Un Nome…
“Ci si
può innamorare di un fulmine?”
Era
una bellissima bambina. I suoi lunghi capelli rossi avevano
tonalità bronzee a seconda del suo umore e i suoi occhi
verdi, quando era incuriosita o pensierosa, le conferivano
un’aria intelligente. Era allegra, solare, ma anche timida e
ogni tanto si chiudeva in sé stessa, estraniandosi dal mondo
intero.
Alla
morte di sua madre, così le avevano raccontato, suo padre
l’aveva presa con sé e aveva deciso di dedicarsi
alla sua vecchia attività di pirata cacciatore di Fulmini,
abbandonata tempo prima per amore della moglie. Tuttavia la bambina
poco credeva a quella favola di amore e tenerezza che le ripetevano
spesso tutti gli uomini di quella loro strana nave volante.
Aveva
un ricordo, un piccolo e sfuocato ricordo, il primo ricordo della sua
vita, del giorno della sua partenza e, di certo, quel giorno sua madre
non giaceva fredda in una bara.
Diventò
una bellissima ragazza, innamorata della vita e altrettanto ostile a
quel modo di viverla.
Ma
a noi poco importa di come quella bambina abbia raggiunto
l’età di amare e odiare. A noi interessa di come
lei si sia accorta di provare quei sentimenti.
E
allora torniamo a una tiepida serata d’autunno, sulle coste
del mare di Sanh, nella terra magica di Dunn…
“Avannah!”
una voce burbera risuonò nell’aria serale.
“….
E la piccola stella non poté fare altro che saltare,
lanciandosi nel vuoto verso il suo amato..”
“Avannah!”
La giovane scosse
il capo rassegnata, voltandosi appena verso la fonte del richiamo.
“Si,
padre?” rispose in modo garbato, osservando la figura rigida
semi nascosta all’ombra della vela maggiore.
“Smetti
di raccontare favole e sali a bordo…partiamo appena fa
buio!” brontolò voltandosi lui e, con passo
strascicato, si diresse sotto coperta.
Avannah
restò qualche secondo fissa sulla figura
dell’uomo, poi si alzò, accomodando il suo abito
blu notte che tanto adorava. Quando la lunga gonna le coprì
bene le gambe snelle, fece un leggero inchino alle bambine sue uditrici
e si allontanò.
“Signorina…”
una voce debole la richiamò appena, tanto da farla fermare.
“Tornerà
a raccontarci il finale?” le chiese un’altra voce,
più sicura.
Lei si
limitò a sorridere, voltandosi un poco, perché un
sorriso viene interpretato da ognuno in modo diverso e non necessita di
spiegazione. C’era chi riconosceva in esso
un’espressione forzata e triste e dimenticava in fretta
l’intera storia, ben sapendo che non avrebbe mai ascoltato il
finale. E poi c’era chi invece attendeva per un po’
la sua venuta, rammentandosi ogni giorno l’incontro. Col
tempo però, anche quelle persone decidevano di dare loro una
conclusione alla storia, e ben presto finivano per scordarsi
quella bella fanciulla in abiti eleganti che scendeva da una nave
volante e raccontata avventure.
Non aveva mai avuto
amici. Semplicemente, la sua esistenza era molto simile a quella di un
fantasma: sbarcava, incantava qualcuno col tono della sua voce, poi
scompariva di nuovo.
Ogni tanto, come
quella stessa volta, stava seduta accanto alla finestra della sua
stanza, guardando la sera prender possesso del cielo. Teneva la testa
appoggiata alle tendine e respirava pesantemente l’odore di
legno e vernice delle pareti.
“Dovrei
trovarti marito…” brontolava il genitore vedendola
così ogni tanto.
“Dimmi…
non c’è nessuno dei miei uomini che ti
piace?” e poi scoppiava a ridere, divertito, senza prestare
attenzione allo sguardo vacuo di lei e ai suoi commenti poco gentili a
riguardo.
Crescendo aveva
compreso che suo padre non avrebbe mai accettato per lei un normale
ragazzo, né tanto meno un cacciatore come lui. Probabilmente
voleva solo tenerla con sé. Lei ci ricamava sopra, a questa
idea, pensando che in fondo lei era l’unico ricordo della sua
amata moglie e forse…forse gli mancava…
Iniziava la
stagione intensa, iniziavano le giornate uggiose e i forti temporali
d’inverno. L’intero equipaggio, emozionato per la
ripresa dell’attività, era tutto preso a sistemare
le ultime cose, pronto per il primo lavoro già quella notte
stessa.
E così
fu. Un grosso tifone, seguito da piogge interminabili e da fulmini
violenti si abbatteva sulla loro nave in volo prima che sulla terra
ferma.
E tutti, nei loro
lunghi impermeabili, attiravano con strani arnesi
l’elettricità e la catturavano, intrappolandola in
contenitori speciali.
L’aveva
sempre trovato un lavoro barbaro e non si era mai nemmeno sforzata di
capirlo. Ci aveva in realtà provato, per affetto del padre,
ma si era rassegnata quasi subito.
Riempiva il vuoto
della sua vita con semplici oggetti, regali, denaro che le veniva dato
per distrarsi.
Eppure, tutto
ciò che lei faceva, era limitarsi a comprare dei libri,
storie senza tempo, e li leggeva nelle nottate come quella, quando il
muoversi repentino della nave le impediva di dormire.
“Mia
cara… “ il capitano entrò nella stanza
della figlia alle prime luci dell’alba, svegliandola con
delicatezza.
“Buon
giorno…avete preso un buon bottino?” rispose lei,
alzandosi e raggiungendo il vecchio, aiutandolo a togliersi gli abiti
bagnati e preparandogli un bagno caldo.
Lui la
fissò pensiero per tutto il tempo, rilassandosi al suo tocco
delicato, senza fiatare.
“Pesca
grossa, ci guadagneremo molto..” disse infine, quando fu
cambiato e asciutto.
Si legò
in vita la sua pistola e afferrò la fedele spada
sistemandola nel fodero.
“E
Avannah … non voglio che tu vada più nella stiva,
ok?” le disse poco prima di uscire.
“Perché?”
la curiosità è donna.
“Perché…
non vorrei che tu inciampassi in qualche contenitore e facessi saltare
in aria l’intera nave..” brontolò lui.
