Dal taccuino di R.A.
Il caso di Two Miles Road
by: suinogiallo
- E' morto! - dissi.
- Innegabilmente! - sentenziò il professor Homes guardando il cadavere
con il suo occhio attento.
-
Questo lo sapevo anche io! - storse la bocca in un ghigno lo sceriffo
Simmons guardando il professore e me con occhio torvo. Tra lo sceriffo
e il professore non correva buon sangue,
Non che fossero nemici, ma non si poteva dire neanche che fossero
amici. Si sopportavano.
O meglio, lo sceriffo sopportava il professore. Lui, invece, si
limitava ad ignorarlo.
-
Quando è stato trovato? - domandò poi iniziando a camminare dentro la
stanza osservando il mobilio, le pareti, le finestre e quant'altro
cadeva sotto il suo sguardo attento. Nei modi e nei movimenti
tendeva
a ricalcare il suo quasi omonimo londinese. Tale Sherlock Holmes. Anche
lui un investigatore privato con il pallino della deduzione logica
1.
-
Alle ore dieci e quarantadue di questa mattina! - gli rispose lo
sceriffo. Se il professor Homes interpretava la parte di Sherlock
Holmes lo sceriffo Simmons era decisamente ben calato in quella
dell'ispettore Lestrade di Scotland Yard. I due messi insieme
raffiguravano un quadretto decisamente ben assortito e, a volte, assai
divertente.
- E chi lo ha trovato? - continuò con le domande
assicurandosi che io stessi riportando quanto lo sceriffo diceva. Non
che gli servisse. Aveva una memoria formidabile e praticamente non era
mai accaduto che mi chiedesse di fargli rivedere gli appunti che avevo
preso. Tuttavia insisteva che scrivessi ogni cosa che lo sceriffo e le
altre persone che interrogava dicevano.
Credo che quegli appunti
fossero per una specie di libro di memorie che più di una volta mi
aveva detto aveva intenzione di scrivere. Ma erano ormai due anni che
lavoravo con lui in qualità di apprendista investigatore privato e di
quel fantomatico libro di memorie non ne avevo visto neanche una
pagina. Anche per questo sto scrivendo io queste memorie. Per fare in
modo che le gesta della mirabile arte investigativa del professor Homes
rimanga almeno impressa su carta.
- L'agente Perkins! - rispose lo
sceriffo osservandolo con occhio attento - E' stato chiamato alle dieci
e ventidue dalla signora Matilde, la governante del defunto dottor
Hopkins, preoccupata che il suo datore di lavoro non rispondesse alle
sue chiamate! -
- Posso interrogare la signora? - domandò poi il professore.
-
Adesso è nello studio al piano terra, non si è sentita bene e le ho
fatto dare un cordiale! - rispose - Ma penso che possa rispondere a
qualche domanda! -
- Bene! - sorrise leggermente finendo di esaminare il corpo - Robert -
si rivolse a me - cosa mi dice di questo cadavere? -
-
Si tratta di un uomo, bianco, dell'età di sessantadue anni - iniziai a
dire sfogliando rapidamente il mio taccuino - apparentemente in
buona
salute, almeno fino a questa mattina! -
- E' stato trovato morto
alle dieci e quarantadue di oggi - continuai - sdraiato a terra, pancia
sotto e testa girata verso est. L'arma del delitto è probabilmente un
coltello tipo Bowie
2 di cui si vede spuntare solo
l'impugnatura dalla schiena del cadavere -
- Il braccio destro è lungo il fianco - aggiunsi poi - mentre il
sinistro è sotto il corpo -
- E della stanza cosa mi dice? - mi domandò poi.
-
Si tratta dello studio privato del defunto dottor Hopkins - risposi -
si trova al primo piano dell'abitazione del dottore ed ha una sola
porta di ingresso. C'è uno scrittoio, due grosse librerie, una lampada
tipo... -
- L'arredamento lo salti! - mi bloccò - Nota qualcosa di
particolare? Carte sparse sul pavimento, oggetti spostati, qualcosa di
rotto? -
- No - mi diedi una rapida guardata intorno soffermando lo
sguardo sugli oggetti più fragili presenti nello studio - non ci
sono
segni di lotta o che lo studio sia stato perquisito. Non c'è nulla
fuori posto e nulla di rotto - mi soffermai poi a guardare una delicata
tazza di porcellana, con dentro un residuo di liquido, che era in
bilico sull'orlo della scrivania - Se ci fosse stata una lotta,
probabilmente questa tazza sarebbe finita sicuramente per terra! -
- Andiamo a parlare con la signora Matilde! - decise infine il
professore voltandosi verso la porta.
Poco
prima di uscire, però si fermò all'improvviso pronunciando la frase che
era diventata ormai la sua firma al pari dell'elementare Watson che
ripeteva sempre, a quando si diceva, Sherlock Holmes.
- Ma si! -
esclamò fermandosi per alcuni secondi accanto alla porta. Poi,
tranquillamente, riprese a camminare scendendo al piano terra.
Il professore era stato chiamato alle undici e trentadue di quella
mattina dallo sceriffo Simmons che lo pregava di raggiungerlo al
centovendidue di Two Miles Road, la strada che tagliava in due il
quartiere residenziale più importante della città.
Io ero dedito,
come spesso capitava di mattina, alla lettura dei giornali e
all'archiviazione delle notizie che, secondo il professore, erano
meritevoli di essere conservate. Di solito, infatti, lui leggeva i
giornali intorno alle sei di mattina e me li lasciava poi nello studio
con dei segni rossi intorno agli articoli che reputava importanti. Il
mio compito era quello di leggere a mia volta i giornali e poi
ritagliare gli articoli che aveva segnato. Di tanto in tanto ritagliavo
anche qualche articolo che, secondo me, era meritorio di finire nel suo
archivio personale.
Dicevo, io ero intento a questo compito quando
qualcuno suonò il campanello dell'abitazione del professore, al numero
dodici di Stratford Avenue.
Si trattava di un giovane agente
dell'ufficio dello sceriffo che, trafelato per la corsa ci informò che
il professore era desiderato nel luogo di un crimine.
Capitava
sovente che lo sceriffo richiedesse l'intervento del professor Homes
come consulente sulla scena di qualche crimine. Sebbene non lo potesse
sopportare non negava la sua preparazione in quel particolare campo che
è la criminologia applicata e più di una volta le intuizioni geniali
del mio mentore avevano contribuito a risolvere delitti che,
altrimenti, sarebbero rimasti impuniti.
Cosi, dopo esserci preparati
e coperti adeguatamente, pur essendo marzo inoltrato le temperature in
quei giorni erano alquanto fredde, uscimmo dall'abitazione e,
tranquillamente raggiungemmo l'indirizzo che il giovane agente ci aveva
indicato.
Durante il tragitto domandai al professore per quale
motivo non avessimo preso una carrozza per raggiungere il luogo. Dalla
nostra abitazione a Two Miles Road la distanza non era poca e, anche
camminando a passo svelto, ci avremmo impiegato almeno una quarantina
di minuti per raggiungerlo dato che si trovava in una zona estremamente
periferica della città. Soldi e voglia di riservatezza spesso si
uniscono e danno vita a quartieri come Two Miles. Non c'era cittadino
in vista della città, banchiere, professore universitario che non
avesse una casa li. I giardini cinti da alte mura di lauroceraso, i
cancelli in ferro battuto e dalle punte aguzze. Tutto in quel quartiere
diceva che chi ci abitava teneva alla sua privacy.
Il professore non mi rispose. Tuttavia quel suo silenzio mi confermò
ciò che pensavo.
Voleva
semplicemente farsi attendere dallo sceriffo. Forse una sua piccola
vendetta personale per essere stato chiamato a quell'ora.
Già.
Il professore aveva infatti degli orari alquanto strani e bizzarri.
La
mattina si alzava sempre molto presto. Alle cinque era già in piedi e
pronto per la sua passeggiata mattutina dalla quale tornava sempre,
alle sei, con un carico di giornali. Fino alle sette, poi, si dedicava
alla lettura degli stessi e alla cernita degli articoli da ritagliare.
Alle nove, infine, dopo aver fatto colazione si rimetteva a letto dove,
solitamente, poltriva leggendo un libro, fino all'ora di pranzo.
Nel
pomeriggio, invece, diventava infaticabile. Se c'era un caso su cui
indagare vi si dedicava anima e corpo, altrimenti si dedicava a lunghe
passeggiate lungo il fiume o per i boschi che circondavano la città. E
tutto questo fino all'ora di cena.
A mezzanotte, poi, si metteva a dormire.
Quella
mattina, invece, lo sceriffo lo aveva strappato da quelle sue abitudini
e quell'andare piano, a piedi, doveva essere una specie di vendetta nei
suoi confronti.
Sapeva che lo sceriffo non se ne sarebbe andato e quindi,
probabilmente, tanto valeva farlo aspettare.
- Signora Matilde! - introdusse lo sceriffo Simmons entrando nello
studio al piano terra. A giudicare dal lettino da visita, uno scheletro
probabilmente finto, e altre attrezzature mediche doveva essere lo
studio in cui il dottor Hopkins riceveva i suoi pazienti. Da un lato,
poi, un armadio con le porte in vetro chiuse a chiave lasciava
intravedere parecchi flaconi con nomi strani scritti sulle etichette.
Doveva trattarsi dell'armadio dei farmaci.
Non potei fare a meno di
notare, però, che c'era molta polvere sugli scaffali interni e sui
flaconi. Segno che o erano li solo per far scena o che il dottore non
esercitava più la pratica medica da parecchio tempo.
- Si! - la
donna alzò il capo guardando verso di noi. Doveva avere all'incirca la
stessa età del defunto dottore e i capelli racchiusi in una crocchia
severa dietro la testa e il portamento eretto che aveva denotavano una
certa arcignità di carattere.
- Il signor Homes vorrebbe farle qualche domanda - disse poi lo
sceriffo.
- Lei vive qui? - domandò subito, senza attendere alcun permesso, il
professore.
- No! - rispose prontamente - Vivo nella city, a Black Holes road! -
- E a che ora è arrivata qui, questa mattina? - incalzò il professore.
-
Alle dieci! - rispose - Come tutte le mattine. Quando il campanile
della chiesa di St. Greek suona per la messa delle dieci io sono sempre
qui! -
Notai che sebbene lo sceriffo ci avesse detto che la signora
avesse avuto un malore in quel momento mi sembrava stesse decisamente
bene. Il colorito roseo, le mani ferme, lo sguardo acuto e penetrante
che fissava il professore. Nulla lasciava trasparire lo choc per la
morte del suo datore di lavoro e per aver visto un cadavere.
Rapidamente decisi di appuntarmi questa cosa e, insieme alle risposte
che la signora Matilde dava al professore scrissi anche che, secondo
me, la signora era tranquilla come se nulla fosse accaduto.
- Mi racconti cosa è successo? - le domandò poi il professore.
-
Alle dieci sono arrivata qui - iniziò il suo racconto - Ho raccolto la
posta e l'ho sistemata su di un mobiletto all'ingresso, poi sono andata
in cucina e come prima cosa ho lavato i piatti della cena di ieri sera,
poi ho controllato la dispensa ed ho fatto la lista della spesa. Infine
sono salita al piano di sopra per chiedere al dottore se voleva che
comprassi qualcosa di particolare, ma quando sono arrivata di fronte
alla porta del suo studio l'ho trovata chiusa a chiave -
- Il dottor Hopkins era solito chiudersi a chiave? - chiese il
professore.
