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L’avventura
del gioco a tre
Come il
lettore ben saprà dai miei numerosi resoconti precedenti, in cui ho cercato di
portare a conoscenza le peculiarità dell’attività e della personalità del mio
famoso amico, la congenita eccentricità di Sherlock Holmes gli conferiva una
grande energia se era questione di camuffare la propria identità e gettarsi
all’inseguimento o appostarsi nell’ombra, gli forniva sorprendenti abilità
retoriche per intrattenere, convincere e talvolta ammaliare l’interlocutore dal
quale sperava di estorcere informazioni, gli garantiva una forza che non ci si
sarebbe mai aspettati scaturire dal corpo snello e longilineo per contrastare
rivali ed avversità. Ma ogni volta era lieto di tornare al nostro appartamento
di Baker Street, come la volpe torna alla tana e la rondine al nido, e, o che
fosse il fulcro della sua attività investigativa, o che fosse il preferito dei
suoi rifugi, controvoglia accettava di allontanarsene per lunghi periodi,
prediligendo utilizzare i propri mezzi in Londra o inviare me a fare le sue
veci sulla scena del delitto, se non era indispensabilmente richiesta la sua
presenza, come in qualche caso all’estero. Immaginate quindi la mia sorpresa
quando quella mattina fu Holmes con grande smania a prendere l’iniziativa di
lasciare l’abitazione senza esserne tirato fuori a forza da un qualsivoglia
cliente e le sue incombenze criminose.
Stavo già
consumando la colazione da solo senza attendere il suo risveglio, perché,
sapendo che non conosce vie di mezzo, se non era sveglio all’alba sarebbe
rimasto a letto fino a tarda mattinata, e non volevo disturbare il suo riposo
dopo lo spossante caso da sui era appena uscito, quando uscì dalla sua stanza
vestito di tutto punto, pronto a partire. Stringeva un foglio tra l’indice e il
pollice destro, che mi porse con un sorriso furbesco lungo il tavolo quasi
urtando la caffettiera, mentre il suo sguardo era già teso alla mossa
successiva. Con il boccone ancora in gola, non potevo tenere a freno la grande
curiosità che nutrivo nei confronti dell’attività del signor Holmes, e mi
accinsi a leggere quello che sembrava un breve telegramma.
Voglia
presentarsi (diceva) a mezzogiorno alla mia abitazione in Private Lane per
cerimonia che metterà alla prova le sue famose abilità. M.H. Chunnel.
Mi
sembrava una cosa così lontana dal carattere di Holmes recarsi ad una celebrazione,
per mettere in mostra le sue capacità, di cui sempre era andato fiero ma mai
aveva ostentato come speciali, anzi in quel periodo cercava di attirare
l’attenzione quanto meno possibile. Però conoscendo il suo orgoglio e la sua
curiosità neanche paragonabile alla mia, non faticavo a comprendere la sua
reazione. Mentre leggevo quelle righe, si era avvicinato al suo schedario, come
sempre faceva prima di iniziare un indagine, e scartando la pesante cartella A
e la B cominciò a sfogliare rapidamente i documenti contenuti nella cartella
concernente i nomi con iniziale C.
<<
Marcus Hector Chunnel: >> lesse, << matematico, fisico, filosofo,
chimico, botanico – uhm! un vero uomo di scienza, come ricordavo! – celebre per
il saggio “Sulla coltivazione e l’uso delle erbe medicinali della Gran
Bretagna”, per il trattato “Indagine sul
legame tra concentrazione e colorazione di una soluzione insatura” – davvero
interessante, per inciso - e per la traduzione di innumerevoli testi di
geometria dal latino e dal greco. Abita nella settecentesca residenza della
famiglia Chunnel nella Londra bassa, costruita dal trisnonno, il magnate
Jonathan Chunnel, da cui deriva quasi la totalità del patrimonio familiare. Ha
tre eredi: Elizabeth, Roman e Marcus Chunnel jr.>> Ripose i documenti al
loro posto. << Profilo interessante, non trova, Watson? Bene, chiami una
carrozza e si vesta a festa, stiamo per partire.>>
In una
ventina di minuti ci trovammo nel sud di Londra. Holmes era rimasto silenzioso
per tutto il viaggio, liquidando le mie domande sul perché ci stessimo affrettando
per raggiungere l’appuntamento con così largo anticipo con “si accorgerà da se
a quale eminente personalità stiamo andando a far visita”. Gli chiesi se fosse
un amico, un vecchio conoscente, ma sapevo che non aveva altri amici, e il suo
sorriso, quasi lusingato, me ne diede conferma. Era immerso nei suoi pensieri,
cosa non strana, ma ebbi l’impressione per tutto il viaggio che si stesse
preparando i discorsi da fare in presenza di quel misterioso individuo che,
nella mia ignoranza, non avevo mai sentito nominare. L’edificio
dell’appuntamento era facilmente riconoscibile, perché la residenza spiccava
tra le altre pur distinte villette a schiera che fiorivano nel quartiere per
suntuosità ed imponenza: il breve viale che conduceva dal cancello al massiccio
portone di mogano era alberato con sempreverdi in continuità con le stesse
colonne ai lati del cancello, sormontati da scuri leoni ruggenti come una bassa
torretta sormontava il lato est dell’abitazione.
Alla
porta ci aprì una anziana signora bassa e minuta, col naso schiacciato su un abbronzato
volto rugoso coperto da due folte sopracciglia scure che conferivano un’aria
severa e scontrosa agli occhietti sottili. Una domestica, immaginai. Non
facemmo in tempo a presentarci che apparve anche il padrone di casa, che si
sostituì a lei con aria dura senza ne ringraziarla ne congedarla, ma subito
aprendosi in un sorriso cordiale rivolto agli inattesi ospiti. Aveva la fronte
alta di un uomo intelligente, era stempiato e i pochi corti capelli brizzolati
erano lisciati all’indietro con la brillantina. Il naso adunco e la mascella
prominente suggerivano la sua decisione. La piccola bocca sottile, sbarbata, era
leggermente socchiusa per la sorpresa suscitata da quell’arrivo così repentino.
<<
Ci scusi per esserle piombati in casa prima dell’appuntamento >> si
giustificò Holmes, << ma il caso ha voluto che fossimo occupati in altre
commissioni nelle strette vicinanze, ed eravamo così vicini alla sua dimora da
non resistere più alla curiosità di incontrarla. >>
Un discorso
che si era palesemente preparato in carrozza. Ci fece accomodare in soggiorno e
ci offrì del tè caldo.
<<
La ringrazio, ma ho già fatto colazione questa mattina >> declinai
l’offerta.
