Sono tornataaaaa!! *Suono di grilli in
sottofondo*Ehm… hallo? *ancora
grilli* C’è nessuuuuno?
…
…
Sniff, lo so di essere in ritardissimo,
ma potreste almeno non punirmi con il silenzio… ? Y.Y
…
Vabbé, lasciamo spazio alle recensioni. Sob.
Risposte
alle recensioni:
Gloglo_96:
Spero che questo capitolo non ti
lasci stranita come l’ultimo! Lunghino anche questo (25
pagine), e come sempre pieno di avvenimenti. Goditelo fino in fondo! ^^ Ciao ciao
kry333:
Non dico nulla non dico nulla…. <.< Mah, non sarò un po’ prevedibile? Va bhe. Lascio la parola al capitolo! Mi ha fatto piacere che
le Anticipazioni siano state gradite! Grazie!
sakura92:
E dopo un’estenuante attesa il
segreto di Sakura svelato! Ma non del tutto eh. Altrimenti posso fare armi e
bagagli e finire qui la fic! ^^ Spero che le tue
occhiaie non siano state troppo profonde! Bhe, la tua
attesa è finita! ^O^ ciaoooo!!
Rinoagirl89:
LUUUU!!! é.è Mi dispiaceee!!! Sono mancata per tanto tempo! Y.Y Perdonami per la mia lunga assenza e anche per la
mancata presenza di Sasuke in questo capitolo! Sob! Fan delle Shika Tema eh? Anche
a me piace quella coppia, ma si sa, ogni personaggio è il più bello per la sua
mamma! ^_^ Quindi Moriko ha la precedenza! Mhwahaha! In questo capitolo Coco fa comparsa, ma non ci
sarà nel prossimo. Scusa… X( Ti è piaciuta la ragazza
alla fine del capitolo eh? (gongola) Lo so lo so, le OC sono la mia specialità.
Ok ora basta con le ciance e corri a leggere! Marsh! Ps. Fammi gli auguri per gli esami!! O.O’’
Capitolo 23:
Verità svelate
Quando la
sveglia suonò sul suo comodino, puntualmente come tutti i giorni alle 6,25 del
mattino, Sakura era già sveglia. I suoi occhi, seppur avvertiti intorpiditi e
pesanti sulle palpebre, erano rimasti aperti per quasi tutta la notte, facendo
comparire inevitabilmente sotto di essi
delle lievi occhiaie, testimoni di una notte passata a girarsi e
rigirarsi come un’anima in pena sotto le coperte.
Sospirò,
allungando una mano sull’aggeggio, spegnendolo con un colpo secco, per poi
ritirarla nuovamente sotto le lenzuola e tornare a concentrarsi sul soffitto
della propria camera.
Aveva ancora
in testa gli avvenimenti della scorsa notte: non solo aveva attraversato tutta Konoha per cercare Moriko,
fuggita dopo essere stata baciata da quell’imbecille di Shikamaru,
ma si era anche trovata faccia a faccia con Sasuke.
Sentì il suo
petto tremare al ricordo delle parole del moro, portandola ad afferrare i lembi
della propria coperta e portarsela fino agli occhi, coprendosi il volto, quasi
quel pezzo di stoffa imbottita potesse farle da scudo di fronte agli
avvenimenti dell’altro giorno e dalle sue conseguenze sui giorni successivi.
I sui denti
artigliarono con fare nervoso il labbro inferiore, per evitare che ne uscisse
un singhiozzo.
Ancora non
riusciva a capacitarsene.
Era stata
una stupida: tutta quella fatica, quelle bugie per le quali aveva dovuto fare i
salti mortali, per poi essere messa con le spalle al muro in quel modo
ridicolo.
E tutto
perché aveva abbassato la guardia per un misero istante.
Riabbassò la
trapunta, posandosela sul naso e scoprendo gli occhi già umidi per il pianto ormai prossimo ad esplodere.
Questa volta
non se la sarebbe cavata con una scusa o una bugia, ne era sicura, Sasuke non avrebbe mai mancato di informare Kakashi-sensei delle sue ultime scoperte. Anzi, era
addirittura probabile che il jonin ne fosse già stato
informato da tempo.
Serrò gli
occhi con forza, lasciando un paio di lacrime di frustrazione scivolarle lungo
le proprie guance.
No, no! Così
non andava! Non poteva arrendersi in quel modo!
Era sicura
che avrebbe trovato una scappatoia, l’unica cosa che doveva fare era trovarla.
Con un gesto
secco liberò le proprie gambe dalle lenzuola, alzandosi in piedi di scatto ed
afferrando la propria divisa ninja dalla sedia posta accanto alla scrivania. Se
la infilò senza tante cerimonie ed uscì dalla stanza passando davanti allo
specchio come se non esistesse.
Arrivata
alla fine delle scale, trovò sua “madre” in cucina intenta ad apparecchiare con
la solita aria seccata la tavola anche per lei.
Appena la
vide oltrepassare la soglia della stanza, Riiki la
squadrò severamente, incrociando le braccia al petto, seguendola con quei suoi
irritanti occhi color pagliericcio finché non si fu seduta a tavola.
Lei non si scompose
più di tanto: ormai era abituata a quella routine nella quale era costretta a
vivere da quando era stata presa sotto la custodia di quella donna, portandone
il nome da almeno 8 anni.
Senza dar
segno di essersi accorta di quella gelida accoglienza, Sakura si sedette
compostamente, con la schiena ritta e prese tra le mani le bacchette, unendole in
segno di ringraziamento e chinando leggermente in avanti il capo, con gli occhi
chiusi con decoro.
“Itadakimasu.”
Proferì semplicemente per poi attendere che anche la “madre” si fosse seduta
davanti a lei, facendo altrettanto.
Mentre
mangiavano, la cucina fu sommersa da un pesante silenzio, cosa non abituale,
anche in una “famiglia” come la loro, ma sapeva bene il perché di tutta quella
freddezza: era da quando aveva incontrato Moriko
all’ospedale che Riiki non le rivolgeva più la parola
nemmeno per le più semplici domande di circostanza. Non che lei ne soffrisse,
in fondo anche lei aveva le sue ragioni per non rivolgerle più di semplici
frasi di cortesia. Per farla breve: lei non aveva gradito quel moto di
ribellione nei confronti della sua, seppur formale, autorità di madre e Sakura stava rispondendo
con il suo stesso silenzio allo schiaffo che Moriko
aveva dovuto subire.
Poco male…
pensò … in fondo non è molto diverso
rispetto agli altri giorni.
“Io ho
finito. Era tutto squisito.” Disse meccanicamente subito dopo aver ingoiato
l’ultimo pezzo di pesce, riunendo le mani davanti a sé con cortesia e
sparecchiarsi, cominciando a lavare quello che aveva usato nel lavandino e
metterlo da parte sul lavabo. Anche quella era una clausola del loro
condividere lo stesso tetto: Riiki Haruno le dava vitto, alloggio e un nome che le assicurasse
la sua permanenza al villaggio, e lei le evitava il disturbo di farle da
cameriera, non facendole pulire né la sua camera, né le cose che lei utilizzava
per mangiare o dormire. Addirittura lavavano le rispettive biancherie
separatamente.
Certe volte
Sakura, nel vedere come Riiki evitasse accuratamente
di toccare tutto quello che entrava a contatto anche solo per sbaglio con lei,
si era domandata se non la vedesse come un animale fastidioso ed affetto da una
strana malattia contagiosa.
Però il coraggio per schiaffeggiarmi l’ha
avuto… rifletté ostile, lanciando un’occhiata
alla donna che mai e poi mai avrebbe chiamato mamma.