-
No, per niente - gli rispose - anzi, non si chiudeva a chiave neanche
quando andava in bagno! Era terrorizzato dall'idea che gli potesse
accadere qualcosa in una stanza chiusa a chiave e con i soccorritori
che perdono tempo a cercare di aprire la porta! - rapidamente, poi,
portò la mano al bicchiere di cordiale che aveva vicino e dopo averne
bevuto un sorso riprese a parlare - Ho provato a chiamarlo, e dopo non
aver ricevuto nessuna risposta ho provato ad aprire la porta con la
seconda chiave, ma non ci sono riuscita! -
- Una seconda chiave? -
domandai. Il professore mi scoccò uno sguardo accigliato. Io ero il suo
allievo e non dovevo intervenire. Tuttavia la domanda mi era sorta cosi
spontanea che non ero riuscito a trattenerla.
- Si - mi rispose -
ogni chiave di questa casa ha un suo doppione che si trova in una
bacheca grande in cucina. Ho preso quindi il doppione della chiave
della porta dello studio ed ho cercato di aprirla, ma non ci sono
riuscita! -
- La porta era chiusa dall'interno e la chiave era nella toppa! -
spiegò lo sceriffo.
- Cosi sono uscita di corsa ed ho cercato un agente! - terminò la
signora Matilde.
- Immagino che adesso vorrà sentire l'agente Perkins? - chiese lo
sceriffo.
-
Dopo! - lo zittì con un gesto della mano tornando a rivolgersi alla
signora Matilde - Mi dica signora, avete un coltello tipo Bowie in
casa? Il dottore ne aveva uno? -
- Coltelli? - lo guardò pensierosa
- Abbiamo i coltelli che si trovano in tutte le case per bene, coltelli
da cucina, da formaggio, da carne. Il dottore aveva poi parecchi
bisturi, ma un coltello, come lo ha chiamato lei, non mi risulta! -
- Ed il dottore aveva qualche nemico? - il professore continuò con le
sue domande.
-
Sicuramente tra la plebaglia dei quartieri poveri! - rispose
prontamente - Il dottor Hopkins era un bravo medico, molto stimato, e
non aveva di certo tempo da perdere a visitare chi non poteva
permettersi la sua parcella! Giù, nei bassifondi, qualcuno ogni tanto
dice che un coltello nella schiena sarebbe il giusto per gente come il
dottor Hopkins. Se volete trovare l'assassino indagate li! Sicuramente
troverete il vostro uomo! -
- Non si preoccupi signora - intervenne lo sceriffo - noi troviamo
sempre il nostro uomo! -
- Specie se il professor Homes vi aiuta! - fui tentato di dire ma
fortunatamente riuscii a tenermi per me quello che pensavo.
Questo
sia perché il professore, sebbene fosse concorde con me su questo
punto, non avrebbe gradito quella mia esternazione, e sia perché c'era
una dolce fanciulla con la quale amavo conversare che non mi avrebbe
mai perdonato una uscita del genere. La figlia dello sceriffo Simmons.
Mah, non ho mai capito perché le donne debbano prendersela sempre cosi
tanto quando si fa una critica al loro genitore.
Ma non è questo il luogo per cotante disquisizioni e chiedo perdono a
voi lettori per questa piccola parentesi personale.
Terminato
di interrogare la signora Matilde, che alla fine della chiacchierata si
fece versare un'altra abbondate dose di cordiale, uscimmo dalla studio
al piano terra ed uscimmo fuori dall'abitazione per incontrarci con
l'agente Perkins. L'agente che la signora Matilde aveva incontrato
lungo la strada e al quale aveva chiesto aiuto.
Prima di uscire
dallo studio, però, il professore si fermò di scatto voltandosi verso
la donna e domandandole a che ora aveva visto vivo il dottor Hopkins
l'ultima volta.
Anche in quel caso la signora Matilde non sobbalzò e
non mostrò alcun segno di irrequietezza e rispose tranquillamente che
l'ultima volta era stata la sera prima, quando lo aveva salutato dopo
avergli finito di preparare la cena. Alle sette e dodici.
Come
potevano essere certi, tutti quanti, dell'ora era un vero mistero per
me, ma senza farmi domande appuntai anche quella risposta nel mio
taccuino e rapidamente seguii il professore e lo sceriffo fuori
dall'abitazione.
L'agente Perkins era un ragazzone di
probabili origini irlandesi. Alto oltre il metro e ottanta, carnagione
chiara con ancora i segni dell'acne giovanile ed i capelli rossi.
Lo sceriffo Simmons ci presentò a lui dicendogli che il professore
aveva qualche domanda da rivolgergli.
-
Aye! - rispose subito fermandosi sull'attenti. Ad occhio e croce non
doveva essere più anziano di me, forse sui vent'anni e a giudicare dal
nervosismo che si poteva percepire dai segni del suo corpo quella
doveva essere la prima volta che si trovava in una situazione del
genere.
- A che ora è stato chiamato dalla signora Matilde? - gli domandò il
professore.
-
Erano circa le dieci e venti! - rispose - Stavo terminando il mio giro
di ronda lungo Two Miles Road quando ho vista la signora Matilde
venirmi incontro di corsa. Mi ha detto che il suo datore di lavoro, il
dottor Hopkins, non rispondeva alle sue chiamate e che non riusciva ad
aprire la porta dello studio al primo piano! -
- L'ho seguita fino
in casa e poi fino di fronte alla porta dello studio al primo piano! -
continuò - Ho provato anche io a chiamare il dottor Hopkins e quando
non mi è giunta nessuna risposta ho provato ad aprire la porta! Poi ho
deciso di buttarla giù con una spallata e una volta dentro... -
Qui si interruppe ingoiando un grosso bolo di saliva.
-
Ho visto il corpo del dottor Hopkins sdraiato a terra con il manico di
un pugnale che gli usciva dalla schiena - concluse - a quel punto ho
dato l'allarme ed ho fatto avvisare l'ufficio dello sceriffo! -
- Ha
toccato qualcosa nello studio? - gli chiese poi il professore
accertandosi che io stessi scrivendo ogni singola parola - Ha mosso il
cadavere? Ha permesso a qualcuno di entrare? -
- No signore! - disse
prontamente - Mi sono avvicinato quanto bastava al corpo per accertarmi
che fosse morto, gli ho messo due dita sulla carotide e non ho sentito
pulsazioni! Poi mi sono messo sulla soglia della porta ed ho atteso che
arrivasse lo sceriffo! -
- Era freddo? - domandò il professore - Il cadavere intendo? Quando lo
ha toccato era freddo? -
- Aye! - disse di nuovo - Gelido! -
- Le finestre erano aperte o chiuse? - lo incalzò.
- Aperte - rispose.
- La signora Matilde, mentre lei buttava giù la porta e poi entrava
dov'era? - continuò con le domande.
-
E' rimasta di fuori tutto il tempo - mormorò facendo delle smorfie per
cercare di ricordare con precisione ogni minima cosa - mi ha
accompagnato fin di fronte alla porta dello studio e poi è rimasta in
disparte! -
- E quando è sceso per cercare qualcuno per avvisare lo sceriffo, la
signora Matilde è scesa con lei? - lo incalzò.
-
Quasi non si reggeva in piedi! - mormorò - Povera donna, lo choc deve
essere stato molto forte. Si era seduta su di una sedia e li l'ho
ritrovata quando sono risalito! -
- Ha provato ad aprire la porta con la chiave? - chiese infine il
professore.
-
No signore! - disse - La signora Matilde mi aveva detto che aveva
provato anche lei ma che la porta era chiusa a chiave dall'interno e
che la chiave era dentro la toppa! -
- E la porta ha fatto molta
resistenza prima di aprirsi? - domandò il professor Homes lanciandomi
uno sguardo che doveva significare
fai molta attenzione a questa
risposta.
- No signore! - sorrise - Sa, al college facevo parte della squadra di
rugby -
Stava
forse per aggiungere qualcosa quando venne interrotto dall'arrivo di un
altro agente, questa volta decisamente più anziano, che incurante
dell'interrogatorio che stava avvenendo disse a gran voce allo sceriffo
che c'era un testimone.
- Un uomo è stato visto allontanarsi questa
mattina intorno alle cinque dall'abitazione del dottor Hopkins! -
riferì quasi con orgoglio - E quest'uomo è stato anche riconosciuto! E'
Lery Merlot, un poco di buono che abita nei bassifondi e che nei giorni
precedenti era stato visto litigare con il dottor Hopkins! -
-
Merlot! - esclamò lo sceriffo - Lo conosco! Lo avrò arrestato almeno
una mezza dozzina di volte! - poi rivolgendosi verso il professore -
Credo che questa volta dovremo fare a meno delle sue brillanti
deduzioni! Il caso è praticamente risolto! -
- Mio caro sceriffo - sorrise guardandolo - risolto come il caso di
Chesterfield Manor? O come quello di Little Bitch road? -
Si
trattava di due casi, tra i tanti, che secondo lo sceriffo avevano una
soluzione semplice e che invece si erano dimostrati dei veri ossi duri.
Ricordarglieli era una vera cattiveria dato che alla fine la vecchia
frase
la polizia brancola nel buio in quei due casi era quanto
mai azzeccata. Ma il professore era solito uscirsene in quella maniera.
- Non questa volta! - sbuffò.
-
E' stato un piacere vederla! - aggiunse poi vedendo il coroner che con
il suo solito passo strascicato e stanco avanzava verso la casa del
dottor Hopkins - Le farò avere il rapporto del coroner e quando avrò
messo le mani su Merlot la inviterò per l'interrogatorio! -
- Signor
Autore - si rivolse a me prima di seguire il coroner dentro la casa -
mia moglie e mia figlia sarebbero liete di averla a cena da noi questa
sera. Alle sette! - e senza dire altro scomparì dalla nostra vista.
-
Direi che siamo in orario per un pranzo alla Lunchette! - sorrise
invece il professore sbirciando il grosso orologio da taschino - E per
una salutare passeggiata, quest'oggi direi che il sentiero dei Frati
Neri possa andar bene! -
E con il suo solito passo tranquillo e compassato iniziò ad
incamminarsi subito seguito dal sottoscritto.
Solo adesso mi rendo conto di una grossa
maleducazione da parte mia.
Vi
ho presentato gli attori principali di questa storia, il professor
Homes, lo sceriffo Simmons e il defunto dottor Hopkins, ma non vi ho
detto nulla di me. Il vostro umile narratore.
Accanto a simili
figure, comunque, non è che io brilli in maniera eccelsa ma credo che
qualche rigo di questo scartafaccio io possa anche usarlo per dirvi
qualcosa di me.
Il mio nome è Robert Autore e se qualcuno di voi,
graziosi lettori, penserà che questo è un nome che ha già sentito da
qualche parte dirò subito che è lo stesso nome di mio nonno. Lui
sicuramente molto più conosciuto di me. Ed è stato anche il nome del
primo figlio di Roberto Autore, il navigatore romano che nel 1500
scoprì questo continente. Da allora chiamare qualcuno della famiglia
Robert, o Roberto, è stata una tradizione della nostra famiglia.
