata, spero vivamente che sia di suo gradimento!:3
Ringrazio l'eccezionale
beta reader che si è sobbarcata la correzione di questa fic: moony90
Behind
blue eyes the darkside of the moon.
It's
like I've been awakened Every rule I had you breakin' It's
the risk that I'm takin' I ain't never gonna shut you out
Beyoncé-Halo
“ Non osare calare la
lama su di lui”.
I suoi occhi blu erano
così taglienti che il cavaliere si ritrovò a deglutire prima di
rinfoderare la spada e compiere un passo indietro.
“ Sire ma..” provò a
blandirlo con voce forzatamente pacata.
“Non osare discutere le
mie parole.” Fermo. Deciso.
Non gli importava di
essere irragionevole.
Non gli importava andare
contro a tutto ciò che aveva, fino a quell'istante, professato.
La coerenza in quel
momento era l'ultima delle sue priorità.
Il braccio di Merlin,
completamente inerme, era stretto nella ferrea morsa della sua mano
guantata e quella certezza era da sola sufficiente a sostenere la sua
determinazione, in quella che sapeva sarebbe stata la sua rovina,
senza ombra di dubbio,.
I cavalieri lo guardarono
ammutoliti, confusi, sgomenti.
Il principe li fissò uno
per uno, la spada sguainata in una mano, l'altra saldamente stretta
alla sua personale ancora.
Non un briciolo di
esitazione nel suo sguardo, non l'ombra della confusione nel suo
volto.
La sua fermezza palesata
dalla sua postura composta.
Seguì un lungo silenzio
rotto soltanto dal rantolo spezzato di Merlin che implorava Arthur di
smetterla, di lasciar perdere.
Ma il principe lo
ignorava.
Non poteva permettersi
distrazioni.
Non poteva concedersi
esitazioni.
Lui, il principe, stava
esercitando la sua autorità sopra quella di suo padre.
Un cedimento di
qualsivoglia natura, persino il più banale, avrebbe decretato la sua
sconfitta e avrebbe indotto i cavalieri a prediligere gli ordini
supremi del re a discapito di quelli del principe.
E non poteva accadere.
Doveva ad ogni costo
guadagnarsi la totale fedeltà e lealtà dei suoi uomini e non quella
riflessa di cui aveva sempre goduto in quando Arthur, figlio del re.
No, ora era di vitale
importanza che i cavalieri scegliessero lui, ripudiassero l'autorità
massima e consacrassero la loro nobiltà e lealtà ad Arthur il
principe, perché egli era fermo e giusto. La limpidità dei suoi
intenti doveva risaltare cristallina come il suo cuore privo di
qualsivoglia rancore o timore.
Per questo non poteva
concedersi nessun cedimento.
I cavalieri lo fissarono
per un lungo attimo poi, soverchiati, rinfoderarono le spade e si
inchinarono al cospetto del principe.
“ Come desiderate,
Sire.”
Arthur annuì compiaciuto
e ripose pacatamente la spada nel fodero, ogni tremore stroncato
dalla sua volontà, poi volse il capo verso il servo, chiuse gli
occhi e sospirò.
Aveva vinto.
****
Seduto su quello
scomodissimo sgabello Arthur vegliava sul giovane servo con le
braccia conserte e lo sguardo ormai perso, incatenato a quel corpo.
Merlin giaceva in quel
letto ormai da due giorni ansante, gemente di dolore, sudato. Le
membra ricoperte di bende venivano puntualmente cambiate ogni due
veglie dal cerusico che, con amorevole cura, tamponava con freschi
cataplasmi le innumerevoli ustioni che martoriavano il corpo del
figlioccio prima di bendarle nuovamente.
Gaius entrò nella stanza
per la seconda volta da che il sole era sorto. Appoggiò la bacinella
con l'acqua sul grezzo tavolino e una più piccola contenente un
impacco verde acceso sul letto. Pazientemente cominciò a togliere la
fasce con estrema cautela partendo dalla mano destra.
Arthur non lo aiutò.
Si era presentato due
giorni prima varcando trafelato la soglia delle sue stanze con il
corpo di Merlin orribilmente ferito tra le braccia. Il cerusico era
subito accorso chiedendo con voce disperata cosa gli fosse accaduto,
cosa l'avesse ridotto in quello stato tanto grave.
