Feelings
C'erano momenti in cui non volevo altro che rimanere da solo con lui.
Era strano: di solito, più ci stavo lontano, meglio era.
Lui e le sue stramberie mi ero giurato che non sarei mai riuscito a capirle.
Eppure mi trovavo
lì, seduto davanti alla finestra, a rimirar le stelle
scervellandomi per cercare di comprendere se, in fondo, la sua mente
avesse un meccanismo di funzionamento che potesse quantomeno
ipoteticamente essere normale.
Da qualche tempo avevo iniziato a provare qualcosa per lui, qualcosa che ancora non ero riuscito ad inquadrare del tutto.
Era diventata una sorta d'ossessione e, giorno dopo giorno, quell'ossessione m'inquietava sempre di più.
Anche se mi dava
dannatamente sui nervi, con quelle sue apparizioni improvvise nei
momenti peggiori, la sua mania del thé alle cinque con tanto di
pasticcini e i suoi discorsi che non avevano né capo né
coda, ero arrivato a pensare che non potevo fare assolutamente a meno
di averlo tra i piedi.
E ciò bastava per autodefinirmi pazzo o, quantomeno, masochista.
Mandai un sospiro afflitto: ma perché a me?
Con tutta la gente che avevo intorno, proprio su di me doveva sortire quel subdolo effetto, quel maledetto pagliaccio?!
Iniziai ad odiarmi: ero
dilaniato tra quel qualcosa che, con non poca paura, avrei osato
definire "affetto", e l'incondizionato bisogno di odiarlo.
Perché che quello
che sentivo fosse realmente affetto, o peggio ancora, amore, ormai era
quasi un dato di fatto, e da ciò ero spaventato in modo assurdo.
Ero uomo fatto e finito,
per la miseria! Avevo il mio fascino e già qualcuna aveva
cercato di conquistarmi, con ovvi scarsi risultati.
Ma era mai possibile che andassi ad invaghirmi proprio di lui???
Avevo già fatto un pensiero circa la mia schifosa vita sentimentale, ma non credevo davvero che fosse così schifosa da aver bisogno di lui per essere completa.
Evidentemente il destino mi era avverso, ma già lo sospettavo da tempo immemore.
Quella era la prova schiacciante che la mia teoria era corretta: il fato mi era contro.
Presi una sigaretta, l'accesi e tirai una boccata.
Spostai tristemente lo sguardo all'intorno: la casa era vuota e silenziosa, com'era sempre stata.
Non c'era niente di che sorprendersi.
Espirai, lasciando uscire una voluta di fumo che si disperse nell'aria, riempiendola dell'acre odore del tabacco.
Ritornai a guardare il
cielo, sconsolato: Break era un'ossessione, certo, ma il fatto che non
potessi dirglielo era ancora peggio.
E poi, come diavolo avrei potuto fare?!
"Ehi, pagliaccio, lo sai che mi piaci? Vorresti uscire con me??".
Non mi ci sarei provato neanche morto a dirgli una cosa del genere: era, oltre che dannatamente imbarazzante, maledettamente... stupido?
Forse quello era solo un
insignificante eufemismo per riuscire a descrivere in pieno ciò
che sarebbe stato dirgli una cosa del genere.
Lui mi aveva usato come io
avevo usato lui: non c'era un minimo legame affettivo che lo legava a
me, al contrario di ciò che, da un po' di tempo a questa parte,
legava me a lui.
Iniziai a temere di
diventare pazzo: se non avessi risolto in fretta la cosa, mi sarei
ritrovato a scappare da lui ogni volta che lo vedevo o, peggio, a
cercare di... di... avvicinarlo.
E con "avvicinarlo" immaginavo un sacco di cose, soprattutto sconce, che non avrei mai pensato di pensare di fare con lui.
Mi si drizzarono i peli della nuca a tali pensieri, che cercai di scacciare con tutto me stesso, scuotendo la testa con vigore.
Tirai un'altra boccata.
- Ma perché diavolo tutti questi casini capitano a me? -
- Davvero non saprei dirtelo... -.
Sobbalzai al suono della sua voce, cadendo dal tavolo su cui ero seduto con un rumoroso schianto a terra.
Mi rialzai, dolorante, massaggiandomi la testa, il cuore che batteva a mille.
Mi accorsi che stavo tremando.
Per forza: avevo apppena rischiato una precoce morte per infarto!
Come volevasi dimostrare: mai una volta che usasse la porta per entrare, come i comuni mortali.
