Ed eccoci qui con un nuovo
esperimento, se è vero che bisogna provare tutto nella vita, allora questa è
sicuramente una cosa “innovativa” per me; pensato come un ipotetico seguito di
“Ad un passo…In the Middle between Life
and Death” la storia si colloca circa un anno dopo l’incidente di Kai,
quindi nove mesi dopo “la notte” di Hilary (brava sei capace di contare nd Kai) (grrr nd Avly)…Comunque come dicevo questo è un piccolo esperimento e spero vivamente che vi
possa piacere^^ Lasciatemi un piccolo commentino se vi fa piacere, venire a
conoscenza delle vostre opinioni sarebbe una grande cosa^^
Buona
Lettura^^
La piccola Falena
Notturna
Mosca 11 Gennaio 2010 ore 3.08
Le strade di Mosca non sono mai
state luminose o familiari; c’è chi dice che ogni persona appartiene al luogo in
cui nasce, e che in qualunque parte del mondo si possa trovare non si sentirà
mai bene come a casa propria…”quante
sciocchezze…”
Lui a Mosca ci era nato, eppure
tutti i ricordi felici che possedeva erano legati ad un
altro posto, ad un’altra città…Certo, questa era la sua città, ma lui qui non
aveva vissuto che incubi, torture, privazioni…qui gli avevano insegnato ad
odiare, a distruggere, a sopprimere i sentimenti senza alcuna pietà…La pietà?
Lui non la conosceva, gliel’avevano estirpata tanto
tempo fa insieme al cuore…ma allora cosa ci faceva ancora lì?
Erano ore che camminava per le
strade della fredda capitale russa, mentre pesanti fiocchi di neve cadevano come
aghi su di lui, perforandogli la pelle diafana, ma nonostante questo, lui non
potè non incantarsi davanti alla neve…”A loro piace quando nevica” un piccolo
sorriso comparve a forza su quelle labbra sottili, ormai screpolate a causa del
gran freddo.
Il gelo era ovunque; lo aveva
circondato, rivestendolo completamente…Magari il freddo che sentiva fosse
causato dal clima…No, il gelo che gli riempiva le ossa non aveva niente a che
vedere con la temperatura di Mosca, bensì con il suo animo, quell’animo che credeva gli avessero sottratto tanto tempo fa,
disperdendolo come una foglia mossa dal vento.
Camminava. Avanzava come un
fantasma attraverso la neve, ormai alta quasi sessanta
centimetri, sfidando la tormenta che si stava abbattendo come un castigo
divino sulla Signora del Nord.
E in una delle strade periferiche
di Mosca, un ragazzo di un’età indefinibile, vestito con “stracci” assolutamente
inadeguati viste le temperature glaciali, avanzava con
coraggio cercando di raggiungere la sua “casa”.
“La mia prigione” pensò, evitando
di scivolare su un pezzo di ghiaccio lucido.
Una prigione…un prigioniero…un
inferno…intorno a questi tre elementi girava l’asse della sua vita, un
equilibrio precario, un filo che rischiava costantemente di spezzarsi…in balia
dell’umore del suo Minosse.
Mosca dormiva sonni tranquilli,
ma in realtà era tutta un’illusione, perché le Piccole Falene non riposavano
mai, soprattutto la notte. L’oscurità era il loro sole, la sera il loro mattino,
e l’alba il loro tramonto. Potevano essere paragonati a dei vampiri, ma per loro
sfortuna erano solo esseri umani…Anzi no, perché gli esseri umani sono trattati con un rispetto maggiore di loro.
No, loro sono merci, carni da macello, bambole di
pezza, e lui…è il carico più ambito.
Ad un
certo punto il ragazzo mise un piede in fallo, e cadde in avanti, sprofondando
nella fredda neve candida, mentre quei pochi vestiti che indossava presero a
bagnarsi del tutto.
Il giovane immerse il viso
pallido nella neve, come per trovare una sensazione piacevole in quel gesto. I
cristalli gli punsero affettuosamente il viso e le sue labbra si inumidirono assaporando il fresco sapore di quella
straordinaria massa bianca.
Rimase lì per qualche minuto,
beandosi dell’innaturale calore che stava provando in quel momento. C’era il
Nulla attorno a lui. Nessun rumore, nessun odore, solo lui…e i
suoi ricordi.
Non gli importava se sarebbe
arrivato tardi, tanto non avrebbe fatto alcuna differenza. Che giungesse tardi o
in orario, la punizione era sempre quella. “Tanto vale
prendermela con calma” pensò sprofondando ancora di più nella coltre candida.