Il principe aveva risposto
con voce asettica, atona:
“ Il suo potere, Gaius,
la sua magia lo ha ridotto così.”
Da quel momento Gaius non
l'aveva udito più proferir verbo.
Stava semplicemente seduto
a fissare Merlin nel suo calvario.
Non lo aiutava a
medicarlo, non lo denunciava al re.
Non vi era né condanna né
perdono nei suoi occhi blu, semplicemente osservava.
“Guarirà
completamente?”
Dopo due giorni di
silenzio le sue parole fendettero l'aria come una lama.
Gaius esitò, alzò lo
sguardo per testarne l'espressione dato che il tono non suggeriva
alcun particolare sentimento.
Il volto pareva una
maschera tuttavia, negli occhi, il vecchio cerusico poté leggervi la
scintilla della preoccupazione.
Si sentì incredibilmente
sollevato e gli sorrise sincero, rispondendogli con serenità:
“ Ci vorrà del tempo
Sire, ma Merlin si riprenderà perfettamente: è giovane e forte.”
Arthur annuì esitante, si
mordicchiò il labbro inferiore guardando il volto sofferente del
giovane mago poi domandò:
“La sua...magia... lo
aiuterà a riprendersi?”
Quella dannata parola
rotolò fuori dalla sua gola come un macigno troppo grosso per
passare da un'apertura troppo stretta, ma appena riuscì a
pronunciarla seppe di essere pronto per affrontare tutta la realtà.
In quei due giorni aveva
guardato il suo servo senza capacitarsi di come un corpo così
all'apparenza fragile potesse realmente contenere tutto quel potere.
Più lo guardava meno ci
credeva.
Vedeva le sue braccia
magre e non poteva credere che arti così scarni potessero,
semplicemente sollevandosi, sprigionare una forza che avrebbe
spezzato senza esitazione la sua spada e le sue vigorose braccia
forgiate da anni di allenamenti.
Osservava quelle labbra
così pallide, sottili.
Si erano schiuse
innumerevoli volte per rivolgersi a lui con sfacciate osservazioni o
premurose parole di conforto. Lo aveva visto mordicchiarle nervoso
più di una volta e stendersi in un sorriso luminoso molte altre.
Come poteva credere che
quelle labbra fossero in grado di aprirsi attorno a parole dalla
forza distruttiva, devastante?
E gli occhi…
Dio, quegli occhi!
Erano la cosa che più lo
tormentavano.
Azzurri come il cielo,
come il lago in una giornata di sole.
Avrebbe potuto riconoscere
gli occhi turchesi di Merlin ovunque, avrebbe saputo che erano i suoi
in mezzo a mille. Perché quegli occhi appartenevano a lui e lui
soltanto, perché avrebbe potuto spendere minuti a trovare in quelle
iride sfumature mai notate.
Ma mai avrebbe immaginato
che l'azzurro del cielo si potesse tramutare in oro così
scintillante. Sembrava aver sciolto il precedente colore come una
tinta destinata a non durare, come una maschera di cera ormai
liquefatta.
Come potevano quegli occhi
celare un tale potere?
Come?
“Non lo so Sire, davvero
non ve lo so dire.”
La risposta del cerusico
arrivò mesta mentre con cura spalmava il cataplasma sulle ustioni.
Merlin si inarcò gemendo
e Arthur trattenne il respiro.
“ Lo so figliolo che fa
male, lo so... resisti...” gli sussurrò Gaius spostandogli i
capelli dalla fronte, ma il giovane si agitò nuovamente, il viso
contratto, il corpo che sussultava di dolore ad ogni movimento, anche
il minimo.
Il medico di corte gli
posò una pezza bagnata in fronte e questo sembrò placare, anche
solo lievemente, le sue pene.
Gaius tornò a spalmare
l'impasto verde sulle ferite.
“Non mi chiedi perché
non ho detto nulla a mio padre, Gaius?” domandò Arthur.
Già, perché non l'aveva
ancora fatto?
Perché l'aveva lasciato
vivere?