O, almeno, che avvertisse prima di sbucarti alle spalle e farti prendere un mezzo accidente.
Ma, in fondo, quando mai lui era stato normale?
- Break... - mormorai, cercando di calmarmi.
- Ts, ts... - fece lui, scuotendo la testa - ... queste ti fanno male! -.
Mi tolse di mano la sigaretta e la buttò alle sue spalle.
Rimasi paralizzato dov'ero: era così vicino... troppo vicino...
Nella mia mente presero a
turbinare pensieri scabrosi che mi fecero venire la pelle d'oca, un po'
per il dannato desiderio che avevo verso di lui, un po' perché,
effettivamente, mi facevano paura.
- Be', che ti prende? Mi sembri pallido... - esclamò lui, piegando di lato la testa, osservandomi da vicino.
Molto vicino, esageratamente.
Indietreggiai
istintivamente, resistendo all'impulso di baciarlo, cosa che certamente
avrebbe avuto come naturale conseguenza un attacco di vomito.
- Scusa, ma devo andare a letto... -.
- Oh, certamente... -.
Lui si ritrasse e si volse verso il mobiletto dall'altra parte della stanza.
Ci si avvicinò e lo aprì, infilandocisi dentro.
- Notte notte... - mormorò, chiudendo piano le ante.
Dio mio, quando usciva in
quel modo così strambo mi pareva più inquietante del
normale, e già lo era abbastanza.
Sospirai: ero sopravvissuto incolume a quella visita, incredibile ma vero.
Be', avevo rischiato di morire infartato, ma tralasciando quel particolare non avevo subito gravi danni.
Raccolsi la sigaretta che mi aveva tolto di mano Break e la buttai nella pattumiera, prima di andarmene in camera.
Mi tolsi la camicia, i
pantaloni e mi infilai al caldo sotto le coperte, pregando con tutto me
stesso che quella sensazione d'infatuazione verso Break svanisse
durante il sonno.
Speranza inutile, visto che dopo una settimana non si era ancora realizzata.
Chiusi le palpebre nell'istante in cui udii uno strano rumore provenire poco lontano da me.
Le riaprii e mi ritrovai il viso di Break davanti.
Saltai su trascinandomi dietro le coperte e caddi dall'altra parte del letto.
Era evidente che quella non era serata: la testa mi doleva in modo allucinante.
Tutta colpa sua e delle sue stramaledette visite.
Lo sentii ridacchiare.
- Raven, dovresti smetterla di avere queste reazioni così esagerate: finirai col farti male... -.
"L'unica cosa che mi fa davvero male è averti tra i piedi" pensai tra me, rimettendomi seduto sul letto.
- Si può sapere cosa ci fai ancora qui? - chiesi.
- Dovevo parlarti della cosa per cui ero venuto prima... -
- Ah... -.
Chiusi gli occhi e sospirai: Dio, che altro voleva da me?
Mi aveva già tolto la mia vita e senza neppure esserne consapevole.
Chissà quanti problemi ancora poteva crearmi di sua spontanea volontà.
Sentivo lo stomaco
annodarsi e temevo di avere un mancamento da un momento all'altro, e
tutto per colpa del dannato effetto che la sua sola presenza sortiva su
di me.
Tutta colpa del sentimento che provavo verso di lui contro la mia volontà.
- Allora...? - domandai: prima avrebbe chiesto, prima se ne sarebbe andato.
- Be' ecco... - esordì.
Neanche aveva iniziato a
parlare che già avevo cambiato idea: per qualche strano motivo,
ora desideravo che rimanesse con me quanto più tempo possibile.
Era la mia controparte che si risvegliava, evidentemente.
Iniziò a parlare, ma non ascoltavo niente, solo la sua voce: delle parole non mi importava.
Se avessi potuto, avrei
iniziato a sbattermi la testa contro la testata del letto pur di
tornare me stesso, il Gilbert pronto a far fuori quell'insopportabile
pagliaccio opportunista.
E invece lo volevo.
Volevo che stesse con me.
Lo immaginai in un orripilante flash nudo nel mio letto, accanto a me.
Rabbrividii e scattai in piedi.
- Scusami... -.
Corsi nella stanza accanto.
Ormai non riuscivo
più ad avere il controllo delle mie azioni: non riuscivo
più a capire cosa era giusto e cosa era sbagliato.
Break?
La mia sanità mentale?
