American
Dream ©
di
Roy Mustung sei uno gnocco
Capitolo 4
Il mese
di tempo che Roy aveva dato a Edward per scrivere il suo articolo era
finalmente scaduto. In tutto questo periodo l’aspirante
scrittore aveva frequentato costantemente Mustang, rendendosi che,
dopotutto, non era poi così male. Certo, era estremamente
irritante e spesso… strano. Doveva
ammetterlo Ed, Roy aveva un carattere molto molto particolare. Non
riusciva ancora a capirlo e diverse volte preferiva lasciarlo solo in
qualche angolo della sua casa enorme. Capitava, tuttavia, che si
mettesse poco distante da lui, a osservarlo mentre era perso nei suoi
pensieri, cercando in tutti i modi di provare a capire qualcosa di
ciò che gli passasse per il cervello. Pensandoci bene,
nemmeno Edward era poi così tanto senza pensieri. In questo
mese aveva preferito non pensare a ciò che stava succedendo,
a ciò che si stava creando fra di loro. Era amore o era solo
sesso? Tra di loro c’era un po’ d’affetto
o solo una sfrenata passione? Ogni volta che Edward provava a fargli
qualche domanda, finivano sempre col rotolarsi fra le lenzuola. Non che
al biondo dispiacesse, anzi! Ma dovevano mettere le cose in chiaro.
Specie perché lui, a Mustang, si stava per davvero
affezionando. Di ciò si era accorto già da un bel
po’: aspettarlo la sera diventava sempre più
snervante e impossibile da sopportare, discutere con lui su qualunque
cosa, invece, era diventato un bisogno naturale. Così come
bisticciarci. Mustang stava diventando sempre più
importante, per lui.
D’altro
canto, Roy non si stava rendendo conto di dove stesse arrivando. Aveva
bisogno di parlare con qualcuno, di chiedere consiglio. E chi meglio
del suo fotografo preferito?
Era a
casa sua, quella sera. Tra un’ora sarebbe tornato a casa e ci
avrebbe trovato Edward. E lì il suo cervello si sarebbe
staccato di nuovo smettendo per l'ennesima volta di dare segni vitali
e, soprattutto, d'intelligenza.
- Cosa
dovrei fare, Jean? - appoggiò la testa al suo petto, seduto
sul tappeto morbido del soggiorno della casa. Era arrivato a casa sua
poco meno di quaranta minuti fa e appena entrato gli era saltato
addosso. Fare l’amore col suo fotografo migliore era sempre
rilassante…
Jean
passò una mano tra i capelli corvini di Roy,
scompigliandoli, scendendo lentamente sul suo collo, sul suo petto e
sugli addominali.
- Se
quel ragazzo t’interessa non vedo perché tu non ci
debba stare insieme. Cerca di pensare alla tua felicità, no?
- appoggiò le labbra sul suo collo, lasciandogli qualche
bacio umido. Roy sospirò, lasciandolo fare.
- Mi
sento confuso. Credo di aver fatto un casino troppo grosso. Edward si
è affezionato a me, me ne sono accorto. Ma io per lui non
provo niente se non attrazione fisica. Eppure, se fosse un altro, non
ci penserei due volte a lasciarlo in tronco, capisci? Mi sento
così dannatamente confuso. - Jean non trattenne un sorriso e
gli lasciò un affettuoso bacio sulla tempia. Roy intanto
continuava. - L’ho fatto entrare troppo nella mia vita... -
-
Passami le sigarette, per favore… - domandò
improvvisamente e Roy, seppur mal volentieri, le
cercò con gli occhi, senza trovarle. - Sono lì,
vicino alla poltrona -.
Il moro si sollevò e a quattro zampe allungò un
braccio, afferrando il pacchetto. Jean improvvisamente
ridacchiò e quando si ritrovò di nuovo Roy, nudo,
tra le braccia, le sue risate aumentarono.
- Ma si
può sapere perché cavolo ridi?! -
sbottò Mustang, tirando fuori una sigaretta e mettendogliela
fra le labbra per farlo smettere di ridere. Prese poi
l’accendino e gliel’accese. Jean non
staccò mai gli occhi da quelli di Roy, tirando la prima
boccata di fumo.
- Ridevo
perché il tuo sedere mi mancherà da morire se ti
metti con Edward… - il moro sbuffò, sorridendo e
scuotendo il capo.
