Questa è la mia seconda ff su Alessandro Magno, ha uno
stile un po’ diverso dall’altra e sarà articolata in due parti, ma spero che vi
piacerà altrettanto (anzi, già che ci sono: GRAZIE PER I COMMENTI a “Il
richiamo”!). Per chi non l’avesse riconosciuta la canzone in introduzione è “Too
much love will kill you” dei Queen, pezzo che io adoro. Buona lettura.
Sara
Prima parte
I'm far away from home
And I've been facing this alone
For much too long...
Il dolore gli faceva pulsare tutto il braccio, caldo e
pungente; avrebbe dovuto almeno lavarsi la ferita, ma ora era occupato a
pensare ad altro.
L’arrivo dei rifornimenti era
sempre un evento, ovunque fosse l’accampamento, i soldati, gli schivai, le
donne, si assiepavano in attesa di novità, notizie, forse, messaggi da casa;
Efestione, invece, sperava sempre che arrivassero un giorno più tardi.
Lui era un generale di Alessandro,
il suo braccio destro a detta di molti, e la sua parte razionale si opponeva a
quest’idea, ma un uomo non è fatto solo di logica, per questo, ogni
rifornimento per lui era una pena. Certo non lo dava a vedere, non era nel suo
carattere, nessuno sospettava quello che gli stava accadendo, nessuno doveva
sapere. Specialmente lui.
Una fitta al braccio lo distrasse
dalla lettura della lettera; fece una smorfia infastidita, non era proprio il
momento per essere scocciati dalla lacerazione provocata da una freccia… e
vallo a dire agli assediati!
Il sangue gli colava lungo il
braccio, se lo tamponò con un panno, senza quasi togliere gli occhi dalla
pergamena che aveva in mano; si chiedeva come potesse ancora continuare a
leggere quegli scritti, nonostante tutto. Avrebbe potuto semplicemente
ignorarli, ma non voleva.
Le parole gli bruciavano
negl’occhi come fossero scritte col fuoco. Lo stesso effetto ogni volta. Si
sentiva offeso, ferito nell’orgoglio, impotente, ma, allo stesso tempo, pronto
a difendere con i denti tutto ciò che riteneva importante.
Finì di leggere la lettera
sospirando, accorgendosi che quella firma gli si era come stampata con violenza
nella mente; con un gesto di stizza gettò la pergamena sul letto, e rimase in
piedi, immobile.
“Efestione, Alessandro ti sta…”
La voce profonda di Tolomeo interruppe il corso dei suoi pensieri; il giovane
chinò pesantemente il capo, sbuffando.
“Sì, lo so.” Mormorò quindi,
interrompendo l’amico con un gesto della mano. “Devo andare da Filippo, per la
ferita.”
L’altro, infatti, aveva fermato
la frase proprio vedendo la ferita al braccio di Efestione. “Stai perdendo
molto sangue…”
“Lo so.” Rispose secco lui.
“Dovevo fare una cosa.” Aggiunse poi, quindi si avvicinò ad un bacile pieno
d’acqua e si lavò il viso.
Tolomeo si guardò intorno,
domandandosi la ragione per cui, una persona attenta e curata come Efestione,
stesse lì a farsi colare il sangue addosso; vagando con lo sguardo si accorse
del rotolo gettato sul materasso.
“Hai ricevuto una lettera?”
L’amico annuì. “E chi ti ha scritto?” Continuò quindi, ben sapendo che
Efestione non aveva parenti; gli rispose una specie di via di mezzo tra una
risata e un gemito.
Tolomeo, incuriosito, continuava
a fissarlo; l’altro si asciugò il viso, poi lo raggiunse vicino all’uscita
della tenda.
“Mi accompagni?” Gli chiese.
“Direi, non voglio certo che mi
svieni in mezzo al campo, con tutto quel sangue che hai perso, ci rischio i
gioielli di famiglia se Alessandro lo scoprisse…” Fece ironico, mentre
Efestione gli faceva una smorfia depressa.