Holmes
invece accettò stranamente la tazza che gli veniva servita, ma non l’avvicino
neanche alla bocca incominciando subito a tempestare il padrone di casa di
domande. Iniziarono a disquisire di minerali, sostanze e reazioni chimiche, di
piante velenose, di disfunzioni anatomiche. E come mi aveva detto, fu conoscendo
il signore che capii il perché dell’eccitazione di Holmes: Chunnel aveva
dedicato la sua vita alla scienza, vi riponeva ogni speranza e vi nutriva
un’infinita fiducia. Proprio come Holmes. Ora che aveva avuto l’occasione di
poter visitare tale luminare, non aveva voluto perdere tempo, anzi si era
voluto anticipare evidentemente per carpire qualche conoscenza prima dello
svolgimento della celebrazione per cui eravamo stati invitati.
Era un
piacere ascoltarli disquisire di tali e tanti ambiti con così grande esperienza
che non osai interromperli, anzi ne rimasi affascinato come un allievo di
fronte alle sagge parole del maestro. Parlava con un linguaggio accurato e
puntuale che riuscivo a seguire grazie alla mia formazione in medicina anche se
le mie conoscenze non erano così approfondite al di fuori del necessario per
svolgere la mia professione, snocciolando molte e precise informazioni che
denotavano non soltanto una memoria ed un ingegno notevole, ma erano anche
prova dei lunghi e numerosi studi che doveva aver intrapreso.
<<
E’ raro trovare una persona non solo interessata ma così preparata in ambito
chimico, signor Holmes. >> lo elogiò il signor Chunnel. Holmes non era
solito compiacersi dei complimenti, ma dal luccichio del suo sguardo notai che
questo riconoscimento gli faceva particolarmente piacere. << Ma noto che
dovrebbe applicarsi di più in anatomia. >> Holmes incassò la critica ma
non di buon grado come la lode.
<<
Ritengo, signore, di possedere tutte le conoscenze in materia necessarie per
svolgere la mia professione, e che altre occuperebbero solo spazio inutilmente.
>> Questa era la sua teoria riguardo alle conoscenze. << Ma le
sarei davvero grato se riuscisse a farmi cambiare idea in proposito. >>
<<
Sarò lieto di provarci, allora. Potrei iniziare col mostrarvi gli studi e i
laboratori della casa. >>
Ci fece
strada fuori dalla stanza e lungo il corridoio che avevamo imboccato
dall’ingresso, per raggiungere il piano superiore. Sembrava che la casa fosse
deserta, perché non incontrammo nessuno lungo il cammino e le lampade soffuse
lasciavano l’androne in penombra, anche se ci eravamo imbattuti prima in quella
domestica. Immaginai che ai domestici fosse riservata un’altra ala
dell’edificio.
Salendo
la scala Holmes mi si accostò e mi sussurrò all’orecchio: << Questa
visita è stata più fruttuosa di molte ore passate a vagliare enciclopedie.
>> Ero contento che per una volta potesse svagarsi dedicandosi a qualcosa
di altro rispetto a omicidi, rapimenti ed enigmi.
Sul
corridoio del piano superiore si affacciavano cinque stanze, prima che la
corsia svoltasse verso sinistra. Ci venne aperta la prima a destra, ed entrammo
in una lussuosa biblioteca. Al centro una grande scrivania a zampa di leone e
coperta di pelle rossa, la stessa con cui era foderata la sedia. Ai lati erano
disposti due divanetti, anch’essi con le zampe di leone e la pelle porpora, e
tutt’intorno le pareti della sala erano occupate da librerie colme di libri,
alcuni dei quali sembravano molto antichi. Il signor Chunnel ci faceva da guida
indicandoci le varie sezioni della collezione e gli ambiti sotto i quali erano
raccolti i libri, citando molti titoli che avevo sentito e consigliandoci molte
letture di autori stranieri relativamente sconosciuti. Potevo riconoscere
alcuni dei testi di anatomia e biologia su cui avevo studiato all’università,
che mi fecero riaffiorare molti cari ricordi e la voglia di tornare a
sfogliarli. Poi venimmo condotti, attraverso la porta interna che univa le due
stanze proprio accanto alla libreria all’estrema sinistra, al salone
successivo, che era stato adibito a vero e proprio laboratorio di
sperimentazione. Su un lato si trovava un ampio lavabo e un cassettone dove
erano riposti dei guanti e degli occhiali; al centro della stanza era posato un
ampio piano liscio coperto da provette, storte, alambicchi, recipienti,
vetrini, due bunsen e vari contenitori di elementi chimici e soluzioni sparsi;
nel lato opposto al lavabo, lo stesso muro dove era collocato l’accesso dal
corridoio, era posizionata un’enorme vetrina contenente le cose più
strabilianti che avessi mai visto: vasetti contenenti organi umani ed animali
in perfetto stato di conservazione grazie alla salamoia, come cuore, reni e
fegato, e parti anatomiche disidratate ed imbalsamate, tra cui un ala di uccello,
e numerose ossa di varie forme e dimensioni, tra cui spiccava il cranio equino.
Vi si trovavano anche molti minerali, polveri, radici, foglie e strumenti per
saggi e tamponi, ma, sarà per la mia professione sarà per un certo gusto del
macabro, furono i primi a catturare la mia attenzione e quella di Holmes, e mi
ritrovai incantato ad osservare quel perfetto museo domestico.
<<
Riconosco che forse non ho tutte le conoscenze e ci sarebbe qualcos’altro di
interessante da esplorare...>> sussurrò Holmes, più a se stesso che a
noi.
Avremmo
continuato il sopralluogo spostandoci alla stanza successiva se non fossimo
stati interrotti. Una sottile figura femminile si affacciò alla porta, vestita
in una lunga veste chiara semplice ma non povera, con i lunghi capelli neri
ricci che le ricadevano sulle spalle e le incorniciavano il viso. Questo doveva
essere stato abbronzato, ma appariva innaturalmente pallido e solcato da due
profonde occhiaie che la signora aveva invano tentato di coprire col trucco. I
suoi movimenti erano delicati ed armoniosi, ma sembravano calcolati ed incerti.
Tutto in lei dava idea di fragilità e timore. Temetti fosse stata la vista di
due ospiti inaspettati a turbarla, e mi preparavo a dare spiegazione, ma fu lei
la prima a presentarsi dando prova di essere a conoscenza dell’invito del
marito.
<<
Buongiorno, signori. Danielle Chunnel, signori. Lei deve essere il signor
Holmes, ho sentito parlare di lei, molto piacere. >> Era di modi gentili,
ma c’era qualcosa di strano nella sua espressione, come se stesse cercando di
trattenersi, come se non fosse felice della nostra visita.
<<
Lui è il mio amico dottor Watson >> mi presentò Holmes.
La
signora si inchinò in segno di saluto.
