Il Mago di Oz
Autore: CharlotteDoyle
Data di creazione: 15 e 16 gennaio 2005
Beta-letto da: Laura – mia salvatrice! Grazie anche a Diana e Catia.
Rating: PG
Genere: Angst
Personaggi: Voldemort.
Teaser: “Lui non era mica tipo da musical. Non
avrebbe mai viaggiato in una casa in balìa di un ciclone e non avrebbe di certo
poi sussurrato a delle scarpette There’s no place like home, perché non
ce l’aveva, una casa. Non le avrebbe neanche mai indossate, delle scarpette con
i tacchi! Per quanto il grande potere delle scarpette potesse tentarlo…, ma-
Ma per chi lo avevano preso?”
Ringraziamenti: grazie a Catia che ha visto con me Il
mago di Oz il 31 dicembre e che non mi ha ucciso. Grazie anche a Voldemort.
Siete i miei geni del male preferiti. Grazie a Frank Lyman Baum e ai Mastichini.
E grazie a tutti quelli che leggeranno.
Nota: D’accordo, la mia cronologia differisce un poco
da quella solita, ma è licenza poetica. Ed è una bugia inoffensiva. Pura foma.
La resa dei conti, finalmente.
Da quanto aspettava quel giorno? Troppo tempo, questo era
indubbio. Ma finalmente il momento era venuto! Lui e Harry Potter, l’uno
davanti l’altro.
E a questo punto non c’era più nessun Silente che avrebbe
potuto fermarlo, nessun Silente che avrebbe potuto, con i suoi benevoli poteri,
mettersi in mezzo e proteggere quel maghetto mezzosangue ancora troppo giovane
- seppur cresciuto così in fretta - per poter pensare anche minimamente di
eguagliarlo, in potenza, in forza, in gloria.
Ed era straziato dagli ultimi avvenimenti il povero piccolo Harry
Potter. Caro ragazzo sopravvissuto! Aver perso la sua ibrida compagnia di
pezzenti nel giro di poche ore in quel suo ultimo viaggio, in quella sua ultima
mirabile avventura, per mano dei fedeli Mangiamorte e delle altre creature a
servizio dell’Oscuro Signore! – costretto ad andare avanti nonostante tutto,
costretto a non lanciare neanche uno sguardo ai suoi compagni che, uno dopo
l’altro, cadevano, senza il potere di controllare se erano già morti, o solo
sul punto di morire. Chissà.
Ma nessuno sarebbe intervenuto. Non questa volta. Era il
tempo stabilito dalla profezia, lo era per forza, e lui, Voldemort, l’Oscuro
Signore, avrebbe definitivamente annientato il suo peggiore nemico. E se le
bacchette proprio non andavano bene, avrebbe riposto la sua da parte, l’avrebbe
preso a schiaffi, rinchiuso in un sacco di farina, prima soffocato e poi
annegato, e poi chissà che altro, trafitto due trecento volte con un pugnale
d’argento? Non gli interessava. Davanti a lui stava la figura di uno spirito
profondamente violentato dagli eventi, colpito più volte al cuore, tanto da
averlo reso cieco e debole persino in mano dell’amore, forza tanto odiosa e
distruttiva, che lui, l’Oscuro Signore, non aveva mai tentato di richiamare al
suo partito.
Tanto meglio. Ormai i giochi erano fatti. Non c’era più
nulla in cui sperare. Quasi non c’era gusto, ora pensava che era meglio farla
finita subito, cercare di sbrigarsela, ecco, in poco, per poi potersi rilassare
un poco, andare a festeggiare a casa dei Malfoy, fare qualcosa del genere,
insomma, e non pensarci più, e fare finta, per un momento, che tutto sia stato
semplicemente un incubo, niente di più. Si sentiva stanco.
Solo uno sforzo in più, adesso.
Solo- (ancora quello stupido sogno?)
E una casa gli piombò sulla testa.
(ancora quello stupido sogno.)
Ding! Dong! La strega è morta!