Perché non aveva fatto
pagare il prezzo delle menzogne con la morte?
Che cosa aveva visto in
quegli occhi d'oro da imporgli intimamente non solo di risparmiarlo,
ma di proteggerlo sopra ogni cosa?
Nemmeno lui lo sapeva, non
con esattezza per lo meno.
Si diceva che l'aveva
fatto per onore: una vita per una vita.
Merlin aveva salvato la
sua ed egli avrebbe ricambiato il favore.
Ma sapeva che c'era ben
altro.
Il puro onore non
l'avrebbe mai spinto a riportare il corpo di un nemico a Camelot per
essere curato.
Né lo avrebbe inchiodato
su quello sgabello a vegliare per giorni.
Il medico lo fissò per un
secondo, poi riprese il suo operato.
“ Perché ho il timore
che possiate farlo, Sire. Perché temo che spingervi a spiegare le
vostre ragioni a voce alta le faccia risultare al vostro stesso
orecchio meno convincenti e meno valide al punto di farvi addirittura
sentire un sciocco per non averlo denunciato fino ad ora.” confessò
senza l'ombra della vergogna.
Tacque per pochi istanti
poi guardando negli occhi il principe, domandò:
“ E voi, Sire? Non mi
domandate perché fino ad ora abbiamo taciuto?”
“Non sono così sciocco,
Gaius, da non rendermi conto del perché del vostro silenzio.”
sputò con rancore.
Di certo non lo era, non
lo era affatto.
Sapeva perfettamente che
chiunque con un minimo di amor per la propria vita avrebbe taciuto.
Ma non aveva mai
considerato Merlin “chiunque”.
Aveva sempre visto in lui
qualcosa di misterioso, qualcosa di semplicemente inafferrabile, ma
mai avrebbe pensato che quel che aveva visto di Merlin fosse nulla in
confronto a ciò che egli celava.
“Ragione e cuore non
vanno sempre nella stessa direzione. Io capisco che possiate sentirvi
tradito...” Arthur chiuse gli occhi.
Tradito.
Sì esatto.
Si sentiva tradito.
E detestava ammetterlo.
Aveva svelato tutto di sé
a Merlin: si era mostrato nei suoi momenti peggiori, nei suoi momenti
migliori.
Piegato dal dolore e
gonfio di gioia.
Dall'alto della sua
arroganza e dal basso della sua umiltà.
Merlin sapeva di lui ciò
che nessun altro immaginava.
Ed egli?
Egli cosa aveva scoperto
di sapere del suo servo?
Niente.
L'aveva visto piangere e
ridere.
L'aveva visto distante e
sconsolato.
L'aveva visto euforico e
partecipe.
Ma si era rifiutato di
condividere con lui i suoi occhi dorati.
E non importava quanto si
sforzasse di ripetersi che aveva avuto un buon motivo per tacere, non
riusciva a non pensare che ogni volta che lo vedeva lontano c'era
stato ben oltre quello che lui aveva immaginato a turbarlo.
E non gli aveva mai
svelato nulla, aveva sempre lasciato che il principe credesse quello
che voleva credere, aveva sempre lasciato che pensasse di averlo
capito.
E ciò che lo faceva
sentire ancora peggio era stato capire il perché non l'aveva fatto:
per paura.
Merlin si fidava così
poco del suo principe che aveva taciuto nel timore che lui tradisse
il suo segreto.
Ed era questo a graffiarlo
nel profondo.
Perché poteva fingersi
furibondo e oltraggiato, indignato e disgustato, ma la verità era
che ciò che sentiva era la rabbia di un leone ferito.
Merlin lo reputava dunque
tanto meschino da prendere la verità e sbatterla in faccia a chi
avrebbe potuto usarla per ucciderlo?
Non l'avrebbe mai fatto.
Avrebbe preso quella
confessione e l'avrebbe chiusa in uno scrigno e avrebbe sguainato la
spada per proteggerlo, se necessario.
E invece era venuto a
scoprirlo così, per un danno collaterale in battaglia, come un
prezzo che a volte bisogna pagare quando si combatte.
Non riusciva a non
togliersi dalla testa che, se non fosse stato per quel giorno, Merlin
avrebbe taciuto per sempre.