Camminavano attraverso il campo,
tra le attività di quella fine giornata; Efestione si stringeva il panno
intorno alla ferita, Tolomeo gli camminava accanto, preoccupato, ma la
curiosità era molta di più. Voleva sapere della lettera.
“Non erano buone notizie, vero?”
Si decise, infine, a chiedergli.
“Sempre le stesse.” Rispose
Efestione, senza guardarlo.
Tolomeo s’incuriosì ancora di
più. “Che vuol dire? Ma chi ti ha scritto?” Domandò con urgenza.
Efestione si fermò, sospirando,
alzò gli occhi verso il sole che stava tramontando, incerto se confidarsi con
l’amico e compagno d’armi di una vita.
“Olimpiade.” Affermò infine;
Tolomeo spalancò gli occhi, completamente stupito.
L’uomo si scostò di un passo, per
guardarlo meglio. “Mi stai prendendo in giro?!” Esclamò allibito.
Efestione scosse il capo con un
sorriso divertito. “No di certo.” Rispose tranquillo.
“Scusa, ma…” Riprese Tolomeo,
posando le mani sui fianchi. “…per quale motivo ti avrebbe scritto?” Aveva la
fronte aggrottata, era perplesso. Giustamente.
“Per lo stesso identico motivo
per cui lo ha fatto tutte le altre volte.” Dichiarò l’altro, allargando le
braccia e riprendendo a camminare.
“Ah, perché non è la prima
volta…” Mormorò l’amico.
“No.” Disse solo Efestione.
“Ma che cosa vuole da te?
Insomma, non capisco…”
“Un cosa sola, Tolomeo.” Affermò
l’altro, precedendolo davanti alla tenda di Filippo. “Che me ne torni in
Macedonia con la coda tra le gambe.”
“Tu?!” Sbottò l’uomo,
indicandolo; lui annuì.
“Sarei deleterio per la causa di
Alessandro.” Aggiunse Efestione.
“Ha sbagliato uomo.” Proclamò
Tolomeo, negando col capo; l’amico non rispose, mentre copriva i pochi passi
che lo separavano dal medico. “Scusa, ma lei non sa… insomma, credevo che lui
le avesse… voi due…”
Efestione si voltò verso di lui,
aggrottando la fronte. “Di cosa parli, Tolomeo?”
Si scambiarono uno sguardo. “Lo
sai.” Rispose poi l’uomo. “Dico, tu e Alessandro… lo sappiamo, non si dice,
ma…” Aggiunse vago, grattandosi la nuca.
Efestione gli fece un breve
sorriso malinconico, poi si girò verso la tenda. “Devo farmi curare questo
braccio.” Detto questo entrò, e Tolomeo capì che si era già aperto abbastanza.
Poco dopo, stringendo i denti
mentre Filippo gli cuciva la ferita, Efestione rifletteva sull’opportunità di
parlare ad Alessandro di tutta quella storia; si sarebbe tolto un bel peso, ma
era certo di non peggiorare le cose?
Entrò nella tenda con un gesto
naturale, un’abitudine tranquilla, familiare, in special modo a quell’ora del
giorno, quando il sole tingeva d’arancio l’orizzonte. La tenda era vuota.
Su un tavolo scuro, sulla destra,
c’era cibo, frutta, vino; a sinistra, in fondo, il grande letto con le coperte
riccamente ricamate, i cuscini. Vicino all’entrata, invece, un tavolo ingombro
di carte, mappe, tavolette per scrittura, pergamene; il lavoro di Alessandro.
Di lui, però, nessuna traccia.
“Xandre?” Chiamò Efestione,
avvicinandosi al tavolo col cibo.
Un fruscio brusco dal fondo della
tenda lo fece sobbalzare: era il re, che procedeva a grandi passi verso di lui,
con una coppa in una mano ed un papiro nell’altra. Efestione l’osservò, era in
uno stato pietoso: impolverato, con i capelli color fango, la tunica sporca, lo
sguardo distratto e, perfino, una traccia di sangue incrostato sulla coscia. Il
giovane aggrottò la fronte, perplesso.