<<
Sono venuta ad avvisarvi che il pranzo è pronto, vi pregherei di scendere in
sala da pranzo prima che si raffreddi. >>
Lasciò la
stanza e la seguimmo al piano di sotto. Erano tutti molto gentili, ma qualcosa
non andava: perché erano tutti così rigidi? La signora Chunnel non si era vista
per tutta la mattina, non ci era stata presentata al nostro arrivo, non aveva
degnato di uno sguardo il marito ne gli aveva rivolto una parola per avvisarlo
del pranzo. Probabilmente non erano soliti dimostrarsi molto affetto in
pubblico, pensai, e non vi diedi peso. Ma le dinamiche mi furono molto più
chiare dopo il pranzo.
<<
Accomodatevi >> ci intimò il signor Chunnel, << adesso potrò
illustrarvi il motivo per cui vi ho chiamati qui oggi, signori. >>
Intorno
al tavolo si stava già riunendo la famiglia. Da un lato del grande tavolo erano
seduti i tre figli accanto ad una sedia ancora vuota, dal lato opposto c’erano
le due sedie riservate a Holmes e me, mentre il padrone di casa si stava
accomodando a capotavola. Anche all’altro vertice del tavolo c’era una sedia,
ma nessuno che la occupasse. Ci accomodammo ai nostri posti, Holmes mi fece
sedere vicino al signor Chunnel indicandomi la sedia col braccio, forse voleva
posizionarsi al centro per controllare meglio la situazione, forse aveva notato
qualcosa, perché dall’entrata in scena della moglie del padrone la sua gaia
aria spensierata si era spenta nella solita espressione pensosa e impenetrabile.
L’anziana domestica entrò spingendo il carrello del pranzo, e la signora
Chunnel prese i vassoi ed iniziò a disporli davanti ai convitati. Anche la domestica
fece per prendere dei vassoi, ma la signora la fermò.
<<
Accomodati pure, mamma, ci penso io >> le disse con affetto.
L’anziana
signora si accomodò così ad una
estremità del tavolo, e scoprimmo i vassoi del pranzo quando anche la padrona
si fu seduta accanto ai figli.
Tutti
facevano finta di niente, ma mi sentivo estremamente a disagio. Ecco perché non
avevamo notato domestici o camerieri nella casa, nonostante si preparasse un
pasto per degli ospiti: perché non ce ne erano. La stessa signora e sua madre
avevano preparato il tutto, e mi sembrava una cosa così inspiegabile che nella
residenza così suntuosa di una ricca famiglia non ci fossero servitori ma
fossero le stesse padrone di casa a svolgere i lavori domestici. Non perché
credevo che le signore non dovessero sporcarsi le mani di tanto in tanto, ma
perché non capivo come due signore potessero occuparsi di un tale grande
maniero e perché, non avendo problemi finanziari apparentemente.
Nonostante
la stranezza che avevo notato – e sentivo che anche Holmes stava all’erta – il
pranzo iniziò tranquillamente. Il signor Chunnel ci presentò i suoi tre figli.
Il maggiore, Marcus jr. era alto e robusto, aveva un volto spigolo e deciso, e
in generale sembrava una foto del padre da giovane. Ci sorrise giovialmente e
si definì onorato di ospitare sotto il suo tetto il più celebre detective
europeo. Il secondogenito, Roman, aveva invece ereditato i lineamenti della
madre, più tenui e longilinei, anche se il naso ricurvo era un pegno del padre,
e le folte sopracciglia scure nella fronte aggrottata gettavano un’ombra scura
sul suo volto. Le stoffe ricercate dei vestiti, gli abbinamenti nei colori
delle sete, i merletti della camicia increspata, gli conferivano un’aria da
dandy, ma apparve riservato, taciturno e schivo. La più giovane era la figlia,
una splendida fanciulla che aveva preso in prestito dalla madre la bellezza e
la leggidria, ma il volto determinato, le labbra accese, il trucco scuro,
smorzavano la sua finezza e le davano una venatura spiacevolmente volgare. Si
mostrò aperta e senza peli sulla lingua, ironizzando sui nostri orologi in
anticipo che ci avevano fatto arrivare due ore prima dell’appuntamento
prefissato. A quel punto il signor Chunnel ci illustrò il motivo per cui aveva
richiesto l’attenzione del signor Holmes.
<<
Sono in procinto di stabilire a chi affidare la mia eredità, i miei
possedimenti e le mie ricchezze, dopo la mia morte. Non ritengo giusto dividere
equamente i miei beni tra i miei tre figli, perché ritengo che solo i più
meritevoli debbano avere la meglio. Come in natura gli animali più deboli sono
sopraffatti dai più potenti, solo chi si dimostrerà degno tra i miei figli di
ricevere la mia eredità potrà guadagnarla. Un metodo perfettamente scientifico
e razionale, non le pare, signor Holmes? >>
Holmes
accennò un sorriso, ma gli leggevo negli occhi che era contrariato. La signora
Chunnel aveva gli occhi bassi fissi sul piatto.
<<
Così ho indetto una prova, una gara, una sfida. Questa prevede tre domande, con
le quali proverò la conoscenza della storia della nostra famiglia e le capacità
di amministrazione finanziaria dei miei discendenti. L’ho invitato qui, signor
Holmes, per supervisionare il gioco e conferirgli una validità scientifica,
prima di rendere ufficiale la stesura del testamento presso chi ne compete.
Vedrà che le domande non la lasceranno insoddisfatta, signore, e spero neanche
le risposte, potrà pure cercare per se una risposta alle domande se vuole.
>>
Holmes
pareva incuriosito, ma sospettoso e cauto. E d’altronde c’era motivo per
destare qualche dubbio: non solo il signore non aveva considerato l’anziana
suocera, ma non aveva nemmeno citato la moglie, facendo intendere che non
avrebbe avuto parte nell’eredità. Forse i beni erano già stati divisi al
momento del matrimonio, ma lo stesso silenzio e l’aria affranta della signora,
così come tutti i silenzi e i non detti, erano ambigui. Non avrei mai voluto
impicciarmi in delicate decisioni e vicende familiari, ma eravamo stati
invitati e non potevamo tirarci indietro.
Il tavolo
fu sparecchiato alla fine del pasto dalle due signore così come avevano
apparecchiato, e, accendendo un sigaro ed offrendone uno a Holmes e me, il
signor Chunnel distribuì tre fogli e pennini, uno per ogni figlio. Poi stese un
altro foglio scritto davanti a se.
<<
Che il gioco abbia inizio! >> annunciò.