“No, Gaius. Non
capisci.” si passò una mano sul volto e i suoi occhi tornarono al
suo servo.
Gli aveva mentito.
Lo aveva tradito.
Ma soprattutto aveva
contravvenuto alle leggi sacre di Camelot, si diceva.
Quella era l'unica cosa
che per lui doveva contare.
Dunque perché non lo
uccideva?
“Arthur- lo chiamò il
cerusico – non avete nessun motivo per credere alle mie parole, lo
so bene. Ma per quel che vale nulla di quello che ha fatto Merlin è
stato fatto per uno scopo differente dal servirvi.”
Non riusciva a trovare
menzogna in quegli occhi.
Nemmeno ora che la
ricercava riusciva a vederne traccia.
Si alzò di scatto
sospirando, voltando le spalle al giaciglio.
“A...r..thur...” quel
rantolo spezzato gli fece voltare il capo.
Merlin aveva gli occhi
socchiusi.
Occhi blu come li
ricordava.
“Mi.. dis..spiace...”
riuscì a sussurrare.
Vide una lacrima rotolare
sulla sua guancia pallida e malignamente pensò di attribuirne la
colpa al dolore delle ustioni.
Ma non ci riuscì.
Si voltò di nuovo per non
guardare.
Era Merlin, dannazione!
Era solo Merlin.
Non riusciva a vedere
nulla che non fosse lui.
Rammentava quegli occhi
dorati, rammentava le parole dell'antica religione, la rabbia con cui
erano state pronunciate.
Sarebbe stato così
semplice, così facile credere che quella fosse la sua vera natura,
di crudele stregone bugiardo che millantava di essere il suo incapace
e fedele servo.
Lo avrebbe aiutato a
scegliere, a smettere di tormentarsi.
Eppure non riusciva a
scindere il Merlin della radura con quello che giaceva ferito a pochi
passi da lui.
Qualcosa gli impediva di
vedere bianco o nero...
Era tutto così
dannatamente grigio.
“Hai mentito.”
sussurrò senza voltarsi.
Senza nemmeno sapere se
Merlin fosse ancora cosciente per ascoltarlo.
“Hai mentito a me.”
sibilò.
“Come hai potuto mentire
a me?!” ringhiò voltandosi.
Merlin era di nuovo privo
di conoscenza.
Vi era solo Gaius a
fissarlo.
Si lasciò di nuovo cadere
sulla vecchia sedia scricchiolante, esausto.
“Sapete- cominciò il
cerusico scoprendo il petto e ripetendo gli impacchi - quando Merlin
è arrivato qui mi chiese se fosse un mostro.” raccontò.
Il principe sollevò un
sopracciglio perplesso.
“Perché mai lo
pensava?” domandò riluttante, quasi le parole di Gaius fossero la
più grande eresia che potesse essere detta.
“Perché così era
sempre stato considerato. Perché tutti, a parte sua madre e Will, lo
avevano sempre guardato come se lo fosse.” Fece una pausa per
sollevare delicatamente il corpo del figlioccio per medicare anche la
sua schiena.
Arthur non commentò.
Gaius continuò. Non vi
era tono di supplica nella sua voce. Non raccontava quella storia né
per intenerire né per impietosire.
“Sua madre mi mandò una
lettera chiedendomi di aiutarlo: non poteva più vederlo così ed
ella non era in grado di rispondere alle sue domande. Merlin non si
sentiva parte di nulla di quello che aveva intorno, era unico,
diverso e il non avere un senso per quello che era, non vedere uno
scopo, rendersi conto che nessuno attorno a lui lo considerava parte
di quel mondo... in genere è esattamente ciò che fa sentire dei
mostri.”
Posò delicatamente il
corpo del mago, fece il giro del letto e si mise accanto al principe
per medicare l'altro braccio.
“Quando è giunto qui..
la magia per lui era qualcosa di puramente istintivo. Si sentiva un
mostro nel possederla e tuttavia era l'unica cosa che aveva di
veramente suo. Non usarla lo faceva sentire incompleto ed
insignificante.”
“Mi stai dicendo che non
ha mai studiato magia? Che è nato... così?” Stentava a crederci.
