notti di luna nera
Notti di luna nera
Un singhiozzo, un altro. Un
bambino di all’incirca quattro anni piangeva nascosto nella
foresta. Il viso arrossato e rigato dalle lacrime, la veste sporca di
fango, il corpo scosso dai tremori. Era una notte quieta, silenziosa,
senza luna. Sembrava che la natura si fosse assopita per dar voce a
quella piccola anima sola. Forse sperava che qualcuno lo sentisse e
lenisse le sue pene. Forse, non sapeva che quel cucciolo era un
orfano. Forse, ignorava che la paura di un bambino sa essere infinita se non ha qualcuno accanto.
Un rumore di foglie calpestate, una minuta figura e una voce femminile
che si avvicinano al nascondiglio. Il bambino smette di piangere,
trattiene istintivamente il respiro ma avverte distintamente il pulsare
frenetico del suo cuore, terrore.
La donna si china di fronte a lui, gli sorride, lo prende per
mano. La sua presa è delicata, calda e per un attimo, un solo
istante, rassicurante. Il bambino si lascia condurre fuori dal suo
rifugio senza opporre resistenza, e permette al donna di osservarlo da
vicino. Anche lui la guarda, è una contadina. I suoi abiti sono
logori, le sue mani segnate dal lavoro, i capelli sono ispidi e
malamente raccolti e il suo viso è solcato da una profonda
cicatrice; ma il suo sguardo, è buono.
La donna, gli asciuga le lacrime e pulisce il suo visino, gli sorride ancora.
-ti sei perso?
No, non mi sono perso
-non sai dove è la tua mamma?
Io non ho più una madre
La donna non
riceve nessuna risposta. Il bambino ora trattiene nuovamente le lacrime
e si copre il viso con la sua folta chioma corvina. Non vuole mostrarsi
debole, non più di
quanto non lo sia già in quella notte, eppure, lascia che la
donna lo prenda nuovamente per mano e gli accarezzi il capo.
Adesso anche la donna è in silenzio, si leva il logoro scialle
dalla schiena e lo poggia su quelle esili e tremanti spalle, poi, si
incammina lenta per la foresta assieme a quella silenziosa e impaurita
creatura.
Camminano silenziosi per la foresta, con solo le stelle ad illuminare
il loro tragitto con un chiarore, troppo flebile per indicare la strada
ad un viandante inesperto. La donna tiene ancora la mano
del bambino nella sua, avverte la sua inquietudine, avverte il suo
istinto alla fuga, ma lei non rafforza al presa su quella fredda
manina. Sa che se lo facesse rischierebbe solamente di impaurirlo
ulteriormente. Quel bambino è come un cucciolo che ha perso la
madre, è desideroso di vicinanza ma combattuto dall’idea
di fidarsi o meno di chi gli offre aiuto.
Il bambino sa che dovrebbe fuggire,
sa che sarebbe facile divincolarsi da quella blanda presa e correre il
più lontano possibile da quella donna umana; ma quel calore, il
ricordo di quel sorriso, quella figura cosi minuta e fragile glielo
impediscono. Forse ,quella donna è come lui.
Forse, quella donna è emarginata e sola, proprio come lui.
Forse, può fidarsi di lei o quantomeno rubarle un po’ di
quel calore, di quello strano tepore che solo la sua mamma sapeva
infondergli, così continua a seguirla fissando il terreno
scorrergli sotto i piedi, lento, come la loro andatura.
La foresta è ormai alle loro spalle e dinnanzi a loro, si scorge un villaggio.
Il bambino indietreggia, ora sa che è arrivato il momento
di scappare. Lui non può vivere al villaggio, lui non può
stare tra gli umani. La sua nuova dimora è la foresta, il suo
nuovo tetto quella tana. Non può correre il rischio di essere
braccato dal villaggio, inseguito da un branco di uomini con le torce e
armati di vanghe e tridenti ai quali non importa che lui sia solo un cucciolo,
senza possibilità di difendersi ne di attaccare. Prima
c’era la sua mamma a proteggerlo ora invece doveva
nascondersi, almeno finchè non avesse imparato a difendersi.
La donna sente il bambino strattonare, sa che ha paura, sa che vuole
tornare al suo nascondiglio. Lo ferma e si china nuovamente di fronte a
lui, lo fissa in volto e porta la sua manina a percorrere la cicatrice
sul suo viso.
-vedi questa? È stato un demone,
mi ha attaccata nella foresta, ma un bonzo mi ha salvata. Anche io sono
sola, anche io ho perso la mia famiglia; ma adesso ho una casa al
villaggio e tu puoi stare con me, non devi temere, lì i demoni
non potranno farti del male non devi più nasconderti.
Il bambino osserva silenzioso la donna, passa ancora una volta la mano su quella cicatrice,
sul quel tratto di pelle più sottile, più liscio e dal
colore diafano in netto contrasto col resto di quel viso bronzato,
è stato un demone a sfregiarla… Inizia ad avvertire un
peso all’altezza del cuore e sente il calore svanire dal suo
corpo. Volge silenzioso il suo sguardo a quel gruppo di case e poi
nuovamente alla donna. Adesso, ogni dubbio è scomparso, sa cosa
deve fare, sa quale è il suo posto.
Si toglie il caldo scialle dalle spalle e lo ritorna alla sua padrona
poi, correndo, si inoltra nel fitto del bosco incurante dei richiami
della giovane.