-
Mettiamo le cose in chiaro: se mai mi metterò insieme a
qualcuno, quello sarai tu! - Jean sorrise, facendo spallucce e
continuando a fumare.
- E se
io non volessi? - insinuò, inconsciamente con uno sguardo
dolce.
- Non ho
dimenticato ciò che mi hai detto l’anno scorso,
Jean. - ribatté, appoggiando la guancia al suo petto. Il
biondo riprese ad accarezzargli i capelli.
- Mi
chiedo se tu sia ancora capace di innamorarti. Dopo quello che
è successo a Michelle non sei più lo stesso
e… -
-
Michelle non c'entra! - sbottò, innervosito.
-
Roy… perdere tua sorella è stata una cosa
spaventosa. E’ successo cinque anni fa, è vero, ma
da quel giorno sei cambiato tantissimo. Sono dieci anni che ti conosco,
dieci! So come sei fatto, so qual è il tuo film preferito,
il tuo piatto preferito, il tuo colore preferito, come preferisci il
riso o la pasta, so che ogni Sabato sera, per tradizione, devi andare
al ristorante giapponese… - Roy si mise seduto, staccandosi
da lui. Jean lo afferrò di nuovo, stringendolo a
sé. Roy provò a divincolarsi, ma lo aveva
imparato negli anni: Jean era più forte di lui. Il biondo
gli bloccò i polsi e se lo strinse forte addosso. - So
quanti e quali biscotti mangi la mattina, come preferisci il
caffè e… ahia! Smettila di picchiarmi e stai un
po’ fermo! - Roy gli aveva tirato una forte gomitata
nell’addome. Anche se Jean era più forte di lui,
non significava che il moro non sapesse far male.
- E tu
smettila di provare a smuovermi i sentimenti, idiota! -.
-
Perché dovrei smetterla?! Non ti sei mai chiesto
perché sono ancora al tuo fianco dopo tutto questo tempo?!
Eppure l’anno scorso te l’ho detto! - Roy
ammutolì, guardandolo però stizzito. -
Roy… io ti amo. E ti voglio felice come lo eri cinque anni
fa prima di quello schifoso incidente. Se starai con me o con Edward o
con Riza o con chiunque altro a me non interessa. Ti voglio solo
felice, Roy. - il moro si alzò, andando a cercare i propri
abiti. Jean scosse il capo, rendendosi conto solo ora che la sigaretta
era quasi del tutto bruciata e che stava per cadere la cenere.
Allungò il braccio verso il bracciolo destro del
divano a cui dava le spalle, lasciandola cadere lì.
Tirò un’altra boccata.
- Non
è andandotene che aggiusti la tua vita, Roy… -
Mustang smise di allacciarsi i pantaloni e lo guardò, serio
in volto.
- E
dichiarandomi si aggiusterà? - ribatté,
leggermente acido.
- Se ti
serve a far chiarezza, sì. - un’ultima boccata di
fumo prima di spegnere nel posacenere la sigaretta e lasciarne
lì i resti; poi Jean si alzò, andandogli vicino.
Gli cinse la vita con le braccia, dandogli un bacio al sapore di
tabacco. Roy si staccò, schifato.
- Lo sai
che dopo aver fumato non devi baciarmi: mi fa schifo! - Jean
sollevò gli occhi al cielo.
-
Scusa… - borbottò, ma poi, divertito,
tornò a baciarlo. Roy mugolò piuttosto
contrariato, ma stavolta lo lasciò fare, accarezzandogli la
schiena e facendo scendere lentamente le mani sulle sue natiche. Il
moro cominciò a spingerlo di nuovo a terra, mettendosi a
cavalcioni su di lui e baciandolo appassionatamente.
-
Jean… - Roy nascose il viso nel suo collo, sentendosi subito
abbracciare forte. - sei il mio amante preferito… -
mormorò, carezzandogli un fianco.
-
E’ una dichiarazione d’amore? - insinuò,
con tono scherzoso.
- No. -
una risposta tanto lapidaria quanto falsa che fece scoppiare a ridere
Jean. Mai avrebbe smesso di adorare i cambiamenti d’umore di
Roy. Prima s'addolciva come melassa e poi tornava a fare il duro.
- Me la
farai un giorno? Con tanto di poesia? - domandò, ironico ma
palesemente contento.
- Faccio
ancora in tempo ad andarmene, sai? Non approfittarne! - lo
minacciò. Jean ribaltò le posizioni.