“Non
l’ho mai fatto!” disse lei.
“E mai lo
farai!” esclamò lui duro.
“Mi
ubbidirai?” le chiese poco dopo in modo più
gentile.
Lei
annuì silenziosa.
Quando
salì sul ponte per la colazione il Sole era già
alto nel cielo. Un profumo di legno bagnato si sentiva in ogni dove e,
per quanto fosse insolito, tutti gli uomini erano già al
lavoro.
Scorse sotto di
loro, a miglia di distanza, il vecchio mare di Sanh costellato da
piccole isole. E, in quel momento, si sentì potente, fiera
di essere lassù e poter star lontana dal caos del mondo.
“Dottor
Jack..” salutò, rivolta al giovane dottore di
bordo. “Non hanno dormito?” chiese
sorridendo, indicando gli altri.
“No…dicono
che dormiranno più tardi..” rispose
l’altro senza distogliere lo sguardo dalla ragazza.
“Vi ho
mai detto che il verde vi dona?” le chiese pacato,
avvicinandosi e ammirando il leggero abito di lei color smeraldo.
“Ogni
volta..” rispose Avannah, arrossendo e allo stesso tempo
sorridendo quasi divertita.
“Beh…in
tal caso lasciate che vi scorti fino alla tavola, sarete
affamata!” e offrendole il braccio
l’accompagnò nella vecchia cucina.
“Pesca
grossa è, dottore?!” il cuoco gli accolse
allegramente, soffermandosi un poco di più su di lei,
dubbioso.
“Ho
sentito.. più tardi darò
un’occhiata!” rispose il giovane dottore,
grattandosi la guancia.
Avannah
restò silenziosa tutto il tempo, sospettando ci fosse
qualcosa che non andava. Sapeva di non poter disubbidire al padre, ma
allo stesso tempo aveva capito che quel divieto era legato a qualcosa
tenuto nella stiva.
“Signor
Cook…posso chiederle una cosa?” iniziò,
interrompendo una conversazione fra i due uomini che nemmeno aveva
seguito.
“Certamente..”
fu la pronta risposta.
“A cosa
servono i fulmini esattamente?
Cioè…perché vengono
catturati?”
“Tesoro…
sono merce di scambio! Un fulmine, se è ben potente e
indomabile, è anche molto utile per costruire armi
belliche..”
“Oppure
da quelli più deboli e piccoli si ricavano materiali
essenziali per certi prodotti medici..” disse il dottore.
“Anche le
vecchie fattucchiere si servono dei fulmini per accrescere la loro
magia, ma quello avviene più al mercato nero che nei negozi
di rivenditori..” concluse ancora il vecchio.
“In
realtà…. Le vecchie streghe di Tamos, la terra
del ghiaccio, sostengono che da essi si possano ricavare
immortalità e giovinezza! Temo tuttavia che il metodo per
ottenerle sia alquanto inumano…mangiano carne e bevono
sangue..” concluse trattenendo un principio di vomito.
“Capisco..”
disse la giovane, rivolgendo uno sguardo comprensivo al dottor Jack.
“Sono
anche ben pagati.. è un lavoro difficile, catturarli! Ci
sono pochi pirati cacciatori ai giorni d’oggi! Saranno circa
15 o 20 navi come questa!” il cuoco pronunciò
quelle parole con una punta d’orgoglio.
“Allora
è un bene per noi…!” Avannah
sospirò però tristemente.
“E da
cosa vengono generati?” chiese poco dopo.
“Ci sono
divinità, piccoli spiritelli…così si
dice!”
“Sono
veri e propri essere demoniaci..” brontolò il
cuoco al giovane.
“Si
vedrà!” rispose l’altro secco.
“Comunque
essi sono generati da Luce e Fuoco…antiche
divinità personificate!” concluse.
“I
fulmini intende?” chiese lei confusa.
“Più
o meno… Luce e Fuoco generarono essenze demoniache che, a
loro volta, crearono i fulmini a loro immagine e somiglianza.
L’unica differenza è che quelli che cadono sulla
terra non hanno vita!” prese fiato leggermente
“Secondo la leggenda, questi…demoni, strinsero un
patto con gli uomini: quest’ultimi avrebbero servito loro e
in cambia avrebbero ottenuto il fuoco. Solo che per permettere al fuoco
di raggiungere la terra serviva una scintilla e l’unico modo
era crearla dal nulla. Da li nacquero questi fulmini che vanno e
vengono. L’uomo però li temeva e, credendo di
essere stato imbrogliato, iniziò a cacciarli per
imprigionarli, sicuro di poterli così vincere!”
“Leggende..”
sbuffò la ragazza alzandosi. “Non esistono esseri
così!” disse seria.
“Per i
comuni umani non esistono nemmeno streghe e pirati volanti
però!” la rimproverò bonariamente il
cuoco.
Ci fu un lungo
momento di silenzio, interrotto ogni tanto dalle grida della ciurma da
fuori.
“Farete
meglio ad andare ora…arriveranno tutti gli altri e per voi,
vederli mangiare, non è un bello spettacolo!” il
dottore aveva ragione. Avannah fece un leggero inchino ringraziando
entrambi per le spiegazioni e uscì, pensando a un modo per
occupare il tempo.
Eppure
c’era qualcosa che le sfuggiva…
Fu quella notte
stessa, in balia di un altro forte temporale, che la bella fanciulla
non riuscì a chiudere occhio. Badate bene…la
colpa non era della pioggia o dei tuoni, lei ormai vi era abituata.
Semplicemente le balenava in testa di poter prendere al volo
l’occasione e fare un giro nella stiva, dal momento che tutti
erano occupati in altro.
Si voltò
e rivoltò innumerevoli volte nel suo letto, coprendosi fin
sopra la testa e poi buttando di lato le lenzuola. Infine si mise a
sedere sul bordo, poggiando a terra i piedi nudi. Prese la sua lunga
vestaglia nera e con passo felpato s’incamminò
verso la piccola botola.
Scese la scala di
legno con lentezza, trovando appiglio un poco alla parete. I gradini
erano bagnati e lei indugiava nel procedere.
