Cristian.
Cristian si chiama Cristian, senza acca e senza o.
Gli piace il suo nome, nonostante la prof di inglese glielo abbia
detto, che non è corretto: se fosse in italiano sarebbe
Cristiano, se invece fosse il nome inglese, avrebbe un’acca
tra la c e la r.
“Il tuo nome è sbagliato, Ardore, inutile negarlo.
È un errore.” Ha pronunciato quelle parole
serenamente, ma con una punta di soddisfazione negli occhi gialli
– color diarrea, secondo Cristian – dietro quei
fondi di bottiglia che sono i suoi occhiali.
L’ha detto fissandolo negli occhi, sbeffeggiando quel
ragazzino impertinente che ha la presunzione di saperne più
di lei e che la fa dannare in classe – non una
volta che faccia i compiti o che sia tranquillo: per di più,
trascina i suoi compagni a farle scherzi idioti. La professoressa,
aracnofobica, non si è dimenticata del ragno nei capelli.
Gli ha detto: “Tu
sei sbagliato. Tu
sei un errore.” Con quegli occhi gialli, lampanti di meschina
gioia nel vedere la sua difficoltà e la sua rabbia.
Perché Cristian l’ha capito, che stava dando a lui
dell’errore: l’ha sentito nella sua voce e
l’ha letto nei suoi occhi diarroici.
I suoi compagni non l’hanno capito – o forse
sì? – e hanno riso.
Rosso in viso, Cristian se ne è andato, sbattendo la porta,
umiliato come non mai. Ma gliel’aveva fatta vedere lui
“alla puttana” e le aveva rigato la macchina.
Così impari, stronza.
Cristian ha tredici anni, abita in una casa popolare e a settembre
dovrà ripetere la seconda media. Aveva tre materie
insufficienti, l’hanno bocciato per la condotta.
È maleducato, Cristian, risponde agli insegnanti e grida,
forte – parolacce, il più delle volte, ma anche
tante, tante bestemmie.
Ride, Cristian, quando – esasperati – i professori
firmano l’ennesima nota sul registro – lui non ha
mai il diario con sé.
Ride più forte, Cristian, davanti alle minacce preoccupate
della preside e se ne vanta, dopo, con la sua compagnia – che
capeggia, ovviamente.
Bestemmia, Cristian, quando il mestolo di sua madre raggiunge i suoi
stinchi – aspetta che lo sappia papà e poi vedi,
disgraziato!
Piange silenziosamente, ma con rabbia - ogni lacrima è
difficile da versare, ferisce l’orgoglio -, quando la cinghia
di suo padre gli spacca lo zigomo e gli lascia un segno che
difficilmente se ne andrà.
Raramente Cristian è sereno, eppure è spesso
capace di sorridere senza malizia: sorride al fratellino,
raccomandandogli di fare il bravo – di non diventare mai come
lui -, scompigliandogli i ricci e complimentandosi per il goal che gli
ha appena segnato – è facile, lasciar passare la
palla sotto le proprie gambe e fingere di buttarsi. E l’urlo
di giubilo che riceve in cambio vale più di mille goal.
È bello, Cristian, quando sorride; è bello,
Cristian, quando ride; è bello, Cristian, quando
è pensieroso; è bello, Cristian, quando piange.
Cristian è bello sempre e sa di esserlo: non è
molto alto o possente, ma ha gli occhi verdi, malinconici e un crestino
biondo che si premura di avere sempre perfetto. Ogni qualvolta passa di
fronte alle vetrine dei negozi si specchia, controllando che i capelli
siano a posto e che il cavallo dei pantaloni sia sufficientemente
basso; poi, soddisfatto, alza il mento in un’espressione
strafottente: “Sono proprio figo.” Commenta fiero
– ha una voce roca, unica nel suo genere, che lo fa sembrare
sempre arrabbiato, ma una risata vigorosa.
È un’altra delle altre peculiarità che
fanno sospirare le sue compagne di classe, quando lo vedono a scuola
– le rare volte che lo vedono a scuola.
Frequenta poco, infatti, non fa mai i compiti né sta attento
in classe; raggiunge però senza sforzo la sufficienza in
quasi tutte le materie, tranne che in italiano, tedesco e inglese.
Non che abbia particolari difficoltà
nell’apprendere regole grammaticali – trova solo
troppo impegnativo dover scrivere un tema o applicarsi per imparare
alcuni vocaboli, dei quali non si interessa. Gliel’hanno
detto, le professoresse, se solo si impegnasse un
po’…
Per inglese, beh, Cristian si rifiuta di eseguire anche solo mezzo
esercizio dei compiti in classe: scrive giusto il suo nome, in grande,
evidenziando con cura quella r, da sola, accanto
all’iniziale. Poi consegna, guardando la professoressa dritto
negli occhi e sbattendole il foglio sulla cattedra,
Sono ancora qui, stronza, e non dimentico – sembra dire.
A Cristian non gliene frega nulla della scuola. Lo ripete in
continuazione.