Ho
conosciuto il professor Homes circa due anni fà, quando all'età di
diciassette anni mi trasferii a Doyle City per diventare suo allievo.
Non si trattò di una mia scelta però.
Come
molti giovani della mia età, verso la fine del diciannovesimo secolo,
ero attratto dai racconti del dottor Watson, il biografo del brillante
investigatore londinese Sherlock Holmes e sognavo di emulare le gesta
del grande detective risolvendo casi difficilissimi e salendo agli
onori della cronaca per aver scoperto spie e machievelliche
cospirazioni ai danni della mia nazione.
Purtroppo però, pur
impegnandomi molto, non avevo quelle doti che un brillante
investigatore adepto della deduzione scientifica doveva possedere e più
di una volta mi misi nei guai.
Ed alla fine i miei genitori, che pur
avevano cercato di assecondare insieme a mia sorella gemella le mie
velleità, decisero che se volevo continuare a coltivare quella mia
passione dovevo seguire gli insegnamenti di qualcuno.
E fu allora
che vennero a sapere del professor Homes, un investigatore privato che
seguiva il metodo della deduzione scientifica del grande Holmes. Lo
contattarono e gli chiesero se sarebbe stato disposto a prendere un
allievo con se. Dietro pagamento di un compenso naturalmente.
Lui
rinunciò al compenso ma accettò di prendermi come allievo e qualche
giorno dopo arrivai alla stazione di Doyle City con una valigia piena
di romanzi del dottor Watson ed una piccola borsa con un solo ricambio
di abiti.
Ed è tutto qui.
In questi due anni in cui sono stato al
fianco del professor Homes l'ho visto risolvere casi complicati come
quello di Little Bitch e casi molto più facili, come quello della
scomparsa della signora Crawford.
E nel frattempo ho incontrato la
creatura più soave e dolce che possa esistere sulla faccia della terra.
Ma queste mie piccole divagazione personali non credo possano
interessare a voi lettori e quindi me ne asterrò. O quantomeno cercherò
di ridurle.
Dopo aver consumato un rapido pranzo alla
Lunchette, un piccolo e grazioso ristorante sul fiume, con il
professore ci trasferimmo nella veranda per sorseggiare un bicchiere di
Porto.
Il professore amava particolarmente quel vino e a fine pasto
non perdeva mai occasione per sorseggiarne un bicchiere. In quel caso
si trattava di un Porto vintage invecchiato quindici anni.
I suoi
gusti erano innegabilmente sofisticati e costosi. I suoi abiti, tanto
per dirne una, non erano mai più vecchi di sei mesi ed erano di
sartoria. Fatti su misura.
Tuttavia dove prendesse il denaro per
soddisfare quei suoi gusti era per me un mistero dato che se
dall'ufficio dello sceriffo prendeva un minimo rimborso spese per le
sue consulenze, dai clienti privati non prendeva nulla. E nonostante
tutto mai una volta lo vidi risparmiare su qualche spesa.
Comunque,
terminato il nostro Porto ci alzammo da tavola ed iniziammo ad
incamminarci verso il sentiero dei Frati Neri. Una viottola nei boschi
che si inerpicava sulla montagna fino ad arrivare ad un vecchio
monastero abbandonato detto, per l'appunto, dei Frati Neri.
Come vi
ho accennato al professore piaceva fare di queste camminate. Per avendo
già superato i quaranta e più anni era ancora molto attivo ed il suo
fisico asciutto lo aiutava. Un po' di meno, invece, queste camminate
piacevano a me.
Pur non essendo mai stato un tipo sedentario,
l'esercizio fisico non era una cosa che ricercavo come il pane. Anzi,
se potevo lo evitavo con cura.
Tuttavia quelle camminate erano anche
l'occasione per discutere di casi in corso o di vecchi casi che aveva
risolto e per me era sempre un piacere starlo ad ascoltare. In fondo
ero li per imparare ed ascoltare i suoi aneddoti o discutere sui casi
in corso era sicuramente un buon modo.
- Cosa pensa di questo caso?
- mi domandò improvvisamente. Quella era la prima volta che mi chiedeva
di fargli sapere che idea mi ero fatto e rimasi, per questo,
leggermente basito.
- Robert, lei è qui per imparare a fare
l'investigatore privato - aggiunse poi vedendomi interdetto e anche un
po' preso alla sprovvista - ed anche se non so quanto tutto questo le
servirà nella sua vita futura, in questi due anni qualcosa avrà
imparato! -
Secco e diretto come sempre.
- La vittima è il dottor
Hopkins! - tirai fuori il taccuino con i miei appunti iniziando a
sfogliarlo velocemente mentre cercavo di tenere il suo passo - E' stato
ucciso con un colpo di coltello alla schiena tra le ore sette e dodici
e le ore dieci e ventidue del giorno dopo! -
- Il coltello - mi fermò il professore - lei ha notato che tipo di
coltello era. Per quale motivo? -
- Difficile non notarlo! - risposi - Si tratta di un Bowie Knife, il
coltello del
colonnello Jim Bowie, uno degli eroi di Alamo! -
- E cosa ha tanto di particolare da renderlo subito cosi riconoscibile?
- mi domandò poi.
Devo
essere sincero, in un primo momento quelle domande mi parvero un po'
strane. Il professore, e di questo ero certo, aveva una conoscenza
molto approfondita di una moltitudine di armi. Da quelle da fuoco alle
armi bianche senza menzionare, poi, armi decisamente meno comuni come
le bolas o le cerbottane utilizzate da diversi popoli come armi, come
alcuni popoli indios che usavano intingere le punte dei loro dardi nel
curaro per rendere ancor più mortale la loro arma o come i ninja che
usavano i loro
fukidake per lanciare delle polveri accecanti.
-
Non passa di certo inosservato - risposi comunque - è un grosso
coltello, lungo oltre venti centimetri e abbastanza pesante da non
poter essere nascosto dentro una tasca di una giacca o di un pastrano
senza farlo notare! - poi aggiunsi che era anche un coltello abbastanza
costoso dato che doveva essere fatto arrivare direttamente dagli Stati
Uniti e che al costo, già di per se alto, del coltello loccorreva
aggiungere il costo della spedizione.
- E questo non le fa venire nulla in mente? - mi diede una stoccata
continuando a camminare come se niente fosse.
In quel momento mi sentii un idiota.
Ma certo!
Un
coltello del genere non era comune e sarebbe bastato fare qualche
domanda per scoprire a chi apparteneva. Lasciarlo sulla scena del
delitto era stata una leggerezza incredibile da parte dell'omicida che,
in un certo senso, aveva lasciato la sua firma.
Rapidamente glielo dissi sicuro di vederlo sorridere e complimentarsi
con me.
Ed invece mi ripeté di nuovo se tutto quello non mi facesse scattare
una molla.
-
Non si fermi solo al primo strato! - mi disse - Continui a scavare! Se
grattata la terra trova qualcosa non si accontenti, continui a scavare!
Può darsi che sotto ci sia qualcosa di decisamente più importante! -
In
quel momento però non mi veniva in mente nulla di più di quanto gli
avevo già detto e dopo qualche minuto di silenziosa camminata fu il
professore a cambiare discorso chiedendomi cosa avevo notato della
stanza dell'omicidio.
- Era chiusa a chiave da dentro! - dissi
subito - E le finestre erano aperte. Forse l'assassino è entrato dalla
porta, l'ha chiusa, ha accoltellato il dottor Hopkins e poi è scappato
dalla finestra! -
Qui ero sicuro di avere un
coup de theatre.
Mentre andavamo via dall'abitazione del defunto mi ero guardato intorno
molto attentamente ed avevo notato che accanto alle finestre dello
studio al primo piano c'erano delle grate di legno per far arrampicare
l'edera che decorava quasi tutta la parete dell'abitazione. Sarebbe
stato facile scendere da li.
- L'ho notate anche io! - mi smontò
anche quell'ipotesi - Ma non è da li che chi ha ucciso il dottor
Hopkins è fuggito! Sempre ammesso che sia fuggito davvero! -
Quella frase cosi sibillina gettata cosi, quasi come se niente fosse,
mi paralizzò la mente.
Possibile che il professore avesse già scoperto il colpevole?
-
Per oggi basta cosi! - decise improvvisamente voltandosi ed iniziando a
fare il percorso inverso a quello che avevamo fatto per arrivare fin li
- Non vorrei farla arrivare troppo stanco alla cena con la sua amata!
Ma prima di andare dal nostro caro sceriffo potrebbe farmi la cortesia
di spedire dei telegrammi? -
Quella sera a cena non fui per niente di compagnia e
Clarisse, la figlia dello sceriffo, lo notò quasi subito.
Di
solito ero un brillante conversatore e la mia preparazione su
molteplici aspetti del sapere tendeva sempre a venire fuori. Grazie
alle mie varie passioni e alle possibilità economiche che mi avevano
permesso di leggere svariati libri potevo definirmi ferrato su decine
di cose diverse.
Dalle ultime ricerche di Edison sulla luce
elettrica agli studi sulle muffe di Vincenzo Tiberio non trascurando
argomenti meno scientifici come la cucina o il gioco delle bocce.
Cionondimeno
quella sera fui un conversatore quasi assente limitandomi solo a
rispondere, il più delle volte, con qualche monosillabo.
Ciò che aveva detto il professore ancora mi risuonava nella testa.
Il
coltello era una traccia importante. Questo lo avevo capito anche io.
Ma secondo il professore la traccia non era quella che avevo ipotizzato
io.
Cosi come la finestra.
Perché secondo il professore l'assassino non era scappato dalla
finestra?
E poi si erano aggiunti i telegrammi.
Erano
tutti e tre indirizzati alla stessa casella di posta. Doveva trattarsi
di un qualche informatore privilegiato del professore dato che spesso,
durante i casi più complessi, spediva a quell'indirizzo uno o più
telegrammi con delle semplici richieste.
A volte era solo un nome, a volte un indirizzo.
Ed
invariabilmente da li a poco riceveva delle lettere consegnate a mano
oppure la visita di qualche misterioso personaggio con il volto celato
da una maschera veneziana.
Quella volta sui tre telegrammi c'erano
scritti solo dei nomi. In uno signora Matilde, nel secondo dottor
Hopkins e nell'ultimo signor Merlot. Segno evidente che voleva
raccogliere quante più informazioni possibili su questi tre personaggi.
- Robert? - mi chiamò Clarisse.
- Si? - mi voltai verso di lei riscuotendomi da quell'apatia che mi era
calata addosso.
- Mio padre ti sta chiedendo se vuoi andare con lui a fumare un sigaro
in biblioteca - mi disse guardandomi incuriosita.
-
Si, certo! - risposi prontamente. Non che fossi cosi entusiasta di
quell'invito. Il sigaro non era tra i vizi che preferivo e al fumo di
quei pestilenziali cosi preferivo di gran lunga quello delle sigarette.
Tuttavia dire di no sarebbe stato scortese, soprattutto considerando il
fatto che lo sceriffo Simmons era il padre di quella perla di ragazza
di nome Clarisse.
Per questo, e per migliorare le mie quotazioni
presso di lui, ogni qualvolta mi capitava di andare da loro mi
premunivo di portarmi dietro alcuni
Hoyo de Monterrey, e furono
proprio due di questi sigari che, pochi minuti dopo tagliammo ed
accendemmo nella biblioteca della villetta dello sceriffo.