Alla piccola luce
della candela che aveva portato con sé non riusciva a
scorgere altro che vecchie botti, bottiglie e scatole di cibo. Fece
qualche passo avanti per essere sicura fosse tutto apposto e poi,
delusa, spense la fiammetta con un soffio e pose il piede sul principio
della scala per risalire.
Fu a quel punto che
comprese che vi era un’altra fonte di luce lì. Una
però più chiara, più luminosa e,
soprattutto, più calda.
Senza nemmeno
pensarci si diresse verso l’angolo più remoto
della stiva, dietro una lunga fila di scaffali colmi.
E proprio
lì, con lunghe catene d’argento ai polsi e alle
caviglie, contro la parete, a capo chino e con profonde ferite, vi era
un ragazzo.
L’intero
corpo del giovane riluceva in modo innaturale, di una luce sprigionata
da lui stesso.
Al suono dei passi
egli alzò la testa, una cascata di ricci scuri gli
scivolò all’indietro mostrando il suo volto e quei
suoi occhi… grigi come l’argento fuso e azzurri
come il ghiaccio.
“Ora
mandano le mocciose a controllare?! Credono che a loro io non farei
niente?!...sciocchi..” la sua voce era bassa, leggermente
irritata.
Istintivamente
Avannah si strinse nelle spalle, facendo qualche altro passo verso di
lui.
“Chi
sei?” gli chiese, accarezzandosi con nervosismo una ciocca di
capelli bagnati.
Lui la
fissò un poco, stizzito, e infine voltò il capo
dall’altra parte.
“Ti ho
chiesto chi sei!?” lo riprese lei.
“Chi sei
tu…è buona educazione presentarsi prima di
chiedere il nome a qualcuno!” la zittì con
freddezza.
“Mi
chiamo Avannah, figlia del capitano di questa nave.” Rispose
lei dopo un po’.
“La
figlia di quel bastardo..” sussurrò lui.
“Già….ora
posso conoscere il tuo nome?”.
“Ho molti
nomi…” le comunicò lui più
per chiudere la faccenda che altro.
“Me ne
basta uno..” e con attenzione si accostò a lui,
inginocchiandosi di fronte al suo corpo e iniziò a tamponare
alcune ferite del ragazzo con uno straccio umido raccolto da terra.
“Puoi
chiamarmi mostro…è quello il termine che gli
uomini usano per me!” si mosse appena, fissando gli occhi
verdi di lei con neutralità e poi riabbassò il
capo.
“Mostro?
O no.. i mostri sono brutti..”
“Non lo
sono?”
“E
cattivi..”
“Meno di
me..”
“E hanno
zanne enormi e una pelle
viscida…”continuò a elencare Avannah
imperterrita, sfiorando con le dita la pelle di lui, morbida sotto il
suo tocco.
“Che
mostri hai mai visto tu? Non esistono esseri
così..” disse secco, cercando di allontanarla con
un colpo di reni.
Al movimento delle
sue braccia le catene ai polsi si mossero producendo un tintinnio
metallico fastidioso.
“Sta
fermo!” lo rimproverò lei, guardando verso la
botola per paura che qualcuno l’avesse sentito.
“Attenta
a come ti rivolgi a me!” sussurrò imperativo,
fissandola con astio.
Lei non ci
badò, continuando a pulire via il sangue rappreso dal suo
torace. Poi passò ai polsi lividi sotto le catene e alle
gambe muscolose.
“Hai
freddo?” gli chiese, rendendosi conto che indossava solo dei
pantaloncini leggeri.
Lui fece uno strano
sorriso.
“Questa
è la mia temperatura ideale…le mattine sono il
momento peggiore, troppo caldo quel Sole! E io dopo la notte non ci
sono più abituato..” farfugliò cercando
forse di dare una motivazione valida.
“Mio
padre non sa che sono qui, se lo scoprisse..” Avannah
rabbrividì al pensiero.
“Ti
picchierebbe?” le chiese lui dopo del tempo, non sentendola
più continuare.
“Credo mi
punirebbe in qualche modo…non mi ha mai
picchiata!” disse con un mezzo sorriso.
“Mia
madre non voleva..” spiegò tranquilla.
Ma nemmeno quel
discorso sembrò portare a una conversazione trai due.
“Allora
me lo dici un tuo nome?” ci provò di nuovo lei,
alzandosi.
“Te ne
vai?” il suo tono di voce ora però era allarmato.
“Se non
vuoi, no!” gli rispose.
“Figurati
se mi interessa!” borbottò.
“Ti
chiamerò Raiden!” annunciò lei
entusiasta. Lui la guardò perplesso, ma non disse nulla.
“Torno
domani, ok? Se hai fame ti porto qualcosa..”
“Non
mangio il vostro cibo squallido!” rispose lapidario.
“Invece
di criticare e basta, dimmi cosa vuoi e io te lo
porto…così risparmiamo tempo!” rispose
irritata lei, guardando più volte la scala con paura.
Lo vide sbuffare,
ma non ci badò molto. Sentì dei rumori provenire
da sopra e capì che stavano per portare di sotto il carico
appena preso.
“Devo
andare…torno..” promise, accorgendosi
però che quel ragazzo nemmeno la stava
ascoltando…si era addormentato.
Solo pochi minuti
dopo che era ritornata a letto, suo padre entrò nella loro
cabina e, controllato che lei dormisse, iniziò a svestirsi
per la notte.
La mattina seguente
Avannah fece le solite cose di sempre: colazione col dottore e una
camminata alla leggera luce mattutina.
Ripensò
tutto il tempo a quel ragazzo che stava sotto di lei. Ai suoi capelli
umidi così belli. A quegl’occhi sensuali e alla
sua voce calda che tuttavia sputava parole gelide.
Si chiese chi
fosse, ma in realtà aveva ben compreso la questione.
“Bambina..
domani pomeriggio approdiamo al mercato di Malhory!” suo
padre le si era accostato per avvisarla.
“Venderai
la merce?!” il tono le uscì allarmato, tanto da
lasciare di stucco l’uomo.
“Emm…no!
Facciamo solo provviste! Il carico l’ho promesso al
contrabbandiere di Neor!” concluse.
“Contrabbandiere?
Non hai sempre detto che volevi fare le cose in modo
giusto?!” se ne uscì lei.