Il signor
Chunnel fece le sue domande, che come comprenderete non posso qui riportare,
perché riguardano nel dettaglio specifiche sui possedimenti e i tesori in
possesso alla famiglia e intrighi dinastici temo poco legali, e, vedendo che
prendevo appunti, mi è stato espressamente chiesto di non rendere pubblici
simili dettagli scomodi. Ma posso dirvi che Sherlock Holmes, la qui
riservatezza non era in discussione, parve particolarmente colpito dalla terza
ed ultima domanda, che chiedeva quale fosse stato il motivo della tragica morte
di un antenato, che non posso precisare, e da quali evidenze fisiologiche fu
possibile risalire alla causa della morte e all’assassino, che non posso
precisare. Mi prendo la libertà di raccontare, per soddisfare almeno in parte
l’interesse del lettore, che la morte avvenne per soffocamento e il cadavere fu
trovato impiccato, anche se fu provato che non si era suicidato bensì era stato
strangolato dai segni di colluttazione quali della pelle strappata e del sangue
dell’assassino sotto le unghie della vittima.
Le
macabre e oscure domande non avevano fatto che appesantire l’atmosfera, ma
avevano messo in luce ulteriori aspetti del carattere dei figli. Il maggiore
sembrava più un tipo fisico che mentale, e ruggiva con rabbia ad ogni sua
risposta errata, per risentimento ed umiliazione. Deve esser certo stato
difficile accettare il risultato: essendo il primogenito si sentiva ancora più
in diritto degli altri di pretendere l’eredità. Il secondo fratello rispose ad
ogni domanda con distacco e tranquillità, aspetti che celavano in realtà un
carattere emotivo e nervoso. Non mi sfuggirono infatti le gocce di sudore che
incominciarono ad imperlargli la fronte, e la gamba destra che scattava ad ogni
fallimento. La sorella minore invece rispondeva di getto e con grintosa
fermezza, fin troppo superba e sicura, ma ebbe ragione e conquistò l’eredità,
compiacendosene senza riserbo. Se il padre fosse o meno soddisfatto dell’esito
non so dirlo, non aveva mostrato particolari gesti amorevoli nei confronti dei
figli, ma mi parve che si aspettasse il fallimento dei figli maggiori perché lo
colsi a oscillare la testa inavvertitamente, come rassegnato.
<<
Abbiamo la nostra vincitrice! >>
Così pose
termine alla bizzarra gara, ma il suo sorriso aveva un sapore agrodolce.
Ovviamente Sherlock Holmes aveva idee molto più chiare di me e opinioni molto
più fondate, e sapevo che quando rimaneva in silenzio a riflettere c’era
qualcosa da aspettarsi. L’esodo può sembrare banale e scontato, ma non
riuscimmo comunque a impedirlo, ne, da parte mia, a prevederlo, perché non ci
si aspettano mai tali gesti scellerati da parte di individui civili. Ma ogni
cosa a suo tempo.
Per
festeggiare la giovane, venne aperta una bottiglia di vino d’annata, e venne
servito ai presenti. Ognuno raccolse il proprio calice dal tavolo, mentre la
signora Chunnel passava a riempire i bicchieri. E successe ancora qualcosa di
strano. I fratelli sconfitti sembravano almeno esteriormente accettare di buon
grado la cosa e congratularsi con la sorella, che mal conteneva risate
sguaiate.
<<
Brindiamo >> intonò il padrone di casa, << al successo di questa
discendenza. >>
<<
E alla memoria dei suoi capostipiti >> gli fece eco Holmes.
La
signora Chunnel stava per versare il vino nel calice della vecchia madre,
quando lo stretto sorriso nel volto del signore si spense e si strinse in un
ghigno.
<<
No, non a lei... >>
Ancora
una volta, non capivo cosa stesse succedendo, ma l’atmosfera era cambiata. Il
braccio della donna si era fermato, congelato dall’indecisione di cosa fare, e
dallo sguardo si vedeva che stava bruciando dentro.
<<
Versa pure, madre, riempilo fino all’orlo! >> esortò la figlia,
frapponendosi tra i genitori con risoluzione e aria di sfida, << Questa è
la mia festa, e le cose stanno per cambiare. Per sempre. >>
La
signora procedette, e bevemmo tutti, ma credo che nessuno gustò quel dolce
nettare, perché l’atmosfera era diventata così tesa da sentirmi a disagio.
<<
Con permesso...>> la signora e sua madre portarono fuori i bicchieri
usati e il carrello, e anche i figli si ritirarono velocemente nelle loro
stanze tornando alle loro occupazioni. Rimanemmo col solo scienziato, che non
sembrava molto dell’umore adatto per riprendere gli ammalianti racconti e le
affascinanti lezioni della mattina.
<<
E’ pomeriggio inoltrato, e anche noi dobbiamo rientrare se vogliamo sperare che
la signora Hudson non ci lasci andare a letto senza cena. >> disse
Sherlock Holmes, << La ringrazio per la splendida visita, l’ottimo pranzo
e l’interessante spettacolo che ci avete offerto, signore, ma non possiamo
disturbarla più a lungo. >>
Con una stretta di mano ci apprestavamo a lasciare la
stanza, ma un tragico evento inatteso ci bloccò. Un rapido fruscio aveva allertato
i miei sensi, quando con un sonoro botto la finestra dietro le spalle del
signor Chunnel andò in frantumi. Riuscii solo ad intravedere una lieve figura
nera svanire nell’oscurità del crepuscolo, quando la mia attenzione fu
riportata all’interno della casa. Il signor Chunnel non si era neppure voltato
verso la vetrata, era sbiancato di colpo e, nonostante cercasse con estrema
forza e contegno di tenersi in piedi, le gambe non lo ressero e cadde a terra.
Ero paralizzato dalla rapida successione, ma Holmes era
subito scattato in avanti per sorreggere il nostro amico, alternando lo sguardo
dal suo volto cereo al paesaggio al di fuori del vetro. Raccogliendo tutta la
forza dei miei nervi, raggiunsi Chunnel, e lo trovai con gli occhi sbarrati,
rantolante con la bocca spalancata che cercava inutilmente di inspirare
ossigeno. Holmes gli sorreggeva la testa, ed estrasse subito dalla tasca del
cappotto la fiaschetta di brandy. Provai ad ascoltare il battito del nostro
ospite, ma a stento riuscii ad avvertire quella debole ed irregolare pulsione.
Inutilmente Holmes tentava di versargli l’alcolico in bocca: aveva la gola
serrata e il liquido ricadeva fuori peggiorando il rantolo. Non avvertivo più
il polso, così inizia a praticare il massaggio cardiaco spingendo con tutte le
mie forze verso lo sterno, ma quando stavo per appoggiare le mie labbra sulla
bocca aperta per effettuare la respirazione artificiale Holmes mi fermò.
