UN
PO’ DI TENEREZZA
Sta succedendo di nuovo.
Chissà se ti accorgi che la mia attenzione alle tue
parole cambia, nel mio distendermi contro lo schienale della poltrona?
Chissà se hai mai notato come i miei gomiti appoggiati
sulla scrivania nella mia classica posa d’ascolto, si
allunghino sui braccioli
in cerca di abbandono?
Il fiato mi sfiora velocemente l’umido delle labbra
socchiuse.
Un sospiro silenzioso mi gonfia il petto mentre chiudo
gli occhi e appoggio la nuca sulla pelle scura della spalliera.
La tua voce mi circonda e il suo modularsi in toni vivaci
e aspri mi riempie le orecchie, escludendo qualsiasi altro suono.
Nell’oscurità dei miei pensieri immagino i tuoi
gesti
irritati e la smania che ti fa tremare gli stivali nel voler uscire dal
mio
ufficio il prima possibile.
Ti ascolterei all’infinito...semplicemente così.
Lasciandomi avvertire il timbro della tua voce che ogni
volta perde un po’ di più di
quell’intonazione infantile che mi intenerisce.
Sei cresciuto in fretta nell’orrore della tua vita, nella
disperazione che ti costringe allo scontro e alla ricerca di risposte
che forse
non avrai mai.
E io ho approfittato del tuo dolore, illudendoti di
poterti offrire una soluzione alle tue lacrime, alla sofferenza del tuo
cuore
spezzato.
Ignobile: il mio metodo per legarti a me.
Crudele: il mio egoismo che ti incatena ad un soffio
dalle mie dita.
Ma non riesco ad evitare di ferirti, di volerti per me.
Ti allontano per spedirti in missioni inutili e
inconcludenti, sperando in un momento di pace nel mio animo tormentato,
ma
inevitabilmente il collare con cui ti stringo si accorcia, si tende e
ti
riporta indietro in una continua farsa che mi rende vivo.
E come ogni volta muoio un po’ di più: nei tuoi
occhi,
nei tuoi gesti, nella tua voce che continua a ronzarmi nelle orecchie.
Sospiro di nuovo, stremato da questo conflitto di ragione
e cuore che mi logora lentamente e avverto le tue parole farsi basse,
irritate,
stentare nel racconto e poi ricominciare.
Non mi interessa ciò che stai dicendo: non voglio sapere
di rapporti, di intrighi militari...
Voglio solo la tua voce.
Ascoltarti mentre, ignaro, accarezzi con il tuo calore la
mia anima torbida.
Desidero solo questo: vivere per un istante credendo di
essere il fulcro del tuo mondo e perdermi nell’illusione che
i respiri della
tua bocca mi appartengano.
L’ombra di un sorriso mi piega le labbra mentre inclino
la testa e mi appoggio le mani in grembo.
Improvvisamente la danza della tua voce si interrompe e
il fragore del tuo pugno d’acciaio sulla mia scrivania mi fa
sobbalzare.
Socchiudo gli occhi sulle tue braccia tese sul pianale di
legno e sul tuo viso rosso d’ira, mentre ti sento gridare:
“ Non starà dormendo
spero?!”
Adoro il contrasto che crea la tua pelle arrossata con la
luminosità dei tuoi occhi, sei delizioso nella tua furia
innocente da essere
irresistibile.
Ho l’insano pensiero di accarezzarti le gote con la punta
delle dita per sentire il calore e il sangue che ti infiamma
l’anima e ancor
prima di rendermene conto mi alzo dalla poltrona allungandomi per
sfiorarti il
viso.
Nel mio gesto i tuoi occhi si spalancano e ti ritrai
spaventato alzando il braccio per proteggerti quasi nel timore che
voglia
picchiarti.
Questa realtà mi atterrisce e mi sveglia dalle mie
illusioni.
Stringo il pugno a mezz’aria e mi lascio ricadere
all’indietro chinando il viso e strofinandomi la fronte nel
patetico tentativo
di nascondermi al tuo sguardo.
Non ho il coraggio di guardarti, di vedere nelle tue
iridi dorate il riflesso della mia follia.
“Scusami Acciaio, hai ragione. Stavo sognando”
Allungo la mano sulla scrivania tendendoti il palmo
“...il rapporto” dico semplicemente.
Ti prego vattene. Fai
in fretta!
Vorrei gridartelo, sentire il tonfo della porta
dell’ufficio sbriciolare questo silenzio fatto di imbarazzi,
ma l’orgoglio e
quel misero brandello di dignità che mi rimane me lo
impedisce.
L’attesa è la mia sola via di fuga.
Sento l’urto della tua gamba metallica contro la
scrivania e il fruscio leggero dei fogli che cerchi di impilare nella
tua
personale idea di “fare le cose con cura”.
Ancora un attimo e tutto finirà nuovamente: pensieri,
illusioni coltivate...fino alla prossima missione e al prossimo
incontro.
I fogli mi si appoggiano sulla mano e non posso impedire
alla mie dita di tremare.
Sicuramente te ne sei accorto: sei giovane, non
stupido...non lo sei mai stato.
