Il pomeriggio scorreva pigramente
sui verdi prati della Contea. Dall’alto della Collina si godeva una splendida
vista dei campi coltivati oltre il fiume, biondi di grano ormai maturo, bordati
da siepi ben curate e filari di alberi da frutto. Seduti sulla soglia di casa
Baggins, Bilbo in persona e il suo vecchio amico Gandalf stavano fumando in
silenzio, osservando distrattamente le volute di fumo che si levavano in alto
nell’aria tiepida.
La visita di Gandalf era stata del
tutto inaspettata, ma Bilbo ne era rimasto piacevolmente sorpreso. “Immagino
che da parte tua non ci si possano aspettare due righe per annunciare il tuo
arrivo, vero?”, aveva scherzato. Gandalf di rimando gli aveva lanciato
un’occhiata di rimprovero, ma non era riuscito a rimanere serio per molto.
Scoppiando a ridere, aveva detto: “No, suppongo di no, mio caro Bilbo!”
Avevano parlato a lungo, finché
Gandalf, tirando fuori la sua lunga pipa, aveva chiesto a Bilbo se per caso
avesse un po’ di foglia di Pianilungone. Allora era sceso il silenzio fra di
loro, un silenzio confortevole, carico di lontani ricordi.
“Devono essere già le cinque”,
fece Bilbo alzandosi. “Sarà meglio che vada a preparare il tè. No, rimani
pure”, disse vedendo Gandalf muoversi per seguirlo, “lo servirò qui
all’aperto”.
Quando la porta rotonda si fu
richiusa alle spalle di Bilbo, Gandalf allungò appena le gambe e sistemandosi
più comodamente lasciò vagare il suo sguardo sul paesaggio dalle morbide linee
che si stendeva attorno a lui. Aveva per la Contea e per i suoi abitanti una
particolare predilezione; e di tanto in tanto, di ritorno dai suoi lunghi e
pericolosi viaggi, era solito fermarsi lì per riposare un poco l’animo
affaticato, e per rivedere il suo antico compagno di avventure.
Assorto nei propri pensieri, non
notò un giovane hobbit risalire correndo la strada che portava alla Collina, e
poi fermarsi appena entrato nel giardino di casa Baggins. Scorgendolo dopo
qualche istante, incontrò il suo sguardo curioso che lo fissava con grande
interesse.
Doveva essere piuttosto giovane;
aveva una massa di riccioli bruni e ribelli, e negli occhi chiari, piuttosto
insoliti per un hobbit, brillava uno sguardo vivace e divertito. Avanzò di
qualche passo, continuando a fissare il cappello a punta dello stregone e il
suo bastone appoggiato al muro, poi chiese: “Tu… sei Gandalf il Grigio?”
“Sì, sono io”, rispose. “E tu
devi essere il nipote di Bilbo, se non sbaglio”.
Il ragazzo annuì, e andò a
sedersi sull’erba ai piedi di Gandalf. “Bilbo mi ha raccontato tante cose su di
te, e sulle avventure che avete affrontato insieme. Non vedevo l’ora di
conoscerti”.
In capo a pochi minuti, quando
Bilbo uscì portando il vassoio del tè, Gandalf era già immerso in un lungo
racconto, popolato di Elfi, Nani e Uomini, e di altre strane creature che
vivono negli angoli più remoti della Terra di Mezzo. Il giovane hobbit
ascoltava con attenzione, gli occhi scintillanti di meraviglia e di gioia.
“Frodo! Non mi dire che sei
riuscito a convincere perfino Gandalf a raccontarti una storia!”, esclamò
Bilbo, posando il vassoio. “Gandalf, ti avverto che quando avrai finito ti
tempesterà di domande, fino a farti crollare per la stanchezza…”
Frodo rise e si alzò in piedi.
“Andiamo, zio Bilbo, lo sanno tutti che a te piace narrare le tue imprese,
almeno quanto scrivere poesie; nessuno riuscirebbe a farti stancare, nemmeno
io. Ma ho promesso al tuo amico Gandalf di non interromperlo finché la sua
storia non sarà finita, e di non fargli domande. Siediti qui con noi e
ascolta”, disse versando il tè nelle tazze e porgendole ai due compagni.
E
Gandalf proseguì a riferire dei suoi numerosi viaggi, sorseggiando la sua tazza
di tè, e godendosi la fresca brezza della sera.