<< Non ci pensi neanche, dottore, se non vuole fare
la stessa fine. >>
Se avessi avuto i miei strumenti a portata di mano avrei
potuto applicare una piccola incisione sulla gola, ma prima che riuscissi a
pensare anche l’affanno era cessato, e la testa si era rivoltata all’indietro
esangue. Il robusto corpo del signor Chunnel giaceva al suolo senza vita.
<< Mai vista una morte più veloce e penosa...
>>
Dovevo convenire con Holmes nonostante la mia lunga
esperienza di medico, la morte era giunta così repentina che non avevamo potuto
fare nulla. Ma cosa aveva potuto provocarla? Un malore, una piccola arma che si
era insinuata in qualche anfratto...
Holmes era subito partito all’indagine, profondamente
turbato. Aveva un viso pallido come poche volte l’avevo visto, gli occhi
stretti in fiamme, temetti che stesse per svenire anche lui.
<< Holmes...>>
<< Eravamo qui! >> sbottò sbattendo un pugno
contro il camino, << Eravamo qui e non siamo stati in grado di far niente
per fermare questo scempio! Ero qui e non ho capito cosa stava per succedere! >>
Non lo avevo visto mai così sconvolto, tutto il suo corpo
era scosso da tremori, ma non si fermò un secondo. Accorse subito alla finestra
per controllare fuori aprendo l’anta col vetro rotto e sporgendosi fuori fino a
toccare il terreno morbido per l’umidità con le lunghe braccia, e verificando
tracce davanti, dai lati e addirittura verso l’alto. Poi, appurato che non era
rimasto nessuno, ispezionò accuratamente l’intelaiatura della finestra e il
vetro infranto, ricorrendo anche alla sua lente per osservare meglio le schegge
cadute all’interno.
<< Chiami la polizia, svelto, chiami Scotland Yard!
>>
Stavo stringendo ancora quel corpo, quell’uomo che fino a
pochi istanti prima era così vigoroso e in salute, ma fui costretto a
riscuotermi e ad uscire dalla stanza.
L’androne era sempre buio, così a tentoni cercai di raggiungere
le maniglie delle porte che vi si affacciavano, ma le trovai tutte chiuse a
chiave. Solo alla fine del corridoio intravidi il cordone di un campanello, e
lo suonai anche con troppo vigore, ma tardava ad arrivare risposta. Era certo
una grande abitazione, ma non pensavo che le stanze dei suoi abitanti fossero
così lontane. Solo dopo qualche minuto apparve la figura della signora Chunnel
in cima alle scale.
<< Suo marito... venga...>>
La presi sotto braccio e tentai di sorreggerla tornando
nella sala da pranzo, probabilmente si era già prefigurata il peggio, e non so
se il suo viso pallido perse ancora colore, ma dovetti stringerla con forza per
non farla vacillare. In pochi minuti accorsero anche gli altri familiari, e
allora chiesi dove potevo telegrafare urgentemente alla polizia. Spero di aver
composto un richiamo sensato, ma ero così sbattuto che a stento mi rendevo
conto di cosa stavo facendo. Comunque a breve venimmo raggiunti da un affannato
Lestrade e da un paio di guardie. Questo rimase sorpreso nel trovare già
Sherlock Holmes nella scena del delitto, adducendo poteri di ubiquità alle sue
altre notevoli capacità. Holmes lasciò a me il compito di raccontare quello che
avevamo visto, essendo per la prima volto gli unici testimoni, mentre continuava
ad ispezionare il corpo, muovendolo il meno possibile.
<< Stavamo congedando il signor Chunnel >>
spiegai, << quando d’improvviso la finestra si è infranta. >>
<< Un colpo dall’esterno? >> mi chiese
l’ispettore.
<< Sì, immagino, ho potuto scorgere il contorno di
una figura al di fuori della finestra. >>
<< Un uomo o una donna? >>
<< Difficile dirlo, sta scendendo la notte e il fuoco del camino gettava
un fastidio riflesso sul vetro, ma posso affermare con sicurezza che era
sottile e veloce, anche se di consistente statura. >>
<< E i frammenti di vetro hanno colpito il signor
Chunnel, ferendolo? >>
<< Non posso dirlo, era certamente più vicino alla
finestra di noi, ma io non sono stato raggiunto da nulla. >>
<< Ci sono dei resti di vetro sui vestiti, >>
intervenne Holmes, << ma nessuno ha potuto lacerare la stoffa, quindi
dubito possano aver inferto un colpo tanto letale. >>
<< Nient’altro? >>
<< Credo di aver avvertito un fruscio, prima che la
finestra si rompesse, come di sfregamento, ma non sono sicuro, poteva benissimo
venire da stoffe all’interno della stanza. >>
<< C’è stato, questo è sicuro. >> Holmes
convalidò la mia testimonianza senza distogliersi dalla sua analisi.
<< Bene, potrebbe essere un particolare rilevanti
quando irrisorio. Prego, continui. >>
<< Il signor Chunnel ha perso le forze, cadendo al
suolo, non poteva respirare e i tentativi di me e il mio amico di rianimarlo
sono stati vani. >>
L’ispettore Lestrade fece cenno ai suoi uomini di
ispezionare il corpo, da cui Holmes si era appena allontanato.
<< L’aggressore potrebbe aver lanciato qualcosa che
ha fatto infrangere il vetro e ha colpito a morte la povera vittima. >>
<< Non c’è traccia di ferita. >> rispose
Holmes prima che gli agenti potessero intervenire.
<< Non c’è traccia di ferita evidente, potrebbe
essere stata lanciata una piccola scheggia che ha iniettato del veleno nel
corpo della vittima. E’ già successo, ricorda...>>
<< Sì, sì, il segno dei quattro, ricordo. >>
lo interruppe Holmes, << Credo in effetti che il veleno sia la causa più
probabile. >>
<< Bene, allora, signor Holmes, se vuole
accompagnarmi nelle indagini possiamo perlustrare il terreno fuori in cerca di
impronte, come è solito fare. >>
<< Lascio campo libero alla polizia ufficiale questa
volta, sono troppo coinvolto questa volta. >>
<< Se ne va già? >>
<< Ho visto più del necessario. Arrivederci,
signori, condoglianze per il vostro lutto. >>
Lasciammo la casa, salimmo nella carrozza che era stata
fatta chiamare e demmo istruzioni al vetturino. Al sicuro nella carrozza volevo
esternare le mie perplessità con Sherlock Holmes, ma non me ne diede modo,
infatti dopo poche centinaia di metri fece fermare la carrozza, con mia grande
sorpresa. Aprì lo sportello e vidi che ci trovavamo davanti ad una squallida
osteria.