Suo padre gli aveva sempre detto che la magia era una strada
sbagliata che la gente decideva di imboccare con l'unico scopo di
creare caos.
Gaius annuì.
Finì di medicare il
ragazzo in silenzio, lo ripose tra le lenzuola con cura e gli sorrise
con affetto.
“Merlin ha capito a cosa
servisse la sua magia quando ha incontrato voi. I suoi poteri erano
volti a proteggervi e servirvi. Se non vi ha mai confidato nulla è
stato solo per colpa mia. Per la mia paura…- e lo guardò
colpevole.
-Ho visto vostro padre
mettere al rogo tante persone a me care... non potevo permettere che
gli facesse del male. Egli non ha parlato non per paura della morte,
ma per non far pesare su di voi quello che considerava, nonostante
tutto, un fardello solo suo.” lo guardò ancora serio, aspettando
una sua reazione.
Ma Arthur sembrava non
ascoltare, continuava a guardare il servo in quel letto, le mani
giunte di fronte alla bocca, i gomiti sulle ginocchia.
“Tuttavia mentirei se
non vi dicessi che sì, Merlin effettivamente aveva un grande timore:
nonostante avesse trovato il suo posto, la sua strada... non avrebbe
sopportato di sentirsi chiamare mostro da voi.”
Il cerusico lasciò la
stanza dopo aver raccolto le sue cose.
“Idiota - sussurrò
passandosi nuovamente la mano sul volto - l'unica cosa veramente
mostruosa in te è la tua incapacità nel pulire la mia armatura.”
ma non vi era divertimento in quelle parole.
****
Si alzò da terra confuso,
ancora stordito per la botta.
Aveva visto la mano di
Merlin a pochi centimetri da lui arpionare la terra prima di venir
trascinato via.
“Merlin!” In un
rantolo aveva allungato le proprie dita per afferrare quelle del
servo, ma la sua presa si era stretta attorno al terriccio mentre il
ragazzo veniva trascinato via e scaraventato contro un tronco.
“ Merlin!!!” aveva
urlato scattando in piedi, chinandosi a raccogliere la spada a pochi
metri da lui e dirigendosi verso quelle liane che si agitavano come
alghe in mezzo alla corrente.
“Arthur scappa!!!” gli
aveva gridato il servo prima di venir di nuovo intrappolato tra
quelle spire verdi e nodose.
Il principe schivava le
frustate provando ad avvicinarsi il più possibile al mago, le liane
sempre più avvinghiate a quel corpo magro come se volessero
spezzarlo.
Arthur cercava
disperatamente il punto debole di quella dannata bestia ma il corpo
giaceva nascosto nella boscaglia mentre i suoi rami sbucavano da essa
senza permettere di individuare con esattezza la posizione del
nemico.
Gli altri cavalieri
lottavano allo stesso modo cercando di non essere catturati.
Merlin venne sbattuto a
terra e poi sollevato nuovamente a mezz'aria, le liane si
attorcigliarono più strette circondandogli le braccia e il collo,
mozzandogli il respiro.
“ Merlin!” era a così
pochi passi da lui... fendeva l'aria cercando di guadagnare spazio e
quando tranciava uno di quei rami nodosi, il doppio lo attaccavano
cercando vendetta.
Venne scaraventato
indietro e ringhiò frustrato per aver perso i pochi passi guadagnati
con tanta fatica.
“Vattene Arthur!!”
sentì urlare Merlin ma, ovviamente, lo ignorò.
Non l'avrebbe mai lasciato
morire, non così, non senza aver tentato il tutto e per tutto.
Si lanciò verso la sua
direzione falciando con furia inaudita qualsiasi liana provasse ad
ostacolarlo...
Ciò che successe dopo non
gli fu chiaro.
Si ritrovò a terra di
nuovo, un martellante dolore gli torturava le tempie.
Aveva tastato il suolo
istintivamente cercando la spada, senza trovarla.
Nella testa solo il sibilo
delle frustate che si schiantavano al suolo e l'urlo dei cavalieri
che non erano stati abbastanza agili o fortunati nel schivarle.
A stento si sollevò sulle
ginocchia, il capo dolorante, i riflessi rallentati dallo
stordimento.