“Non sono
affari per una donna…piuttosto.. vedi di scegliere un bel
abito, ti farò incontrare una persona!”
annunciò impassibile lui, per poi allontanarsi agitato.
Quella notte
aspettò che si fosse addormentato e scese di nuovo nella
stiva, portando delle coperte e dei panini rubati dagli avanzi.
“Ancora
qui?” la accolse lui acido.
“Ti ho
portato del pane..” iniziò lei, ma si accorse ben
presto che non era il cibo da lui prediletto.
Passò
quasi tutta la notte nel silenzio, seduta accanto a lui, stringendosi
in una vecchia coperta logora trovata là sotto. Lui si
limitava a muoversi di tanto in tanto, producendo quel suono tanto
fastidioso. E lei lo guadava soltanto, incantata da quella bellezza
inquietante e meravigliata che al mondo potesse esistere tanta
perfezione.
Aveva sempre
pensato che creature misteriose che abitavano i cieli fossero belle,
anzi bellissime, ma lui andava oltre ogni sua rosea previsione.
Aveva passato
così tanto tempo a fissarlo che ormai avrebbe potuto
ricreare esattamente una statua identica: le ciocche dei capelli che
ricadevano sbarazzine erano in minor numero rispetto a quelle
perfettamente ricce; le sue guance erano di un leggero rosa, notabile
solo con un’analisi attenta. In altra situazione tutta la sua
pelle sarebbe risultata bianca come il marmo. Aveva delle sopraciglia
scure e spesso corrucciate nello sforzo di muoversi facendo meno rumore
possibile. Le labbra, in compenso, erano ciò che dava colore
al volto. Di un rosso leggero, come sfumato da un pittore esperto, il
cui colore sembrava essere ricavato vagamente dalle ciliegie mature. Ma
non stonava in tutto quel pallore, anzi, creavano un’armonia
perfetta, come fossero proprio quel tocco particolare che teneva
insieme il tutto.
E poi
c’erano quei suoi occhi. Il grigio prendeva il sopravvento
sull’azzurro quando stava tranquillo, come in quel momento,
rilassato al semplice suono del vento contro la nave. Invece il
ghiaccio inondava l’argento quando conversava, o meglio,
quando lo faceva con stizza e soleva sputare frasi maleducate, cosa che
aveva fatto spesso in quelle due semplici notti con Avannah.
“Sbaglio
e stai facendo tutto ancora di nascosto!?”
Fu quel tono di
voce più calmo del solito a risvegliarla dal suo momento di
torpore.
Annuì
lentamente dedicandosi ad osservare il pavimento di legno marcio,
stringendo le ginocchia al petto.
“Hai
detto che tua madre non voleva…è
morta?” le chiese lui, voltando il capo per poterla vedere.
“No…anche
se mio padre dice di si! Mi ha raccontato che partimmo la settimana
stessa della sua morte, dopo averla onorevolmente sepolta!”
parlò come se stesse ricordando una vecchia filastrocca.
“Ho
sentito così tante volte quelle parole..”
spiegò tristemente.
“Quel
cane mente anche a sua figlia…non dovrei aspettarmi altro da
uno come lui!” per un attimo la voce di lui tornò
cupa e dura come la notte prima.
“In fondo
non è un cattivo uomo…semplicemente ama questo
mondo forse molto di più di quello che amava mia madre!
Ciò non gli ha impedito di portarmi con lui
però..” ammise. Era la prima volta che ammetteva
quei pensieri che le balenavano in testa da molto. Aveva sempre
raccontato agli estranei e a sé stessa che in
realtà proprio l’amore per la moglie
l’aveva portato a riprendere
quell’attività, per poter mantenere la figlia
meglio di prima. Eppure si stupì di come quella nuova tesi
fosse uscita dalle sue labbra con ovvietà, come una
verità indiscutibile.
Fece per ribattere
lui, ma si fermò.
Cosa lo portava ad
essere gentile con quell’umana?
Era vissuto da
sempre in solitudine lassù, in quel cielo immenso e
semplicemente sempre uguale.
Non aveva mai
nemmeno pensato di avvicinarsi al suolo, gli piaceva solo vederlo e
colpirlo quando poteva, con i suoi fulmini potenti. Preferiva di gran
lunga il silenzio alle chiacchiere rumorose che quei mortali
producevano. Ma, ora se ne rendeva lentamente conto, non si era mai
nemmeno fermato un attimo per capire se le loro parole avessero un
senso.
Forse, nel mondo,
avrebbe scoperto che c’erano altre ragazze, altri uomini o
donne, altre persone insomma, in grado di provare un sentimento simile
a quello che provava lui.
Ma cosa provava
lui?
Dolore..
Paura..
Vuoto..
E rabbia.
Una rabbia intensa,
di quelle che nessun mortale potrà mai provare. Una rabbia
frutto di secoli e secoli di ripensamenti e di perdite.
Gli uomini si erano
mai fermati ad ascoltare quelli come lui? La risposta gli
rimbombò in testa come fosse ovvia: no!
Allora
perché avrebbe dovuto farlo lui?
Ma la bella ragazza
dai lunghi capelli rossi al suo fianco per un attimo gli diede
un’altra risposta, una più semplice e per questo
più difficile da accettare: avrebbe dovuto prima conoscere
le differenze di quel loro mondo, e poi scegliere quale parte era
pericolosa o semplicemente malvagia, e quale invece meritava la sua
benevolenza.
Emise un leggero
sospiro, riprendendo a respirare regolarmente, come facevano quegli
uomini. Lui in fondo non aveva bisogno di respirare, era più
che altro diventata un’abitudine con gli anni.
In un momento di
ira aveva stretto i pugni, cercando anche di svincolarsi dalla stretta
di quell’argento freddo. Ma fu lo sguardo scongiurante di lei
a calmarlo. Voleva solo non facesse rumore per non attirare qualcuno.
Non aveva avuto paura di lui nemmeno in un singolo attimo.
“Che
strana ragazzina” aveva pensato vedendola in quella camicia
da notte nera. Per un attimo ne era rimasto abbagliato: i suoi capelli
ricordavano tanto quelli di suo padre, nel loro rosso fuoco. Eppure,
bagnati, gli mettevano un tristezza immane: il fuoco,
all’acqua, si spegne.
