Fandom: Merlin;
Pairing: Artù/Merlino;
Prompt: Partire da una parola, associarne
altre dieci e scrivere una one-shot
che le contenga tutte, compresa quella iniziale. La parola di partenza è SPADA.
Rating: Pg13;
Genere: Introspettivo, Romantico;
Warning: Pre-Slash (“Artù nudo” è un avvertimento? XD);
Summary: «In futuro tu dovrai essere tutto questo, perciò ti addestri ogni
giorno. Dovrai essere spada e scudo per loro» aveva
concluso con un occhiata ammonitrice, gettando sulle sue esili spalle il
destino dell’intera Albione.
(Per melancholia)
Note: Questa fic nasce da una sorta di “sfida” che mi ha lanciato la mia
adorata socia/mogliettina melancholia dopo aver vinto un giochino
sul mio LJ
il cui premio era potermi commissionare una fic.
Il prompt che mi aveva dato è
questo: “Per questa vincita richiedo una Artù/Merlino
ambientata quando vuoi tu, nel senso che è indifferente che Artù sia già re o
sia ancora principe. Devi partire da una parola, associarne altre 10 e scrivere
una shot che le contenga tutte, compresa quella
iniziale. La parola di partenza è SPADA.”
Le parole che ho associato a quella che mi ha dato sono: scherma, addestramento, scudo, cavalieri,
giostra, torneo, ferite, armatura e
fodero. Le trovate esattamente in quest’ordine
all’interno del testo.
Spada e Scudo
Io sono qui grazie a
te.
Tu sei la ragione per
cui io esisto.
Tu sei tutte le mie
ragioni.*
Da bambino, Artù detestava le lezioni di scherma.
Si addestrava con Morgana, la protetta di suo padre - che
era qualche anno più grande di lui e quindi più esperta – perché il Re voleva
che anche lei fosse in grado di difendersi. Il loro Maestro era un uomo burbero
e severo, privo di qualsivoglia gentilezza, che
sembrava provare un piacere recondito nell’infierire sul giovane Principe.
Artù non voleva fare del male a nessuno e nemmeno voleva
imparare le tecniche per farlo, ma s’impegnava comunque, giorno dopo giorno, con tenacia e costanza, per non deludere suo padre,
per dimostrargli di non essere inutile e che, nonostante la morte di sua madre,
la propria vita avesse comunque valore. L’impegno, però, sembrava non essere
mai abbastanza, ed ogni volta che cadeva sotto i colpi
di Morgana, ogni volta che il Maestro rimarcava quanto fosse inetto a lasciarsi
battere da una fanciulla, il suo senso d’inadeguatezza cresceva, come un mostro
che gli mangiava le viscere, sfamandosi del suo tormento.
Doveva avere circa dieci anni quando Uther
lo portò sui bastioni della torre più alta, dopo che lui aveva abbandonato
l’addestramento, conficcando con frustrazione la spada nel terreno. Il Maestro
aveva riferito l’accaduto al Re e questi era andato a cercarlo, lo aveva
ghermito per un braccio e lo aveva trascinato via con sé.
Il piccolo Pendragon aveva avuto
paura, pensava che quella volta suo padre non l’avrebbe perdonato per averlo
umiliato a quel modo, lo avrebbe picchiato e non avrebbe permesso a Gaius di curare i suoi lividi.
Il sovrano, invece, lo aveva portato in cima al torrione ed aveva spalancato le braccia, come a voler cingere
l’intero paesaggio. «Lo vedi tutto questo, figlio mio?» lo aveva interrogato
«Tutte le terre che scorgi, sin dove arriva il tuo occhio ed
oltre, le ho conquistate con il mio sangue» aveva poi dichiarato, posando le
mani sulle merlature «E tutte le persone che le abitano, dipendono da me. Si
affidano a me - a noi - per vivere
serene ed in pace. Un Re deve fare sempre ciò che è
meglio per il suo popolo, deve essere misericordioso ogni volta che può ed inflessibile quando le circostanze richiedono che lo sia»
infine si era voltato a guardarlo «In futuro tu dovrai essere tutto questo,
perciò ti alleni ogni giorno. Dovrai essere spada e
scudo per loro» aveva concluso con un’occhiata ammonitrice, gettando sulle sue
esili spalle il destino dell’intera Albione.