A malapena notò una di
quelle liana lanciate verso di lui come una freccia.
Ma udì distintamente
quell'urlo.
“TINE!”
E fu nuovamente
schiacciato a terra dal rombo del fuoco, vide il ramo che stava per
trafiggerlo contrarsi come una coda di lucertola mozzata avvolta
dalle fiamme prima di crollare a terra carbonizzato.
Vide tutte le liane
contorcersi avvolte dalle fiamme.
E vide Merlin, a
mezz'aria, avvolto da quelle spire che bruciavano mentre con i denti
serrati per il dolore stringeva con la mano libera la liana che aveva
attorno al collo.
E li vide per la prima
volta... credette fosse il riflesso del fuoco, ma nessun riflesso
poteva fare degli occhi turchesi di Merlin le due iridi dorate che
vedeva davanti a sé.
Vide i rami perdere la
presa e lasciarlo scivolare.
Lo vide precipitare senza
emettere un gemito, senza scomporsi... come se non avesse le forze di
cercare di cadere nel modo meno doloroso possibile.
Il rumore che fece
toccando il suolo servì a ridestarlo... ma non fu abbastanza da
scuoterlo dallo shock.
Il corpo del giovane era
scomposto e fumante. Lo vide distendere un braccio, il sinistro, e
far leva su di esso per alzarsi.
I vestiti carbonizzati si
confondevano con la carne bruciata, il braccio destro inerme
assecondava i movimenti del resto del corpo come se non ne facesse
parte.
Ricordava gli occhi blu -
sì, rammentava fossero ancora blu- del servitore fissarlo nei suoi
con immensa vergogna, con mille parole di scusa stampati in quelle
iridi.
Ma egli non si era mosso.
Non riusciva a capire cosa
fosse successo, da dove fosse venuto il fuoco.
Le parole di Merlin furono
uno schiaffo violento che lo riportarono alla lucidità:
“Andate, non è morto,
andate...” tremanti per il dolore, salde per la determinazione.
“Cos'hai fatto, Merlin?”
Fu un sussurro il suo.
Il servo si alzò incerto
e lo fissò di nuovo con quegli occhi che Arthur aveva visto spesso
incastonati sul volto magro del giovane.
Due occhi che
trasmettevano una forza tale che mai uno penserebbe di trovare in un
corpo così esile e all'apparenza fragile.
Alle spalle di Merlin il
verso acuto e stridulo della bestia esplose con fragore quando questa
emerse in tutta la sua raccapricciante e mutila forma dalle fronde.
Il corpo del mostro si
rivelò come un nodoso ammasso di corteccia la cui parte anteriore
era seriamente danneggiata dalle ustioni: quasi tutte le liane di
quel ceppo erano semi-carbonizzate e si agitavano come colli di idra
senza testa.
Istintivamente il principe
si era alzato scattando in avanti e afferrando il braccio sinistro
del servo ponendosi tra lui e la creatura.
Merlin era debole e
fragile e incapace e inadeguato alla battaglia, lo era sempre stato.
E questo meccanismo così
automatico offuscò il ricordo di quello che aveva appena visto, il
ricordo dei suoi occhi d'oro e delle fiamme divampate attorno a lui.
“Spostatevi...” e la
sua voce risuonò così familiare e così stridente al tempo stesso.
Voltò il capo verso di lui.
Vide il braccio destro
alzarsi e la mano tendersi.
Una mano nera dalle
ustioni, ferita forse in modo grave, pensò.
Poi sentì le parole
uscire con rabbia da quelle labbra:
“DÓIGH TAIN!” e vide
gli occhi accendersi, vide l'oro divampare come le fiamme che avevano
avvolto il mostro.
Le guardò e vi vide
qualcosa che lo stupì, ma non lo spaventò.
Perché quegli occhi
seppur dorati… erano familiari.
E vide davanti a sé
l'enigma risolto, vide ciò che di Merlin non era mai riuscito a
cogliere ma di cui aveva sempre percepito le sfumature in ogni suo
gesto.
Guardò in quei pozzi
dorati e vide di fronte a sé non un estraneo, vide semplicemente
Merlin nella sua folgorante interezza, vide il perché di ogni cosa e
diede un senso ad ogni sguardo e sorriso e sospiro.