E in fondo, era
esattamente quello che successe a suo padre. Gli uomini padroneggiarono
le fiamme, le domarono, furono in grado di crearle loro stessi e a quel
punto si liberarono dell’unico che avrebbe potuto toglierle
loro.
E poi aveva scorto
il suo sguardo. Esprimeva una determinazione che lui aveva provato
poche volte nella sua lunga vita. Aveva come sentito una scossa e
istintivamente aveva prestato la sua attenzione altrove.
Ora la sentiva
tremare al suo fianco. Per un attimo aveva pure pensato di usarla.
Incantarla magari, farla impazzire per lui e poi ricattare quel vecchio
bastardo in cambio della libertà. Ma quello strano proposito
era sparito velocemente dalla sua mente, così
com’era venuto.
Si
concentrò un poco, emettendo una luce più forte
dal suo corpo. Da sempre aveva saputo brillare come le stelle,
emettendo un leggero calore.
Lei lo
fissò, abbozzando un sorriso di ringraziamento, e poi chiuse
gli occhi rilassandosi.
“Il mio
primo ricordo è proprio a bordo di questa nave..”
iniziò lei cauta. “Ero vicino al timone, nella
parte alta del ponte e guardavo la costa poco sotto di noi. Riuscivo
solo a scorgere una scogliera alta, che mi sembrava di conoscere bene!
E in cima a quel dirupo sul mare, proprio nel punto più
alto, ci stava una donna…così bella…
portava una lunga coda alta per raccogliere i capelli lisci, e
indossava un abito scuro, credo di un blu mare… era mia
madre!” disse a bassa voce, mantenendo le palpebre serrate
come a voler rivivere quel momento.
“Sono
passati anni…forse fu semplicemente una
visione…”ammise poco dopo, non convinta
però dell’ultima affermazione.
“Per
questo credo non fosse morta quando salpammo! Inoltre…mio
padre provò per molto tempo a istruirmi ad arte, per
diventare un giorno come lui, ma credo di averlo deluso! Ora si limita
a spiegarmi solo ciò che gli chiedo di tanto in
tanto…”
Parlò
ancora molto, raccontando di come aveva trascorso quegli anni da sola,
di come aveva imparato tutto sulle donne e sugli uomini dai vecchi
tatuaggi degli uomini della ciurma. Suonava il piano, leggeva libri
impegnativi, amava raccontare favole… e tante altre cose.
“Credi
davvero che a me importi di queste cose?” le chiese lui a un
certo punto. Lei si zittì, incapace di trovare una risposta.
“Mi stai
stancando…” sbuffò di nuovo, incapace
come sempre di dire qualcosa di gentile. Nessuno del resto gli aveva
mai insegnato come farlo.
“Mi
dispiace!” rispose lei.
“Non ti
dispiacere…se lo fai ti rovinerai e basta!”
ribattè il ragazzo.
“Affatto..
dispiacersi per qualcosa è ciò che rende
umani!” e si tappò la bocca con le esili mani,
rendendosi conto che forse era proprio per questo che lui la pensava
così…non era umano!
“Esattamente!
Ora puoi anche chiudere quella bocca!” ma appena dopo qualche
minuto quel silenzio, in cui tanto era vissuto, lo stava soffocando,
azzannando pezzo per pezzo.
“Sei
ancora qui?” le chiese, più per poter sentire di
nuovo la sua voce emettere un suono o per vedere quelle labbra fini
muoversi velocemente.
“Non mi
hai detto che doveva andarmene!”
“Era
sottinteso!”
“In ogni
caso non posso…se esco ora, rischio di essere
vista!”
“Rischi
anche se esce fra un’ora!”
“Già…ma
fra due no!” rispose sicura Avannah muovendo svogliatamente
la mano per contare qualcosa.
“Perché
fra due no?” chiese curioso lui.
“Ora
c’è il cambio della vedetta: mastro Flinn va a
dormire e passa il turno al signor Gibbs che, generalmente, ci mette
due orette buone per prendere sonno!” spiegò lei.
“Ciò significa che starò qui circa
altre tre ore, per sicurezza!”
“Conosci
bene tutti è?”
“Sono la
mia famiglia…tu conosci la tua famiglia bene, no? Per me
è lo stesso!”
E lui non aggiunse
altro. Avrebbe voluto raccontarle qualcosa di sé, per
ricambiare tutte quelle cose che lei gli aveva raccontato, ma apprese
di non saperne molto della sua vera casa. Ricordava vagamente suo
padre, qualche suo fratello, sua madre.. e la sua storia era stata
così crudele che l’aveva semplicemente dimenticata.
“Sowil….”
Disse ad un tratto, spostando lo sguardo dovunque, ma non verso di lei.
“Sowil..”
sentì ripetere.
“Cos’è?”
“Il mio
nome, quello che mia madre scelse per me! Significa Sole nella vostra
lingua…” prese un respiro profondo
“Però anche Raiden non è sbagliato.. un
vostro popolo mi chiama così, col nome del
fulmine!”
“Hai
figli?” gli chiese dal nulla. Lui si mosse appena, preso in
contro piede. Mai nessuno gli aveva rivolto quella domanda tanto strana.
“Dovrei
averne?” rispose serio.
“Ho
capito sai? So che non hai all’incirca vent’anni
come ne dimostri… il vecchio Cook mi ha parlato di spiriti
creati all’inizio dei tempi…probabilmente tu sei
uno di quelli! Allora ho pensato che dopo così tanto tempo
tu avessi trovato qualcuno con cui passare la vita..”
chiarì Avannah con ovvietà.
“La vita
la si vive meglio da soli!”
“Forse…
se non si vive per sempre però! Deve essere così
stancante lassù da solo…parli mai con
qualcuno?”
“Ti
assicuro che le conversazioni avute con te mi hanno rifatto di
un’intera esistenza nel silenzio!”
sbottò.
“Non sei
cattivo!” disse lei, sorridendogli.
“Forse
si, forse no!”.
“Io credo
che tu ti difenda da qualcosa!” e allungò le gambe
in avanti, sgranchendosi un poco le ossa, ormai abbastanza calda.
“Nessuno
può competere con me, ergo…io non mi difendo da
nulla!”