<< La mia attività fuori casa non si è ancora
conclusa per oggi, caro Watson, >> mi disse scendendo, << ma non
posso rubarle altro tempo ed energie, e d’altronde due sconosciuti gentiluomini
ficcanaso sarebbero troppo sospetti per una sola locanda. >>
Tornato a Baker Street con queste premesse è facile
comprendere come non riuscì per un secondo a concentrarmi sul mio trattato di
chirurgia ne sulla stesura dei vecchi exploit del mio amico. Il mio pensiero
tornava a quella gradevole mattina culminata in quell’orribile tragedia, tutta
puntellata di strani segnali e indizi che dovevano aver acceso il fiuto del mio
amico, ma, per quanto mi spremessi le meningi, non riuscivo a cavare un ragno
da un buco. L’unica cosa che riuscii bene a fare fu percorrere avanti e
indietro con agitazione il tappeto davanti al camino scoppiettante.
Fu poco prima di mezzanotte che, sentendo un sonoro
scalpitio proveniente dalla strada, mi ridestai dal torpore che mi aveva
colpito sulla poltrona, dove avevo deciso di attendere sveglio il ritorno di
Sherlock Holmes. Dalla finestra lo vidi chiudere lentamente lo sportello della
carrozza. Si avvicinò alla porta con l’aria afflitta di un uomo sconfitto, che
si portò dietro entrando nel nostro soggiorno. Si gettò sulla sua poltrona,
stremato e bianco come uno spettro. Socchiuse gli occhi ed emise un lungo
sospiro.
<< Potrà ben ricordare questo evento nei suoi
racconti, amico Watson, come il peggior fallimento di questo non poi così
grande detective. >>
<< Ma Holmes! Non dica così! >>
<< E’ vero, caro amico. Il mio talento nel riconoscere gli indizi più
nascosti è proporzionale alla mia incapacità di accorgermi di quello che mi sta
accadendo sotto gli occhi. >>
Non lo avevo mai visto così abbattuto, una tristezza che andava oltre quella
per un fallimento. I casi che aveva risolto con successo, le vite che aveva
salvato erano notevolmente superiori ai suoi insuccessi, ma questi pesavano più
di ogni riconoscimento sulla sua coscienza. E’ nella natura umana confidare
sempre nel buon senso degli altri individui. Avrei voluto confortarlo,
appoggiargli una mano sulla spalla, ma preferii lasciargli il suo spazio per
riprendersi.
Bussarono alla porta.
<< E’ l’ultimo giornale della sera. >> spiegò
Holmes, << Grazie, signora Hudson. Ecco il breve trafiletto che hanno
dedicato alla vicenda, senza tralasciare di mettere in risalto i particolari
importanti, ovviamente. >>
Mi passò il giornale indicandomi le poche righe che
dovevano essere state aggiunte già in fase di stampa.
Delitto in casa Chunnel (diceva). Il rinomato e
pluripremiato luminare dottor Marcus Chunnel è deceduto questa sera in seguito
ad una aggressione nella sua villa, quando sfondando una finestra l’assassino
ha colpito a morte il padrone di casa, usando del veleno secondo l’affidabile
opinione dell’ispettore Lestrade di Scotland Yard. Nonostante il famoso
detective privato si trovasse nella scena del delitto al momento del crimine
non è riuscito ne a impedirlo ne ad identificare il colpevole.
Sherlock Holmes aveva acceso la sua pipa e piano piano si
stava riprendendo.
<< Crede davvero che sia andata come riporta il
giornale? >> cercai di distoglierlo dai proprio pensieri.
<< E’ tutto giusto. La finestra è stata sfondata.
Qualcuno era fuori dall’abitazione. La causa del decesso è stata certamente avvelenamento.
Ma allo stesso modo è tutto sbagliato. E’ assurda l’idea che qualcuno di
estraneo alla casa venga a compiere un atto così scellerato proprio quando sono
presenti degli ospiti, potenziali testimoni e ostacoli aggiuntivi, soprattutto
quando ci sono già così numerosi possibili colpevoli tra le mura domestiche.
>>
Fece una pausa, poi riprese a parlare senza che dovessi
incalzarlo. Evidentemente aveva bisogno di sfogarsi.
<< Sono stato in quell’osteria, conosce bene i miei
metodi, per apprendere delle informazioni. Ma ne ho ricavate fin troppe. Ho
scoperto dal locandiere che la residenza non è stata realizzata dalla famiglia
Chunnel, bensì dalla famiglia Cheatish, proprio il cognome da nubile della
signora Mary Chunnel. Sa quanto un uomo può diventare loquace sotto l’effetto
dell’alcol, e proprio in virtù di ciò ho scoperto che lo stesso Marcus Chunnel
soleva andare in quella stessa locanda, l’unica entro tre isolati, a svuotarsi
la coscienza e a lavare i panni sporchi della propria famiglia in pubblico.
Sembra che la dinastia Chunnel, la cui
memoria lo stesso signor Chunnel cerca così arditamente di celebrare, lo avesse
disconosciuto quando si innamorò della graziosa Danielle Cheatish, ultima
discendente della famiglia Cheatish, rivale in affari. E’ ovvio che non abbia
mai sentito questo nome tra i più grandi finanzieri, perché la fortuna gli si
riversò presto contro. La allora giovane Danielle Cheatish era totalmente
succube degli intrighi di potere, e benché forse avesse sviluppato un certo
affetto nei confronti dello sfortunato compagno, cercò di sedurlo e sposarlo
solo per ragioni economiche, quali privare la più potente famiglia locale del
più giovane e intraprendente erede ribelle. Speravano che venisse diseredato,
così alla morte dell’anziano padre le ricchezze sarebbero passati in mano a
qualche lontano parente o allo stato, togliendo di mezzo un fastidioso rivale
in affari. Ma la morte raggiunse prima il capostipite dei Cheatish, e
l’inesperta figlia e l’arrogante madre si imbarcarono in una serie di
inavvedute e frettolose speculazioni, per non mostrare segni di cedimento, che
le portarono presto alla rovina. La situazione venne allora presa in mano dal
signor Chunnel che, venuto a conoscenza dell’intrigo che era stato ordito ai
suoi danni, facilmente riuscì a riappacificarsi con la famiglia e a prendere
possesso degli esigui fondi rimasti alla moglie, rinominando la residenza a suo
nome e riducendo la donna e l’anziana madre quasi in uno stato di schiavitù.