L’orfanotrofio era piccolo e povero, ma per Natale avevano
allestito il refettorio a cinema e avevano proiettato Il Mago di Oz, la
versione del 1939, quella con Judy Garland. Lui era rimasto impassibile davanti
agli effetti speciali e alle magie, pensava che di certo avrebbe potuto fare di
meglio da solo (pur non avendo ancora ricevuto lettere da nessuna scuola di
magia), ma tremava alle battute di quella ragazzotta che si fingeva bambina,
che gridava e si agitava per l’assenza di un sacco di pulci quale il suo
orribile cagnolino e che profferiva a gran voce sunti di buoni sentimenti e di
grandi ideali irrealizzabili. E in tutto questo quel che lo metteva più a
disagio era il frutto delle azioni inconsapevoli della fanciulla, il frutto
della sua ingenuità… l’assassinio. Senza volerlo, siamo ben chiari (oltretutto,
non era mica colpa di Dorothy se la sua amata casa, con tutte le possibilità
che aveva per schiantarsi, aveva scelto di farlo proprio sulla testa della perfida
strega dell’Est). Si chiedeva se era meglio essere assassini e riconoscerlo
(con vergogna o con orgoglio) oppure fare finta di niente e continuare la vita
correndo dietro a una bestia insensata. Poi, accorgendosi dei suoi pensieri, si
dava dello stupido e tornava a mangiare il suo pudding ammuffito. Quel
cagnolino lo odiava veramente però.
Lui avrebbe preferito qualche altro tipo di animale, non un
cane chiassoso, qualcosa di più silenzioso… silenzioso almeno quanto lui.
Lui non era mica tipo da musical. Non avrebbe mai viaggiato
in una casa in balìa di un ciclone e non avrebbe di certo poi sussurrato a
delle scarpette There’s no place like home, perché non ce l’aveva, una
casa. Non le avrebbe neanche mai indossate, delle scarpette con i tacchi! Per
quanto il grande potere delle scarpette potesse tentarlo…, ma- Ma per chi
lo avevano preso?
Ma forse ne avrebbe incontrati, di tipi così. Non solo di
quelli che indossavano scarpette con i tacchi nel tempo libero pur appartenendo
al sesso maschile, ma specialmente di quelli che causavano danni e commettevano
crimini senza volerlo. E che nemmeno si prendevano le colpe.
Harry James Potter.
E una casa sarebbe piombata in testa anche a lui. Pensava di
aver dimenticato tutto, quegli anni terribili, quel film disgustoso. Non era
così, purtroppo.
E nello svegliarsi da quel suo incubo tanto frequente nelle
ultime notti, culminante e conclusosi con la caduta della casa sulla sua testa,
era tanto stordito (come se davvero avesse ricevuto un colpo in testa!) che si
mise a pensare che forse dopo Dorothy avrebbe lasciato perdere il suo ritorno
in Kansas e avrebbe sposato Harry Potter. O lui si sarebbe rifiutato di sposare
una che aveva fatto il lavoro al posto suo, che gli aveva rubato tutta la
gloria? O magari sarebbero andati a vivere in Kansas insieme, lui e lei: un po’
di pace finalmente. Ma non era possibile. Era tutta una macchinazione! Judy
Garland era morta per overdose da barbiturici a 47 anni, non poteva esserci lei
in quella casa. In quella casa ci sarebbe stato Potter, e si sarebbe sposato
con sé stesso, e sarebbe vissuto per sempre. Da solo.
Ben gli stava.
La responsabile di quell’inconscia ossessione per il
matrimonio era la signorina Jones dell’orfanotrofio. Aveva insegnato a Tom
inglese per almeno quattro anni, era molto carina, e anche brava, ma lui non
l’aveva mai trovata molto simpatica, e lei non era riuscita ad accattivarselo.
Oltre al matrimonio, aveva anche una fissazione per la musica, e ogni giovedì
mattina faceva cantare tutta la sua classe in coro. Pezzi decisamente scadenti.
Aveva mandato avanti la cosa per diverso tempo. Poi si era sposata.
Anche sua madre si era sposata. Il matrimonio comunque non
doveva essere andato troppo bene. Suo padre aveva avuto dei ripensamenti,
usuali della sua razza bastarda, perché sua madre era una strega, capite?,
e così l’aveva abbandonata al suo destino, fuggendo come un ragazzino davanti a
un cimitero, prima ancora che lei mettesse al mondo suo figlio, che poi avrebbe
portato il suo stesso nome, Tom Riddle (schifo). Queste cose le aveva
scoperte solo molto più avanti. Poi si era vendicato.