“Oh, finalmente! Traditore, che
volevi fare stasera? Evitarmi?” Proclamò raggiungendolo, quindi gli sfiorò le
labbra con un veloce bacio; quando si scostò, Efestione fece una smorfia. “Hai
fame? Se vuoi mangiare, mangia, c’è tanta di quella roba!” Non era strano
vedergli fare più cose insieme, ma era il modo a preoccuparlo. “Io ho una fame
che non ci vedo, oggi!” Si muoveva per la tenda a scatti, come una mosca,
sembrava incapace di fermarsi in un punto. “Sembrano due giorni che non mangio!”
“Forse perché sono due giorni che non mangi.”
Intervenne calmo Efestione.
Alessandro si bloccò in mezzo
alla tenda, con la coppa vicina alle labbra, e lo guardò con espressione
scettica. “Dici?” Fece poi, lui annuì. “E’ che ho un sacco di cose da fare, carte
da leggere, persone da gestire…” Continuò Alessandro, riprendendo a muoversi,
ma poi alzò di nuovo gli occhi sull’altro. “Ma tu mangia, dai.”
“Mangio, mangio!” Proclamò arreso
Efestione alzando le mani, quindi abbassò gli occhi su un vassoio dove era disposto
qualcosa che sembrava carne, ma aveva un aspetto strano. “Che cos’è questa
roba?” Domandò.
Alessandro fece una risatina
furba. “Coccodrillo.” Rispose poi.
“Coccodrillo?!” Replicò allibito
Efestione, spalancando gli occhi. “Quegli animali che…” Mimò con la mano la
bocca del coccodrillo. “…sul fiume…”
“Sì.” Ribatté Alessandro
soddisfatto. “Ma non fare quella faccia, è buono, sa di pollo.” L’incitò
quindi, con un gesto; Efestione riabbassò gli occhi sulla carne, poco convinto.
L’altro, nel frattempo, continuò
a muoversi nella tenda, si avvicinò al tavolo con le carte, rovistò tra papiri
e pergamene, ne prese alcuni, svuotò la coppa, raggiunse Efestione e la riempì
di nuovo, quindi alzò gli occhi e lo guardò; lui fece altrettanto.
“Non hai fame?” Chiese Alessandro.
“La smetti di chiedermelo!”
Sbottò Efestione.
“Oh, stai calmo!” Replicò
l’altro, divertito, adorava queste schermaglie verbali; però, poi, si accorse
dell’espressione dell’amico, che arricciava platealmente il naso. “Cosa c’è?”
Domandò dubbioso.
Efestione sospirò. “Alessandro…”
Esordì quindi. “…non esiste un modo gentile per dirtelo…” Fece una pausa
abbastanza lunga, fissandolo. “Tu puzzi.”
Alessandro spalancò i grandi
occhi chiari, facendo un passo indietro, quindi aggrottò la fronte con espressione
irata. “Ieri sera non puzzavo così tanto, per te, mi sembra.” Ribatté
indignato, mettendosi le mani sui fianchi.
“Molto, ma molto, meno di oggi.”
Rispose Efestione; sapeva di aver toccato un tasto pericoloso, ma sperava che
non se la sarebbe presa troppo.
L’espressione di Alessandro si
rilassò lievemente, si grattò la fronte, spostò gli occhi sul tavolo. “Beh… ma
oggi ho avuto molto da fare…” Tentò di giustificarsi, poi rialzò gli occhi, in
un moto di orgoglio, e si scostò dal tavolo, ricominciando a muoversi. “La
costruzione del terrapieno è in ritardo, ho dovuto controllare la sistemazione
degli animali, ho sudato molto… e poi…” Si girò di scatto verso Efestione, e
stavolta lui lo vide piuttosto pallido e con lo sguardo strano. “E poi c’è
stato quello stramaledetto attacco, non ce l’aspettavamo… cioè, sapevo che
avrebbero attaccato ancora, ma non oggi, evidentemente hanno saputo che avremmo
ricevuto i rifornimenti, si sono approfittati di un buco nelle nostre difese…”
Continuava a parlare, ed il suo tono s’infervorava sempre più, come cresceva la
preoccupazione di Efestione. “…ah, ma non passeranno, non sanno con chi hanno a
che fare! Entrerò nella loro maledetta città, oh se mi faranno entrare in quel
tempio, a costo di radere al suolo tutta l’isola, io…”
“Fermati.” Gli ordinò l’amico,
lui si bloccò, guardandolo. “Calmati, sei troppo agitato.” Aggiunse,
avvicinandosi e prendendolo per le spalle. “Non stai bene, non fai che
muoverti, sei pallido, hai le pupille dilatate…” Alessandro lo fissava
perplesso. “Dimmi, da quanto non dormi?”