A quel punto mi parevano la stessa cosa, e ciò era preoccupante sotto ogni possibile punto di vista.
Sentii le mie mani afferrare martello, chiodi e assi e inchiodare queste al mobiletto nel quale era entrato poco prima.
Sentii le mie mani afferrare la chiave di casa e serrare la porta dall'interno.
Sentii le mie mani chiudere con fin troppa energia le finestre.
- Raven, che stai facendo? -.
La sua voce, stupita e perplessa, mi giunse dall'altro capo della stanza.
Mi voltai e lo vidi
indietreggiare d'un passo: era evidente che dovevo sembrargli
più pazzo di quanto non fossi in realtà.
Mi avvicinai a lui, spingendolo di nuovo nella mia camera.
- Break, ora basta. Sono stufo di aspettare! - inveii d'un tratto, colpendo lo stipite della porta.
Ero arrabbiato? Non ne ero certo, ma la mia controparte mi confermò che, effettivamente, ero arrabbiato.
Con chi?
Lui.
Per cosa?
Tutto quello che mi stava facendo passare.
Mi sembravano ottimi motivi, che senz'altro mi ricordavano che avevo ancora una parte sana dentro di me.
- Aspettare? Non so di cosa tu stia... -
- E INVECE LO SAI!!! SONO STUFO DI ASPETTARTI!! -.
Rimasi a fissarlo con odio, mentre lui mi squadrava con perplessità.
- Non capisco... -
- Oh... - dissi, in tono
improvvisamente affabile, tanto da intimorire sia lui che me stesso -
... è molto semplice. IO-VOGLIO-TE!! -.
Lui pareva atterrito sempre più ogni istante che passava.
- Me? Cosa? -.
In un attimo gli fui addosso.
Mi impaurii della mia stessa audacia: gli tolsi di mano il bastone, gettai via Emily dalla sua spalla.
Eravamo così vicini che potevo sentire il suo fiato sul mio viso.
- Avevi detto che sarei
stato il tuo occhio sinistro, no? Ebbene... voglio esserlo... in senso
stretto... e non solo quello... -.
In un primo momento Break mi rivolse uno sguardo attonito, poi mi sorrise maliziosamente.
- Ooooh... -.
Sembrava aver capito tutto, ma io non ero ancora soddisfatto: sentivo che dovevo dirgli di più.
- Io ho atteso, stretto
nella tremenda morsa del tuo sortilegio, l'incanto che non eri neppure
conscio di avermi inflitto!! E ora tu sarai mio! -
- Chi ti dice che io lo voglia? -
- Lo dico io! -.
Lo afferrai per il colletto
e lo trascinai verso di me, indietreggiando sempre di più,
finché non ricaddi supino sul letto, con lui disteso malamente
sopra di me.
Nell'ombra, vidi la sua espressione sorpresa persistere sul suo viso.
Scesi lungo le sue spalle, togliendo pian piano la giacca bianca.
Poi fu la volta della camicia.
Nonostante lui opponesse della resistenza, riuscii a sbottonargliela, lasciandola poi cadere di fianco al letto.
Sentii il rumore dei suoi stivali che cadevano a terra.
Si sistemò meglio sul mio petto.
- Raven... ti ho mai detto che sei così... carino quando trasgredisci le regole? -.
Mi resi conto che l'eccitazione del momento doveva aver dato alla testa pure a lui.
- No... ma anche tu non sei così male, pagliaccio... -.
Gli ressi il gioco: tanto ormai ero "inebriato" anche io.
Si avvicinò al mio viso, alle mie labbra.
Mi sentii avvampare.
Sentii le sue labbra posarsi sulle mie.
Presi letteralmente fuoco: era così... focoso.
Ricambiai il bacio: mi sentivo infervorare istante dopo istante, sempre più.
Lo sentivo muoversi sopra
di me, serpeggiare sul mio petto al ritmo del nostro bacio, del nostro
cuore che, ne ero certo, palpitava all'unisono.
Dio, com'ero patetico: mai stato tanto frivolo.
Lo sentii afferrarmi per le braccia, spostarmi, ribaltarmi.
Non mi opposi.
Mi ritrovai così sul suo, di petto.
Mi leccò il collo, apponendo un altro bacio sulle mie labbra.
Ormai, di casto c'era rimasto poco, anzi niente.
Lo sentii spostare un ciuffo di capelli capitato sul mio viso al momento sbagliato.
- Credi che io non mi opponga a tutto questo...? - mi mormorò all'orecchio.