Non appena
ebbe lavato anche l’ultima ciotola, poco prima usata come contenitore della sua
porzione di riso, si sfilò i guanti di gomma, dirigendosi a passi veloci e ben
cadenzati verso l’entrata, infilandosi
le scarpe, per poi lanciare un’occhiata guardinga alla sua matrigna.
Bene, non la
degnava nemmeno di uno sguardo. Di solito quando la guardava mentre usciva di
casa era perché voleva sapere dove stesse andando e questo implicava quasi sempre
un sospetto nei confronti del suo comportamento.
Questo
significava che aveva recitato bene la sua parte anche quella mattina.
Senza
aspettare un secondo di più uscì da quella casa, ritrovandosi con suo grande
sollievo a contatto con l’aria fresca di Konoha.
Ne inspirò
una grande boccata, riempiendo così tanto i polmoni da farseli quasi scoppiare,
per poi buttarla fuori in un sol colpo, godendosi la sensazione di essersi
appena depurata dall’atmosfera viziata nella quale era stata sommersa poco prima.
Bene… si disse riaprendo gli occhi
decisa … almeno una cosa buona è
successa ieri.
Si volse
velocemente da una parte cominciando a percorrere a passo abbastanza veloce la
via che l’avrebbe portata verso il suo obbiettivo.
Lo stesso di
ieri notte.
Sì, perché
l’unica cosa buona che era riuscita a scoprire, seppur disturbando il riposo di
Hinata e Neji era che Moriko si era rifugiata veramente da loro e che avrebbe
passato la notte nel quartiere degli Hyuuga.
Il sole era
sorto da poco quando Moriko, stropicciando gli occhi
a causa della luce, che prepotentemente l’aveva disturbata, si mise seduta nel
futon con lo sguardo perso davanti a sé, per poi scorrere stancamente il viso
alla propria destra, fino ad arrivare alla porta che dava sul giardino della villa.
Il suo
occhio socchiuso ed ancora assonnato si incantò a guardare la sabbia bianca ed
ondeggiante del giardino per poi soffermarsi sulle foglie degli alberi, sulle
pietre, fino ad arrivare alla recinzione che ne segnava la fine.
Il modo in
cui la luce del sole si infrangeva sulla staccionata in particolare, la lasciò affascinata,
quasi perplessa, a causa della sfumatura che aveva assunto il cielo
all’orizzonte, visibile anche dalla sua posizione.
Rosso.
Un colore
che le ricordava molto il fuoco… e non solo quello.
Suoni di passi frettolosi, dello
scoppiettare di tante fiaccole, accese disperatamente su delle torce.
Poi un liquido rosso, caldo, viscioso, dall’odore acre e il sapore metallico.
Sbarrando l’occhio, scostò velocemente il volto da
quella visione purpurea, sopprimendo a fatica quei sibili insinuanti che le
invadevano sia il corpo che la mente, facendola tremare di paura.
Le mani si
strinsero l’una sull’altra quasi in preghiera, rimanendo poggiate in grembo e
la sua testa si chinò in avanti mentre un nome, mai pronunciato, le salì
spontaneamente alla gola muovendole le labbra in una muta supplica.
“Moriko-chan?” la voce di Hinata
le arrivò improvvisamente alle orecchie facendola sobbalzare dalla sorpresa e
voltare verso la figura dell’amica, apparsa da poco sulla soglia della stanza.
“Hinata-… chan?” sussurrò incerta,
vedendola entrare nella stanza con aria preoccupata e sedersi affianco al suo
letto.
“C-come ti senti?” domandò preoccupata l’altra torcendosi
nervosamente le mani.
“Bene.”
Rispose semplicemente la ragazza dai capelli verdi, ma questo non bastò per
tranquillizzare Hinata che, solo la sera prima, si
era vista apparire in evidente stato confusionario la migliore amica, riversa
di schiena sul retro di casa sua.
“Sei
sicura?” insisté premurosa “Ieri eri… eri
spaventatissima, Moriko-chan.”
La mente di Moriko ripercorse automaticamente gli avvenimenti della
giornata precedente, ma non appena arrivò sul particolare che aveva dato il via
alla sua fuga, la sua palpebra semichiusa si aprì completamente, sentendo
quei sussurri malefici tornare alla
carica.
Lanciò un
gemito lamentoso, tappandosi le orecchie con le mani e cominciando a tremare
forse più di prima.
“M-moriko-chan?!” sussultò Hinata
vedendola in quello stato, facendo per alzarsi e farsi più vicina all’altra,
ma, quando il suo sguardo perlaceo si posò sul lenzuolo del letto, si bloccò,
vedendo una goccia infrangersi e venire assorbita dal cotone.
Stava
piangendo.
“Moriko-chan…?”
“Io… io…” balbettò incoerentemente,
mentre dal suo occhio sbarrato continuavano a sgorgare copiose le lacrime “… io
… non potevo…”
Hinata rimase in quella posizione, attendendo a fiato
sospeso che Moriko continuasse.
“… io non potevo… rimanere lì. Io… gli avrei… avrei… “ continuò
fermandosi ogni qualvolta un singhiozzo le erompeva in petto
“Che cosa?”
chiese quasi senza rendersene conto Hinata, non
osando neppure toccarla per paura di farla scattare via e vederla fuggire,
spaventata da chissà cosa.
“… avrei
fatto del male… a … a Shikamaru
nii-san.”
A quella
rivelazione la giovane Hyuuga si pietrificò, non
sapendo che cosa pensare.
“Io… non so che cosa… sia successo
…” continuò imperterrita a spiegare Moriko, sempre
tenendosi le mani sulle orecchie e chinando sempre più in avanti la schiena.
“ma… con me vicino… Shikamaru nii-san sarebbe… sarebbe…”
Un sibilo
più forte le fece lanciare un urletto strozzato,
spingendola ad abbassare la fronte fino alla coperta.
A nulla
valsero i tentativi di Hinata di richiamarla e
cercare di calmarla: rimase in quella posizione, con l’occhio serrato, finché
non sentì le mani calde e rassicuranti dell’amica cingerle le spalle e i
sussurri malevoli farsi più fievoli all’istante.
Ok, avevano
superato il limite.
Non solo la
stavano tenendo sotto chiave da una settimana , ovvero, da quando quelle due idiote
erano venuta a farle una “visitina” di cortesia, ma si erano anche messi in
testa di farle vuotare il sacco.
E, non
contenti, oltre al danno anche la beffa: l’avevano chiusa nella propria stanza
impedendole di muoversi con centinaia di carte bomba appese alle pareti,
costringendola a stare sul letto, venendole a fare visita solo quando
necessitava di cibo o arrivavano le 5,00 di sera per continuare
quell’estenuante interrogatorio.
Coco ormai
stava diventando rabbiosa. Oh, Gaara gliel’avrebbe
pagata. Eccome se l’avrebbe fatto.
Come si era
permesso a spifferare a Temari e Kankuro
quello che era successo tra lei e quelle due dementi delle sue cugine? Non si
aspettava che le sue minacce non avessero sortito alcun effetto su di lui.
Andiamo! Quale imbecille al mondo l’avrebbe sfidata così apertamente!? Era
senz’altro un masochista quel rosso che si era incaricata, per sua grande
iella, di proteggere.
Non per molto però…
si disse ringhiando sommessamente mentre guardava con astio la porta della
camera … ho promesso di proteggerlo,
ma di certo non mi è vietato torturarlo. Ragionò pregustando già il
modo con il quale gli avrebbe fatto pentire del suo tradimento, ridacchiando
sadicamente.