L’uomo diede l’impressione di
pensarci un momento. “Mah… da ieri notte, direi…” Rispose quindi.
“No.” Replicò sicuro Efestione,
scuotendo il capo.
“Come no!” Sbottò Alessandro.
“Cosa ne vuoi sapere tu, russavi!” Quando, a seguito del sorrisino dell’amico,
si rese conto di aver ammesso la mancanza di sonno, lui roteò gli occhi e
reclinò il capo all’indietro, arreso.
“Lo vedi che non sei lucido?”
Affermò Efestione, mentre stringeva le mani sulle sue spalle.
“Io sono lucidissimo!” Protestò
il re.
“Se vedessi la tua faccia in
questo momento, non lo diresti.” Ribatté pronto l’altro.
“Ma cosa vuoi che ti dica?!”
Sbottò lui, allargando le mani. “Sarà colpa di questi incensi egiziani!”
Aggiunse, indicando il braciere vicino al letto; Efestione lo guardò.
“E allora, sai cosa?” Gli disse
quindi. “Li buttiamo via, e poi ti fai un bagno.” Aggiunse deciso, scostandosi
da lui.
Si avvicinò al tripode di bronzo,
dentro cui fumavano le ceneri d’incenso, ed afferrò il bacile, quindi si
diresse verso l’uscita della tenda; Alessandro, ridacchiando, si sedette su una
panca decorata, proprio lì vicino. Efestione scostò il lembo di chiusura e
lanciò la cenere fuori, senza stare troppo a guardare; l’altro osservava
distrattamente.
“Oh, scusa Filota!” Lo sentì
esclamare, mentre guardava da un’altra parte; si girò di scatto e intravide un
imbarazzato Efestione, che teneva in mano in modo impacciato il bacile, mentre
davanti a lui Filota, a braccia allargate, osservava depresso la sua figura
piena di cenere. Alessandro scoppiò, ovviamente, a ridere, guadagnandosi
un’occhiata gelida dell’amico.
“Filota…” Riprese, tornando a
guardare l’altro soldato. “…dimmi che stavi andando a cambiarti…”
“Veramente…” Rispose quello. “…mi
ero appena lavato…”
Qui, se possibile, Efestione
arrossì ancora di più e la sua espressione si fece molto, molto, rammaricata;
Alessandro non ne poteva più, lo sentivano benissimo anche da fuori.
“Do… domani ti prendo una nuova tunica e… e un vasetto di
olii da bagno…” Balbettò imbarazzato Efestione, cercando un rimedio al suo
errore, mentre Filota si scuoteva l’abito. “Adesso, se vuoi scusarmi, devo…
devo risolvere una questione…” Detto questo rientrò nella tenda, chiudendo
l’uscita alle sue spalle; al soldato non restò che andarsene mesto, borbottando
tra se.
Alessandro, nel frattempo, si
contorceva dal ridere, mezzo rannicchiato tra i cuscini della panca; Efestione,
in un moto di stizza gli lanciò contro il bacile che ancora aveva in mano,
prendendolo di striscio a un braccio.
"Oh, ma che fai?!"
Esclamò l’altro ancora ridendo. "Mi vuoi ammazzare?! Quell’affare è di
bronzo!"
"Hm." Commentò l’amico,
incrociando le braccia mentre gli dava le spalle. "Dovremmo invece
preoccuparci di non scalfire il bacile, data la consistenza granitica della tua
adorabile testolina bionda…" Alessandro scosse la sua chioma dorata,
raddrizzandosi e infilando un’espressione offesa. "E poi…" Continuò
Efestione, tornando a guardarlo. "…dovrei ucciderti davvero, per la
figuraccia che mi hai fatto fare!"