“Non
è esatto…se nessuno potesse competere non saresti
qui, proprio ora, ad ascoltare le mie domande che ti fanno
innervosire!” lo sguardo sincero che lei gli rivolse
bastò per fargli capire che aveva perso.
“Allora?
Hai figli?” continuò.
“NO!”
quasi urlò lui stancamente.
“Moglie?”
“Noi non
celebriamo matrimoni..”
“Una
compagna allora!”
“No…non
mi è mai interessato molto!”
Si aspettava
un’altra domanda a cui rispondere con astio, quel gioco lo
divertiva, ma invece sentì solo il suono di qualche topo che
rosicchiava.
“Tu hai
un fidanzato?” che strano…aveva invertito i ruoli.
La vide seria,
immobile accanto a lui, con gli occhi socchiusi.
“No, ma
credo che non tarderà ad arrivare..” ammise.
“E’
un bene! Inizi ad essere grande…ho visto molte volte donne
come te che temono di restare zitelle per sempre!”
Lei rise,
sinceramente divertita.
“Spii le
femmine umane?” gli chiese senza smettere di ridere.
Lui
corrucciò la fronte, indignato, e rimase in un rigido
silenzio.
“Credo
che mio padre ti voglia vendere a un contrabbandiere!”
riprese lei tristemente.
Perché
quella ragazzine faceva quell’espressione dispiaciuta? Che le
importava di un essere maledetto conosciuto poche ore prima.
“Ovvio..
i normali mercanti non saprebbero chi sono e non lo pagherebbero
abbastanza, credendomi solo uno schiavo vittima della fantasia di un
vecchio! Le streghe…”
“Questo
ti fa guadagnare circa due settimane ancora..” lo interruppe,
non volendo affatto risentire quella storia macabra.
“Altri 14
giorni con te?” sbuffò lui, emettendo
però una luce stranamente più intensa di quella
emessa fino ad allora.
“Brilli!”
sembrò averlo realizzato solo ora lei.
“Sono il
dio dei fulmini no? È quello che faccio…brillo,
anzi, generalmente emetto come un’esplosione rumorosa che
provoca una luce accecante! Ma so anche controllarmi
all’occorrenza!”
E i giorni
passarono. Lei apprese così tante cose da lui, nelle notti
in cui gli sedeva accanto, parlando a bassa voce e facendogli domante
insolite, tanto per conoscerlo meglio.
Gli aveva
raccontato di come suo padre gli avesse presentato un certo Signor
Williams, un giovine riservato in cerca di moglie, che possedeva
diverse terre e molte ricchezze. Gli descrisse i suoi modi, le parole
di suo padre, l’abito che aveva indossato, il modo bizzarro
con cui quell’uomo storceva il naso con disgusto di fronte a
tutto.
Lui apprese cosa
volesse dire trovare divertimento da delle semplici parole.
Iniziò a parlare senza bisogno di essere interrogato
continuamente. Ricordò persino il volto di suo padre, di sua
madre…
Le
spiegò del patto stipulato con l’uomo, del
tradimento di quest’ultimo, della morte del Dio del Fuoco, e
di come creare qualcosa che nocesse gli umani fosse l’unica
via per vendicarsi.
Spiegò
di come molti dei suoi fratelli fossero stati catturati come lui,
ceduti al mercato nero e le loro carni e il loro sangue venduti,
poiché fonte di eterna giovinezza.
Lei lo fissava
silenziosa e allarmata quando lui gli raccontava quelle cose e, nella
sua mente, prendeva in considerazione ogni modo per liberarlo.
Iniziò a
chiamarla per nome, trovando incredibilmente familiare e dolce poterlo
pronunciare.
Lei si divertiva a
chiamarlo in modi sempre diversi, a seconda dei popoli di cui parlava.
In poco tempo
entrambi conobbero ciò che nessuno avrebbe mai
immaginato…
“Hai un
sogno?” gli chiese una di quelle notti Sowil.
“Non
proprio…vorrei solo poter essere libera di andare ovunque
voglia, raccontare le mie storie, magari rivedere quei volti
incontrati…col tempo svaniscono
sempre…” gli rispose.
“Per
girare il mondo ci vogliono anni! Saresti già decrepita
prima della fine!”
“Allora
mi farebbe comodo un po’ la tua
immortalità..” rise appena, appoggiando la testa
contro la parete e guardandolo di sott’occhio.
“Non so
quale delle due sia peggio.. se la sorveglianza di tuo padre o quella
che tu chiami mia
libertà”
“Mio
padre dice sempre che viviamo in un mondo in cui possiamo ottenere
tutto, in un modo o nell’altro, a volte anche a un prezzo
ragionevole. Io credo che ognuno ha i mezzi per realizzare il sogno di
qualcun altro e mai il proprio! Questo rende patetico il continuo
tentativo umano di andare avanti..” Avannah parlò
piano, come se stesse confessando qualcosa di immorale.
“Ogni
cosa ha un prezzo, anche la tua felicità. Il tutto sta nel
saper contrattare!” disse lui con aria solenne.
In tutta risposta
lei rise.
“Ragion
per cui io vivrò così per sempre! Non ho nulla da
barattare…” esclamò più
divertita che altro.
Lui
spostò appena lo sguardo su di lei con aria pensierosa, ma
non disse nulla.
Ma
tutto ha un inizio e una fine..
Fu quella notte,
quella prima del quattordicesimo giorno, quando lui scoprì
anche cosa fossero le lacrime, che si rese conto dell’ironia
sottile e terribile che accompagna ogni essere vivente.
Era scesa
silenziosa, a piedi scalzi, come sempre. Si era seduta senza
però salutarlo, aveva appoggiato sopra le gambe la solita
coperta sporca ed era rimasta ad osservare quel pezzo di cielo notturno
che si intravedeva da un piccolo finestrino dall’altra parte
della stanza.
Lui non le aveva
detto niente, non sapeva cosa dirle in realtà.
“Mio
padre mi ha detto che quel Williams ci aspetterà fra tre
giorni di nuovo a Malhory!”
aveva preso un
respiro profondo e gli aveva detto quelle parole. Semplici e normali,
eppure così dolorose. Se lo aspettava. Erano cose che in
tutti quegli anni di vita lui aveva già visto e rivisto
milioni di volte. Un incontro combinato, un secondo incontro voluto da
uno dei due e infine il matrimonio. Cosa c’era di strano?