Stava ancora
fantasticando su corde e sabbie mobili quando il ringhio insoddisfatto del suo
stomaco la interruppe, facendola impallidire e, inclinando la testa da un lato,
con la bocca semiaperta dalla quale sembrarono spuntare un paio di canini
aguzzi, vide la sua anima cercare di scivolare beatamente fuori dal suo corpo
dopo aver risalito il suo esofago.
“Ho faaame…” sussurrò disperatamente afferrando l’anima per
l’estremità informe e ricacciarsela dentro, per poi tenersi una mano davanti
alla bocca.
Intorno a
lei la stanza sembrava stranamente sfocata.
Avrebbe dato
qualsiasi cosa per un bel nikuman, magari con piccola
aggiunta di paprika nel ripieno. Oh sarebbe stato un sogno.
Adesso che
ci pensava, però, da quanto tempo non veniva Kankuro
a portarle cibo? Nella sua stanza non c’era neppure un orologio.
Vediamo…
ragionò lanciando un’occhiata alla finestra dal quale il cielo rossiccio di Suna, sopra le case color ruggine, faceva da panorama … Il sole sta per tramontare e l’ultima
volta che sono entrati da quella porta erano le 2… se non sbaglio dovrebbero essere…
Aveva
cominciato a contare con le dita delle mani senza accorgersene, ma si fermò
immediatamente, con lo sguardo perso nel vuoto, finché la sua pancia non si
fece nuovamente sentire, questa volta più adirata di prima.
“AAAARGH!!!”
sbraitò mettendosi in piedi sul letto con le mani tra i capelli.
“BASTA! NON
CE LA FACCIO PIU’!!!!”
Finito lo
sfogo si lasciò ricadere sfinita sul letto con le gambe a penzoloni e le
braccia rilassate, osservando sconsolata le carte bomba che attorniavano il suo
giaciglio non permettendole di alzarsi.
Che situazione schifosa.
Il cigolio
della porta della stanza preannunciò l’arrivo dei fratelli Subaku.
“Era ora…”
sussurrò non facendosi sentire, sperando ardentemente che Kankuro
si fosse ricordato che lei faceva sempre uno spuntino nel tardo pomeriggio.
Rialzò
stancamente lo sguardo, sorreggendosi la testa con una mano, inclinandola da un
lato e scoccando un’occhiata impaziente a Temari, Kankuro e Gaara che rimanevano al
sicuro dalle carte bomba restando sulla soglia ed appoggiandosi agli stipiti di
essa, squadrandola indagatori.
Il suo
sguardo incrociò quello del rosso, imperturbato e freddo come sempre.
Dovette fare
uno sforzo immane per soffocare la serie di insulti, che le invasero il
cervello nell’istante in cui lo vide.
“Ciao,
Coco.” Intervenne placidamente la voce di Temari,
distraendola poco prima che lei potesse cedere ai suoi bassi istinti.
La biondina
si voltò verso la ragazza.
Dire che in
quel momento i suoi occhi verde giada mandavano fiamme sarebbe stato un
eufemismo, parevano promettere mille o più modi di morire.
Temari sbuffò chiudendo gli occhi per non incontrare quello
sguardo accusatore. Neanche a lei piaceva quella situazione, aveva cominciato
finalmente a farsi piacere quella scontrosa biondina, ma, dal giorno in cui Gaara aveva riferito a lei ed a Kankuro
la strana conversazione avvenuta tra lei e le due intruse di pochi giorni fa,
si era vista costretta a rivalutare il proprio comportamento ed a prendere
misure drastiche.
“Credimi Coco,
tenerti rinchiusa qui dentro non fa piacere neppure a me.” Disse accomodante la
ragazza, ritornando ad affrontare gli occhi dell’altra con i propri, mentre i
due fratelli facevano, come da copione, da silenziosi spettatori.
“Ma finché
non ci dici chi erano quelle due donne e il rapporto tra te e loro…” continuò scandendo bene ogni parola per assicurarsi
di essersi fatta capire “… non possiamo lasciarti uscire da qui.”
“Tsk.” Sibilò Coco, scattando la testa da una parte, quasi
sputando quel monosillabo colmo di disprezzo “Come no, sono certa che ora mi
direte che mi state facendo un favore a tenermi chiusa qui dentro, invece che
in una delle celle di Suna.”
Il tono
sarcastico della belva gialla provocò uno sbuffo esasperato da parte di Kankuro, che si strofinò la testa da sopra il cappuccio.
“Guarda che
anche noi rischiamo, non consegnandoti alla squadra interrogatori …” specificò
accigliandosi il marionettista .
A quelle
parole Coco inarcò un sopracciglio con sufficienza “Ah, davvero?”
“Ascolta
Coco, …” riprese Temari, facendo trasparire dalla
propria voce una certa nota di impazienza “, … capisco che in questo momento tu
ti senta in qualche modo tradita, ma devi capire che se non ci racconti tutta
la verità, noi non possiamo fidarci di te, né tantomeno aiutarti.”
I tre
fratelli di Suna videro Coco abbassare la testa,
incavandola nelle spalle cominciando a sussultare, ma, anche se la loro prima
impressione fosse quella che stesse piangendo, dovettero ricredersi, trovandosi
a ad ascoltare la risata più fredda ed amara che avessero mai udito.
“Certo,
certo.” Ridacchiò la biondina con una mano sugli occhi mentre cercava di
smettere di ridere “Valla a raccontare a qualcun altro la bella storiellina del
fidarsi, Temari.”
Inclinò la
testa da un lato, lanciando un’occhiata insinuante e derisoria verso di lei,
lasciando che le ciocche bionde delle proprie codine ispide le incorniciassero
meglio il viso, conferendole un aspetto ancora più minaccioso.
“Ho già
fatto quell’errore nel bagno e non penso proprio di ricascarci così facilmente.”
“Coco…” sussurrò inquieta Temari,
vedendola in quello stato.
Fu allora
che Gaara, per la prima volta in quasi 5 giorni,
parlò.
“Sicura di
voler finire sotto i ferri della squadra interrogatori?”
La risata
della biondina cessò improvvisamente ed un paio di occhi verdi e freddi
scattarono sul rosso.
Temari e Kankuro rimasero lì
fermi e preoccupati ad osservare quei due sfidarsi a vicenda, rimanendo in
silenzio senza mai distogliere lo sguardo l’uno dall’altro, come la prima volta
in cui si erano incontrati.
Gli occhi di
Coco si assottigliarono minacciosamente e Kankuro
poté giurare di essere in grado di sentire il lieve stridore dei denti della
biondina nel tentativo di sopprimere la rabbia.
Poi accadde
l’inaspettato.
Una mano
della biondina scattò verso uno dei cuscini della stanza, afferrandolo e
lanciandolo malamente verso di lui, rischiando di farlo cadere proprio in mezzo
alle carte bomba.
Temari e Kankuro trattennero il
respiro.
“Gaara!” riuscì a dire con tono strozzato la kunoichi, per poi vedere, con suo grande sollievo, la
sabbia del fratello fuoriuscire dalla giara e soffocare nella propria silenziosa
morsa il cuscino, poco prima che quest’ultimo cadesse a terra.
Nella stanza
i presenti , chi più o chi meno esplicitamente, lanciarono un sospiro di
sollievo.
Per un pelo.
Tuttavia,
non appena realizzarono che il peggio fosse passato, dovettero ricredersi,
vedendo la mano sabbiosa del fratellino cominciare a scattare in quante più
direzioni possibili per afferrare in tempo la serie di oggetti che Coco aveva
continuato a lanciare contro di loro.