Era divenuto un tiranno, e i domestici che già mal sopportavano l’arroganza del
padrone vennero totalmente sostituiti dalle due donne, a cui erano affidati
tutti i lavori di casa. Anche per i figli la situazione non era facile: mai un
gesto d’amore nei loro confronti, trattati sempre con freddezza e rigidità, non
potevano permettersi un errore, perché erano già troppo colpevoli di avere
nelle vene il sangue nemico. Come ho appurato mentre ci allontanavamo dalla
casa, le luci rimaste accese nella casa erano tutte localizzate nell’ala della
casa più lontana dalle stanze del signor Chunnel, perché i suoi stessi
familiari volevano tenere quanto più possibile le distanze. Essendo così
complessa la situazione familiare, come mi si era già palesato questa mattina
quando ho notato la freddezza e l’aggressività che intercorreva tra marito,
moglie e figli, non è difficile immaginarsi un motivo per eliminare un tale
fardello. Il problema è proprio questo, ho troppi moventi, ma nessuna idea
riguardo a come possa essersi svolto il delitto. La signora Chunnel e madre
avrebbero avuto modo di riscattarsi dalle angherie subite e riscattare la
propria condizione, i figli non ereditanti oltre all’odio verso il padre
avevano questo ulteriore torto di cui vendicarsi, mentre la figlia è quella con
motivazioni ancora più concrete, visto che avrebbe così ereditato tutto il
denaro del padre. Quando è uscito a telegrafare al commissariato, ho subito
chiesto ai presenti se avessero visto o sentito qualcosa, sperando di prendere
in fallo l’eventuale colpevole in un momento così concitato, ma, se pur nel
cordoglio, sono stati subito tutti chiari nel non aver sentito nulla, e di
essersi allontanati tutti insieme nell’ala del palazzo con le loro stanze,
senza aver avvertito nulla prima del suo segnale, Watson. In ogni caso, il delitto
non può essere stato improvviso come lascerebbe intendere la vicenda della
finestra infranta, no, è stato certamente premeditato. E quelle strane
impronte...>>
Sì era già confidato fin troppo, segno che non riusciva
più a contenere dentro di se quei pensieri pungenti.
<< Il giornale ha ragione. Questa volta il grande
Sherlock Holmes non riuscirà a risolvere il mistero. >>
<< Non deve dare troppo credito alla stampa, come
ben sa è un ottimo per veicolare qualsiasi informazione faccia comodo. >>
Holmes aprì gli occhi, che aveva tenuto socchiusi per
tutto quel tempo, e li vidi brillare di quella scintilla che anticipava tutti i
suoi exploit più ispirati.
<< Ha proprio ragione, sa, e mi ha suggerito un’idea
suggestiva... Ma faremo meglio a dormirci su almeno qualche ora, se domattina
vogliamo essere freschi per quando torneremo a far visita alla residenza
Chunnel.>>
Sapevo perfettamente che, a dispetto delle sue parole, non
avrebbe chiuso occhio quella notte. Lo avvertivo pensare, sentivo i suoi passi
ritmati lungo il pavimento, e lo sentivo battere a macchina, probabilmente il
telegramma che avrebbe avvertito del nostro ritorno l’indomani. Neanche io
dormii bene quella notte, ma ero fiducioso che mi sarei sentito meglio alla
risoluzione del caso.
Mi svegliai di buon ora, ma comunque trovai Sherlock
Holmes già sveglio e pronto, senza aver toccato la sua colazione. Non sia mai
che sprechi energia in processi digestivi. Non volendo farlo aspettare,
trangugiai in fretta le mie uova con pancetta, e bevvi il caffè d’un fiato,
sapendo che mi sarebbe rimasto tutto sullo stomaco, e in dieci minuti eravamo
in carrozza, spediti verso Private Lane. Holmes era tornato attivo come al
solito, anche se riuscivo ancora a cogliere una vena malinconica in quei suoi
occhi scuri. Calcolatore, rimase concentrato per tutto il viaggio.
<< Prima di entrare ufficialmente, >> mi disse
mentre imboccavamo il vialetto, << vorrei dare un’ultima occhiata al
giardino, senza insospettire occhi indiscreti. >>
Deviammo così verso il lato destro della casa, dove si
affacciava il soggiorno. Avevo visto Holmes gattonare, anche sdraiarsi a terra
per analizzare tracce e impronte, invece questa volta teneva il viso rivolto
verso l’alto, come scrutasse il cielo. Neanche feci in tempo a svoltare l’angolo
che tornò indietro.
<< Perfetto, apposto. >>
Bussammo al portone e ad aprirci fu di nuovo l’anziana
signora Cheapish, che questa volta ci accolse più cordialmente in casa, ma non
potevo fare a meno di guardare tutti con occhi differenti questa volta.
<< Sono tornato a disturbarvi, >> disse Holmes
alla signora Chunnel, << perché per prima cosa dovrei analizzare le
stanze al piano superiore, così da non tralasciare eventuali indizi
significativi. >>
La signora sembrò sospettosa, ma ci fece salire senza problemi
al secondo piano. Tornammo così nelle stanze che ci erano state fatte visitare
il giorno precedente. Entrammo quindi per prima nella biblioteca. Mi sembrava
tutto come lo avevamo lasciato il giorno precedente, e mi sembrò logico che
nessuno fosse tornato nello studio privato del defunto, ma Holmes sembrava di
altro avviso. Andò diretto alla scrivania ricoperta di pelle amaranto e si
inginocchiò per osservarne le gambe leonine. Non contento, si sdraiò
completamente al suolo, allungando il braccio sinistro e assumendo una
posizione perfettamente rettilinea. La famiglia Chunnel dovette rimanere basita
da un comportamento così bizzarro, ma io invece mi sentivo sollevato ora che
aveva ripreso con le sue solite stranezze. Con un balzò fu subito in piedi, e
si spostò verso la finestra. Girò il pomello guardandone il bordo, ma non ebbe
bisogno neanche di aprirla completamente per ritenersi soddisfatto.
<< Eccellente, procediamo. >>
Per primo entrò nel laboratorio adiacente, e si fiondò
alla vetrina e ispezionò gli scaffali scorrendoli col dito indice. Poi con la
lente diede una rapida occhiata alla serratura.
<< Ottimo, ho finito qui, possiamo tornare al piano
di sotto. Anche i suoi figli sono in casa? Bene, la prego di chiamare tutti a
raccolta in soggiorno, Lestrade sarà già in viaggio. >>
Ci riunimmo tutti come ci era stato indicato, pochi minuti
dopo il campanello della porta ci avvisò dell’arrivo dell’ispettore, che ci
raggiunse in salotto.
<< Ah, bene, vedo che ha portato più agenti della
scorsa volta, come le avevo suggerito. >>
Questa volta era infatti accompagnato da cinque poliziotti
ben piazzati. Forse Holmes vedeva un qualche pericolo, ma non mi aveva chiesto
di portare la mia postola, quindi mi tranquillizzai.