"Senti, fino a prova
contraria, sei tu che lo hai preso pieno!" Protestò l’altro, che restava
mezzo sdraiato sulla panca; i suoi occhi chiari brillavano nella semi oscurità
con un lampo divertito.
Efestione si avvicinò.
"Avresti almeno potuto smettere di ridere, non hai visto che ero in
imbarazzo?" Per tutta risposta, Alessandro ricominciò a ridere, prima
sommessamente, poi sempre più forte; l’altro sbuffò, posandosi le mani sui
fianchi. "Smettila, mi stai facendo perdere la pazienza." Lo redarguì
Efestione.
L’espressione dell’altro cambiò,
da divertita in maliziosa; socchiuse gli occhi con un sorrisino sbieco. "E
sentiamo, che cosa vorresti farmi?" Domandò provocatorio.
Lui, che aveva afferrato subito
il senso della frase, fece una smorfia sadica, pregustando l’effetto della sua
risposta. "Da me non avrai un bel niente." Affermò secco.
"Almeno finché non ti sarai lavato…" Aggiunse poi, senza nascondere
una certa disponibilità.
Alessandro aggrottò la fronte,
inarcando allo stesso tempo un sopracciglio, cosa che gli diede un’espressione
alquanto poco raccomandabile, mentre Efestione, ridacchiando, chiamava un
servo.
"Fai portare l’acqua per il
bagno del Re, e che sia calda, molto calda, anzi direi… bollente…" Ordinò
divertito l’uomo.
"Te la farò pagare!"
Protestava nel frattempo il grande conquistatore.
Era mezzo
sdraiato su un fianco, sul bordo del letto, il braccio gli faceva ancora un po’
male; davanti a lui c’era la vasca di legno in cui Alessandro stava facendo il
bagno, vedeva solo la parte alta della sua schiena, il profilo delle braccia
muscolose appoggiate sul bordo, il collo abbronzato, i capelli bagnati. La luce
nella tenda era soffusa, le lampade tremolavano al vento che filtrava da fuori,
l’aria era riempita dai vapori dell’acqua calda e dal profumo degl’olii; gli
unici suoni il leggero muovere dell’acqua e il vento di mare, che gonfiava le
coltri.
Le schermaglie
con Alessandro lo avevano distratto dai suoi pensieri, come succedeva sempre;
stare con lui era la cura ad ogni dolore, e lo era sempre stata, da anni e
anni, sarebbe stato ancora così, era la sua unica certezza.
L’ennesima
lettera, però, era reale, nelle sue mani, ed era come se le parole scritte
avessero anche loro consistenza e solidità, gli pesavano sul cuore; adesso,
pensandoci, non sapeva se aveva fatto bene a portarsela dietro. Scorse ancora
una volta gli occhi sui quei rimproveri senza senso, sugli avvertimenti
minacciosi, su consigli cui non avrebbe potuto attendere, perché c’era qualcosa
di più grande ad impedirglielo; eppure non riusciva a farsi scorrere tutto
addosso, quella situazione gli pesava, quell’astio lo addolorava, poiché veniva
da quella persona.
Guardò
Alessandro. Per lui avrebbe affrontato le orde degl’inferi. Senza paura.
Aveva taciuto la
faccenda delle lettere perché non voleva creare ulteriori dissapori tra lui e
sua madre. Amava Alessandro, e lui amava sua madre; il loro era un rapporto
strano e contorto, ma l’amava. Era a conoscenza di avere il potere di
dividerli, e non lo voleva.
Sospirò
pesantemente, quindi posò la pergamena sul letto e si alzò, raggiunse la vasca,
al centro della tenda, poi cominciò a massaggiare delicatamente il collo e le
spalle del suo re, la pelle resa morbida dal bagno. Un gesto talmente familiare
che, ormai, non c’era neanche più bisogno di chiedere. Alessandro si rilassò,
reclinando il capo contro il suo ventre, gli occhi socchiusi.