“Non ti
sopporto!!” urlò improvvisamente la ragazzina, tra un oggetto e l’altro,
fermandosi per un attimo per riprendere fiato, abbassando il capo e nascondendo
il viso alla loro vista.
“Tu…” ringhiò, stringendo i pugni sulle lenzuola del proprio
letto “… pensi di sapere tutto, vero? Ti fai tanto grande, tanto forte… quando in realtà il vero dolore non l’hai mai
provato!!!” concluse con fierezza, ritornando a sfidarlo con lo sguardo e,
questa volta, anche Gaara trattenne il fiato, nel
vedere gli occhi adirati di Coco farsi lucidi.
“Coco…?” fece per chiedere Temari,
rinunciando però quasi immediatamente e completare la domanda, nel vedere
l’altra ignorarla del tutto, come se non esistesse altro che lei e Gaara.
“Tu non hai
idea, di cosa voglia dire, perdere tutto. Non sai cosa significhi essere così
felice da poterti permettere di ridere ogni benedetto giorno e poi
all’improvviso ritrovarti completamente solo…”
La voce di
Coco, diventata molto simile ad un sibilo, era ormai l’unica cosa che si poteva
udire nella stanza. Nessuno di loro osava interromperla, anche perché, visto il
modo in cui si stava comportando, erano certi che non gli avrebbe nemmeno
ascoltati.
La mano
rosea della biondina scattò nuovamente e con lo stesso movimento repentino
afferrò la lampada del comodino accanto al letto, alzandola verso l’alto con
disperazione per poi gettarla verso terra.
Anche quella
volta però, la sabbia del Jinchuuriki intercettò
l’oggetto appena in tempo, evitando loro di ritrovarsi con un’esplosione in
piena regola dentro casa.
“Cazzo Gaara, svegliati! Smettila di fare la vittima!” esclamò
sorreggendosi con una mano sul letto, leggermente inclinata da una parte,
rimanendo seduta a ginocchioni. Alle orecchie dei tre la voce era uscita
stranamente incrinata.
“Tu ce l’hai
una famiglia, no? Temari e Kankuro
sono i tuoi fratelli,…” continuò imperterrita quella sua rabbiosa e sofferta invettiva.
Coco ormai
sentiva la gola farsi secca ed arida, ma non le importava di rimanere senza
voce.
“…, ma
allora perché diavolo continui ad avere quel maledetto sguardo?!”
Che tipo di sguardo? Si domandò Temari, lanciando un’occhiata preoccupata al fratellino,
che in quel momento aveva in volto la solita espressione fredda ed
indecifrabile in volto. Anzi no, gli occhi non erano gli stessi di sempre, sembrava… sì, sembrava che si stesse addirittura sforzando
di rimanere impassibile.
“SMETTILA DI SEMBRARE MORTO, DANNAZIONE!”
Fu quella la
conclusione del suo sfogo. Una frase che lasciò la stanza più silenziosa di
prima,con solo il suo respiro ansimante a scandire lo scorrere del tempo.
“Cos’è Abeille?”
La voce di Gaara, arrochita come se fosse stata forzata fuori dalla
gola,ci mise un po’ per acquisire senso logico nella propria testa,ma, non
appena lo fece, lei smise di ansare. Chiuse la bocca in un’espressione seria, e
l’aria della stanza sembrò farsi gelida. Temari e Kankuro non si stupirono più di tanto a quella domanda, in
fondo Gaara aveva raccontato ogni minimo particolare
del fatto che gli aveva portati a rinchiudere Coco, ma non si aspettavano che
l’atmosfera della discussione diventasse così fredda al solo formulare la frase.
“È
un’ape.”spiegò Coco brevemente, rimanendo a testa bassa e quasi soffiando
l’ultima parola.
“Un’ape?”
ripeté stranita dopo un po’ Temari, inarcando un
sopracciglio.
“Quelle due
ti hanno chiamato ape?” intervenne Kankuro cercando
lo sguardo della sorella maggiore, anche lui non riuscendo a capire il nesso
tra la più giovane e quel soprannome.
Coco sbuffò,
chiudendosi di nuovo in un ostinato silenzio, voltando poi loro le spalle e
lasciandosi cadere pesantemente sul letto.
“È tutto.”
I tre
fratelli si guardarono a vicenda, capendo che quelle due parole avevano segnato
la fine della loro conversazione. Scuotendo la testa con rassegnazione Temari fu la prima ad allontanarsi dalla stanza, venendo
poi imitata da Kankuro.
Solo Gaara rimase di più, osservando insistentemente le spalle
della biondina rimanere immobili, come se stesse evitando addirittura di
respirare.
Le palpebre
del Jinchuuriki si abbassarono lievemente, venendo
invaso dallo sgradevole presentimento di capire il motivo di quella immobilità,
e per un attimo si sentì colpevole, come quella volta in cui i suoi fratelli lo
avevano portato via da Konoha più morto che vivo,
rischiando di venire catturati per non averlo lasciato indietro, essendo lui
stesso, l’arma di Suna,diventato un peso inutile.
Lentamente
si voltò dall’altra parte chiudendo dietro di sé la porta della stanza, senza
riuscire comunque a togliersi di dosso l’orribile sensazione di essere lui la
causa principale di quello sguardo disperato.
E mentre lui
poggiava la schiena sul legno pressato che lo separava dall’altra, cercando
freneticamente di capire da dove gli venisse quel senso di colpevolezza, Coco,
udito lo scatto della serratura, aveva ricominciato a far entrare aria nei
polmoni, dando sfogo alle sue lacrime che silenziose le scendevano sul viso,
mentre le sue labbra serrate impedivano ai singhiozzi che aveva in gola di
propagarsi per la stanza.
Non posso continuare così…
“Come
sarebbe a dire che è uscita?!” esclamò Sakura agitando disperatamente le mani
tra i capelli, scompigliandoli per il nervoso. Davanti a lei Neji Hyuuga e sua cugina Hinata la guardavano più mortificati che mai, avendole
appena riferito che la cugina era uscita una mezzoretta prima dal quartiere del
loro clan, dopo aver appositamente ringraziato sia loro due che Hiashi-san per l’ospitalità ricevuta.
Hinata chinò il capo dispiaciuta.
“G-gomenasai, Sakura-chan.”
Sussurrò sinceramente costernata per il disturbo che aveva procurato
inconsapevolmente alla rosa, mentre Neji lanciava uno
sbuffo silenzioso, a causa dell’incredibilità della situazione.
“E non avete
idea di dove possa essere andata?” chiese sbrigativa l’Haruno,
aggiustandosi la chioma rosata alla bene e meglio, già pronta a ripartire alla
ricerca di Moriko.
Ma come
faceva a sfuggirle in quel modo?! Accidenti!
Tutta colpa di Shikamaru…
rimuginò mentalmente, meditando vendetta nei confronti del genin.
Il segno di
dissenso dei due cugini la fece quasi andare nel panico: doveva ricominciare
tutto daccapo?!
“Aspetta un attimo…” intervenne cortesemente Neji,
attivando in un battito di ciglia il proprio Byakugan
che gli contornò le tempie con le solite escrescenze venose e gli fece dilatare
l’invisibile pupilla ai limiti di ogni umana sopportazione.
Grande Neji!
Esultò Sakura, ripromettendosi di ringraziare appena possibile l’altro.
Passarono
solo una ventina di secondi prima che Neji, con lo
sguardo fisso verso un punto alla loro sinistra, riprendesse a parlare.
“Trovata.”
Un sorriso si
dipinse su entrambi i volti delle due kunoichi.
“Dove si
trova?” domandò ansiosa la rosa, aspettando di ricevere le indicazioni da parte
dello shinobi per correre all’inseguimento della
cugina.