- Del
brandy? - mi domandò dopo alcuni minuti lo sceriffo. Per lui fumare il
sigaro era una specie di rito e fintanto che il braciere non fosse
perfettamente acceso non proferiva parola.
- Grazie sceriffo -
risposi sedendomi su una delle poltrone vicino al camino in cui stava
allegramente bruciando un grosso ceppo.
- Quando siamo a casa chiamami Simms
3
- mi ricordò versando due abbondanti dosi di brandy italiano in dei
bicchieri ad uovo tronco - il professore ha qualche pista da seguire
per il caso del dottor Hopkins? -
- No - risposi prendendo poi uno dei due bicchieri ed iniziando a
scaldarlo con le mani - avete arrestato il signor Merlot? -
-
Ancora no! - si sedette anche lui sbuffando una grossa nuvola di fumo -
Si è reso irreperibile, e questo conferma ancora di più la mia tesi! E'
lui il colpevole! -
- Ma non parliamo di questo - sviò
improvvisamente il discorso - a dir la verità la decisione di invitarti
questa sera a cena non è stata di mia moglie o di Clarisse, bensì mia!
- poi diede un paio di tirate violente al sigaro come era solito fare
solo quando era nervoso - E' più di un anno ormai che frequenti questa
casa e l'interesse che mia figlia ha per te e tu per lei è palese! -
- A giugno terminerà gli studi - continuò - e a settembre entrerà
all'università di Autore, lettere -
Già
sapevo tutte quelle cose, compreso il fatto che Clarisse aveva più
volte manifestato al padre l'intenzione di non iscriversi
all'università di Autore ma a quella, molto più vicina a Doyle, di
Allan.
Non capivo, però, per quale motivo lo sceriffo Simmons stesse
accennandomi quelle cose.
-
Io e mia moglie ne abbiamo parlato a lungo - continuò poi lo sceriffo
continuando a tirare boccate di fumo e a sbuffarle fuori come una
locomotiva in salita - e conveniamo che ufficializzare il vostro
fidanzamento tra i mesi di giugno e settembre sarebbe la cosa migliore!
-
La mattina dopo mi svegliai con un mal di testa
tremendo.
Cosa normale dopo un paio di sigari e i tre bicchieri di brandy della
sera prima.
Dopo l'annuncio dello sceriffo Simmons della sua volontà
di ufficializzare il fidanzamento tra me e Clarisse, ed il volto felice
della ragazza che non doveva essere all'oscuro di quella cosa, ero
tornato a casa quasi volteggiando sulle punte e non ero riuscito a
prendere sonno fin quasi all'alba.
Quando la governante del
professore mi venne a svegliare avvisandomi che la colazione era pronta
mi sentivo uno straccio. Felice ma ridotto quasi da buttar via.
Ciononostante
mi alzai e mi dedicai subito alle prime attività del giorno. Fare
colazione e leggere i giornali che il professor Homes mi aveva lasciato
sul tavolo della sala da pranzo.
Come al solito aveva segnato in
rosso gli articoli che più gli interessavano e tra questi, notai, ce ne
erano anche alcuni che riguardavano il caso che stavamo seguendo,
ovvero l'omicidio del dottor Hopkins.
Tra questi uno attirò la mia attenzione. Il professore lo aveva segnato
ripetutamente aggiungendo poi un suo appunto personale.
Leggilo
attentamente!
E per rafforzare questa sua richiesta aveva fatto seguire il suo
appunto da ben tre punti esclamativi.
Ed
ovviamente fu il primo articolo a cui mi dedicai mentre sbocconcellavo
le tre fette di bacon che madame Hics, la governante, aveva preparato.
Orribile omicidio ieri mattina a Two Miles Road.
Ucciso il dottor Hopkins, stimato medico della nostra città.
A
seguire, sotto al titolo, veniva la descrizione minuziosa di come era
stato ritrovato il corpo, della stanza in cui era avvenuto l'omicidio,
del modus operandi del crimine e, a conclusione dell'articolo, una
breve biografia del defunto dottore.
Contrariamente a quanto credevo
il dottor Hopkins non veniva da una famiglia agiata e non era figlio di
medici. Le sue origini erano umili e se aveva potuto studiare era stato
solo grazie alle generose donazioni di un misterioso patrocinatore che
aveva pagato tutte le sue spese scolastiche. Grazie a delle fortunate
coincidenze era, poi, diventato un medico molto conosciuto e si era
arricchito grazie a facoltosi pazienti che lo avevano eletto a loro
medico di fiducia.
Da una storia del genere sembrava naturale che il
dottor Hopkins dedicasse parte del suo tempo e della sua professione a
curare i malati del bassifondi. In fondo proveniva da li e sarebbe
stato naturale che non rinnegasse le sue origini.
Invece, terminava
l'articolo, il dottor Hopkins aveva dimenticato del tutto le sue umili
origini e, l'articolista riportava, rifiutava sdegnosamente di curare
qualunque paziente non potesse permettersi la sua parcella.
Terminato di fare colazione salii di nuovo in camera mia e dopo essermi
dato una lavata mi vestii e scesi di nuovo al piano dabbasso
recuperando i giornali dalla sala da pranzo e portandomeli nello studio
del professore dove, armato di forbici, avrei ritagliato gli articoli
segnati per poi sistemarli secondo un preciso ordine dentro delle
cartelline.
Come al solito, notai, mentre iniziavo a ritagliare, c'erano articoli
diversi per genere e tipo.
Oltre
quelli relativi all'omicidio del dottor Hopkins ce ne erano alcuni
relativi alla situazione mondiale, qualcuno che riguardava piccoli
pettegolezzi locali. In una delle pagine interne di un quotidiano della
capitale, poi, aveva segnato la pubblicità di un importatore di armi
che declamava l'economicità dei suoi coltelli. a seguire c'erano alcuni
esempi di prezzi tra cui, notai, quello di un Bowie Knife che era
indicato come super economico.
Mi venne quasi da ridere vedendo il prezzo.
Economico per chi?
Per qualche riccone.
Il prezzo era cosi astrusamente alto, e reale aggiungo, che ben poche
persone se lo sarebbero potuto permettere.
Dopo aver scavato e aver trovato qualcosa sotto la superficie continua
a scavare.
Ecco cosa voleva dire!
Come faceva il signor Merlot a possedere un coltello del genere?
Neanche
lavorando tutta una vita avrebbe potuto permetterselo! Ed anche se lo
avesse avuto, sarebbe stato cosi sciocco da lasciarlo poi piantato nel
cadavere?
A parte che un coltello del genere non sarebbe mai passato
inosservato e qualcuno sicuramente prima o poi lo avrebbe associato ad
un volto, ma un coltello cosi costoso non lo si lascia cosi, in giro.
E
sicuramente non lo aveva trovato nello studio del dottore. La signora
Matilde, scorsi velocemente le pagine del mio taccuino, aveva affermato
che dentro casa coltelli di quel genere non c'erano mai stati.
Dal
caso semplice che mi era parso all'inizio, devo ammettere che l'ipotesi
dello sceriffo era parsa anche a me quella più realistica, stava
diventando decisamente complicato.
Comunque, terminai rapidamente il
mio lavoro di ritaglio e, al termine, visto che mancava ancora un'ora
prima che il professore si alzasse da letto decisi di andarmene a fare
un giro per Doyle.
Pur essendo solo due anni che vivevo in quella
cittadina mi ero ben integrato e mi piaceva scambiare quattro
chiacchiere con i cittadini durante le mie rare passeggiate in
solitaria.
Ma quella mattina era destino che non potessi permettermi di uscire.
Infatti, ero già sulla porta quando un fattorino dell'ufficio dello
sceriffo mi recapitò un plico per il professore.
Si trattava del referto del coroner che aveva esaminato il corpo del
defunto. Lo sceriffo era stato di parola.
Senza
neanche aprirlo lo misi su di un mobiletto all'ingresso e mi accinsi di
nuovo ad uscire. Questa volta il fattorino che mi bloccò era
decisamente male in arnese. Vecchio, sdentato e con una gamba che
muoveva con un movimento falciforme.
Portava con se un plico
accuratamente chiuso e sigillato con un cerchio di ceralacca verde. Non
era la prima volta che vedevo quel sigillo. Il misterioso informatore
del professore usava sigillare i suoi plichi con quel tipo particolare
di ceralacca sulla quale poi apponeva una specie di codice che il
professore non aveva mai accettato di spiegarmi. Ogni volta che gli
chiedevo qualcosa si limitava a dirmi che non era ancora ora e che
sapere troppe cose poteva non essere saggio.
Di solito era molto
felice di spiegare e raccontare decine di cose, ma su quel particolare
sigillo, invece, era molto restio a parlarne e l'unica cosa che mi
aveva detto al riguardo era la parola chiave per ricevere i plichi
sigillati in quel modo.
E solo dopo aver detto quella parola il
vecchio sdentato mi passò il plico voltandosi poi rapidamente e, con
quella sua strana andatura, si allontanò.
A quel punto la speranza
di potermi dedicare ad un a mia passeggiata solitaria era sfumata. Se
il rapporto del coroner poteva anche attendere lo stesso non si poteva
dire per le informazioni racchiuse dentro quel secondo plico.
E cosi, dopo essermi tolto il soprabito ed il cappello, mi diressi
nella camera da letto del professore per portargli il plico.
- Molto interessante! - esclamò leggendo i fogli
contenuti all'interno del plico.
-
Ho riflettuto sul coltello! - gli disse improvvisamente durante una
pausa della lettura - Ed in effetti è strano che uno spiantato, uno dei
bassifondi come il signor Merlot possegga un Bowie Knife! -
- Può
scavare di più! - si limitò a dirmi rituffandosi nella lettura dei
fogli - Ha capito una cosa molto importante, ma quel coltello può
ancora dirci molto! -
- Ha già letto il referto del coroner? - mi domandò poi alzando lo
sguardo dai fogli.
-
Non ancora! - feci di no con la testa. Il mal di testa che mi era da
poco passato mi stava tornando. Ero stato felice come una pasqua quando
avevo scoperto quella cosa sul coltello ed ecco che il professore mi
aveva di nuovo buttato giù.
Cosa poteva ancora dirmi quel coltello?
Il nome dell'assassino?
-
Lo legga e poi me lo riassuma! - mi ordinò - Non ho tempo per leggere
le sconsideratezze che il vecchio dottor Gibson scrive! Andando avanti
con gli anni diventa sempre più logorroico! -
Ed in effetti, vidi,
il referto era lungo quasi cinque fogli e scritto nella grafia
minuscola e ben poco leggibile del dottor Gibson, medico, coroner e
anatomo patologo della cittadina di Doyle.
Rapidamente lessi il
rapporto appuntandomi mentalmente alcuni dei passaggi più importati e
dopo una buona mezz'ora iniziai a riassumerlo al professore.
- La
causa della morte è stata la pugnalata - riassunsi - è stata sferrata
alla schiena, all'altezza dei reni ed ha tranciato l'aorta. La morte è,
presumibilmente, giunta tra il minuto e i due minuti successivi per
shock emorragico. L'ora della morte non è determinabile con sicurezza
dato che le finestre erano aperte e la temperatura esterna era
abbastanza bassa da falsare l'abbassamento della temperatura del
cadavere. -
Cinque pagine per dire quelle due cose. Il dottor Gibson stava davvero
diventando sempre più logorroico.