Non era qualcuno che non
riconosceva, non era un estraneo che si spogliava delle membra che lo
rendevano familiare ai suoi occhi, no...
Per quanto sconvolgente
egli riconobbe Merlin in ogni sfumatura di oro ed in ogni pagliuzza
cangiante vide ciò che aveva solo potuto intuire di lui.
Perché quel colore non lo
mutava in nessun altro ma lo completava, non lo rendeva estraneo, al
contrario lo rendeva più vicino.
Merlin. Semplicemente,
meravigliosamente nessun altro se non Merlin.
Lo strillo acuto della
creatura che bruciava viva lo fece voltare di scatto per vederla
agonizzare avvolta dal fuoco.
Il suo calvario si spense
in pochi secondi insieme ai suoi spasmi convulsi mentre cadeva a
terra priva di vita.
E Arthur si voltò di
nuovo in tempo per vedere gli occhi di Merlin sfumare e tornare
azzurri, l'oro dissolto come polvere portata via dal vento, le
palpebre calare esauste e pesanti su quegli occhi incompleti.
Crollò sulle ginocchia e
l'immensità e lo splendore della rivelazione collassarono con lui
accartocciandosi su sé stessi in un ammasso contorto, come un fuoco
stupendo divampato all'improvviso che si spegne in un secondo
lasciando solo un cumulo informe di paglia bruciata a rivelarne
l'essenza.
Solo qualche scintilla a
rammentarne l'antico splendore.
E così la perfezione di
quella rivelazione esplosa come un fuoco vivo e luminoso nella notte
si spense rivelando ai suoi piedi la sua vera natura così misera e
profana.
“Sei uno stregone....”
e in quella parola ecco l'origine del più bel fuoco di paglia che
Arthur avesse mai visto e di cui non v'era più alcuna tangibile
memoria.
Solo qualche sensazione
che lo stuzzicava nell'istinto che lo portò a sguainare la spada in
risposta alla lama sfoderata del suo cavaliere.
“Non osare calare la
lama su di lui.”
****
Si svegliò con un
sussulto, spalancando gli occhi ritrovandosi a portare la mano in
avanti come se stesse impugnando la spada.
Pochi istanti dopo scosse
la testa cancellando l'alone del ricordo che aveva appena sognato.
Aveva rivissuto tutto,
istante per istante, ma ora era dotato del distacco necessario per
osservare e ricordare ogni sensazione.
E rivide quegli occhi
dorati di fronte a sé.
Gli occhi dorati e lucenti
di Merlin... ricordò che non aveva visto nessun estraneo, solo
Merlin.
E l'alone del tradimento
nel suo cuore lo ferì, per un ultima volta, sussurrandogli
malignamente che gliel'aveva tenuto nascosto, che gli aveva mentito
per non svelare la sua natura...
Ma Arthur non l'ascoltò...
certo, esso rimaneva lì, rintanato in quel taglio che aveva
creato... ma capì che in fondo Merlin non gli aveva mai mentito
veramente.
Aveva nascosto una parte
di lui, aveva celato come la luna fa con il suo lato oscuro, ma non
per questo quello che appare è meno autentico.
E capì, infine, che gli
occhi blu di Merlin erano tanto genuini quanto quelli dorati... che
il suo animo puro, quello che mai aveva dubitato albergasse in quel
corpo fragile, non mutava in splendore anche in quel lato così
nascosto di lui.
Sorrise a sé stesso, più
sereno.
Ora vedeva Merlin e sapeva
del perché non aveva potuto ucciderlo, del perché non l'aveva
abbandonato al suo destino, del perché sedeva lì incapace di
odiarlo e del perché si fosse e si sentisse tradito.
Del perché non riuscisse
a vedere bianco o nero ma solo grigio.
Del perché non riusciva a
vedere niente di più di Merlin in quel letto.
Del perché c'era qualcosa
di intrinsecamente sbagliato a scindere lo stregone da Merlin.
Non erano uno la maschera
dell'altro, semplicemente, l'uno il completamento dell'altro.