“A circa 2
kilometri da noi…” spiegò con precisione la promessa
degli Hyuuga, accigliandosi improvvisamente
realizzando una cosa “… si sta dirigendo verso l’uscita del villaggio.”
“Nani?” esclamarono attonite Hinata e Sakura.
Non dirmi che …?
“Sei
sicuro?!” insisté la rosa, assumendo un’espressione talmente seria da
intimidire persino Hinata.
Il ragazzo
però scosse la testa.
“Non del
tutto.” Rispose “Ma a giudicare dal fatto che stia costeggiando il fiume e che
si diriga proprio in quella direzione …”
Non riuscì a
terminare la frase che già Sakura era scattata nella direzione indicatale,
mossa dall’orribile presentimento di sapere quello che aveva in mente Moriko,e non lasciò
neppure il tempo ad Hinata di chiederle che cosa
fosse successo la sera prima alla ragazza.
“Mi dispiace
Itokosan.” Sussurrò a labbra socchiuse, mentre
osservava la montagna dei 4 Hokage per l’ultima
volta, per poi voltarsi e dirigersi a passi decisi lungo la riva del corso
d’acqua, che sinuoso percorreva in lungo tutto il villaggio.
Se ne stava
andando. Questo era quanto, e non aveva alcuna intenzione di tornare indietro.
“Mi dispiace
tanto…”
Non poteva
rimanere lì. Avrebbe rischiato di fare del male a tante persone, troppe. Ormai
se ne stava lentamente rendendo conto: prima o poi avrebbe fatto del male a
qualcuno. Quei dolori, quelle voci orribili
che le echeggiavano nelle vene proprio come 8 anni fa, quando il suo onii-san stringeva amorevolmente una guancia tra le dita,
erano oramai diventati per lei motivo di terrore.
In
particolar modo il giorno prima, quando l’antica ferita del suo occhio destro
aveva pulsato verso l’esterno, mentre quelle
cose le ordinavano di farle uscire.
Moriko si fermò di colpo portando la mano destra al di
sotto della ciocca laterale che le copriva il volto, tastando con la punta
delle dita, e lo stomaco in subbuglio, la carne raggrinzita morbida e
leggermente umida nascosta sotto di essa.
Le sue
labbra pallide si strinsero nervosamente e la mano diafana ritornò tremante
distesa lungo il suo fianco. L’occhio semistretto in un’espressione sofferente
e triste.
Probabilmente
avrebbe cominciato a piangere se la sua attenzione non fosse stata attirata da
un forte tonfo, simile a qualcosa lasciato cadere pesantemente a terra,
proveniente dall’altra sponda del fiume.
Voltandosi
automaticamente verso la direzione da cui era provenuto, come al solito spinta
dalla sua inimitabile curiosità, le venne spontaneo riconoscere, nonostante la
grande distanza che li separava, Asuma-sensei e Kurenai-sensei, occupati, da quel che riuscì a capire, a
parlare con altre due persone che non riconobbe, conciate in modo strano.
L’unico
particolare di quei due strani tizi che la colpì furono i loro cappotti: neri
con delle nuvole purpuree dipinte sopra.
Notò che uno
dei due uomini, con i quali stavano parlando Kurenai-sensei
e Asuma-sensei, aveva tirato su con una mano qualcosa
di particolarmente grosso e lungo, appoggiandoselo sulla spalla destra.
Staranno parlando? Si chiese
incuriosita la ragazza dai capelli verdi, poggiando ambedue le mani sulla
ringhiera in ferro che la separava dal corso d’acqua.
Dovette ben
presto ricredersi quando vide l’uomo con il lungo oggetto, a suo parere una
spada,far scattare in braccio armato in direzione di Kurenai-sensei
e Asuma-sensei bloccare prontamente l’oggetto con le
braccia incrociate in posizione difensiva.
Il suo
occhietto verde giada si sbarrò per la sorpresa, vedendo quella mossa
improvvisa da parte del jonin, che si ritrovò a
fronteggiare da solo quella che sembrava essere l’enorme pressione esercitata
dalla spada dell’avversario. Era così impegnata a guardare piena di ansia
quello che stava succedendo ad Asuma-sensei che non
si accorse neppure di quello che stava facendo Kurenai-sensei.
E ancor di
più non se ne curò quando vide l’uomo dalla tunica nera e rossa ritirare con
uno strattone la propria spada, sciogliendola da delle sorte di bende.
La distanza
che la divideva dal luogo dello scontro non le impedì di notare che la spalla
di Asuma era stata ferita da quella strana arma, che in
quel momento mostrava delle strane cose sporgenti ed azzurrognole.
Il respiro
le si fermò per un attimo in gola, vedendo l’assalitore del sensei,
farsi ancora un po’ più indietro, pronto a caricare un altro colpo.
“Asuma-sensei!” sussurrò con il cuore in gola, stringendo un
po’ di più il ferro battuto che stringeva ancora tra le mani.
L’uomo con
la spada, inaspettatamente, si bloccò, scattando con le braccia come per
difendersi da qualcosa, mentre nel frattempo, l’altro uomo con la tunica
strana, fino ad allora rimasto immobile, si ritrovò dietro Kurenai-sensei
armata di pugnale. Anche in quel momento però successe qualcosa di molto
strano: la kunoichi si bloccò, lasciando tutto il
tempo all’altro di voltarsi verso di lei.
Per la prima
volta, Moriko vide il secondo dei due uomini cercare
di colpire la sensei con un kunai.
A quella
vista la ragazza dalla treccia sentì il cuore mancarle di un battito. La foto
che ritraeva lei, Shikamaru-niisan, Kiba-kun e Kurenai-sensei le
apparve davanti agli occhi come un fulmine a ciel sereno e, mosse dall’istinto,
le sue gambe la alzarono al di sopra della ringhiera per poi in pochi premere
su di essa con un forza tale da farla cigolare pericolosamente. Saltò in avanti
con uno slancio a dir poco incredibile.
Sotto di lei
l’acqua continuò a scorrere, incurante del suo passaggio, riflettendo
l’immagine di lei che, ancora sospesa in aria, attraversò in un lampo il fiume
in tutta la sua larghezza, finché non arrivò, flettendo le ginocchia per
attutire l’ atterraggio, sulla ringhiera opposta.
Afferrando
con una mano il ferro sulla quale in quel momento si era appollaiata, Moriko alzò la testa, ruotandola di fianco nel vedere Kurenai-sensei cadere nel fiume, rimanendo miracolosamente
a galla.
“Moriko?!” esclamò nel frattempo Asuma,
stupito di vederla apparire così all’improvviso e in quella maniera, come del
resto Itachi e Kisame, che
si erano nel frattempo fermati per guardare la nuova arrivata.
Moriko, da parte sua, non diede molto peso agli altri tre
e, continuando a guardare la sua sensei con
espressione apparentemente imperturbata, chiese:
“Kurenai-sensei, daijobu?”
A quelle
parole Kurenai, a ginocchioni sull’acqua nel
tentativo di mantenere un buon controllo del chakra
sulla pianta dei propri piedi, alzò la testa di scatto, incredula.
“Moriko! Che ci fai qui?” chiese piena d’apprensione la donna.
Non ripose
neanche a quella domanda.
Semplicemente
si voltò verso i due mukenin, squadrandoli senza
espressione.
L’uomo dalla
spada che aveva attaccato Asuma-sensei aveva la pelle
azzurra e delle fattezze che ricordavano quelle di uno squalo, mentre l’altro,
più giovane rispetto all’altro, era moro e l’unica cosa strana che possedeva a
parte la tunica erano gli occhi; rossi cremisi come quelli di Kurenai-sensei, ma punteggiati da tre virgole nere attorno
alla pupilla.