<< Siamo qui riuniti >> intonò il mio amico,
<< per far luce sulle misteriose circostanze che hanno portato alla morte
del signor Chunnel. E’ stato un compito arduo ed inatteso, e mi assumo le mie
colpe per non aver dato il giusto peso ai numerosi indizi che mi si ponevano di
fronte, ma spero di riuscire a recuperare adesso in parte. Prima di tutto,
vorrei sentire le conclusioni alle quali è arrivato, ispettore. >>
<< Abbiamo accuratamente ispezionato l’area circostante. I vicini non
hanno notato nessun passante sospetto, ma nonostante questa sia una zona
tranquilla a quell’ora è normale che qualche operaio o impiegato stia
rincasando dal lavoro e quindi si trovi per strada. Strani soggetti abbiamo
invece avvistato nell’osteria qui vicino, e crediamo che qualche invidia per il
successo del defunto o qualche torto subito in passato possa aver alimentato un
odio sfociato grazie al bere e finito in tragedia. >>
<< Sì, anche io ho trovato molto interessante
quell’osteria. Ovviamente lei trova probabile che un uomo sbronzo riesca a
scagliare la sua ipotetica freccia con precisione attraverso una finestra.
>>
L’aria pomposa di Lestrade si smontò a quelle parole.
<< Ma non si preoccupi, anche io ho trovato
difficoltà con questo caso. Avevo per le mani troppi elementi, troppi fattori,
e non sapevo quali scartare. Solo adesso ho capito che non dovevo scartarne
alcuno. Sapevo di certo che l’assassino risiedesse fra queste mura, ma non
riuscivo ad identificarlo. Questo perchè, signori miei, siete tutti assassini.
>>
A quelle parole la famiglia sussultò.
<< Quale assurda infamia! >> inveì il figlio
maggiore.
<< Non crede che siamo già stati vittime di troppi
misfatti, senza che lei si metta ad inventare teorie infondate? >> gli
fece eco il fratello minore, truce.
<< Sfortunatamente non siete riusciti a cancellare
tutte le vostre tracce, e allo stesso tempo non ne avete lasciate a
sufficienza. Procediamo con ordine. Tutti voi avevate motivo di provare
risentimento nei confronti del signor Chunnel, e avete approfittato della
situazione per toglierlo di mezzo. La finestra rotta e l’aggressione
dall’esterno, solo una messa in scena. Sul terreno o trovato numerose impronte
davanti al vetro, ma sembravano provenire da nessun luogo, essendo concentrate
solo in quel punto. L’intruso non poteva di certo esser sceso dal cielo. E
invece sì. Sì, perché solo oggi sono riuscito a notare un’infima traccia di
terriccio sul muro sotto la finestra del piano superiore, che mi era sfuggita
la sera precedente per l’oscurità, occultato com’è dall’intonaco sgretolato. Ma
la stavo cercando, come stavo cercando un segno di corda sulla balza della
finestra superiore in questione, quella della biblioteca. Ho subito notato che
la scrivania si era spostata dalla nostra visita precedente.
Impercettibilmente, deve aver ruotato solo di qualche grado sul lato destro, ma
quanto basta per farmene accorgere. Era quindi chiaro che, mentre la corda era
fissata per precauzione ad una gamba della scrivania, qualcuno di fosse calato
dalla finestra, sorretto dai complici all’interno della biblioteca che davano
corda. Essendo la figura intravista dal mio amico Watson snella e leggera
immagino fosse la signora Chunnel o sua figlia a calarsi. >>
<< Ero io. >> disse la giovane.
<< Ah, bene, quindi lo ammette. >>
<< Ormai che siamo stati scoperti è inutile fingere, ma non me ne pento.
Quel tiranno... dietro le sbarre o col cappio al collo saremo comunque più
liberi! >>
<< Eccellente, quindi immagino che mentre i suoi
fratelli avevano il compito di sorreggerla da sopra, sua madre e sua nonna
avessero proceduto al vero omicidio. >>
<< Come? >> fece Lestrade.
<< Sì, perché come ho detto la finestra infranta era
solo una messa in scena per distogliere l’attenzione dalla vera causa del
decesso. Il veleno. Ma non quello fantomatico contenuto in una punta o in una
scheggia. Quello che il signor Chunnel aveva spontaneamente bevuto dal suo
calice. Soltanto le due signore, approfittando della loro condizione servile,
si trovavano in quella posizione. Nella sua crudeltà, il signor Chunnel ha
commesso l’errore di continuare a nutrire qualche fiducia nei vostri confronti.
Potendo uscire dalla stanza tra una portata e l’altra del pasto e prima del
brindisi senza dare sospetti ulteriori alla strana mancanza di domestici, la
signora Cheapish ha potuto raggiungere la vetrina del laboratorio, sottrarre
qualche pizzico di polvere venefica dal barattolo che ho trovato girato
rispetto a ieri, e metterla nel calice. La signora Chunnel avrebbe completato
il lavoro versando il vino per primo nel bicchiere del marito celando il veleno
insapore che sarebbe subito entrato in soluzione. Un piano ben congegnato,
considerando l’estrema precisione con cui avete calcolato il tempo che avrebbe
impiegato il veleno a fare effetto e il perfetto tempismo con cui avete finto
un aggressore esterno. >>
<< Avevo studiato i suoi sporchi libri. >> Quella era la prima
volta che l’anziana signora parlava, con la sua voce bassa e rauca, colma di
odio e disprezzo. << Li conoscevo meglio di quel pezzo di sterco che li
aveva scritti. E lo punito con i suoi stessi metodi, con quello che amava.
>>
<< Potete continuare ad inveire l’un altro e ad
addurre colpe e colpevoli, cari signori, >> disse Holmes, << ma non
otterrete altro che rendere la vostra esistenza, che avete già rovinato con le
vostre stesse mani, ancora più misera. >>
I criminali vennero portati a Scotland Yard, ognuno
scortato da una guardia, mentre noi potevamo fare ritorno alla nostra
abitazione questa volta finalmente con calma. Holmes sembrava più sereno, ma il
ricordo dell’accaduto gli sarebbe rimasto impresso per molto.
<< Non riesco ancora a capire, caro Holmes, >>
gli chiesi durante il viaggio, << in quale modo le mie parole possono
averle ispirato questa brillante deduzione. >>
<< Elementare. Mi ha fatto ricordare che gli
elementi e le informazioni che abbiamo in mano possono essere modificati e
usati in modo da trasmettere ciò che ci è più comodo. E cosa può essere di più
comodo di un celebre detective e il suo compare che fanno da diretti testimoni
ad una aggressione totalmente fasulla? >>
Adesso mi spiegavo perché avessero agito proprio quel
giorno, con gli ospiti in casa.
<< La scienza e il ragionamento sono una gran cosa,
Watson. Ma questa volta mi hanno deluso. Forse meglio passare più tempo ad
osservare un’effimera rosa che avvizzirsi e inasprirsi tra le fredde pagine di
un trattato. >>
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