Ha corso a perdifiato per tutta la notte, ha corso finchè non è sorta l’alba
mosso non più dalla paura della notte, ma dai rimorsi e sensi di
colpa. Si era illuso di poter avere di nuovo qualcuno accanto, aveva
creduto che quella donna lo avrebbe accolto e magari abbracciato come
sua madre, ma ciò non sarebbe mai accaduto, lui non poteva
vivere in un villaggio, per lui non c’era più amore ne affetto, da nessuno, lo sapeva; ma la notte prima era troppo fragile sia nel corpo che nel cuore per opporsi al sogno di essere amato.
Un tonfo, un altro tonfo. Un
piccolo mezzo demone tentava di arrampicarsi su una grande quercia
senza servirsi degli artigli, la luna quella notte era quasi piena tra
breve sarebbe diventata una perla perfetta e poi sarebbe scomparsa, e
quel giorno, lui sarebbe dovuto riuscire ad arrampicarsi su
quell’imponente albero anche con le sue sembianze umane.
Non poteva correre il rischio di essere scoperto un’altra volta,
non poteva cedere di nuovo al bisogno di affetto. Scacciò dalla
sua mente il ricordo del calore umano e continuò nei suoi
tentativi.
In una notte di luna nera un bambino
riposava tra i rami di un’alta quercia, immaginava cosa sarebbe
potuto succedere se quella notte avesse seguito la donna al villaggio,
se avesse accettato la sua ospitalità. Avrebbe dormito al caldo,
su un vero futon, cullato dal calore della donna e al mattino seguente,
l’ignara, si sarebbe trovata accanto un mezzo demone. A quel
punto si sarebbe sentita tradita, lo avrebbe scacciato e l’intero
villaggio gli avrebbe dato la caccia. E se invece avesse
accettato la sua natura? Avrebbe subito la stessa sorte di sua madre,
sarebbe stata odiata e perseguitata dai suoi stessi simili fino alla
morte.
Strinse al petto i suoi averi, un pettinino e un rossetto della madre,
la veste del cane di fuoco di un padre mai conosciuto e infine, il
vecchio scialle logo della contadina che un mese prima gli aveva
ricordato il calore dell’affetto. Lo aveva ritrovato davanti il
suo rifugio assieme a del cibo il giorno seguente al loro incontro
quando era tornato per recuperare i suoi tesori e fu certo per la prima
volta di aver fatto la cosa giusta fuggendo. Lui non era nato per
essere amato, lui portava solo sventura. lui era destinato a rimanere solo. Lui non avrebbe sopportato di leggere la paura e lo sdegno negli occhi di quella donna.
In quella notte di luna nera un piccolo bambino passò
la notte rannicchiato tra le fronde di una quercia, portava alle spalle
un caldo scialle ma tremava come una foglia. Odiava essere solo e
soprattutto odiava quelle notti scure, quando la sua fragilità
fuoriusciva da suo cuore rendendolo troppo debole; ma stava imparando a
sopravvivere, stava imparando a sopportare la sua fragilità
fisica e innalzare una barriera capace di proteggere la sua anima dalla
solitudine. Quella notte il primo di tanti mattoni era stato posto attorno al suo cuore ad erigere una corazza, in attesa che qualcuno, un giorno, trovasse il modo di espugnarla.
Sono passati più di cento anni da quella fatidica notte e quel
cucciolo grazie alla sua corazza è riuscito a sopravvivere, ha
affrontato le avversità della vita, il dolore di una nuova
perdita, il sapore della sconfitta e quello della vittoria. Ha
conosciuto l’affetto di amici sinceri e l’amore di una
donna. Ora il suo cuore è nuovamente capace di amare e ricevere
amore, non maledice più la sua parte umana, adesso, non ha
più paura, non è più solo; e in questa nuova notte
di luna nera finalmente riposa tranquillo stringendo tra le braccia il
suo nuovo tesoro.
Ciaooooooooooooooooooo
È un secolo che non compaio qui su efp! ( della serie voi non ve
ne eravate accorti oppure ne eravate felici :p) ad ogni modo eccomi qui
con un nuovo lavoro. Superfluo dire che il protagonista
è Inuyasha! In particolare i suoi primi anni di
solitudine dopo la morte della madre. Si tratta di un bambino solo,
spaventato in conflitto tra il bisogno di affetto e quello di
proteggersi dagli uomini. Ammetto che non ho mai scritto nulla di
questo genere è un piccolo esperimento e confido nei
vostri commenti per sapere se è riuscito o meno. Che dire,
è nato tutto da una drabble, che si è tramutata in una
serie di drabble collegate tra loro e alla fine è uscita una
shot.
Ma non una normale.. eh no no no! questa “storia” è
formata da 14 paragrafi e ognuno di loro è di circa 100 parole.
Inuyasha bambino mi è sempre piaciuto e spesso ho cercato di
immaginare come abbia passato la sua vita dopo la morte della madre,
non sappiamo come ciò sia avvenuto ne quando ma è facile
intuire che Inuyasha era solo un cucciolo quando è avvenuto in
quanto sua madre era ancora molto giovane! Ovviamente questo è
solo un mediocre tentativo di illustrare uno squarcio di quel periodo.
Ho immaginato questo inuyasha alla sua prima notte da umano senza
Izayoi accanto con tutte le paure e fragilità di un bambino e di
un mezzodemone nel suo giorno di deblezza.
Mi piacerebbe scrivere un’altra di queste “shot” per
parlare di un Inuyasha bambino alle prese con il mondo demoniaco
anziché quello umano…ma haimè il tempo non
è mio amico quindi mi affido al vostro parere x decidere se fare
un nuovo esperimento o concludere qui il tutto.
Spero con tutto il cuore che questo mio lavoro vi piaccia e invito
chiunque ha avuto il coraggio di leggerla a lasciare un segno del
proprio passaggio regalandomi un consiglio, un complimento o una
critica.
Un abbraccio a tutti
Mikamey
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