-
C'è un appunto del dottor Gibson alla fine - aggiunsi poi - secondo lui
la pugnalata è stata sferrata con il corpo del dottor Hopkins già a
terra e l'assassino doveva essere una persona molto forte dato che il
coltello, che ha una lama di circa venticinque centimetri, si è
scheggiato in punta uscendo dall'addome e cozzando violentemente contro
il pavimento! -
- E perché il dottor Hopkins doveva essere già a
terra? - mi domandò il professore - C'erano altre ferite? Traumi al
capo? Segni che sia stato stordito? -
- Secondo il dottor Gibson no! - gli risposi - L'unica ferita che ha
rilevato è stata quella del coltello -
-
Penso che una nuova visita alla casa della vittima si renda necessaria
- decise improvvisamente alzandosi da letto - dica a madame di
prepararci dei sandwich ed una bottiglia di Brunello di Montalcino,
quest'oggi pranzeremo al sacco! -
- D'accordo! - annui.
Stavo
facendo per uscire quando la governante bussò alla porta entrando
subito dopo ed annunciando che lo sceriffo Simmons desiderava parlare
con il professore.
- Ci sono sviluppi! - previde il professore
indossando una veste da camera sopra al pigiama che indossava - Madame,
vuole essere cosi cortese da farlo accomodare nel mio studio, io e il
signor Robert lo raggiungeremo tra qualche minuto! -
Quando
entrammo nello studio trovammo lo sceriffo intento a guardare un
piccolo mappamondo in vetro sulla mensola del camino. Al nostro
ingresso si voltò e ci salutò amichevolmente. La sua faccia irradiava
una giovialità che ben poche volte gli avevo visto dipinta sopra. Le
indagini dovevano aver fatto un passo in avanti molto importante.
- Abbiamo trovato il signor Merlot! - esordì subito - E non ci sono
dubbi che sia lui il colpevole! -
- Lo avete interrogato? - domandai.
-
Purtroppo no! - si rabbuiò per un istante tornando poi a essere
raggiante - Ma non ci possono essere più dubbi ormai! Avete letto il
rapporto del coroner? L'assassino doveva essere un uomo con una certa
prestanza fisica ed il signor Merlot lo era! -
- Lo era? - gli chiese il professore.
-
Purtroppo si! - allargò le braccia - Questa mattina i miei uomini lo
hanno trovato che stava tentando di prendere un treno al volo poco al
di fuori della stazione, quando gli hanno intimato di fermarsi lui è
scappato ed il fato ha voluto che finisse sui binari proprio mentre il
diretto delle nobve e tre quarti transitava di la. E' stato travolto ed
è morto sul colpo! -
- Comunque, la testimonianza dell'uomo che lo
ha visto allontanarsi di corsa dall'abitazione del defunto dottor
Hopkins, il referto del dottor Gibson, ed il fatto che ha tentato di
sottrarsi all'arresto sono meglio di una confessione! - sorrise - Il
caso è chiuso! -
- Non direi! - sorrise a sua volta il professore -
Ci sono ancora delle cose da chiarire! Il movente, ad esempio, e poi
come abbia convinto il dottot Hopkins a sdraiarsi a terra? -
- Ah,
ecco cosa dimenticavo! - gli rispose lo sceriffo - Il movente! Circa un
anno fa il signor Merlot portò la sua unica figlia dal dottor Hopkins
in quanto aveva la febbre alta. Non so per quale motivo la portò
proprio da lui visto che era risaputo che non visitava pazienti che non
potessero pagare la sua parcella. Comunque la piccola morì pochi giorni
dopo ed il signor Merlot giurò vendetta nei confronti del dottore che,
a sua detta, non aveva fatto tutto il possibile per salvare la bambina!
-
- E se adesso vuole scusarmi - si accomiatò da noi dirigendosi
verso il portone di ingresso - il giudice mi attende per definire come
chiuso questo caso! - e, salutandoci calorosamente uscì dall'abitazione
salendo poi su una carrozza che lo attendeva di fuori.
- Pallone
gonfiato! - lo apostrofò con un ghigno il professore - Robert, si
prepari, abbiamo molto da fare e poco tempo per farlo! -
- Ma... - cercai di dire - ...il caso sembra davvero essere risolto! -
Mi
dispiaceva per il professore. Sapevo che, a dispetto del suo mantenersi
calmo e compassato, dentro era un turbine. La sconfitta non faceva
parte del suo stile di vita, arrivare secondo non gli interessava. Per
lui l'importante era vincere, il partecipare era solo un mezzo per
vincere.
Ma quella volta, ebbi davvero il dubbio che fosse lo
sceriffo il vincitore di quella sfida. Ed io ero nel mezzo, contrastato
tra l'essere dispiaciuto per il professore e l'essere felice per lo
sceriffo che da li a pochi mesi sarebbe diventato mio suocero.
-
Madame! - gridò improvvisamente il professore - Ci prepari un pranzo al
sacco, tramezzini al prosciutto e una bottiglia di Brunello! -
La nostra prima sosta fu l'abitazione del defunto
dottor Hopkins.
Rispetto all'animazione del giorno precedente quella mattina c'era una
calma quasi irreale.
Velocemente il professore si diresse nel giardino e poi sul lato dal
quale si affacciavano le finestre dello studio.
Il
giorno prima non avevo potuto guardare bene la grata e l'edera che vi
si avvinghiava addosso salendo fino oltre le finestre del primo piano
per cui approfittai di quella seconda visita per osservarla con più
cura.
Alcune foglie era schiacciate a distanze quasi regolari e,
notai, c'erano anche delle macchie di terra sulla grata. Probabilmente
era dove l'assassino aveva messo i piedi per salire e poi scendere.
Tuttavia
qualcosa non quadrava con l'idea che mi ero fatto, ovvero che
l'assassino aveva usato quella via per entrare e poi uscire dallo
studio.
I segni della scalata salivano fino ad un certo punto per poi
scomparire.
-
Ha visto abbastanza? - mi domandò - Entriamo dentro! - e senza
attendere una mia risposta si voltò raggiungendo poi, a passo lungo e
svelto, il portone di ingresso.
- Sembra non ci sia nessuno! - dissi dopo che ebbi suonano il
campanello per alcune volte senza ricevere nessuna risposta.
-
Meglio! - sorrise tirando fuori da una tasca interna del soprabito un
grimaldello con il quale ermeggiò per alcuni secondi con la serratura
delle porta.
- Ma questa è una effrazione! - cercai di fermarlo. Se
qualcuno ci avesse visto sarebbero stati dei guai. Violazione di
domicilio.
- Non si preoccupi per la signorina Clarisse! - sorrise
aprendo la porta - Nel caso le spiegherò che sono stato io a
trascinarla in questa piccola effrazione! - poi, velocemente entrò
dentro la casa invitandomi a fare altrettanto.
In silenzio ci dirigemmo nello studio del piano terra, dove avevamo
interrogato la governante.
-
Una cosa che ha notato è che l'armadio dei farmaci appare come se non
fosse stato usato da molto tempo! - mi disse dirigendosi proprio verso
quell'armadio - Ed in effetti, c'è tanta di quella polvere da far
pensare che l'ultima volta che sia stato aperto lei doveva portare
ancora i calzoni corti! -
- Mai portati! - mi trovai a pensare. Cosa voleva farmi capire?
-
Eppure sappiamo per certo che il dottor Hopkins ancora esercitava la
professione medica! - aggiunse poi - E secondo il mio informatore
proprio il giorno prima di essere ucciso aveva ricevuto non meno di tre
pazienti! E ad almeno uno aveva dato un farmaco! -
- Quindi deve esserci un altro armadio! - ipotizzai - Ma questo cosa
c'entra? -
- Ancora non lo so! - ammise con un leggero sorriso - Ma una volta che
lo avremo trovato sarà tutto più chiaro! -
Trovare il secondo armadio dei medicinali fu più facile di quanto
pensavo. Non era nello studio al piano terra bensi in quello del
secondo piano. Dove era stato ucciso. Ed era un armadio anonimo, con le
ante di legno e senza alcuna scritta.
Tuttavia una volta aperto ci trovammo di fronte a decine di flaconi
contenenti alcuni dei liquidi e altri delle pillole.
Rapidamente
scorsi le etichette dei flaconi e accanto a nomi decisamente noti come
la digitale o il laudano trovai anche alcuni nomi che ben poco mi
dicevano. Verso il fondo di uno degli scaffali interni, poi, vidi
alcuni flaconi che riportavano solo la formula chimica. La maggior
parte mi era del tutto sconosciuta ma almeno una attirò la mia
attenzione più delle altre.
Un anello aromatico, benzenico, ed uno diazepinico.
Avevo visto quella stessa struttura in un lavoro che era stato
presentato pochi mesi prima sulla rivista scientifica
Scientific
Journal of Medicine in cui si ipotizzava che farmaci con quella
struttura potevano avere effetti sulle crisi epilettiche e sull'insonnia
4.
Eppure non mi sembrava che il nome del dottor Hopkins comparisse tra
gli estensori di quell'articolo.
Un'altra cosa però mi attirò di quel flacone. Era mezzo vuoto.
Tutti
gli altri erano pieni e con una fascetta a sigillarli mentre quello era
pieno solo per metà e la fascetta era stata rimossa.
Lo feci
presente al professore che, sorridendo, ripeté la sua solita frase,
quella che diceva quando qualcosa andava ad incastrarsi al posto giusto.
- Ma si! - esclamò - Adesso possiamo andare a pranzo! -
Nel mentre uscivamo dallo studio dove avevano trovato il cadavere una
cosa attirò la mia attenzione.
Lo stipite della porta.
Quando eravamo stati li la prima volta, il giorno prima, avevo guardato
la porta ma non lo stipite.
Mi
era sembrata una cosa quasi inutile. C'erano le dichiarazioni dei
testimoni che la porta era chiusa a chiave, c'era la serratura della
porta con ancora la chiave inserita nella parte interna e il
chiavistello fuori di qualche centimetro.
Ma quel giorno uscendo dallo studio l'occhio mi cadde sullo stipite
della porta.
Come per l'edera sulla grata anche in quel caso qualcosa mi disturbò
con il suo non quadrare nello scenario che mi ero dipinto.
L'agente
Perkins butta giù la porta con una spallata, è stato giocatore di rugby
al college ed anche se non massiccio ha un fisico muscoloso.
Sullo stipite della porta avrei dovuto vedere i segni di quella
apertura forzata.
E difatti, notai, c'erano nella parte superiore. Quella dove si andava
ad inserire il chiavistello collegato alla maniglia.
Ma
non c'era nulla nella parte inferiore. Quella dove, se la porta fosse
stata effettivamente chiusa a chiave ci sarebbe dovuto essere il
chiavistello della serratura.
Un nuovo scenario iniziò a farsi
strada nella mia mente mentre il professore, accortosi che mi ero
fermato a fissare quasi imbambolato lo stipite della porta si fermò a
sua volta guardandomi con un sorriso.
- Cosa ne pensa? - mi domandò improvvisamente.
- Che la porta non era chiusa a chiave! - gli risposi.
Tuttavia
questa mia ipotesi non reggeva di fronte alla dichiarazione dell'agente
Perkins che affermava di aver provato ad aprire la porta ma di averla
trovata chiusa.