Hoshigaki Kisame ghignò divertito
dal comportamento di quella ragazzina, che non smetteva di osservarli con
infantile interesse.
“Ciao
ragazzina.” Disse semplicemente con fare di scherno, mentre dietro di lui Itachi continuava a studiarla silenziosamente.
A dispetto
delle sue aspettative però, Moriko fece una cosa che
nessuna persona avrebbe mai fatto nella sua stessa situazione.
“Ohayo.” sussurrò meccanicamente, senza mai muoversi di un
millimetro dalla propria posizione accovacciata, lasciando interdetti sia il mukenin della Nebbia, sia i due jonin
di Konoha.
Moriko… pensò sudando freddo Asuma …che diavolo
combini? Va’ via.
La ragazza
dai capelli verdi inclinò leggermente la
testa da un lato, più precisamente in direzione di Itachi.
“Non è stato
molto carino, signore.” Constatò con calma, tornando poi con lo sguardo a Kisame “Kurenai-sensei avrebbe
potuto farsi molto male.”
“Moriko!” esclamò improvvisamente la kunoichi,
ancora un poco stordita dal calcio ricevuto dall’Uchiha
“Capisco che tu sia preoccupata per me, ma non devi metterti in mezzo! Capito?
Queste due persone sono molto pericolose! Ci occuperemo io ed Asuma di loro! Tu pensa a metterti al sicuro!”
Le parole
della donna colpirono sì le orecchie di Moriko,
facendola sobbalzare leggermente, ma non nel modo in cui lei aveva sperato.
“Kurenai-sensei.” Disse piano la ragazzina, abbassando
tristemente la testa “Anche io sono..-”
La Samehada venne diretta verso di lei in un istante,
distruggendo la ringhiera in ferro sul quale si era poggiata.
Il mukenin dalla pelle azzurra rimase piacevolmente sorpreso
nel vedere che la mocciosa era riuscita non solo a scansare il suo attacco, di
una velocità degna di un maestro di spada quale era lui, ma era totalmente
scomparsa dalla sua visuale.
“Mi
dispiace, signore.” Disse una voce dietro di lui.
Asuma sbarrò gli occhi, vedendo riapparire Moriko alle spalle di Hoshigaki Kisame come dal nulla.
La ragazza
si abbassò velocemente, flettendo un ginocchio da un lato, mantenendosi in
equilibrio con il supporto delle braccia poggiate sul terreno, mentre roteò
l’altra gamba puntando alle caviglie del più grande, evidentemente per fargli
perdere l’equilibrio, senza però riuscire a far andare a segno il colpo.
Kisame ghignò al di sopra della propria spalla, mentre
guardava la ragazzina rialzare il suo unico occhio visibile verso di lui che,
per non venire colpito, era saltato in alto con entrambe le gambe.
Con una
torsione del busto, l’uomo dalle fattezze di squalo caricò un colpo con la
propria spada, scagliandola nuovamente verso Moriko
che però ripeté la stessa mossa di poco prima, scomparendo nel nulla e
lasciando che l’arma colpisse al suo posto la pavimentazione della strada.
“Teh…” fece Kisame, una volta atterrato
nuovamente per terra, senza mai smettere di ridacchiare divertito “… veloce la
piccolina.”
“Kisame.” Lo richiamò improvvisamente Itachi,
guardandolo severamente. Lo sharingan del suo
compagno di viaggio sembrò trapassarlo da parte a parte, costringendolo a
ricambiare il suo sguardo ammonitore.
“Non sottovalurla.”
Per qualche
istante quelle parole lo lasciarono interdetto, ma non ebbe molto da pensarci,
visto che avvertì dietro di sé la presenza della ragazza. Fece appena in tempo
a parare il calcio di Moriko con la spada, prima di
dover cominciare ad affrontare l’enorme pressione che la gamba di quest’ultima
esercitò su di essa.
Kisame sorrise divertito ancora una volta, sfoggiando nuovamente
la propria dentatura acuminata a Moriko, la quale non
smetteva di osservarlo inespressiva, quasi lo stesse scrutando da lontano.
“Che c’è
piccola? La mia faccia ti fa paura per caso?”chiese ironicamente il mukenin, ma non ricevette risposta.
Al
contrario, la ragazza dai capelli verdi pareva non aver neanche udito le sue
parole, a giudicare dal modo in cui continuava a fissare a vuoto il viso dell’ Hoshigaki.
Che strano…
pensò Moriko con la testa altrove, nonostante la sua
gamba cominciasse a farsi lievemente più debole … Non è come stamattina e con Shikamaru nii-san.
“Non sento nulla…” sussurrò la ragazza con voce sottile e quasi
inudibile, facendo per la prima volta stupire il mukenin
della Nebbia.
Dietro di lei Asuma
non aveva sentito quello che aveva detto, ma da quel che riusciva a vedere,
sembrava incredibilmente in grado di tenergli testa. Anche Kurenai
e Itachi non avevano sentito le parole della
ragazzina, poiché troppo distanti.
Forse fu
proprio per la loro lontananza e la posizione a loro sfavorevole che, quando
una singola lacrima scivolò lungo la pallida guancia di Moriko,
soltanto Kisame se ne accorse.
L’uomo dalla
pelle azzurra sbarrò le iridi color ghiaccio nel vedere quella reazione
inaspettata.
“Doshite…?”
sussurrò nuovamente Moriko, avvicinando più che poté
il proprio volto a quello dell’uomo di fronte a lei, facendo apparire in viso
un’espressione disperata.
“Doshite…?” ripetè ancora, mentre ormai la sua gamba aveva cominciato a
tremare pericolosamente.
Poi una
fitta.
I suoi
pensieri vennero immediatamente scacciati via dalla gamba che stava usando per
fronteggiare la parata di Kisame. L’arto cominciò
improvvisamente a contrarsi dolorosamente, facendole rendere conto di quanto
fosse diventata debole rispetto a prima.
L’espressione
incredula rivolta verso il proprio arto inferiore della ragazzina fece capire
al volo la situazione a Kisame, che con uno strattone,
ne scacciò via la gamba per poi roteare verso di lei la Samehada
e colpirla, facendola ruzzolare qualche metro più in là.
“Moriko!” urlò preoccupata la jonin
pronta ad intervenire, ma fu bloccata da un kunai
poggiato sulla propria giugulare.
“Non si
muova, Kurenai-sensei.” Scandì con tranquillità Itachi.
Moriko si era ritrovata distesa a pancia a terra, e quando,
un poco incerta nei movimenti, si rimise in piedi sulle proprie gambe, si
accorse che qualcosa non andava.
Un poco
incredula, mosse la gamba ancora un paio di volte, trovando però immutata
quella brutta sensazione di pesantezza che partiva dal fianco fino alle dita
del piede.
Come per
ottenere conferma dei propri sospetti, la ragazza dai capelli verdi rialzò lo
sguardo monoculare su Kisame, incontrandone ancora
una volta il ghigno divertito.
“Samehada ti ringrazia per il tuo chakra,
ragazzina.” Disse semplicemente il mukenin,
poggiandosi spensieratamente la spada sulla spalla.
A quella
rivelazione Moriko realizzò quello che era successo
alla sua gamba e, inclinando nuovamente la testa da un lato, non curandosi di
avere ancora la guancia sinistra rigata dalla scia acquosa del pianto di pochi
istanti prima, distese le labbra in un sorriso e socchiuse leggermente l’occhio
sinistro in un’espressione angelica che lasciò tutti quanti sbalorditi.