Quello che vuole fare nella vita non è studiare, ma
diventare un calciatore ricco. Per questo non appena compirà
sedici anni andrà a lavorare, per cominciare ad accumulare
soldi sin da giovane, in attesa del grande salto verso la fama. Il suo
lavoro sicuro.
Confezionerà polli per la mafia.
Come suo padre – e con lui. Sette giorni su sette.
Non declama la sua futura professione con molto orgoglio, ma per contro
sputa nel cortile della scuola e annuncia: “Me ne vado
presto, da questa merda.”
I suoi compagni annuiscono, lo stimano, lui, l’unico che ha
il coraggio di contrastare i professori, di fregarsene, di vivere la
sua vita. Eppure, nonostante nell’immaginario collettivo
Cristian sia l’esempio da imitare, possessore di quel
coraggio che ti fa dire che ha le palle, quel ragazzo, nessuno segue il
suo esempio.
Fa comodo che ci sia sempre Cristian a cui dare la colpa –
non se la addossa con molto piacere ma comunque si sacrifica, per il
bene dei suoi compagni.
Fa comodo che sia lui a essere punito e non gli altri, che sono
colpevoli quanto lui perché lo seguono.
Fa comodo che interrompa la lezione proprio quando nessuno ha
più la forza di seguire quella di italiano che parla, parla,
parla.
Fa comodo avere Cristian in classe, eppure nessuno muove un dito per
aiutarlo a controllarsi, per spronarlo a studiare un pochino. Tutti
pensano che si stia rovinando con le sue stesse mani, nessuno glielo
dice.
E sì che gli servirebbe eccome, un amico che gli dicesse le
cose come stanno. Un amico che gli raccontasse come si parla, di
Cristian Ardore, quando lui non c’è. Di come si
ride perché verrà bocciato sicuramente o
perché il suo nome è davvero sbagliato.
Ma Cristian non ha un amico così. Cristian non ha molti
amici a scuola.
A dire la verità Cristian non ha molti amici in generale.
Conoscenti ne ha, eccome. Non può fare tre passi nel suo
quartiere senza che qualcuno lo fermi per salutarlo. Anche tutti i
ragazzi grandi conoscono Cristian, gli offrono sigarette e sghignazzano
– è divertente, quel ragazzino, facile da sfottere
- quando lui rifiuta.
“Ehi Ardore, ti va di unirti a noi? Abbiamo della roba buona
da farti provare!”
“Non posso, belli, devo tenermi i polmoni buoni per il
calcio.” E giù risate sguaiate – illuso
ragazzino che non sei altro!
Cristian gioca a calcio. Cristian sogna il calcio.
Sogna stadi pieni, partite internazionali, boati e cori –
Ardore! Ardore! Strillano i tifosi.
Sogna di entrare a far parte del Real Madrid, la squadra dei campioni,
come il suo idolo: ovviamente, Cristiano Ronaldo. Lui è il
suo modello, il calciatore oggetto della transazione più
costosa nella storia del calcio, tra gli atleti più
desiderati dalle donne.
E poi, sono quasi omonimi! Se non fosse per quella o…
Cristiano Ronaldo incarna tutto ciò che Cristian vorrebbe
diventare: bello, bravo – il Pallone d’Oro mica te
lo regalano, eh! – e spaventosamente ricco.
È già a buon punto, nella realizzazione dei suoi
sogni, Cristian. È bravo a calcio, lui, e ci mette impegno:
ogni momento libero lo passa dietro al pallone, nel campetto
dell’oratorio – i soldi non crescono sugli alberi!
L’iscrizione a una squadra semi-agonistica costa e il padre
di Cristian, se anche li avesse, non li sprecherebbe mai per una
demenza del genere.
Cristian questo lo sa, ma non gli importa: un giorno lui
verrà notato dai talent scout delle grandi associazioni e
sarà costretto a deludere qualcuno, visto le troppe
richieste.
E gli sarà assegnata una borsa di studio.
E lui non dovrà mai più tornare a umiliarsi in
quella merda di scuola, davanti alla stronza di inglese.
E non dovrà più vivere con i suoi, sentire la
puzza di alcol di suo padre, assistere impotente ai pianti di sua madre
per l’ennesima convocazione a scuola.
Gli mancherà giusto il suo fratellino, quella peste
impertinente che gli sta addosso ogni secondo. Gli mancheranno le loro
partitelle. Ma suo fratello lo inviterà alle partite
– un posto in tribuna prenotato, per Lorenzo Ardore.
Cristian sarà bello, bravo e ricco, osannato dalle folle e
amato dalle donne.
E non dovrà mai, mai in tutta la sua vita, confezionare un
pollo.
Neanche mezzo.
Sogna, Cristian.
La mia primissima originale, partecipante al contest "Under your
fingers" indetto dal forum Pens and Brushes e classificatasi seconda. Qui
trovate l'esauriente e preciso giudizio di Kaji. :)
Grazie a chi commenterà o ha semplicemente letto questa shot
alla quale sono molto legata.
Elena
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