- Va
bene, la smetto. Però è un po’ che non
mi fai leggere qualcosa di tuo… - Roy fece per ribattere,
poi si fermò, come colto da una folgorazione.
-
Edward… - Jean sollevò un sopracciglio.
- Cosa
c’entra Edward? - chiese, non riuscendo a trattenere la
gelosia. Non era mai stato possessivo nei confronti di Roy, mai geloso
di tutte le persone che insieme a lui erano passate fra le sue braccia.
Ma qualche volta, molto raramente, non riusciva proprio a non
desiderare di averlo solo per sé. Per non parlare di
ora che erano "quasi fidanzati". Ma quanti
anni aveva aspettato prima di riuscire a raggiungere questo momento?
Per cui era più che lecita la sua gelosia.
- Edward
ha tantissimo talento. Anche quel primo articolo scritto in fretta e
furia è stato un grande lavoro. E lui vuole fare lo
scrittore. - si mise seduto sul tappeto, guardando negli occhi azzuri
di Jean.
- E
scrivigli una lettera di raccomandazione, no? - suggerì.
-
Sì, lo farò. Stasera stessa! Ma... devo... devo
prima mettere in chiaro le cose con lui... -
-
Stasera stessa, ovviamente. - terminò per lui. Roy lo
guardò, con gli occhi vagamente dispiaciuti.
- Dai,
domani è Sabato, andiamo al giapponese e poi stiamo insieme
tutta la notte. Ci stai? - sorrise e Jean capitolò,
sospirando e poi sbuffando. Dieci anni e ancora non riusciva a
resistere a quel sorriso.
- Va bene, hai vinto tu. Se ti sbrighi, naturalmente, io ti aspetto
sveglio. Anche fino a tardi. - Roy spostò Jean e si
alzò subito, andando a mettersi la camicia in fretta. Poi
infilò giacca e scarpe, afferrando il pesante pastrano nero.
Lo indossò e tornò dal fotografo. Si
piegò e gli lasciò un bacio languido sulle labbra.
- Ora vado... - si rimise in posizione eretta, diringendosi svelto
verso la porta.
- Roy! - lo chiamò un'ultima volta. Il moro si
girò e tornò indietro.
- Che c'è? - non attese la risposta, notando che al collo
Jean teneva la sua cravatta blu. Sorrise. - Tienila tu. Un motivo in
più per tornare da te, no? - e uscì dal grande
appartamento.
*****
Aprì la porta del suo
attico nell'Upper East Side con un po' di ansia. La cosa era piuttosto
strana dato che lui era Roy Mustang, che a quel ragazzino non doveva
proprio dimostrare nulla e che quella era casa sua e avrebbe potuto
cacciarlo quando più gli andava. Ma quella giornata non era
stata affatto nella norma e ora doveva dare un taglio a tutto quel
casino che aveva combinato con Edward. Vero, però, che non
poteva mostrargli il lato affettuoso che usciva sempre fuori con Jean,
ma doveva mantenere le distanze come aveva costantemente fatto da
quando si erano conosciuti.
- Edward?! - lo chiamò e nemmeno cinque secondi dopo vide
apparire un tornado biondo con in manco dei fogli.
- Roy! Ho finito l'articolo! - sorrise, trattenendosi dal saltare di
fronte a lui, felice di vederlo ed euforico per aver terminato il
lavoro che, ne era certo, era il migliore che mai avesse svolto.
- Oh... bene. Perfetto. Domani lo portiamo in stampa. - glielo prese
dalle mani e lo poggiò su un tavolino di vetro lì
vicino.
- Ehm... Roy... non lo leggi? - sollevò le sopracciglia
dorate. - Insomma, ci ho messo un mese per far la recensione a quel
libro! E voglio un parere subito! - Roy ammutolì, girandosi
a guardarlo. Per qualche minuto rimase in silenzio, cercando di
riordinare il caos che aveva nel cervello. Era più forte di
lui: a quel moccioso si era affezionato. Ma lui aveva occhi solo per un
biondo sulla faccia della Terra. La cosa più assurda
è che, Roy, ne era sempre stato a conoscenza. Sempre. Non
voleva ammetterlo a se stesso, ma ogni volta che aveva bisogno d'aiuto,
conforto o semplicemente di un pizzico di felicità... Jean
era la risposta.
- Ti ho illuso, Edward. - esordì, spezzando il silenzio e
facendo sgranare i grandi occhi dorati al giovane scrittore.