“Allora
adesso lascerete in pace Kurenai-sensei e Asuma-sensei?” chiese serenamente Moriko,
cominciando a dirigersi a passo malfermo verso Kisame,
non meno stupito degli altri di fronte all’inspiegabile reazione della ragazza.
“Non
volevate dare un po’ di chakra alla vostra spada,
signore?” chiese ingenuamente la ragazza, zoppicando.
“Se vuole
posso darle anche l’altra gamba.”
Il cammino
di Moriko si arrestò a pochi metri da lui.
“Io…” cominciò la ragazza alzando innocentemente il viso in
direzione dell’altro, senza mai smettere di sorridere “…voglio
molto bene a Kurenai-sensei, e anche ad Asuma-sensei.”
Il cuore di Kurenai, ancora tenuta sotto tiro dall’Uchiha,
si strinse automaticamente al suono di quelle parole.
“Non voglio
che qualcuno faccia loro del male.” Specificò continuando imperterrita il
proprio discorso “L’ho promesso.” A quelle parole lo sguardo di Moriko, seppur rimanendo dolce, si fece più deciso. “Quindi,
se volete fare del male a qualcuno, fatene a me. Tanto anche se morissi io…”
Per un
istante anche Itachi Uchiha
rimase stupito dalla piega che aveva preso il discorso.
“MORIKOOO!!!” urlò disperatamente una voce in
lontananza.
Asuma e Kurenai, insieme ai due mukenin non capirono subito di chi si trattasse, ma a Moriko, irrigiditasi improvvisamente, non servì neppure
voltarsi per capire chi fosse il proprietario di quella voce .
“Itokosan.” Sussurrò sbarrando l’occhio sinistro.
In quel
momento Asuma, approfittando dal momento di
distrazione del mukenin della nebbia, si lanciò
all’attacco, impugnando i propri pugnali puntando al viso del criminale.
Moriko vide il sensei superarla e
saltare verso il suo avversario a lame sguainate, ma solo per vedere l’attacco
venire eluso da un semplice movimento del collo di Kisame,
che ridacchiò di fronte a quel debole tentativo di ferirlo.
Il suo
sorriso animalesco gli si gelò in faccia non appena sentì il caldo fluido del
proprio sangue schizzargli via dal viso e i suoi occhi si dilatarono dalla
sorpresa, notando solo allora che la lama del pugnale era attorniata da uno
strato di chakra tagliente ed acuminato, che ne
allungava la gittata.
Moriko, dietro Asuma, socchiuse
la bocca per la sorpresa, alzando istintivamente un braccio non appena vide le
mani di Kisame cominciare a comporre una veloce serie
di sigilli. Probabilmente si sarebbe scansata se non avesse visto qualcun altro
interporsi all’ultimo istante tra Asuma-sensei ed il mukenin.
“Suiton. Suikoudan no jutsu!” pronunciarono due voci nello stesso tempo,
mentre un vortice d’acqua cristallina, roteando velocemente in aria formò in
contemporanea due squali perfettamente identici che si scontrarono tra loro,
bagnandoli per via degli schizzi che l’impatto sparse ovunque.
Alla ragazza
dai capelli verdi, quando riuscì a riaprire l’occhio, bastò vedere la faccia
del mukenin dalla pelle azzurra per capire quanto
quel contrattacco l’avesse sorpreso.
Asuma si rialzò ridacchiando sollevato, sempre tenendo la
sigaretta, ormai spenta, tra i denti, guardando le spalle di Kakashi.
“Ah sei tu.
Ben arrivato, eh.” Disse ironicamente il ninja fumatore, alludendo al suo
ennesimo ritardo.
“Nah, ero qui già da un po’.” Gli rispose per le rime il
copia-ninja facendo il vago.
Kakashi-sensei! Pensò Moriko,
notando poi qualcun altro che si era affiancato a Itachi,
rimanendo in piedi sull’acqua: un altro Kakashi.
Moriko sbattè un paio di volte la
palpebra per la confusione.
“Kage Bunshin…” sussurrò Kurenai,
capendo al volo quale justu aveva usato per comparire
in due posti contemporaneamente.
“Bene!
Mettiamo fine a questo combattimento.” Disse apparentemente a proprio agio lo shinobi senza smettere di tenere Itachi
Uchiha a portata di kunai.
“Moriko, che ne diresti di lasciare a noi il resto?”
aggiunse subito socchiudendo l’occhio in un’espressione sorridente.
La ragazza
in questione rimase ancora un momento sbigottita dall’apparizione di ben due
persone identiche e ci mise qualche secondo prima di riprendere coscienza delle
proprie azioni.
“Kakashi-sensei?” chiese ancora incredula.
Per una
seconda volta la voce di Sakura vibrò nell’aria circostante facendo ricordare
la propria presenza sull’altra sponda del fiume.
“Rimandiamo
le spiegazioni a dopo, Moriko. Sembra che Sakura sia
piuttosto preoccupata.”
Moriko alzò meglio la testa focalizzando la figura lontana
della sua Itokosan che si sbracciava parecchi metri
più in là nel disperato tentativo di farsi notare da lei, poi ritornò a
guardare Kisame seria e, ricominciando ad avanzare,
superò di poco la seconda copia del sensei.
Il mukenin della Nebbia vide per l’ennesima volta quella
strana ragazzina sorridergli serenamente, come se non ritenesse minimamente
possibile che lui fosse una minaccia per lei.
Quell’espressione
gli risultò non poco irritante, almeno finché Moriko
non riaprì bocca, rendendo quel sorriso angelico lievemente inquietante.
“La prossima
volta che ci vedremo, Kisame-san, le consiglio di
stare attento, perché potrei arrabbiarmi sul serio. Quindi…”
fece una pausa “… spero che non si arrabbi se le dico che preferirei non
incontrarla mai più. Neh?” terminò
inclinando leggermente la testa.
Le labbra di
Kisame si distesero incredule. Pazzesco. Non sapeva
come classificare quelle parole. Il modo in cui le aveva pronunciate era pieno
di sincerità, eppure c’era qualcosa che non andava, come se tra le righe aleggiasse
in sospeso una muta minaccia. Quasi un avvertimento sentito.
“Sayonara, Kisame-san.”
Fu tutto quello che disse Moriko prima di andarsene,
tornando sui suoi passi e dirigendosi verso il ponte che collegava le sponde
del fiume.
“Kurenai, la tua allieva mi sembra diventata un po’ troppo
esuberante.” Scherzò immediatamente Kakashi, appena
vide la ragazza cominciare ad allontanarsi.
“Vedrò cosa
posso fare.” Ribattè concisa sentendosi responsabile
della discutibile condotta della propria allieva.
“Va be’. Ne riparleremo dopo.” Intervenne Asuma
impugnando nuovamente i pugnali.
Intanto l’Hoshigaki non smetteva di guardare la ragazzina, che proseguiva
la propria corsa.
Un sorriso
gli deformò nuovamente le labbra azzurrognole.
“Teh.”
Quella
ragazzina ha uno strano modo di irritare le persone.
“Ad ogni modo, penso che sia arrivato il
momento di dedicarci seriamente a questo combattimento.” Decretò il copia-ninja
scoccando infine un’occhiata ad Itachi Uchiha.
Il mukenin dagli occhi scarlatti si voltò verso di jonin, incrociandone minacciosamente l’occhio sfregiato,
rosso quanto il suo.
“Hatake Kakashi.” rispose pieno di
risentimento Itachi.
Vedere Moriko correre nella sua direzione, oltrepassando finalmente
il ponte in legno che le divideva, fu per Sakura come un sogno ad occhi aperti.