Ho l’istinto di ritrarle ma non posso mostrarti questa
ennesima debolezza.
Duro e inflessibile Colonnello Mustang.
Patetico e stupido Roy.
Stringo i denti attendendo la tua risata di scherno, la
crudeltà che alimenterà la tua bocca
stracciandomi l’anima, ma le tue dita si
attardano sulle mie nocche.
I tuoi polpastrelli scivolano sulla mia pelle, mi
accarezzano piano il dorso risalendo lentamente fino alle unghie.
Nella mia mente che decide le tue azioni, penso ad un
contatto causale e distratto ma lo fai ancora, di nuovo, con dolcezza,
e io non
riesco a sottrarmi a questo tormento che mi delizia e mi condanna.
Il sospiro leggero che ti sfugge dal petto è
l’unica cosa
che mi costringe ad alzare lo sguardo sul tuo viso e sui tuoi occhi
bassi,
fissi sulle nostre mani unite.
Come vorrei che tutto fosse così semplice: tu ed io
solamente.
Annullare le differenze caratteriali, l’ambizione di
entrambi, l’età...ogni cosa per poterti tenere per
mano fino alla fine dei tuoi
respiri.
Le tue gote rosse, le labbra tremanti nella morsa lieve
dei denti: sei bellissimo.
Ed è questa bellezza che io desidero solo per me.
L’oro dei tuoi occhi, innocenza del tuo cuore e la
durezza del tuo acciaio.
Tutto, completamente, sempre.
Timidi i tuoi occhi si scontrano con i miei e mai il tuo
sguardo mi è parso così smarrito e impaurito,
eppure mi fissi senza cedere,
nella caparbietà che tanto ammiro in te, rivelandomi
sentimenti nascosti sotto
infiniti strati di rancore e dolore.
Entrambe le nostre anime si sfiorano nei nostri sguardi
sigillati, toccandosi con una tenerezza solo sognata, abbracciandosi
nella
convinzione che mai nulla sarà più bello del
nostro guardarci senza riserve,
senza difese.
Ti chini sulla scrivania e avvicini il tuo viso al mio,
fino a solleticarmi la guancia con il fiato.
Non so cosa stai cercando di fare, non so se sai quanto
possa essere pericoloso per la te avvicinarsi al mio fuoco, ma
ugualmente
lascio che il cuore mi salga sulla gola per fartene sentire i battiti
attraverso le mie labbra.
Sei così vicino.
Oltre i nostri sguardi incatenati so che studi il mio
viso come io sto facendo con te.
Le vedi le mie rughe? Il mio aspetto stanco segnato da
anni di responsabilità troppo grandi?
Cosa pensi?
Io di te vedo solo la delicata peluria bionda che ti
segue la mascella e che presto diventerà una barba
adolescenziale.
Sei così piccolo e io così vecchio.
Entrambi troppo diversi, troppo lontani emotivamente e
fisicamente per poter combaciare come vorrei.
Ma nei tuoi occhi che mi fissano con questa espressione
che non riesco a decifrare, cullo le mie speranze, la mia voglia di
essere per
te qualcosa di diverso, che vada oltre la divisa e l’aspetto
esteriore.
Ti muovi appena, allungandoti sulla scrivania e alzando
timidamente il braccio sul mio viso.
Mi tocchi piano, come se bruciassi, come se fossi
qualcosa di irreale che sai di dover rendere tangibile.
Il tuo indice segue il contorno delle mie labbra e oltre
il guanto bianco avverto la durezza dell’automail
socchiudermi la bocca mentre
trattieni il respiro e tremi sulla mia pelle.
Cosa vuoi da me?
Cosa vogliamo entrambi l’uno dall’altro?
Io ho paura di chiedermelo e tu Edward?
L’ombra di un attimo ti oscura lo sguardo, come se avessi
letto attraverso i miei occhi i timori che mi assillano e li avessi
confrontati
con i tuoi.
Ti allontani lentamente rimettendoti in piedi,
trattenendo le mie dita finché, anche nel mio tenderti il
braccio per seguirti,
la distanza tra noi non ti permette più di toccarmi.
La tua bocca sussulta, in cerca
di respiro, di spiegazioni, ma l’unica
cosa che riesci a fare è sviare lo sguardo sul pavimento e
sfiorarti le labbra
con le dita meccaniche in un gesto di timidezza così
inusuale e dolce su di te,
da farmi sognare di stringerti tra le braccia e dirti “ non
temere ci sono io
qui con te. Ci sarò sempre ”
Ma non ci sono altri sguardi, altre parole, oltre la tua
schiena che si volta e si chiude rumorosamente la porta
dell’ufficio dietro le
spalle.
Respiro l’aria della stanza riempiendomi i polmoni della
tua essenza che mi circonda, e mi appoggio una mano sul petto sentendo
i
battiti del mio cuore così accelerati da sembrare uno solo.
Una lenta agonia che mi da le vertigini.
Sono morto, nelle tue carezze e nei tuoi sguardi in cui
mi perderò ancora.
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