Ding! Dong! La strega cattiva è morta!
Si stropicciò glio occhi come per distogliersi da
quell’orribile ritornello.
Adesso ogni giorno giungevano buone nuove da quei servi fedeli
che si era fatto in tutto quel tempo – nuove forze al suo ordine, fedeli per
volontà loro o per forza, vecchi nemici abbatuti; presto, prima che anche
Silente se ne potesse accorgere, le forze del bene sarebbero state dimezzate
senza pietà. Silente, certo, era ancora vivo (non nei suoi sogni!), e
nel pieno delle sue forze per quanto vecchio (maledetto!) – ma presto
anche lui sarebbe inciampato, e forse l’aveva già fatto, chissà… presto, non
avrebbe più dovuto temerlo, e avrebbe potuto occuparsi di Potter con calma.
Aveva già preso una casa in testa, quel maledetto 31 ottobre!, non poteva più
sbagliare. Non doveva. Ne valeva delle sorti del mondo intero.
Non c’è tempo per dormire, per sognare, pensò poi,
Voldemort; non si poteva permettere di perdere tempo. Doveva alzarsi,
combattere, in quel momento!
… ma era vecchio.
Ding! Dong!
Basta, insomma!
Faceva un freddo d’inverno, un freddo assassino!
Freddo com’era fredda la notte. L’aveva sperimentato quel
freddo, per lunghi anni, così come aveva sperimentato la morte, fuori e dentro.
Questo avrebbe dovuto farlo forte. Resistente a ogni intemperia.
Ding! Dong! La strega cattiva è morta!
Ma giungevano cicloni inaspettati e le case cadevano in
testa. Cadevano in testa.
In testa.
Le case cadevano in testa e i cani cadevano dietro ai veli,
e si perdevano, e scappavano via dal mondo, per sempre. Pensava di aver in
pugno finalmente la situazione, perché il cane era il punto debole, ma il cane
adesso non c’era più.
E voleva imprecare, anche se non ne aveva le forze, in
quello straziante dormiveglia – voleva lanciarsi contro
Svegliatevi – menti assonnate, spalancate gli occhi, fuori
dal letto!
Non un modo per smettere di pensare a quella musica
infernale! Mancava solo che si mettesse a suonare al contrario! Ed era lui,
poi, dalla parte del Male? Ma chi le decideva poi queste cose? Lui era
nel giusto. Questo bastava. Era nel giusto. Ma non aveva mai pregato, non aveva
mai imparato a pregare, o a chiedere pietà – come mettere una pietra sopra a
tutto quel fracasso che andava sbandando per la sua mente?
Svegliatevi! La strega cattiva è morta! È andata dove
vanno i goblin,
giù – giù – giù
Sperò solo che nessuno lo potesse vedere in quella
condizione.
Che sappiano tutti che la strega cattiva è morta!
Nel suo lettino in Privet Drive numero 4, il ragazzo
sopravvissuto si svegliò ridendo. Inforcati gli occhiali, ridacchiava ancora, e
non sapeva il perché. Era da tanto che non rideva. Doveva essere diventato
pazzo.
Cosa più che normale vista la sua situazione.
Ma c’era qualcosa di terribilmente divertente. Doveva
esserci. Che cosa?
Pensò a questo mentre scendeva le scale.
In sala da pranzo lo aspettava solo la colazione. Dudley non
si era ancora alzato. Zio Vernon era al lavoro. Zia Petunia era a casa, ma non
poteva accorgersi di Harry: alla televisione quella mattina trasmettevano in
replica un film che le piaceva tanto, la vecchia versione del ’39 de Il Mago
di Oz.
11 luglio 2005: ho aspettato moltissimo per pubblicarla, come potete vedere... non ne sono particolarmente orgogliosa, ma ormai il 16 è alle porte e non posso lasciarmi niente di 'non detto'! E, alla fin fine, ci sono quasi affezionata... Voi che ne dite?
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