- Ma se l'agente Perkins ha provato ad aprirla, come ha fatto a non
riuscirci? - gli domandai.
- Continui ad osservare! - mi spronò ad osservare con ancora più cura
la stanza e la porta.
Devo
ammettere, però, che oltre a quanto avevo già visto non ci fu nulla che
mi fece scattare quel campanello come era accaduto con l'edera e lo
stipite della porta.
Tuttavia, mormorai tra me giocando con un cuneo
di legno che avevo trovato nello studio, doveva esserci qualcosa. Il
professore doveva averla vista e non era possibile che io non riuscissi
a vederla.
Fui però costretto ad arrendermi e lasciata cadere a
terra il cuneo mi rivolsi al professore per chiedergli di darmi la
risposta a quel quesito.
- A suo tempo! - mormorò - Forse c'è ancora modo perché lei ci arrivi
per suo conto! -
E
detto questo uscimmo dall'abitazione lasciandocela rapidamente alle
spalle mentre ci dirigevamo verso il parco dove avremmo pranzato.
Terminato il pranzo ci dirigemmo verso la città e, fermata una
carrozza, il professore disse al vetturino di portarci all’ufficio
dello sceriffo.
- Mi manca un ultimo tassello! – mi disse mentre la carrozza si
dirigeva rapidamente verso il centro di Doyle.
-
Ha scoperto l’assassino? – gli domandai incuriosito. Gli ultimi
elementi che avevamo scoperto mettevano in dubbio l’ipotesi che ad
uccidere il dottor Hopkins fosse stato il signor Merlot, tuttavia, nel
quadro di indizi che avevamo raccolto ancora non riuscivo a vedere un
insieme che potesse darmi almeno una qualche indicazione valida.
A
meno che, pensai, nelle informazioni che il professore aveva ottenuto
non ci fosse qualcosa di cui non ero ancora a conoscenza. E con in
mente questa cosa gli chiesi cosa ci fosse scritto in quei fogli.
- La chiave del mistero! – mi rispose sibillinamente.
Devo
dire che quel suo mantenere un riserbo quasi totale su quelle
informazioni mi irritò leggermente. Ma era nel suo carattere. Al
termine delle indagini mi avrebbe fatto leggere tutte le carte ma
prima, ed era già accaduto in passato, per me quei dati erano del tutto
segreti.
Ero quasi indeciso se provare ad insistere. In fondo erano
due anni che ero con lui ed ormai doveva aver capito che si poteva
fidare di me. Ma non ne ebbi l’occasione.
Infatti, proprio mentre
stavo per aprir bocca e dire ciò che pensavo la carrozza si fermò ed il
vetturino ci disse che eravamo giunti a destinazione.
Mi appuntai
rapidamente in mente di cercare di riprendere quel discorso più tardi,
a casa, e velocemente scesi in strada seguendolo, poi, dentro l’ufficio
dello sceriffo.
- Mio caro Homes! – lo salutò giovialmente
lo sceriffo vedendolo entrare nel suo ufficio. Era certo di aver posto
la parola fine a quel caso, ed in un tempo estremamente ridotto tra
l’altro, e quindi riteneva di aver tutti i motivi per essere contento
ed amichevole. Finanche con il suo nemico – E’ sempre un piacere
vederla! – poi si voltò verso di me – Cosa ne dice di venire a trovarmi
un giorno di questi? Mi farebbe molto piacere parlare di nuovo con lei
mentre ci si gode il fumo di un buon sigaro! –
- Certamente! –
sorrisi facendo buon viso a cattivo gioco. La sola idea di rimanere per
ore chiuso dentro la biblioteca della casa dello sceriffo, immerso nel
fumo pestilenziale dei suoi sigari, mi deprimeva. Ma non era davvero il
caso di dirlo. In fondo era pur sempre il padre della mia amata
Clarisse.
- Avrei un favore da chiederle – disse invece il professor
Homes – il coltello con cui è stato assassinato il dottor Hopkins!
Vorrei vederlo se fosse possibile! –
- Ma certo! – esclamò – Rudy! –
chiamò uno degli agenti – Scendi nel magazzino delle prove dei casi
conclusi e porta su la scatola del caso Hopkins! – poi tornò a
rivolgersi a noi – il giudice ancora non ha chiuso il caso, ma è
questione di poco ormai e mi sono portato avanti facendo già archiviare
le prove! –
- E’ quindi sicuro che sia stato il signor Merlot! – gli disse il
professore.
-
Aveva un movente, era sul luogo del delitto, ha tentato la fuga –
sorrise – non può confessare perché ormai è ridotto a tanti pezzetti
dentro una scatola nello studio del coroner, ma quanto abbiamo ci basta
ed avanza! –
- Ed il fatto che abbia usato un coltello da oltre
trecento dollari americani che nessuno gli ha mai visto, e che abbia
poi lasciato un coltello cosi costoso sulla scena del crimine – lo
fulminò con una delle sue occhiate il professore – il fatto che nessuno
sia mai entrato o uscito dalla finestra dello studio, tantomeno il
defunto signor Merlot, queste cose come le considera nelle sue geniali
deduzioni? –
La faccia dello sceriffo passò dalla giovialità ad una espressione più
tetra di disappunto.
-
Queste sono quisquilie! – cercò di riprendersi – C’è più di una persona
che è disposta a giurare di aver visto il signor Merlot discutere
animatamente con il defunto dottore! Aveva un movente, la vendetta per
la sua povera figlioletta morta. Il coltello può averlo rubato, ed il
fatto che lo abbia lasciato sulla scena del crimine può solo dimostrare
che magari è stato un gesto di impulso. Ha accoltellato alla schiena il
dottore e poi, vinto dal rimorso è scappato precipitosamente senza
pensare ad altro! –
- E come mi spiega che il dottore fosse già
sdraiato a terra quando è stato accoltellato? – lo incalzò il
professore – Glielo avrebbe chiesto, gentilmente, il suo assassino e
lui avrebbe acconsentito senza fiatare, senza provare a difendersi? –
-
Nello studio ci sono molti oggetti fragili ed in precario equilibrio! –
continuò facendo diventare sempre più tetra la faccia dello sceriffo –
Eppure non c’è nulla in disordine. Tutto è perfettamente al suo posto! –
-
E se lo avesse fatto sdraiare, e se il dottore avesse acconsentito
senza nessuna protesta a questa richiesta – continuò poi – questo non
quadrerebbe con l’ipotesi di un delitto di impeto e, quindi,
l’assassino sarebbe stato folle a lasciare un oggetto cosi particolare
come è l’arma del delitto! –
- Il mondo è pieno di folli! – esclamò
lo sceriffo lanciando una occhiata di traverso al professore quasi a
voler sottolineare quello che stava dicendo e a voler sottendere che,
di folle, in quel momento ne aveva uno proprio dinanzi.
Per fortuna
a mettere fine a quella piccola diatriba verbale giunse l’agente Rudy
con una scatola in legno dentro la quale erano conservati alcuni
oggetti che lo sceriffo aveva prelevato sulla scena del crimine. Tra
cui il famoso coltello.
- Bene! – ruggì lo sceriffo quasi strappando
dalle mani dell’agente la scatola – Qui c’è il suo coltello, lo esamini
per tutto il tempo che vuole e poi mi faccia la cortesia di andarsene!
Qui dobbiamo lavorare e non giocare a fare il detective! –
Non era
raro assistere a simili scontri tra loro due. In due anni che ero li mi
era già capitato e tutte le volte temevo per le coronarie dello
sceriffo. Infatti, mentre il professore tendeva a rimanere calmo ed
impassibile, lo sceriffo Simmons si infervorava. Le vene del collo gli
si inturgidivano ed il volto assumeva un colorito rubizzo. Più di una
volta temetti che sarebbero venuti anche alle mani ma questo non
accadde mai.
La cosa stupefacente era, però, quando il caso veniva
definitivamente chiuso. Praticamente sempre con la vittoria del
professore ed il malvivente assicurato alla giustizia.
Chiuso il caso i due
alleati/nemici
si ritrovavano a casa del professore, seduti su di un divano a bere
qualcosa e a chiacchierare amabilmente come due carissimi amici.
Sarebbe andata cosi anche quella volta, ma per il momento i due
continuavano a guardarsi in cagnesco.
-
Grazie! – sogghignò poi il professore prendendo il coltello e
osservandone il manico per alcuni secondi passando il dito su una
piccola scalfittura nel pomello, poi prese dalla scatola anche un
orologio da taschino con la cassa posteriore bucata e, dopo averlo
osservato per meno di un attimo ripose anche quello – Può riportarlo
giù! – poi, voltandosi per andarsene – Le sarei grato se domani, per le
quattro pomeridiane, potesse raggiungermi nella mia umile dimora per la
risoluzione del caso e per assicurare alla giustizia l’assassino!
Sarebbe opportuno che si facesse accompagnare anche dall’agente
Perkins! –
E, lasciando lo sceriffo a terminare di sbollire la
rabbia, uscimmo dall’ufficio dirigendoci, poi, verso il fiume per la
camminata post prandiale che quel giorno avevamo leggermente
posticipato.
- Mio caro Robert – si fermò ad osservare
alcune piccole imbarcazioni che solcavano il fiume – immagino che si
starà chiedendo chi sia l’assassino e quali siano gli indizi che mi
hanno portato alla sua identificazione! –
- In effetti! – mormorai
tirando su il bavero del soprabito per proteggermi il collo dal vento
che stava iniziando a farsi gelido.
- Rifletta – mi disse poi – su cosa possiamo essere sicuri? –
-
Sul fatto che la porta non era chiusa a chiave – iniziai ad elencare –
che il colpo di coltello è stato sferrato con molta forza, e che
l’assassino non è uscito dalla finestra ma, a questo punto, dalla
porta! –
- Quindi, l’assassino è stato fatto entrare nella casa –
aggiunsi poi cercando di concatenare tutti gli elementi in mio possesso
– la porta di ingresso non presenta segni di effrazione. Lei, oggi, per
aprirla ha lasciato dei piccoli segni con il grimaldello, segni che non
erano presenti prima. Forse era qualcuno di cui il dottore si fidava! –
- Vedo che lentamente ci sta arrivando – sorrise.
-
Già, ma lo stesso non riesco a capire chi possa essere! – mormorai – Di
primo acchito mi verrebbe in mente l’agente Perkins. Lui potrebbe avere
la forza necessaria per piantare un coltello nella schiena di una
persona sdraiata a terra fino a scheggiarne la punta sul pavimento. Poi
si sarebbe fatto trovare fuori dalla casa giusto in tempo per ricevere
la chiamata di soccorso della signora Matilde e buttare giù la porta
per avvalorare la tesi che fosse chiusa a chiave e della finestra come
unica via di fuga! – poi mi fermai alcuni secondi per riordinare le
idee – Ma perché la signora Matilde ha trovato la porta chiusa? Se era
solo accostata perché non è riuscita ad aprirla? –
- A meno che… -
la risposta mi giunse quasi da sola - …a meno che la signora Matilde e
l’agente Perkins non fossero in combutta tra di loro! Allora tutto
quadrerebbe! –
Devo dirvelo. In quel momento mi sentii quasi di
poter competere con il professore. Quella mia analisi era cosi geniale
che mi sentii inorgoglito di averla fatta.
Gli unici due testimoni in combutta tra di loro. Quale miglior modo per
cercare di farla franca?
