Imbrogliare Italia è sempre stato semplicissimo;
probabilmente è lui il bambino a cui si rubano le caramelle nel popolare detto.
È sempre stato una Nazione sempliciotta, a cui basta promettere grandi cose con
lunghi giri di parole (anche senza senso, non ha abbastanza arguzia per
accorgersene) per convincerlo a fare di tutto – che sia una guerra o una più
semplice raccolta di fragole in un campo costellato di vermi. In particolare,
per il finissimo cervello di Francis, è ancora più facile far credere a quello
stupido l’otto per il diciotto.
Prende la cornetta rosso fiammante del telefono, mentre si
siede sulla poltrona; compone il numero di Italia, e il tempo limite deve
finire tre volte prima che quello risponda.
“Pronto, Francia-niichan?”
“Italia, Italia, devi assolutamente venire, sto malissimo” e
il tono è tutto fuorché da malato, ma non serve recitare così tanto per farlo
cadere nella trappola, non è abbastanza intelligente, “e non ho nessuno a casa,
ti prego, vieni!”
“Certo, arrivo subito!!”, replica quell’altro senza pensarci
un attimo prima di buttare giù il telefono senza neppure aspettare un secondo
in più.
Francis abbassa la cornetta ed inizia a ghignare,
congratulandosi con se stesso per il genio che ha dimostrato per l’ennesima
volta.
Il quattordici di febbraio, sul calendario del francese, è
circondato di roselline, cuoricini d’inchiostro rosso e retini brillanti rubati
a Nihon: in virtù della propria fama di tombeur de femme (ma pure de homme),
ogni anno Bonnefoy prende tutti i nomi delle nazioni,
li mescola e ne tira fuori uno. Questo diventa la sua preda valentina
– e solitamente non è così difficile farla cadere ai suoi piedi, perché Francia
è un osservatore acuto e sa bene dove colpire per sortire l’effetto migliore. Se
America, prima che apra le gambe, deve essere riempito di lodi e complimenti
come un tacchino, se Inghilterra ha bisogno di essere corteggiato per ore prima
che si tolga la maschera di accidia, Italia va mosso a compassione, bisogna
chiedergli aiuto con voce tremante e occhi lucidi, trascinandosi a fatica e
magari con qualche macchia di sangue qua e là, giusto per. Poi è un gioco da
ragazzi sedurlo, una volta conquistata la sua fiducia – cioè entro la mezzora,
di solito. Questa volta ha avuto bisogno solo di parole neppure recitate, è
stato tremendamente facile.
Si compiace di se stesso e della sua genialità: altro che
con Germania, avrebbe fatto passare un San Valentino indimenticabile a Italia.
Una delle soddisfazioni più grandi della sua bizzarra tradizione è proprio
quella di distruggere le coppie, per uno strano piacere di possessione.
Francis sa che, contrariamente alle sue intenzioni,
Feliciano ci metterà almeno un’ora ad arrivare: dovrà prepararsi, ovviamente,
ma di sicuro scivolerà sul sapone dentro la doccia (dovrà fare la doccia perché
di sicuro si sarà scordato di lavarsi per almeno una settimana) e quindi
rimarrà a lamentarsi almeno un quarto d’ora; inciamperà nei pantaloni e vorrà
mettersi la cravatta, mettendosi almeno dieci minuti per rendersi conto che non
è capace di fare il nodo e dovrà chiedere aiuto a Germania. Oh, Germania: ride di nuovo a pensare
alla sua faccia triste quando dovrà passare da solo la sera di San Valentino.
Si sente particolarmente orgoglioso di sé nel pensare di aver impedito al
tedesco di festeggiarlo con Italia. A questo punto, si lascia andare ad una
composta risata diabolica.
Grazie al tempo che l’imbranataggine di Italia gli regala,
si concede una decina di minuti per gustare un buon bicchiere di vino, e
intanto riordinare le idee circa come sistemare la casa. Perché Francia non si
accontenta di una banale vittoria: deve essere schiacciante, e capace di farlo
godere per giorni.