- C-come... ? - non capiva, Edward. Non capiva a cosa si stesse
riferendo. Al lavoro? Era solo una scusa per portarlo a letto? O... a
loro due?
- Io per te non provo niente. Sei stato il mio ennesimo giocattolo.
Però... - Edward strinse i pugni, voltando il viso, con la
rabbia che già gli montava dentro. Doveva
immaginarlo! Come aveva fatto a fidarsi di quello stronzo?!
- Però cosa?! Sono stato il
più divertente?! - esclamò, ritornando a
guardarlo, con gli occhi dorati illuminati dalla rabbia.
Roy sospirò pesantemente: non lo stupiva la reazione di
Edward.
- Non proprio, Edward. Tu... tu mi hai colpito appena ti ho visto per
la prima volta. E io ti volevo... ti desideravo... - camminò
lentamente verso una vetrata lì vicino. Ed lo
seguì con gli occhi, tremando come un foglia. - E
ciò che voglio io me lo prendo sempre. Però, come
ti dicevo prima, tu non solo mi hai colpito già dalla prima
volta in cui i nostri occhi si sono incontrati, ma mi sei entrato
dentro… nell’anima. A te io ci tengo. Non so
perché proprio tu e perché non un altro. So che
tu sei speciale. - si mise di profilo, guardandolo un po’
dispiaciuto.
- Che significano queste parole? - chiese, confuso.
- Significano che io ti voglio… bene. Lo stesso bene che
potrei provare per… un fratellino piccolo o un figlio.
Edward io non so spiegarti bene cosa provo per te, ma non è
amore. Ho sbagliato a usarti. Ho sbagliato a illuderti,
soprattutto. Ti ho usato per non pensare ai miei problemi,
per evitare gli scheletri del mio passato. Ti chiedo scusa per questo.
Mi dispiace. Ma non me ne pento più di tanto. Grazie a te,
ho capito molte cose. Ho capito dove erravo e cosa mancava nella mia
vita. E ho capito, anche, cos’è l’amore.
Un tempo ero anche io come te: pieno di talento, capacità,
sogni… e io, a differenza tua, non ho incontrato un capo
stronzo sulla mia strana che mi ha sfruttato. Ho incontrato il destino
che mi ha steso, che mi ha diventare il tuo capo e soprattutto stronzo.
Ti starai chiedendo perché ti sto facendo questo lunghissimo
monologo e a dirla tutta neppure io so bene il motivo. Però
tu non meritavi di essere trattato come ho fatto io. Scusami, Edward.
Ti prego di perdonarmi un giorno, se potrai… -. Edward
rimase in silenzio e di colpo la rabbia sparì, lasciando il
posto solo a un grande dispiacere e a un grande senso di vuoto.
- Devo andare… - mormorò. Non voleva
più parlare di e con Roy. Aveva sbagliato anche lui a dargli
corda e lasciarsi illudere da Roy e dalle sue parole.
- Edward, no, aspetta, io… ! - non fece in tempo a dire
nulla che il biondino era già fuggito fuori dalla porta
senza la giacca. Il moro sospirò. Seguirlo non era
sicuramente un’ottima idea, per cui lasciò perdere
e si diresse verso il salotto. Prima che potesse varcare la soglia che
portava al grande soggiorno, si ricordò improvvisamente
dell’articolo. Ritornò sui suoi passi, prendendo
al volo i fogli spillati dove c’era stampata
l’opera di Ed. Cominciando a leggere si diresse in salotto e
si sedette sul divano, divorando letteralmente ogni parola
dell’articolo. Quando finì, alzò gli
occhi e fissò senza parole il vuoto.
*****
Tre giorni dopo, tutta
l’America sapeva chi fosse Edward Elric. Sapeva quanto grande
fosse il suo talento. Sapeva finalmente che di un semplice articolo ci
si poteva innamorare. Sapeva anche che ora c’era un libro in
più da leggere. Sapeva anche che una frase come quella che
Edward Elric aveva scritto, riguardava un po’ tutti noi. Chi
più, chi meno. Sapeva che “Il più solido
piacere di questa vita, è il piacere vano delle
illusioni”.
Note finali:
Semplicemente grazie. Grazie a tutti quelli che hanno
commentato questa storia, a quelli che l'hanno soltanto letta e, spero,
apprezzata, a quelli che l'hanno messa tra le "seguite" e a quelli che
l'hanno messa anche tra i preferiti, a quelli che, in futuro, forse, la
leggeranno. Grazie di cuore!
|