-
Farebbe condannare un innocente! – mi smontò, invece, il professore
facendomi tornare con i piedi per terra – Ma sta migliorando! Solo
qualche mese fa avrebbe preso per buona la tesi dello sceriffo senza
neanche pensare di metterla in discussione. Ma deve ancora imparare a
scavare! –
- Madame dovrebbe aver quasi messo la cena in tavola –
chiuse li il discorso riprendendo a camminare e, fischiettando l’aria
di un’opera lui, mestamente io, ci incamminammo verso casa.
La mattina successiva la trascorsi come al solito. Alle nove
madame
Hics venne a chiamarmi per la colazione e dopo la lettura dei giornali
e l’opera di archiviazione me ne andai nello studio per mettere ordine
nei miei appunti e copiarli in un quaderno insieme agli altri.
Il
caso stata per essere risolto e quindi era giunto il momento di tirare
le somme e prepararsi ad archiviarlo insieme agli altri casi che in
quei due anni il professore aveva risolto.
Nel mentre ero intento a
fare questo iniziai anche a tirare le somme di cosa avevo fatto io in
quei due anni. E la risultanza era pressoché zero.
Salvo prendere
appunti, ritagliare articoli dai giornali e seguire il professore non
avevo contribuito alla risoluzione di neanche un caso. Mi ero limitato
a fare da spettatore e forse, riflettei, era giunto il momento di
decidere cosa fare della mia vita.
Ero giunto li pieno di belle
speranze. Allievo di uno degli investigatori privati più conosciuti del
continente. Ero convinto che nel giro di pochi mesi sarei stato in
grado di camminare con le mie gambe ed invece, eccomi li, a ricopiare
in bella qualche appunto e a chiedermi se non fosse ora di tornarmene a
casa e, per dirla con le parole di mia sorella,
iniziare a pensare
cosa volevo fare da grande.
Certo,
mi dissi alzandomi dalla scrivania e sbirciando fuori dalla finestra
che dava su Stratford Avenue, c’era qualcosa che mi tratteneva ancora a
Doyle. Una dolce ed amabile ragazza con la quale amavo chiacchierare e
che tra pochi mesi sarebbe diventata la mia fidanzata.
Ma, riflettei, che futuro potevo darle?
Lavorando
come investigatore privato, con le mie scarse capacità, avrei potuto
forse a malapena sfamare me. Figuriamoci mantenere una famiglia.
Suo padre avrebbe potuto farmi assumere come detective nel suo ufficio
e la paga sarebbe stata migliore. Me ne aveva parlato.
Ma io volevo camminare con le mie gambe. E forse la direzione in cui
dovevo camminare non era quella.
Davvero, tornare a casa e dedicarmi finalmente a quello che sarebbe
stato il mio futuro era la scelta migliore.
Ma sarebbe stato come ammettere la mia sconfitta e, sapete, su questa
cosa io, lo sceriffo ed il professore ci somigliamo.
A nessuno di noi tre piace ammettere di essere stati sconfitti.
E con quella idea in mente mi rimisi a copiare i miei appunti cercando,
intanto, di capire anche dove avevo sbagliato
La prima ad arrivare fu la signora Matilde.
Il
professore mi aveva informato che aveva invitato anche lei e pertanto
la feci accomodare nello studio dove, con l’aiuto di madame Hics la
misi a suo agio servendole del the e dei pasticcini che il professore
aveva ordinato ad una piccola pasticceria di Stradford Avenue.
Come
quando l’avevamo interrogata appariva piuttosto tesa. Il volto era una
maschera di pietra. Nessuna espressione traspariva dai suoi lineamenti
e tranne un piccolo sorso di the non accettò altro, lamentandosi, nel
frattempo, di essere stata convocata li senza nessuna spiegazione.
Per comprovarmelo mi mostrò poi il telegramma che il professore le
aveva spedito e che recitava solo
la sua presenza è richiesta al
numero dodici di Stradford Avenue alle ore quattro pomeridiane.
Un messaggio decisamente laconico e che se fosse stato ricevuto da me
sarebbe finito nel cestino della carta straccia in meno di un minuto.
Alle quattro in punto arrivò lo sceriffo. Come richiesto dal professore
si era fatto accompagnare dall’agente Perkins.
Feci
accomodare tutti e due nello studio e anche con loro ripetei l’offerta
del the con i pasticcini che, questa volta, venne ben accolta. Alla
richiesta dello sceriffo di poter fumare il sigaro fui, però, costretto
a dire di no. Il professore non fumava ed era tassativamente vietato
accendere anche una piccola sigaretta nel suo studio.
E finalmente
giunse anche il professore che, quasi immediatamente venne accolto
dalle vibrate proteste della signora Matilde che, per buona aggiunta,
lo minacciò anche di azioni legali per quella che, a suo dire, era una
grandissima perdita di tempo dato che l’assassino del suo datore di
lavoro era stato già trovato dalla giustizia terrena e che stava già
scontando la sua pena all’inferno.
Cosa volesse ancora da lei,
aggiunse infine, era un mistero e quell’accanirsi sarebbe stato
certamente sanzionato da qualcuno più in alto di tutti loro.
- Non
dubito che espierò le mie colpe quando sarà il momento – le sorrise
amabilmente mentre si andava a sedere dietro la sua scrivania. Io mi
sistemai da una parte, con il mio taccuino in mano, e mi preparai ad
assistere.
Lo sceriffo, invece, si era accomodato sulla sua poltrona
preferita. Non era a suo agio. Più tardi mi disse che aveva riflettuto
sulle parole del professore e che, seppur minimo, un fondamento di
verità l’avevano.
L’agente Perkins sembrava quello più calmo di
tutti. Si era seduto su di una poltroncina damascata e si stava
guardando intorno con un O di meraviglia stampato sul volto.
Quel posto, per lui, doveva essere simile ad una stanza dei tesori o a
qualcosa di favoloso.
- Vi ho fatto venire qui, oggi, per assicurare alla giustizia un
assassino! – disse improvvisamente – O meglio, una assassina! –
Tutti
gli sguardi caddero sulla signora Matilde che, perdendo per un attimo
la sua espressione di pietra si mosse a disagio sulla poltrona.
Durò solo per un attimo perché un secondo dopo aveva di nuovo lo
sguardo impassibile.
-
Sceriffo – disse poi – lei mi è testimone, quest’uomo sta accusandomi!
Le chiedo di porre fine a questa farsa e di raccogliere la mia
denuncia! –
- Non dubiti signora! – annuì senza battere ciglio – Ma ascoltiamo
prima cosa ha da dire! –
- Iniziamo dal chiedere per quale motivo il signor Merlot ha
portato
la sua figlioletta dal dottor Hopkins – iniziò a parlare il professore
– pur sapendo, ed era cosa risaputa, che il dottore non visitava alcun
paziente che non potesse pagare la sua parcella! – poi prese un foglio
da una cartelletta e lo passò allo sceriffo – Ho qui la testimonianza
firmata di una persona che afferma che la signora Matilde era stata la
balia della madre della bambina e che era rimasta sempre in buoni
rapporti con lei, anche dopo il matrimonio di questa donna con il
signor Merlot. Matrimonio che lei osteggiava! –
- Era un poco di buono! – disse improvvisamente la signora Matilde – Ed
ero certa che avrebbe fatto soffrire la mia piccola! –
-
Per questo motivo quando la loro figlioletta si ammalò di difterite la
portarono dal dottor Hopkins! – continuò il professore – Grazie alla
signora Matilde, che nel frattempo era diventata la governante e
segretaria del dottore, la piccola ricevette tutte le cure del caso ma,
nonostante questo venne a perire ugualmente! –
Una piccola crepa si aprì nel volto granitico della signora Matilde.
-
Il signor Merlot minacciò più volte il dottore – continuò – a suo dire
le cure non erano state adeguate. E forse il giorno in cui il dottore è
stato ucciso il signor Merlot era li per minacciarlo di nuovo. O forse
per ucciderlo. Fatto sta che quando è scappato dall'abitazione
del
dottor Hopkins l'omicidio ancora non era stato commesso! Il testimone
che lo ha visto fuggire è sicuro dell’ora in cui lo ha visto, le cinque
di mattina. Ma a quell’ora il delitto non era stato ancora compiuto.
Infatti, il dottor Hopkins è stato accoltellato alle cinque e
quindici, l’ora in cui l’orologio da taschino del dottor Hopkins
si è
fermato a causa del coltello che lo ha colpito prima di andare a
fermarsi contro il pavimento! Ed il cadavere era già molto freddo
quando l'agente Perkins lo ha toccato perché la temperatura quella
mattina era gelida e con le finestre aperte il cadavere è sceso di
temperatura più rapidamente! –
- Probabilmente ha anche visto
l’assassino ed è per questo che ha deciso di scappare! – aggiunse –
Sapeva che sarebbe stato interrogato e voleva evitare di dover
scegliere tra il non parlare e il denunciare una persona che aveva
comunque provato a fare molto per la sua bambina! -
- Signora
Matilde - si rivolse poi alla governante che iniziava a far trasparire
i primi segni di nervosimo - lei ci ha detto che l'ultima volta che ha
visto vivo il dottor Hopkins è stata la sera prima dell'omicidio, alle
sette e venti, e che non dormiva nella casa del dottore! - poi,
volgendo lo sguardo verso lo sceriffo - Ma come sarà facile per lo
sceriffo confermare, nella sua casa alla City non ci sono segni della
sua permanenza da oltre tre anni. Ho fatto chiedere e i suoi vicini
sono concordi nell'affermare che lei non dorme nella sua casa da molto
tempo ormai. Cosi come sarà facile rilevare nella casa del dottore che
c'e una stanza adibita a sua camera da letto! -
- Infatti, il dottor
Hopkins non aveva solo la fobia di rimanere chiuso a chiave dentro una
stanza - disse poi rivolgendo, questa volta, a tutti - ma aveva anche
paura di rimanere da solo di notte, e per questo che lei si era
trasferita nella sua abitazione -
- Signora Matilde! - disse lo
sceriffo alzandosi e rivolgendosi alla governante - E' vero quanto il
professor Homes sta dichiarando? -
- Si! - ammise a bassa voce. Si
stava torcendo le mani dal nervosismo e la maschera granitica che fino
a poco prima era il suo volto stava cadendo a pezzi sempre più
rapidamente.
- Ma come può aver ucciso il dottore? - chiese poi lo
sceriffo rivolgendosi a Homes - Il colpo di pugnale è stato cosi
violento da spezzarne la punta sul pavimento! E poi la porta chiusa a
chiave dall'interno! Non può di certo pensare che la signora Matilde
possa essersi calata dalla finestra! -
- Ogni cosa a suo tempo! -
sorrise - Prima sveliamo il mistero dietro alla posizione sdraiata del
dottore quando è stato accoltellato! -
- Sicuramente è difficile
credere che una persona che si vede minacciare con un coltello di
quelle dimensioni se ne stia tranquilla e accetti passivamente di venir
fatto sdraiare a terra - iniziò la sua spiegazione - anche se debole
farà comunque una certa resistenza, magari proverà a scappare, a
difendersi. Ma nello studio era tutto in ordine. Non c'era un solo
oggetto, per quanto fragile che fosse rotto. E questo ci fa pensare che
il dottore potesse essere stato stordito in qualche modo. -
Il flacone con la soluzione sedativa che abbiamo trovato nell'armadio
dei farmaci, me ne uscii.