Ha comprato i classici cioccolatini, ma a forma di
maccheroncini, farfalle, e via discorrendo: su un tappeto di velluto roso li
metterà tutti in fila, in modo da creare un percorso talmente ovvio che anche
uno più deficiente di Italia lo capirebbe. Tale dolce viottolo condurrà la sua
(ancora per poco) ignara pecorella in camera da letto. Lì ci sarà Francia ad
attenerlo con una rosa in mano e due vestaglie di seta, una per uno, e dello
champagne sul comodino: a quel punto sarebbe stato noiosamente facile farlo
suo. Per l’ennesima volta si complimenta con se stesso, ingollando le ultime
gocce rosse dal bicchiere, e passandosi una mano fra i lunghi capelli biondi.
Si alza dalla sua poltrona preferita, quella davanti al caminetto – oh, bisogna
accenderlo, assieme alla musica di sottofondo renderà l’atmosfera ancora più
romantica.
I cioccolatini gli sono costati l’ira di Dio, ma è sicuro
che il viso gemente di Italia varrà ogni singolo centesimo. Comincia ad appoggiarli sul velluto con attenzione e
precisione millimetrica, e la via che forma è un piacere gli occhi.
“Ah, sono proprio un genio!”
Prende un post-it rosa mentre si siede alla scrivania,
intinge la penna d’oca nell’inchiostro rosso e scrive, con grandi svolazzi e
decori: “Per Italia: sto lentamente morendo in camera mia. La porta è aperta,
sai dov’è la mia stanza… sono nelle tue graziose
mani.”
Lo appende all’uscio di casa con scotch decorato con
minuscole roselline. Va a rifare il letto, sistemando con attenzione le
lenzuola di seta rosse e abbassa leggermene le luci, alzando il riscaldamento.
“Oh, Itachan, non fa
incredibilmente caldo? Tieni, con questa vestaglia starai meglio…”,
mormora fra sé e sé, come facendo le prove di uno spettacolo teatrale (in cui,
ovviamente, lui sarebbe lo scintillante e meraviglioso protagonista). Si passa
involontariamente la lingua fra i denti e fila in bagno a lavarseli, perché non
si ricorda se all’Italia del nord piaccia o meno il vino, e tutta l’atmosfera
d’amore sarebbe irrimediabilmente compromessa dagli espressivi moti di disgusto
che di sicuro Feliciano non si sarebbe preoccupato di manifestare dopo un bacio
dal sapore non gradito. E una sfilza di Che
schifo, che schifo, che schiiiiiifo!! non era
proprio quello che avrebbe preferito, come post bacio.
Sciacquandosi la bocca, alza gli occhi all’orologio rotondo
di Versailles no Bara che ha avuto in dono da Kiku
per il White Day (gli sembra si chiami così, Nihon glielo ha spiegato – sì sì,
il White Day): è passata esattamente un’ora – Francis
tende ad essere molto lento in quel che fa: ci mette il triplo del tempo a fare
qualsiasi cosa rispetto ad una persona normale perché, a metà e alla fine del
proprio operato, passa dai cinque ai 20 minuti a vantarsi di essere un Re Mida,
tutto quello che tocca diventa bello, anche nel caso di un pavimento lavato
(che, ovviamente, col suo tocco non è semplicemente pulito, ma risplende di luce
propria, ci si potrebbe mangiare sopra per giorni). Va a distendersi sul letto
e, dopo una manciata di minuti, sente la voce squillante e preoccupata di
Feliciano.
“Niichan, sono qui, sono qui, ho
fatto tardi perché Doitsu non voleva lasciarmi andare
– niichan fa caldissimo qui, si muore! – Oh,
cioccolatini! Eeeh, ma sono a forma di maccheroni! E
di farfalle! Waaah, i fusilli!! Ma ma ma sono buonissimi niichan! Adesso li porto a Ludwig, non sapevo proprio cosa
regalargli per San Valentino! Grazie mille niichan,
ricambierò, giuro!”
Nel suo piano perfetto, Francis non ha assolutamente
calcolato l’incapacità cronica italiana di concentrarsi su qualcosa per più di
due ore filate.