Percepì l’acqua fredda
percorrergli i capelli argentati, e piccole goccioline scivolare rapide sul suo
viso, avvicinandosi agli occhi che erano di un magico color ametista. Occhi
tristi, spenti, vuoti…due pietre che avevano smesso di brillare, due occhi che
avevano deciso di non voler più vedere…
Rimase lì, sdraiato sulla neve
per parecchi minuti, fino a che non si decise ad alzarsi, seppur con estrema
fatica.
Si scrollò la polvere bianca
dalla leggera tunica nera che indossava e riprese il suo cammino, rivedendo in
ogni piccolo cristallo volteggiante i volti dei suoi Angeli.
- Sei in ritardo! Si può sapere
che fine avevi fatto? Lui è infuriato – una voce
flebile e delicata lo accolse agitata non appena il
ragazzo attraversò l’enorme cancellata di ferro.
- Sai quanto me ne importa –
rispose freddamente senza guardare il suo interlocutore
- Non dire sciocchezze Kai –
l’ammonì l’altra preoccupata afferrandolo per il
braccio
Il giovane chiamato Kai si voltò
verso chi gli aveva afferrato delicatamente il polso, fino ad incrociare gli occhi castani chiari di una giovane
ragazza, circa della sua età, con lunghi capelli biondo cenere lasciati crescere
senza molta cura. Il viso chiaro, piccolo dai lineamenti delicati era
attraversato da un’espressione angosciata e preoccupata, ed il ragazzo non seppe risponderle con voce seccata.
- Tranquilla Ranja è tutto a posto – le disse prendendole delicatamente le spalle
per rassicurarla.
La ragazza sembrò calmarsi, ma
non si staccò dall’altro.
- Ha fatto mettere Alexander e
Shila nella cripta come punizione del tuo ritardo…e Alex aveva la febbre alta
questa mattina -
“Bastardo” Il ragazzo digrignò i
denti.
Abbassò lo sguardo sulla giovane
ragazza, che lo fissava con un’espressione terribilmente triste; una fitta di
dolore li dilaniò il cuore mentre quegli occhi assumevano piano nelle sua mente un altro colore. Non poteva vedere ancora
quella sofferenza, l’avrebbe impedito.
- Tranquilla – pronunciò con un
filo di voce – Ci penso io – Detto questo si allontanò
inoltrandosi negli oscuri cunicoli della villa, oltrepassando decine di uomini
vestiti di nero che lo squadravano con disprezzo.
- Alla
buon ora Hiwatari – disse uno assestandogli un colpo dietro la nuca.
Il ragazzo non mosse un muscolo
contro il suo aggressore, non sarebbe servito a niente…Doveva trovare il suo
Carceriere.
Lentamente proseguì il suo
cammino, tenendo uno sguardo freddo e duro su un viso che in realtà avrebbe solo
voluto poter urlare e piangere. Piangere, cosa c’era di male in fondo? Lui non
aveva mai versato una lacrima per nessuno…anzi forse una volta si…
- Con una vittoria straordinaria Kai riporta
alla ribalta i G-Revolution, battendo l’arma segreta della BEGA, Brooklyn! -
Aveva vinto…incredibile…ci era riuscito! La
felicità provata il quel momento era troppa per poter
essere descritta con delle semplici parole; si sentiva leggero, svuotato di un
peso che da molto tempo si portava dietro. Ora, illuminato dalla luce dei riflettori si era voltato verso i suoi amici…coloro che lo
avevano sostenuto…coloro che avevano pianto per lui, e che ora lo osservavano
con occhi velati di gioia, versando lacrime solo per lui. Aveva alzato il pugno
verso l’alto come segno di vittoria, guardandoli con i suoi occhi color
ametista, mentre loro non facevano altro che gridare il suo nome…Kai
E fu in quel momento che accadde; se lo
ricordava ancora. Dai suoi occhi violacei avevano iniziato a farsi strada con coraggio delle piccole gocce di acqua
salmastra, che avevano poi ricoperto le sue iridi, rendendole ancora più
splendenti. Aveva pianto per loro…per quelli che erano la sua vita, e per lei
che era la sua luce.
Ne era passato di tempo da
allora; il tempo aveva corso più velocemente di lui, e
così si era ritrovato nel buio. Tempo e destino…due nemici per lui, due
variabili a cui non aveva mai saputo dare un valore…due
poteri che si erano messi contro di lui, che lo avevano accerchiato e gli
avevano impedito di rivedere la luce. “Probabilmente è meglio così…forse io non
me ne rendo conto, ma la mia natura è questa…” pensò mentre attraversava
l’immenso porticato in pietra che lo separava dalla camera di lavoro di Minosse.