Lo sentii irrigidirsi sotto di me, sentii le sue mani afferrarmi e stringermi forte.
Che volesse andarsene? Fuggire, per mai più tornare?
Ma, piuttosto... avrebbe raccontato a terzi di quell'incontro?
Scoprii che non m'importava, ma lui doveva rimanere lì dov'era, con me.
Lo ingabbiai nelle mie braccia, tenendolo inchiodato al letto.
- Non m'interessa -.
Nell'ombra lo vidi sorridere malizioso.
- Neanche se io sono il tuo capo? -
- "Sfruttatore" sarebbe una parola più opportuna... ma no, non ti lascerò andare comunque -.
Ero inquietantemente fermo e risoluto.
Mi facevo paura da solo.
In quel momento, mi arresi
all'evidenza: lo amavo e, per quanto desiderassi ritornare il Gilbert
Nightray di prima, ero conscio che non avrei mai potuto ritornare
così.
Non interamente almeno: lo desideravo troppo.
Ero condannato a supplire
ad un amore non corrisposto: la mia vita sentimentale mi schifava
sempre più secondo dopo secondo.
Oltre ad aver scoperto di
avere inclinazioni omosessuali con nientemeno che Xerxes Break, il mio
amore non era neanche ricambiato.
Mi commiseravo da solo.
Mi risolsi di spostarmi e lasciarlo andare via: non volevo essere messo in carcere con l'accusa di molestie sessuali.
Magari, prima che andasse a
denunciarmi, lo avrei pregato di non farlo, ma poi ci ripensai: va bene
che avevo perso il mio orgoglio trascinandolo a letto con me, ma un
briciolo di dignità mi rimaneva ancora!
Così, cercai di scivolare via da sopra di lui, ma qualcosa mi trattenne: la sua mano, arpionata al mio polso.
- Dove pensi di andare? - sussurrò malevolo nell'ombra.
Rimasi ad osservarlo, incredulo: Dio mio, era proprio quello che stavo pensando?
Che la mia vita sentimentale da gay non fosse giunta già al termine?
- Break...? -
- Io non ho confermato il fatto che avrei opposto resistenza... -.
Una fiammellina di speranza mi si accese in petto: ma allora anche lui...
- E ora... dove eravamo rimasti...? - disse, attirandomi di nuovo a sé.
- La signorina Sharon non ti sta aspettando? -
- Le ho detto che sarei rincasato tardi... forse anche domattina... -.
Un'idea malsana mi
balzò alla mente e mi aprì un mezzo sorriso sghembo sul
viso: perché non proporgliela? Che altro avrei potuto perdere?
Mi accostai di nuovo a lui, mentre mi trascinava di nuovo sul suo petto candido.
Allora, mi chinai sul suo orecchio e gli sussurrai: - Break... c'è la speranza che tu... tu... -.
Quella parte di me che lo
odiava ancora mi impediva di essere sincero fino in fondo, ma sapevo
che ci avrei dovuto convivere: era pur sempre un lato del mio carattere.
Forse, dopo quella
scioccante rivelazione che era il semplice fatto di avere scoperto che
anche Break mi amava, sarei ritornato il solito tetro personaggio
cocciuto, anche se leggermente modificato.
Affrontai di petto la cosa: - ... possa trasferirti a casa mia? - conclusi.
Lui rimase ad osservarmi
per quelli che mi parvero interminabili istanti in cui mi sentii un
vero e proprio idiota, poi rise con quel suo modo frivolo in maniera
quasi femminile e terribilmente inquietante.
- Potrei mai rifiutare un'offerta tanto gentile...? -.
Quella domanda in risposta alla mia mi suonò vagamente come un "sì".
Nascosi il mio compiacimento fra le ciocche di capelli che mi coprivano il viso, quindi lo affondai nella sua spalla.
Lui mi strinse a sé in un abbraccio affettuoso.
A quel punto, sentii la stanchezza sopraffarmi, e caddi dolcemente nel buio, ancora stretto tra le braccia di Break.
Angolino autrice
O///O Dio, non so ancora
come abbia trovato il coraggio di pubblicare una cosa così...
così... perversa? O.o atroce? O.o *prende a testate l'armadio*
Fatto sta che l'ho pubblicata u.u'''
Sono allucinata dal mio
stesso coraggio O___O oki... a parte questo ed altri scleri simili/sensi di colpa che seguiranno... spero vivamente che
almeno a qualcuno sia piaciuta... ^^''
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