Flatus Iocundo
Flatus Iocundo
Le pesanti stoffe volavano al
freddo vento del nord, come presi da una danza
di spiriti, accompagnavano le inquiete anime delle due frontiere.
I passi regolari, i passi pesanti,
i passi tremanti… uno davanti all’altro sarebbero arrivati alla loro tomba.
Verso il sole verso la notte da
qual parte li si voglia vedere, avrebbero raggiunto tutti il mezzo, un
equilibrio soprannaturale tra notte e giorno.
Il cielo crudele sferzato di rosse
nuvole, sembrava anticipare il tempo.
Il vento soffiava beffardo e giocondo, tra l’una e l’altra
dottrina, senza differenza, senza accenno al rispetto.
Cosa ne sarebbe stato delle anime
dannate al crepuscolo? Morti per chi? Per se stessi? Per una patria che senza
pudore li aveva mandati al sacrificio? Per i figli che comunque avrebbero
ripetuto gli stessi errori?
La storia non insegna, la storia è
solo testimone degli sbagli, una donna muta al tribunale del tempo.
Dannata a un esistenza al fianco
del suo immortale amante: l’egemonia del potere non sarebbe cessata, ne sul
quel verde prato ne sulle lastre
d’acciaio del futuro, così come non era cessato tra gli imponenti pilastri
dell’epico mondo, e come non era stato soffocata tra le bianche colonne di
Roma.
chi il mare chi il deserto, la
terra reclamerà chi oserà rompere l’equilibrio tra le forze: ci si potrebbe
ingenuamente chieder se il potere è male? Si potrebbe rispondere impetuosamente
di no! il potere è l’archè, il potere è il principio che spinse l’uomo a
proseguire, cos’è se no il progresso se non una ricerca di nuovi mezzi per
raggiungere la suddetta belva: il dominio.
Con lance di fiamme, lungo i
fianchi , il destino sulle labbra, proseguono senza ripensamenti senza indifferenza.
Ecco il limite, ecco il confine,
nero e bianco, luce e tenebra, uno di fronte all’altro pronti al giudizio.
Una forza invisibile, una forza
astratta sembra spingere lontano i
fronti.
Cavalieri militari, uomini: fatti
di carne e tendini: destinati a concimare la terra, leggendarie fazioni, epici
ideali destinati a lasciare qualcosa per qualcuno che verrà, destinati a
riempire ruvide pergamene di biblioteca,
silenziose e sagge, anime, anime dannate, fatte di pensieri,
ricordi esperienze…destinati a sparire,
a esser dimenticati.
Niente fiata niente si muove, solo
l’assordante boato dell’ignoto, del destino, dell’infinito.
Un otto rovesciato, una linea
continua senza mai poter porre un punto, una chiave, un significato, perché è
questo l’infinito? L’imperfetto, l’asimmetrico per eccellenza, l’assenza di un
perché, di un inizio e di una fine, di limiti delineati.
Solo il vento sembra ridere degli
impauriti pensieri delle anime
condannate, fatuo e dilettevole, , come se già conoscesse le risposte dell’infinito e si compiacesse all’ignoranza del concreto.
L’uno di fronte all’altro cosa ci
si chiede se non –dove ho sbagliato- -quanto ho sbagliato?-
L’essere bambini, il diventare adulti,
una continua trasformazione il divenire, è questo che crea?, il cambiamento
smuove, il cambiamento produce… ad un fine ignoto, per uno scopo superiore,
forse talmente complesso da esser stato dimenticato… dimenticato da chi? Da
quello che fu anticamente chiamato aperion? Può il tutto avere una coscienza
capace di dimenticare? Il tutto composto dall’anima di ogni elemento, consiste
nella completezza del puzzle… un mosaico ricomposto, ma se il mosaico è ora
intero può avere coscienza? O forse essa viene quando mancano gli altri
tasselli?
Domande senza risposta, domande
senza un perché affollano nei condannati all’alba della vita…
La morte è sguainata, il polemos ha
inizio… una voragine si apre, Il “principio” attende impassibile al tempo, tutto passa, tutto
scorre, ogni singolo elemento tornerà alla sua origine.
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