I doveri dell’Erede al trono non sono facili da rispettare,
ma Artù ha imparato a soffocare il proprio volere, in favore di quello di suo
padre e del regno.
Deve essere d’esempio per tutti i cavalieri, quindi non può
mostrare mai alcuna esitazione o debolezza.
Deve vincere ogni giostra ed ogni
torneo, così che il popolo veda quanto è forte il suo Principe.
Deve essere sempre impavido, coraggioso e primeggiare
costantemente.
Deve essere… tutto
e troppo.
Ma lui non china mai il capo e non
si da mai per vinto, perché una volta Gaius gli ha svelato
il segreto più importante: «Gli dei non metterebbero mai sul trono un uomo che
non sia adatto a regnare» quindi se lui è nato per essere il futuro Re, vuol
dire che ha anche le capacità per diventarlo.
Il suo senso d’inadeguatezza, però, sta sempre lì,
acquattato nelle sue viscere e pronto a tendergli un agguato ogni volta che
commette un errore.
Solo quando, al termine di un’estenuante giornata, Artù si
rifugia nelle proprie stanze, può permettersi di lasciar cadere la propria
maschera.
Allora Merlino lo accoglie con un sorriso ed
un «Bentornato, Sire» mentre è ancora intento a riempire la tinozza per il suo
bagno.
Il Principe può lasciarsi spogliare dalle mani esperte del
proprio servo ed immergersi nella vasca. Nel momento
in cui le dita del suo valletto cominciano a frizionargli la cute e l’acqua
calda inizia a distendergli i muscoli, si concede un sospiro
di sollievo.
«Sei insolitamente silenzioso» constata
quel giorno, mentre Merlino gli passa una pezzuola umida sulle sue spalle.
«Mi sembrate più stanco del solito, pensavo che la mia voce
vi avrebbe infastidito» replica l’interpellato, ed il
giovane Pendragon si costringe a celare un sorriso.
Sì, perché Merlino è l’unico che comprenda cosa si celi dietro alle apparenze e
che gli dimostri quelle piccole premure, l’unico che in breve tempo abbia
imparato a riconoscere i segnali del suo umore e ad assecondarli. Ogni tanto,
però, anche lui sbaglia; infatti, ad Artù, le sue chiacchiere non danno affatto fastidio, al contrario gli permettono di
rilassarsi e di sfogarsi su di lui quando combina qualche guaio… il che accade
piuttosto spesso.
Così domanda: «Hai assolto a tutti
i tuoi compiti?» giusto per avviare la conversazione e non fargli capire che
desidera sentirlo parlare.
«Sì, Sire: ho lavato la vostra biancheria, rassettato le
vostre stanze, lucidato la vostra armatura, pulito le
stalle e strigliato i vostri cavalli» sbuffa, mentre gli passa la spugna anche
sulle braccia.
Artù inclina il capo per cercare il suo sguardo, scrutandolo
a testa in giù: «Hai portato a passeggio i miei cani?» chiede, inarcando un
sopracciglio e, quando il valletto si lascia sfuggire un
gemito di disappunto, si raddrizza ed alza gli occhi al cielo «Sei
irrecuperabile, Merlino» lo rimbrotta debolmente.
«E voi, delle volte, siete incontentabile» ribatte questi,
premendo con i palmi sui muscoli irrigiditi della sua schiena e strappandogli
un mugugno indolenzito.
Il giovane Pendragon gli rifila un un’occhiataccia. Così come essere l’Erede al trono
comporta molti doveri, essere un valletto reale ne implica altrettanti, ma in
fondo è lieto che almeno uno di loro possa lamentarsi di questo.
«Avete le spalle completamente contratte, un massaggio vi
farebbe bene» considera il suo servitore personale e, con un cenno d’assenso,
il Principe gli ordina di recuperare dell’olio.