Lui avrebbe dovuto
affrontare tutto quello con indifferenza, con normalità.
Avrebbe forse dovuto essere felice per lei oppure doveva solo
consolarla, dire qualcosa come “Prima o poi ti
piacerà, ti affezionerai, vedrai!”
perché era così che andava sempre.
Ma chi avrebbe
consolato lui? Chi gli avrebbe detto: “La
dimenticherai?”. Chi gli avrebbe impedito di spiarla giorno e
notte, ed essere geloso, rabbrividire di rabbia nuova durante la loro
prima notte?
Nessuno…
Lei non ci sarebbe
più stata…
Forse era un bene
che sarebbe morto a breve.
“Bene..
almeno parlerai con qualcuno a cui farà piacere
sentirti!” come sempre, però, aveva saputo essere
scontroso.
“Mi
sposerà vero?” gli chiese lei, sapendo che lui era
l’unico in grado di saperlo.
“Io non
so nulla di queste cose!”
“Ma le
hai viste altre volte..” il suo tono era una supplica.
“Avannah..”
ma il modo in cui pronunciò quel nome era troppo dolce,
troppo gentile, troppo tutto.
“Avannah..”
tentò di pronuncialo con durezza, asprezza. Inutile. Era
come se non riuscisse mai a suonare cattivo, nemmeno in bocca sua.
“Cosa?”
chiese lei sentendosi chiamare così spesso.
“Ti
piacerà, prima o poi..”
“Accade
sempre così?” che domanda complicata.
“Quasi
sempre..” ammise.
“Mio
padre mi teneva con sé per poter trovare un matrimonio
vantaggioso… le mie favole mi hanno sempre
accecata!”
E la vide
all’ora, quella piccola lacrima salata,scivolare lenta da
quell’occhio socchiuso. Scese più veloce sulla
guancia, poi indugiò appena sul suo mento.
Aveva visto persone
e persone piangere, per i motivi più disparati. Ma solo
quella lacrima, quella precisa goccia, l’aveva ipnotizzato.
Tese una mano verso
di lei, per poterla toccare. Avrebbe dato ogni cosa per poterlo fare.
Ma lei non lo
notò.
“Vorrei
essere innamorata di lui, lo vorrei davvero.. ma non posso!”
“Poco
importa quello in un matrimonio!”
Ma sapeva che a lei
invece interessava eccome. Ormai aveva compreso che quella sua
ingenuità era l’unica ragione che la teneva ancora
in piedi.
E lei era
l’unica ad aver accettato le sue parole sempre dette con una
punta di disprezzo.
Era diventato il
suo confidente in un certo senso. Visti insieme potevano anche sembrare
un quadretto comico eppure…
Lui la desiderava
da impazzire. Le si era affezionato. Il desiderio che provava per lei
era immorale, impuro, riprovevole.
Lui era un semplice
prigioniero, uno schiavo, un mostro…un demone maledetto.
Lei una giovane in
fiore, bella come il Sole, aveva quella vitalità che lui
aveva perso con gli anni. Possedeva la fantasia di credere in un mondo
migliore, che lui non aveva mai nemmeno sperato di vedere. Il suo
sorriso sapeva illuminare quella stiva molto più che la sua
luce corporea. Il tono della sua voce sapeva riscaldare
l’ambiente più del calore che emanava lui.
Avannah era tutto
in più di lui.
“Ci si
può innamorare di un fulmine?” chiese lei ad un
certo punto.
“E’
mai successo?” incalzò.
“Come
potrebbe?!” Pronunciò duro lui.
“Non
c’è mai stato nessun fulmine catturato, tenuto
prigioniero e curato da un ragazza infantile, in tutta la storia del
mondo?” chiese di nuovo.
“Mai!”
“Fino ad
ora..”
Come poteva provare
quel fuoco dentro?
Cosa era quella
felicità mai sentita?
Lei gliela stava
facendo provare?
Maledetta Avannah
… maledetta umana….maledetta
ragazzina…maledetta…
Perché
gli faceva provare quelle cose, perché proprio ora che aveva
finito di vivere?
Sowil chiuse gli
occhi, cercando di mantenere il controllo di sé. La
sentì muoversi e poi percepì un tocco sulla sua
mano incatenata…lei gliela stava stringendo nella sua con
naturalezza.
“C’è
mai stato un fulmine innamorato di un’umana?”
chiese lui.
“Mai!”
“Fino ad
ora..”
E lei lo
baciò. Accarezzò quei capelli morbidi,
sfiorò quelle labbra calde che risposero alle sue
intensamente. Lo baciò e lo strinse a sé.
Quando si
risvegliò era ancora appoggiata al suo torace caldo.
Aprì le palpebre con calma, temendo di vedere tutto sparire.
“E’
l’alba! Dovresti andare!” le disse lui, con quella
sua voce leggermente infastidita di sempre.
“Tra due
minuti!” sussurrò lei inspirando profondamente il
suo profumo.
“Ora…stanno
arrivando!” disse imperativo lui. “Nasconditi
dietro a quei sacchi, svelta!”
“Ma
come…Neor…nel pomeriggio..”
farfugliò sentendo passi familiari sopra di loro.
“Hanno
accelerato i motori di notte…” spiegò
cauto, fissandola tranquillo. “Arrivare nel pomeriggio
sarebbe stato pericoloso e poi… tu a quest’ora
dovresti dormire!”
“Così
non ti avrei visto..” lui annuì in risposta,
spingendola appena col corpo verso il nascondiglio designato.
Avannah
afferrò le sue cose velocemente, correndo appena e
sistemandosi dietro a un grosso scaffale, cercando di calmare il
fiatone che le era venuto.
“Sowil…”
si sentì chiamare lui, ma non rispose, non ce
n’era bisogno.
“Io sono
innamorata di te!” ammise Avannah lentamente, posando una
mano sul suo petto, all’altezza del cuore, sentendolo battere
forse.
“Calma i
battiti Avannah!” la rimbeccò lui e
poi…il silenzio.
Lo vide trascinato
via.
Seguì la
macabra processione il più possibile attraverso le finestre
della stiva.
Rivide i suoi occhi
color del ghiaccio rivolti alla ciurma e poi, nel momento in cui
spostò lo sguardo verso la nave e scorse lei, divennero
grigi, metallo fuso.