"Va meglio,
adesso?" Gli domandò l’uomo qualche istante dopo; Efestione si limitò a
rispondere con un monosillabo. "Hai mangiato il coccodrillo?" Chiese
quindi lui.
"Sì…"
Il massaggio continuava, dolcemente. "…sa di pollo." Alessandro
ridacchiò.
"Che cosa
stavi leggendo, prima?" L’interrogò il re poco dopo; l’altro pensò, e non
era la prima volta, che lui avesse gli occhi anche dietro la testa, o forse era
solo merito dei suoi sensi sempre all’erta, come quelli di un gatto selvatico
pronto a sfuggire ad ogni attacco del nemico.
"Niente
d’importante, ne parliamo dopo." Rispose Efestione, senza riuscire a
nascondere il suo tono malinconico; quindi fece per scostarsi, ma Alessandro
gli afferrò la mano, costringendolo a guardarlo negl’occhi.
"Phai…"
Mormorò preoccupato, aveva avvertito chiaramente un turbamento, in quella voce
che conosceva persino meglio della sua.
"Ti ho
sempre detto tutto, Xandre." Replicò lui con sincerità. "Ne parliamo
dopo, ora devi mangiare e riposarti." Ripeté dopo una pausa.
Efestione si allontanò e
Alessandro, rassegnato ma non domo, uscì dall’acqua, restando in piedi nella
vasca; stava ancora riflettendo su come estorcere informazioni al suo reticente
amico, quando si sentì avvolgere da un morbido panno di lino. Mani forti
percorrevano delicatamente il suo corpo, asciugando l’acqua che ancora bagnava
i suoi muscoli; avrebbe riconosciuto quel tocco anche senza poter vedere… Con
un rapido gesto fermò con le proprie le mani di Efestione su di se, tirandolo
contro la sua schiena, poi allentò la presa.
“Continua…” Ordinò con voluttà,
reclinando il capo all’indietro.
Efestione, con sua sorpresa,
però, si scostò, facendolo quasi ricadere in acqua. “No.” Gli rispose secco.
“La tua cena è pronta…” Continuò indicandogli il tavolo. “Dopo.”
Alessandro, che non amava certo
essere respinto, si avvolse il panno intorno ai fianchi sottili con un gesto
brusco, quindi uscì dalla vasca, curandosi di bagnare in giro il più possibile;
Efestione si limitò a scuotere la testa davanti al suo ennesimo, deprecabile,
attacco d’infantile disappunto.
“Dai, non fare il bambino…” Gli
disse.
“Non infastidirmi.” L’interruppe
lui alzando una mano, mentre si avvicinava al tavolo. “Devo mangiare.” L’altro
scosse nuovamente il capo.
Efestione tornò a sedersi sul
letto, mentre Alessandro gli dava le spalle mangiando rumorosamente, un lieve
sorriso gl’increspò le labbra. La lettera giaceva ancora sulle coperte, la
riprese in mano, ancora una volta indeciso sul da farsi; lanciò un’occhiata di
sfuggita al compagno e strinse la presa sulla pergamena. Sapeva che se decideva
di non parlare, ormai, Alessandro sarebbe ricorso anche alla tortura pur di
conoscere il contenuto della lettera, ma non voleva ferirlo. In alcun modo.
Aprì di nuovo la lettera,
srotolandola piano, quindi si mise a fissarla assorto, cercando di decidere
cosa fare.
“Allora, mi vuoi dire di che si
tratta?” La voce autoritaria di Alessandro lo fece quasi sobbalzare; alzò gli
occhi su di lui, richiudendo velocemente la pergamena.
“E’…” Rispose Efestione,
abbassando il viso. “…solo una lettera…”
L’altro lo fissò per qualche
istante, aggrottando la fronte. “Però, sembra che ti turbi, in qualche modo…”
Ipotizzò poi, sedendosi accanto all’amico. “Posso leggerla?” Ecco, la domanda.
Efestione prese un lungo respiro,
poi lo guardò. “Io, infine, credo di… no.” Rispose quindi.
CONTINUA…