Artù si stende supino sul letto, coperto a malapena da un
asciugamano sui fianchi, ed assapora con gratitudine
le carezze decise delle mani sapienti di Merlino.
«Ho sentito dire che, questo pomeriggio, due reclute si sono
ferite durante l’addestramento» butta lì quest’ultimo, ben sapendo che il proprio
signore non gradisce il silenzio in quei casi, perché renderebbe tutto troppo
intimo ed imbarazzante.
«Sto seriamente ponderando di farli duellare con bastoni e
spade di legno, come si fa con i bambini» ironizza con disappunto Artù.
«Vi si rivolterebbero contro in massa, per l’umiliazione»
ridacchia divertito il suo servo.
«Se lo meriterebbero. Non hanno
costanza, ecco qual è il loro problema. Si adagiano sugli allori, credendo che
riceveranno l’investitura solo per il sangue nobile che scorre nelle loro vene,
ma non è così che funzionano le cose. Un cavaliere di Camelot deve possedere determinazione e coraggio»
asserisce cupamente il futuro sovrano.
«Non tutti sono testarti come voi, mio signore» ribatte
Merlino, un po’ sbeffeggiandolo ed un po’ blandendolo.
«Ma senti chi parla: la testa più
dura di tutto il regno!» esclama l’altro indispettito.
«Mai quanto voi, Sire» replica serafico.
«Non imparerai mai a rivolgerti a me con il dovuto rispetto,
vero Merlino?» domanda retoricamente il giovane Pendragon,
posando una guancia su un braccio ed incontrando i
suoi occhi blu.
Quel ragazzo è impertinente e lo contraddice spesso,
ciononostante è sempre pronto a seguirlo ed Artù ha
ormai rinunciato a tacitare la sua lingua tagliente. Tutto ciò che può fare è evitare che il suo servitore idiota si metta nei
guai, rivolgendosi in quel modo ad altri, o a lui in pubblico. Se non altro,
Merlino è sincero e gli è fedele come nessuno al
mondo.
«Oh no, vi annoierei!» risponde infatti,
come se conoscesse alla perfezione i suoi pensieri.
«Più in basso… più a destra…» il Principe allora guida i
suoi movimenti, tanto per zittirlo.
Non appena lo individuano, le dita di Merlino premono sul
nodo di muscoli, strappandogli un gemito afflitto, e poi lo accarezzano con
gentilezza, quasi a volersi scusare per quel disagio.
Il suo tocco, è caldo e terapeutico, più rispettoso di
quanto lo saranno mai le sue parole, sembra portar via tutta la stanchezza ed ogni preoccupazione, e lo sguardo dell’Erede al trono
s’intreccia con intensità a quello del proprio valletto, senza maschere a
frapporsi.
Le mani di Merlino paiono perfino riuscire a blandire il
mostro che giace nelle sue viscere. E’ come se lui fosse l’unico ad accorgersi
che l’Erede al trono è solo un ragazzo, che si riveste d’arroganza per
difendersi dal mondo e proprio per questo - per la sua debolezza, per la sua
umanità – lo ammiri.
Merlino è quanto di più vicino ad
un amico Artù abbia mai avuto, ma non può esserlo davvero, perché è un servo…
eppure è molto di più.
Il giovane Pendragon vorrebbe
poter sentire quelle carezze ovunque
e chiude gli occhi, sopraffatto dai suoi stessi pensieri, abbandonandosi a
quelle mani, concedendosi totalmente a loro e lasciando che si prendano cura di
lui, e queste lo accompagnano lentamente fra le nebbie oniriche del sonno.
Artù non si accorge delle coperte che vengono
rimboccate sul suo corpo, ne’ delle dita leggere che s’intrecciano per un
attimo ai suoi capelli ancora umidi.
«Riposate, Sire, quando vi sveglierete farò
in modo che troviate la cena ancora calda».
Il Principe deve essere spada e scudo per guidare il proprio
regno, ma gli dei hanno scelto per lui un fodero che lo custodisca ed un braccio che lo sostenga.
Il Destino è già deciso.
FINE.
*La frase d’introduzione è tratta dal film “A Beautiful
Mind”.