Salì sul
ponte, con la semplice camicia da notte leggermente sporca e i suoi
piccoli piedi freddi.
Il dottore, unico
rimasto a bordo, non sembrò sorpreso di vederla in quello
stato, e lei non fece domande né diede spiegazioni.
Semplicemente
lasciò che le si avvicinasse e provasse a darle forza
stringendole la mano.
Lei
osservò in silenzio quel contatto, ricordando che fino a
poche ore prima quella stessa mano stringeva nella sua il corpo
perfetto del suo angelo personale.
Ora…era
solo un arto vuoto.
Urlò,
rivolta al cielo, al mare, alla terra… a tutto!
Urlò soltanto, incapace di fare altro.
Sono
passati 150 anni da quella tiepida mattina…
Volete
sapere come si conclude questa storia? Ve lo dirò…
Sowil
venne venduto al contrabbandiere, come stabilito, e in pochi
giorni una strana, vecchia donna lo acquistò ad un
bel prezzo.
La
sua vita si spense lentamente, giorno dopo giorno, per permettere ad
un’altra di rifiorire, cosa che però non avvenne.
Il
contrabbandiere fu quindi punito per imbroglio e, come in una catena di
sangue, egli stesso si vendicò sul padre della giovane
Avannah, uccidendolo brutalmente in una notte tranquilla. Ma questo
avvenne mesi e mesi dopo, quando ormai per Sowil non vi era
più alcuna speranza.
Avannah
fu anch’essa “venduta”, in modo forse
più legale. Quel tale, Williams, la sposò nei
primi di Dicembre di quell’anno. A dispetto delle apparenze
fu per lei un marito gentile e fedele. Il sentimento che
provò per lei durante tutta la sua vita fu sincero, anche se
non ripagato. Perdonò ogni suo capriccio, lasciandole anche
gestite la sua villa sulle coste del mar di Sanh.
Ma,
per quanto il tempo passasse, lei restava bella e giovane in modo
innaturale.
Ancor
oggi… si racconta di una bellissima donna che viaggia sola
per tutto il mondo e racconta la sua vita, tornando anno dopo anno
negli stessi posti per aggiungere particolari alle sue avventure e,
ogni tanto, lascia anche un bel lieto fine.
La
si descrive come sempre attorniata da gente quanto sola, come
silenziosa quanto dalla voce mielosa, come sorridente quanto triste.
Nessuno
sa come viva, soprattutto come riesca a farlo per sempre, e nessuno
è mai riuscito a vederla arrivare o partire, semplicemente
se la ritrovano seduta sotto un albero e i bambini vengono attratti
come mosche al miele.
Se
mi chiedete un giudizio, vi dirò che la sua figura
misteriosa mette una profonda sensazione di malinconia, soprattutto
nelle notti fredde, in attesa dello scatenarsi di un temporale, quando
le vecchie case dei villaggi chiudono le imposte e i fumi dei camini si
fanno più densi.
Lei
resta là, in piedi, rivolta verso il mare, anche se da
lì non lo si vede, e, alzando il volto alle nubi scure e
assaporando l’acqua dolce cadere dal cielo, urla sempre la
stessa, insolita parola. Un nome…
Sowil la
osservò dormire stretta a sé. Soffiò
appena su una sua ciocca di capelli che le copriva il volto,
disturbando la visuale perfetta che aveva della ragazza. Sorrise, per
la prima volta nei suoi millenni di vita, sorrise…in modo
naturale, dolcemente.
Capì che
qualcosa era cambiato, il vento era più violento contro le
pareti della nave, i motori facevano più rumore del
solito…avevano accelerato.
E capì
che forse non avrebbe avuto molto tempo ancora da passare con lei.
Probabilmente sarebbero state poche ore ancora.
Sentì
qualcosa di umido percorrere il suo volto e poi cadere proprio sopra i
capelli mossi di lei.
La sua prima
lacrima…
Fu a quel punto
che, guardando il piccolo squarcio di cielo dalla
finestrella, strinse il suo patto.
Con le stesse
stelle con cui aveva giocato tante volte… Giurò
che avrebbe rinunciato alla sua immortalità, alla sua vita,
alla sua anima… giurò tutto quello che aveva e,
in cambio, chiese solo la realizzazione del sogno di Avannah! Ogni cosa
per lei… solo per lei.
Nessun
desiderio umano verrà mai a costare tanto.
Nota: Dunque per me è stato
ungrande piacere scrivere questa storia e sapere che è stata
apprezzata, spero non solo da una persona in ogni caso...
non c'è poi
molto da dire, riporto qui il giudizio della gentilissima giudice
Eliezer... grazie ancora anche a chi perderà qualche minuto
lasciandomi un commento sulla storia! ben accetti tutti i giudizi...
5.
meli_mao – Ci si può innamorare di un fulmine?
Lessico ed
ortografia_7.8/10
Correttezza
grammaticale_8/10
Originalità_15/15
Caratterizzazione
dei personaggi_9 /10
Sviluppo della
vicenda_10/10
Attinenza alla
trama_14/15
Giudizio
personale_4/5
Totale_60/75
Guarda, la trama
è stupenda *-* Infatti puoi vedere dal giudizio personale,
che mi è piaciuta :)
Originalità,
sviluppo della vicenda: punteggio pieno. Poi c’è
la caratterizzazione dei personaggi, dove non hai avuto proprio il
massimo, solo perché io, leggendo molti fantasy, sono
abituata ad avere più parametri per scoprire e studiare un
personaggio. L’unica cosa che devi migliorare non
è la grammatica in sé, ma la rilettura dopo aver
scritto. Ci sono alcuni palesi errori di battitura, ed altri di
grammatica anche sciocchi, dovuti a distrazione :) Non è un
problema, si può sempre recuperare in poco, anche
perché alcune parole che in genere vengono sbagliate (come
accelerare), le hai scritte bene. Non c’è da
preoccuparsi, quindi :°D
Beh, io non ho
nient’altro da dirti, anche perché la storia
è mi piaciuta molto, sarebbe una buona bozza per un romanzo.
E, perché no, potresti anche inviarlo ad una casa editrice!
In bocca al lupo, e
grazie! <3
Alla prossima :)
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