Il giudice avrebbe ascoltato i suoi resoconti e poi avrebbe decretato la sua
punizione, come il mostro mitologico faceva con le anime dei dannati
dell’Inferno di Dante. Se il giudice infernale avrebbe
girato la coda attorno al corpo, per indicare il numero del girone, allora il
suo carceriere avrebbe dovuto scegliere in quale cripta mandarlo.
“Beh…tanto le ho provate tutte”
pensò sarcastico il ragazzo, che ormai ci aveva fatto l’abitudine.
Quando si ritrovò dinanzi alla
porta del suo tribunale, alta di legno scuro e pesante, il respiro cominciò a
farsi più rarefatto. “Devo…non posso lasciare Alexander e Shila là dentro…Non
per colpa mia” deciso bussò alla porta, scandendo bene i colpi, per far capire
all’uomo che si trovava dall’altra parte chi fosse.
- Entra – Una voce, una sola
parola, un solo sospiro, un solo incubo. Il giovane
spinse piano i battenti della porta, entrando con molta discrezione e silenzio.
I suoi occhi non riuscirono immediatamente a distinguere gli oggetti e
l’arredamento, benché li conoscesse a memoria. La camera era totalmente immersa
nel buio e l’odore di chiuso impregnava la stanza. Kai storse il naso in una
smorfia di disgusto.
- Sei arrivato finalmente – disse
una voce stagliandosi calma e potente nell’oscurità.
Un brivido corse lungo la schiena
del giovane, che però si limitò ad ignorarlo.
- Si signore – “Signore” Dio solo sapeva
quanto odiava dover rivolgersi a quell’uomo con quell’appellativo. Era un nome
che trasudava rispetto, terrore, sottomissione, e lui non si era mai fatto
piegare da nessuno…fino ad ora.
- Non hai nient’altro da dire? –
Si morse il labbro irritato. Lui
sapeva come metterlo alle strette, sapeva perfettamente
quanto il ragazzo detestasse doversi piegare e godeva nel leggere la
frustrazione nei suoi occhi ametista.
Si costrinse a rimanere calmo.
- Mi perdoni signore…non
succederà più… - Bugia…alla prima occasione avrebbe rifatto tardi.
- Lo hai detto anche la volta
scorsa – precisò l’altro gustandosi l’espressione dipinta sul viso diafano e
scarno della sua piccola falena notturna.
- Ho avuto degli impedimenti con
la neve…è molto alta e camminare è stato un problema –
- Soprattutto se si è
indisponenti e bugiardi come te –
Kai era molto irritato, sapeva
che non ci avrebbe mai creduto, ma perlomeno sperava che non fosse di così
cattivo umore.
- E cosa mi dici della tua
missione? -
- E’ andata come previsto –
rispose secco lui, che non vedeva l’ora di uscire da quella stanza scura. Per la
prima volta in vita sua si convinse che forse scendere nelle cripte non era poi
così male.
- Il contatto ti ha creato
problemi? –
- Non ne ha avuto il tempo –
Il silenzio calò insieme al gelo
nella stanza. Entrambi si squadravano con astio, nonostante non fossero ben
visibili i connotati dei loro visi, a causa dell’oscurità perenne.
- Bene…lo sai che Alexander e
Shila sono nella cripta rossa per colpa del tuo ritardo? – la sua voce era
acida, tentatrice, odorava di trappola, di tranello sporco, ma il ragazzo non
seppe non caderci. Sprofondò nella fossa di sua volontà…Non poteva permettere
che quei due bambini restassero lì.
- Sono qui per prendere il loro posto –
- Lo immaginavo. Certo che sei
davvero cambiato. Il freddo Kai Hiwatari che si sacrifica per due mocciosi?! – Minosse scoppiò in una risata, tanto orribile quanto
sprezzante. Umiliazione; era questo che voleva fargli provare, voleva che si sentisse uno straccio al suo servizio, il suo
sicario, il suo giocattolo, la sua arma preferita.
- Non ti starai rammollendo vero?