-
Esatto Robert - si voltò verso di me - si tratta di una soluzione
sedativa che è ancora in fase sperimentale, sconosciuta ai più. La
signora Matilde, però, la conosceva dato che era lei a tenere i
contatti per conto del dottore con vari scienziati sparsi in tutto il
mondo. E quella sera, quando il dottor Hopkins le chiese una camomilla
lei gliela corresse con parte della soluzione contenuta nel flacone.
Probabilmente non aveva alcun problema ad accedere all'armadio dei
farmaci e non vista aveva già provveduto ad impadronirsi del potente
sedativo! -
- Dopo aver bevuto la camomilla il dottore ha iniziato a
sentirsi assonnato e quando non è riuscito più a reggersi in piedi lei
lo ha
accompagnato a terra avendo cura di non farlo sbattere
da
nessuna parte - continuò - Aveva già in mente tutto il piano e doveva
aver cura di non far rimanere altri segni sul corpo del dottore -
-
Basta cosi! Per favore! - urlò improvvisamente la signora Matilde
scattando in piedi - Si, è vero! L'ho ucciso io! Ma meritava di morire!
Aveva ucciso quella povera bambina e fatto soffrire la mia piccola!
Doveva pagare! - poi tornò a sedersi, distrutta. Lo sguardo fisso a
terra e perso nel vuoto.
- Quando la figlioletta della mia
piccola - iniziò a dire con voce atona - si ammalò chiesi al dottor
Hopkins di visitarla. Fui molto contenta quando accettò di farlo,
sapevo che non visitava nessuno che non potesse pagare la sua parcella.
Le diagnosticò una forma molto grave di difterite e aggiunse che non
c'erano molte speranze di salvarla. Tuttavia, disse, avrebbe provato
con un farmaco che un suo amico stava sperimentando proprio in quei
giorni
5 -
- Ricevetti io stessa il pacco inviato tramite
corriere - continuò - e lo accompagnai a casa della mia piccola per le
somministrazione. Però, nonostante tutto, la piccola morì lo stesso. La
malattia era ad uno stadio troppo avanzato per riuscire a fermarla,
anche con quel nuovo farmaco -
- Qualche giorno fa, invece, scoprii
che il dottor Hopkins non aveva somministrato il farmaco alla piccola!
- mormorò sempre con voce atona - Controllando l'armadio dei farmaci
trovai, infatti, tutti e cinque i flaconi che gli erano stati spediti!
Ero sicura del numero. Li avevo ricevuti io stessa! -
- Chiesi al
dottore per quale motivo non avesse somministrato il farmaco alla
bambina - terminò il suo racconto - speravo che mi dicesse che quei
cinque flaconi fossero il frutto di una nuova spedizione, volevo
continuare a credere che il dottore avesse realmente fatto di tutto per
cercare di salvare la bambina, ed invece mi disse che sarebbe stato
comunque inutile e che lui sarebbe stato incriminato per aver usato un
farmaco ancora sperimentale! Non c'era nulla da guadagnare e tutto da
perdere - poi tornò a sedersi con il volto leggermente più rilassato -
e fu cosi che maturai l'idea di ucciderlo. Di vendicare le sofferenze
che aveva fatto patire alla mia piccola! -
- Signora Matilde
- si alzò lo sceriffo. Il volto teso per la rivelazione e per lo scorno
di aver ancora una volta perso contro il professore - la dichiaro in
arresto per l'omicidio del dottor Hopkins e per aver indotto la morte
del signor Merlot! - poi si voltò verso l'agente Perkins - La conduca
nel mio ufficio! -
- Si signore! - si alzò dirigendosi poi verso l'anziana donna -
Signore? Devo ammanettarla? -
- Non credo che ce ne sia bisogno! - mormorò.
Lentamente
vidi la signora venir scortata fuori dallo studio. Non era la prima
volta che vedevo portar via un assassino ma quella volta fu diverso.
Non
riuscivo a vedere in quella donna la fredda assassina che aveva
pianificato un omicidio e che senza alcun rimorso aveva causato la
morte di un innocente. Vedevo solo una povera e vecchia donna distrutta
dal dolore e provai anche un po' di compassione vedendola portar via.
- Un goccio di Brandy? - domandò improvvisamente il professor Homes
tirando fuori una bottioglia e tre bicchiere a uovo tronco.
-
Volentieri! - disse poi lo sceriffo - Abbiamo la confessione, ma ci
sono ancora dei punti oscuri, la forza con cui è stata sferrata la
pugnalata, e la porta chiusa! Ed il coltello, poi? Di chi era? -
-
Nessun punto oscuro! - sorrise riempiendo i tre bicchieri - Doveva
sviare le indagini e quindi doveva far credere che a uccidere il
dottore fosse stato un uomo con una certa forza e non una gracile donna
di mezza età! - poi si sedette su di una poltrona invitando me e lo
sceriffo a fare altrettanto - Per questo, una volta che il dottore fu a
terra, stordito dal sedativo, la signora lo ha accoltellato usando un
martello per piantare con forza la lama nella schiena dell'uomo! E
questo è dimostrabile dall'intaccatura presente sul pomello del manico
del coltello -
- Impressionante! - fischiò lo sceriffo. Sebbene
ancora non avesse digerito quell'ennesima sconfitta era abbastanza
sportivo da ammettere la superiorità delle intuizioni del professore.
-
Per quanto riguarda il mistero della porta chiusa dall'interno - disse
- non era chiusa a chiave, ma solo accostata e bloccata da un cuneo di
legno! - poi alzandosi - Vi faccio vedere! -
Rapidamente tirò fuori
dalla sua scrivania un cuneo di legno simile a quello che avevo visto
nello studio ed un filo di seta, di quelli che i chirurghi usano per
suturare le ferite.
Velocemente lo fissò ad un ago curvo, sempre uno di quelli che si usano
per le suture, che poi infilzò sulla punta del cuneo.
-
La porta era solo accostata e chiusa dal chiavistello della maniglia! -
spiegò uscendo dallo studio dopo aver fatto passare il filo sotto la
porta - Una volta chiusa la porta, la signora Matilde non ha fatto
altro che tirare il cuneo dall'esterno facendo infilare sotto la porta.
Con uno strattone più forte poi non ha fatto altro che far incastrare
ancora di più il cuneo e staccare l'ago. In questo modo ha bloccato la
porta! -
Per dimostrarcelo, poi, chiuse la porta e dall'esterno tirò il cuneo
fino a farlo infilare nella fessura tra pavimento e porta.
-
Provate ad aprire la porta! - ci urlò poi - E vedrete che più sforzi
farete e più il cuneo opporrà resistenza! Se andaste di fretta forse
non vi accorgereste che un minimo la porta cede e pensereste che sia
chiusa a chiave! -
- La cosa che ha pensato l'agente Perkins! -
mormorò lo sceriffo provando, senza riuscirci, ad aprire la porta - Una
mente davvero geniale! - poi rimosse il cuneo facendo rientrare il
professor Homes.
- Per quanto riguarda il coltello - disse infine
tornando a sedersi - ho notato nello studio del professore un fodero di
coltello appeso sopra il camino decisamente troppo grande per il
coltello che conteneva! Un fodero adatto ad un coltello con una lama di
venticinque centimetri! -
- Mirabile! - commentò lo sceriffo tornando a servirsi di un altra dose
di Brandy - Davvero mirabile! -
-
L'unica cosa buia di questa storia - disse poi il professore - è perché
la donna abbia aspettato cosi tanto per ucciderlo! La camomilla drogata
deve avergliela portata la sera e gli effetti devono essere stati quasi
istantanei! -
- Forse un momentaneo rigurgito di coscienza - provò a
dargli una risposta lo sceriffo finendo di bere il suo Brandy - se
volete scusarmi, devo tornare nel mio ufficio per ufficializzare
l'arresto della signora Matilde! - poi, uscendo dallo studio - Signor
Homes, dopo cena mi farebbe piacere averla a casa mia per una bevuta! E
lo stesso vale per lei Robert! -
- Non mancheremo! - sorrise infine il professore sollevando il
bicchiere il segno di saluto.
E' notte fonda ormai.
Il professore è andato a dormire da tempo ormai ed io sono quasi
prossimo.
Sto
terminando di copiare i miei appunti con la conclusione del caso. E
quando poserò la penna sarà come aver messo definitivamente la parola
fine a questo ennesimo caso risolto brillantemente dal professor Homes.
Prima o poi raccoglierò quanto sto scrivendo in un libro, al pari del
dottor Watson, il biografo di Sherlock Holmes, e lo darò alle stampe.
Un modo in più per dare lustro e risonanza alle imprese di questo
nostro investigatore privato che ha fatto della deduzione logica la sua
bandiera e che tanti casi ha già risolto.
Ma per il momento, penso, continuerò ancora a seguirlo e ad apprendere
da lui.
Come sempre, il vostro R.A.
Copyright © 2009 suinogiallo
Annotazioni
1
- nell'universo narrativo in cui si svolge questa storia Sherlock
Holmes è un personaggio reale e le sue storie sono scritte dal dottor
Watson.
2 - il Bowie Knife è un tipo di coltello molto grande e
pesante portato alla ribalta dal colonnello Jim Bowie, uno degli eroi
di Alamo. Per le sue caratteristiche è considerato un coltello molto
pericoloso e in parecchi posti è vietato portarselo dietro. E' anche un
coltello decisamente costoso.
3 - il nome dello sceriffo mi è
scappato, lo devo ammettere. Chi segue altri miei racconti o gioca a
Fallout 3 avrà senz'altro capito che si tratta di un omaggio allo
sceriffo Simms di Fallout 3.
4 - la formula è quella delle
benzodiazepine. Averla inserita in questo racconto, ambientato alla
fine del 1800, è però un falso storico dato che la formula venne
studiata solo negli anni '50 e le benzodiazepine entrarono nella
pratica clinica solo negli anni '60/'70.
5 - si tratta dell'antisiero contro la difterite. Siamo un po' ai
limiti del falso storico in questo caso.
Infatti
l'antisiero venne sviluppato nel 1894 ma nulla vieta di ipotizzare che
il biologo Emile Roux abbia spedito alcune dosi dell'antisiero sul
quale stava lavorando al dottor Hopkins qualche tempo prima della sua
ufficializzazione.
Quattro chiacchiere con l'Autore
Iniziamo con il dire che questa storia non sarebbe mai nata se Maki non
mi avesse proditoriamente iscritto al contest "
Arsenico e Vecchi Merletti".
Non
che il giallo non mi piaccia. Già altre volte mi ero cimentato con
questo genere. Ma sempre con molta poca convinzione e soprattutto senza
divertirmi molto.
Questa volta, invece, mi sono divertito.
Ho
pescato a piene mani dal classico. Penso sia facile riconoscere molto
di Sherlock Holmes in questa storia (l'investigatore privato ed il suo
assistente, un poliziotto che gli chiede aiuto, una ambientazione sul
genere vittoriano, ed un delitto), e questo è stato il maggior spunto
di divertimento per me. Da grande fan di sir Athur Conan Doyle è stato
davvero un piacere scrivere questa storia.
Ringrazio Maki e Naco per i commenti che hanno scritto su questa storia.
Hasta Luego