La magia era parte di
Merlin, come l'arte della spada era parte di lui...
Arthur non sarebbe stato
lo stesso Arthur senza quella dote e probabilmente il Merlin dagli
occhi blu non sarebbe stato così splendente senza le sue iridi
dorate.
“Potrai mai perdonarmi?”
quel sussurro giunse alle sue orecchie come se arrancasse nell'aria
per arrivare a destinazione.
Merlin lo fissava, con lo
sguardo offuscato dal dolore, le palpebre tenute aperte dalla mera
forza di volontà.
Il principe vide in quegli
occhi il disperato bisogno di una risposta.
Occhi che non cercavano
compassione o perdono mosso da pietà.
“Ci vorrà del tempo.”
rispose solo. E non mentiva.
Dare un senso ed
un'identità alla sua ferita ne preveniva la cancrena e ne accelerava
la guarigione, ma il tempo doveva fare, comunque, il suo lavoro.
“Grazie... per aver
capito...” le sue palpebre minacciavano di calare pesanti,
nuovamente a sopire i suoi sensi.
“Oh credimi, Merlin, una
volta che sarai guarito avrai così tante armature da lucidare, panni
da lavare e stivali da spazzolare che mi odierai per aver capito.”
Il suo sorriso sbruffone di sempre comparve nuovamente sul suo viso.
Il mago sorrise
stancamente senza avere la forza di ribattere a tono mentre, infine,
il sonno lo riavvolgeva nelle sue spire.
E Arthur si alzò
avvicinandosi al giaciglio e osservò il mago un'ultima volta.
Ci sarebbe voluto del
tempo ma, si disse, per quella creatura così brillante valeva la
pensa strappare un po' di orgoglio per ricucire il suo cuore ferito.
FINE
Hit
me like a ray of sun Burning through my darkest night You're
the only one that I want Think I'm addicted to your light
O.O
Ho
finito... non so come ciò sia possibile.. ma pare che abbia finito.
Non
mi guardate così, lo so che non c'è nemmeno un bacino, me ne sono
accorta mentre scrivevo, non crediate. Fa più male a me che a voi,
sul serio. È che l'argomento della rivelazione è qualcosa di
estremamente complesso a mio dire, non potevo e non volevo
soprattutto, che la rivelazione avvenisse quando loro erano già
insieme, a quel punto la frattura sarebbe stata estremamente
difficile da saldare, il che implicava un'interminabile fic a
capitoli. E non mi sembrava nemmeno coerente scrivere 13 pagine di
introspezione e ricordi, di ferite e sensazioni e poi risolvere il
tutto in 3 righe con un bacio. Non aveva senso... e io adoro il senso
logico in quello che leggo.. indi non posso ometterlo in quello che
scrivo. Quindi mio malgrado non trovo un finale più adeguato per
questa fic di questo.
Ciò
non implica che effettivamente potrebbe esserci, infatti immagino che
me ne salterà uno in mente mentre starò facendo qualcosa di
assolutamente insignificante e allora vi prometto che picchierò
ripetutamente con violenza la testa contro il muro. Visto l'assenza
anche solo di un bacio immagino io vi debba un po' del mio sangue. Io
lo pretenderei.
Continuo
a rileggere la fic e la trovo strana, veramente.. non mi sembra
nemmeno scritta da me... ma ha preso vita da sola e da sola è andata
avanti e da sola si è conclusa.
Spero
quindi che la mancanza totale del mio arbitrio la renda piacevole ai
vostri occhi quanto strana ai miei!=P
Beh...
auguro un buon Natale a tutti voi, spero vivamente che il regalo sia
gradito, lo spero sul serio. Ancora mi scuso per gli standard un po'
violati quindi se chi la riceve non dovesse esserne soddisfatto, la
autorizzo a mandarmi a quel paese e impormi di scriverne un'altra.
Rammento che dietro di me ci sono altri 5 abbozzi di fic, qualcosa
che vada bene ci sarà!XD
Buone
feste,
Iceriel
Note:
DÓIGH
= verbo bruciare in gaelico
TAIN= fuoco
in gaelico.
La canzone
che cito è la bellissima Halo di Byoncé, se avete occasione
ascoltatela: merita.
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