Forse la continua compagnia di Ranja ti fa davvero male, certo è una delle
migliori nel suo campo, ma ti credevo uno attaccato
solo ed esclusivamente alla propria immagine – Gli occhi vitrei dell’uomo percorsero con
piacere il corpo della sua falena; era la sua bambola preferita. Un fisico
atletico, delle braccia forti e salde, un petto in cui non vi era più un il cuore. Il suo cuore glielo aveva strappato molto tempo
fa insieme alla sua esistenza. Ora di Kai Hiwatari non restava che un’ombra.
- Vai nella cripta nera –
- E i ragazzi? –
- Se sono sopravvissuti potranno uscire –
Il giovane come
era entrato se ne andò, ponendo un leggero inchino e chiudendosi la porta
alle spalle con delicatezza. Il suo cuore rallentò i battiti, ed il respiro si fece regolare.
Chiuse gli occhi stanco.
- Kai? Come
è andata? – non si mosse. Avrebbe riconosciuto
quella voce in mezzo a mille altre.
- Vai a prenderli Ranja, io vado nella nera – e senza aggiungere altro si allontanò,
lasciando la giovane leggermente sollevata, ma al contempo tesa e preoccupata.
“Kai”
Le catene gli ferivano i polsi,
ed il loro tintinnio era quasi snervante. Sembrava come
se ridessero di lui, della condizione in cui si trovava. Era anche del tutto
inutile agitarsi…Non avrebbe cambiato nulla; doveva solo attendere che la
punizione finisse, doveva solo attendere o che le porte della sua prigione si
aprissero, oppure aspettare che gli si spalancassero le porte dell’Inferno.
Forse la seconda opzione era la più allettante…
La cripta nera manteneva
orgogliosamente il suo appellativo: era una stanza
sotterranea molto piccola e stretta, con i muri ricoperti di macchie d’umido e
da aculei di ferro, alcuni dei quali erano arrugginiti; inutile dire a cosa
servissero…Dal soffitto pendevano delle catene terminanti con delle manette, che
una volta assicurate ai polsi della vittima lo facevano penzolare
pericolosamente fra le due file di aculei. Kai aveva perso il conto di quante
volte per evitare di essere troppo vicino ad uno
spuntone, si era ritrovato quasi trafitto da un altro alle sue spalle.
Fortunatamente ormai aveva un
fisico e soprattutto una mente abituata a questi speciali trattamenti, per cui
riusciva dopo dodici ore di astinenza da acqua e cibo, a reggersi quasi
perfettamente in piedi.
Aveva imparato come combattere la
paura. Aveva capito come annientare questo subdolo nemico almeno quando si
trovava solo. Lì non c’erano persone che avrebbero rischiato la vita, lì non
esistevano i sentimenti, lì lui non aveva nessuno che se stesso…
Solo quando era veramente solo sapeva di poter combattere, solo quando il suo cuore non
doveva preoccuparsi per l’incolumità degli altri, lui poteva combattere…
“Quanto sei scemo…la verità è che senza i
ricordi che hai di loro…di lei, tu non riusciresti a sopravvivere…ti credi
davvero forte Hiwatari? Te lo dico io, tu non sei forte…Sei un debole, che ha
bisogno di annodare la propria esistenza a quella di altre persone per poter vivere…”
“Non è vero…”
“A no? Allora spiegami questo…per quale motivo sei rimasto qui? Perché non sei fuggito? Te lo
dico io…Non hai avuto il coraggio per una volta di tagliare i ponti con il tuo
passato, ed ora ci sei dentro fino al
midollo!”
Era la sua coscienza a parlare?
No, forse i sensi di colpa, o ancor più probabilmente stava delirando.
Era davvero un codardo? La verità
era che non lo sapeva più nemmeno lui…In quel posto si perdeva l’identità, la
coscienza, si imparava a vivere come spettri, si
abbandonava la vita per entrare in uno stadio intermedio fra la vita e la morte;
vita perché dopotutto aveva ancora un corpo, ma morte perché al contempo si
sentiva privo di un cuore pulsante.
Forse quella voce aveva ragione:
non aveva voluto tagliare i ponti con il suo passato, ed aveva dovuto rinunciare a tutta la felicità che aveva a
fatica conquistato…
I suoi amici, Takao, Rei, Max,
Daichi, Yuri…chissà come stavano…Se lo era chiesto molte volte senza mai
riuscire a darsi una risposta; non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura,
ma lui voleva bene a quei ragazzi, erano la sua famiglia, anzi erano stati la
sua famiglia.
Con questi pensieri cercò ancora
una volta di sfuggire al suo Inferno, cercando in loro un piccolo istante di
evasione dal suo nuovo mondo avvolto dall’oscurità.