“Moriko!” esclamò correndo ad abbracciarla, circondandole le
spalle con le proprie braccia, quasi timorosa di farsela scappare un’altra
volta. Una volta che il suo cuore si fu calmato, la rosa si scostò un poco
dalla cugina, guardandola in volto severa.
“Cosa stavi
facendo in mezzo a quel combattimento? Quelli non erano ninja del villaggio!
Erano degli intrusi!” le spiegò di getto l’Haruno,
prendendo la ragazza dai capelli verdi per le spalle, scrollandola appena.
“Saresti potuta
morire!” sottolineò con una punta di isteria nella voce. “Non devi mai più
farmi preoccupare in questo modo capito?!”
Moriko però continuava a guardare per terra in silenzio con
espressione colpevole, sentendosi in gola un groppone che le rendeva arduo il
decidersi a parlare.
Come poteva
dire alla sua Itokosan che stava per abbandonarla?
Aveva promesso di proteggerla, eppure era stata a pochi passi dal lasciarla
nuovamente sola. Come poteva?
Alla mancata
reazione della cugina Sakura si calmò un poco, facendo scivolare le proprie
mani via dalle spalle dell’altra.
Aveva
esagerato un po’ troppo.
Abbasò lo sguardo.
“Scusa.”
“Itokosan.” La chiamò debolmente la voce di Moriko.
La rosa
ritornò a guardarla stupendosi di ritrovarla tremante e con la guancia sinistra
rigata da un copioso rivolo di lacrime.
“Io ho
paura.” Disse facendo mancare al cuore della cugina un battito “Non so se riuscirò… a rimanere con Itokosan
… come avevo promesso.”
A quelle
parole Sakura si strinse forte le mani l’una con l’altra premendosele al petto.
“È per via
di quello che è successo con Shikamaru?”
Moriko annuì.
Le mani
della rosa si riappoggiarono sulle spalle tremolanti della ragazza, con una
calma quasi preoccupante.
“Moriko…” disse Sakura cercando di mantenere ferma la voce, mentre
sentiva gli occhi pungere fastidiosamente“… io so che prima o poi dovrai
andartene. Lo so. Però…” deglutì, sapendo di star per
dire qualcosa di estremamente egoista “… ti chiedo solo…
di rimanere ancora per un po’. Ti prego Moriko…”
La ragazza
dalla treccia guardò mortificata la cugina sorridere in modo talmente forzato
da far apparire palese il fatto che si trovasse ormai sull’orlo del pianto.
“… finché ti
sarà possibile, resta con me.”
Moriko non trovò altro modo di risponderle se non annuendo
di nuovo, prima di cominciare a
dirigersi con lei, mano nella mano, verso casa sua. O meglio, la casa dove
avrebbe vissuto con Shikamaru nii-san
e Yoshino kaa-san ancora
per un po’.
Finché le
fosse stato possibile.
Nella stanza
di Shikamaru, Kiba era
rimasto inebetito e in silenzio, mentre i suoi occhi ferini, divenuti quasi
strabici, a causa della rivelazione del compagno di squadra riguardo quanto
avvenuto tra lui e Moriko, fissavano il Nara, ancora seduto sul proprio letto a gambe incrociate, a
quanto pareva, intenzionato a scavarsi con le unghie un buco in testa.
Per la terza volta in due giorni aveva vuotato
il sacco con qualcuno riguardo la sua situazione. Ma porca miseria! Che cosa
aveva di sbagliato il suo cervello ultimamente? Perché diamine si ritrovava a
raccontare le sue cavolate a destra e a manca? Era forse uscito di testa?
Sbuffò
lievemente, facendo scivolare la mano, intenta a grattargli la nuca, sul
materasso del letto.
No non era
impazzito, e lo sapeva. Il suo non era altro che un patetico tentativo di
chiedere aiuto. Analizzare le situazioni e capire quale fosse la mossa più
giusta da fare era una delle sue specialità, ma in quella situazione non ci
riusciva. Guardare dall’esterno una situazione e valutarla era diverso.
Diverso
rispetto a quando ci si trovava coinvolto emotivamente come in quel momento.
Assurdo.
Proprio lui,
il misogino per eccellenza, colui che considerava le ragazze e le donne in
generale una seccatura continua, c’era cascato.
E quel che
era peggio, era che la confusione, che il solo pensiero di Moriko
gli dava in testa, non gli permetteva di capire come uscirne.
Quando i suoi occhi scuri si rialzarono
incerti su Kiba, poggiato sulla parete opposta a lui
e con Akamaru ai suoi piedi che scodinzolava nel
tentativo di svegliarlo dal suo stato di catalessi, ebbe il terribile
presentimento che la linea di pensiero dell’Inuzuka
fosse simile alla sua.
La mascella
dell’altro era leggermente caduta, lasciando che i denti appuntiti tipici del
suo clan gli spuntassero lievemente dalle labbra, e i suoi occhi sottili e
scuri, già di loro aguzzi a causa della forma, erano puntati su di lui, quasi a
voler studiare ogni sua minima reazione per cogliervi le tracce di uno scherzo.
Ma non è uno scherzo Kiba.
Pensò tristemente Shikamaru. È tutto vero, purtroppo.
Una risata
inaspettata gli arrivò violentemente ai timpani, squarciando in un lampo l’aria
densa di tensione che fino ad allora, aveva aleggiato su di lui come uno
spettro persecutore.
Non ci
furono parole per descrivere ciò che provò nel vedere la bocca di Kiba spalancarsi in una fragorosa risata, talmente forte da
far scivolare lo stesso violentemente contro il muro, fino a terra, con una
mano sullo stomaco.
“Non ci credo…Ahahahaa!!” biascicò con le lacrime agli occhi Kiba, con una mano che gli sorreggeva la fronte.
In un
istante il giovane Nara si accigliò: Che cosa c’era
da ridere?
“Che cosa
c’è da ridere?” fece eco ai propri pensieri, congelando sul nascere
l’inspiegabile entusiasmo dell’Inuzuka che, sì, smise
di ridere, ma continuò a guardarlo con un sorriso a malapena trattenuto, quasi
in procinto di esplodere nuovamente.
“Di solito… pff… in questi casi si
ride.” Fu la semplice risposta di Kiba, non ancora
ripresosi del tutto.
Shikamaru però non sembrava aver capito, a giudicare dallo
sguardo dubbioso che gli stava rivolgendo, e per questo, con un grande sforzo
da parte del suo stomaco, ancora fremente dalle risate, cercò di mettersi
seduto per terra e di cominciare un discorso sensato che gli chiarisse la
situazione.
“Andiamo, Shika! Non avrai mica creduto di poter sfuggire a questo
genere di cose?” chiese ironicamente inarcando un sopracciglio l’Inuzuka, vedendo il volto del compagno farsi sorpreso
“Nessuno può!” aggiunse poi con ovvietà, costringendosi ad alzarsi in piedi
facendosi perno con le mani sulle ginocchia, andandosi poi a buttare sul letto
dell’altro con un sospiro.
“Le donne
sono come le pulci amico mio…” continuò poi senza
quasi più aver bisogno di guardare in faccia il Nara
per capire quanto il suo discorso lo stesse sconvolgendo. “… più cerchi di
grattarle via, più queste rimangono attaccate, e in più, finisci solo per farti
del male.”
Un guaito di
Akamaru diede più peso alle sue parole.
Le labbra di
Shikamaru si incurvarono in un lieve sorriso, per poi
lasciar scivolare via un sospiro.
“E quindi?
Che dovrei fare?” chiese ancora avvilito poggiando la testa sul muro a cui era
accostata la sua branda, lanciando al tempo stesso uno sguardo al cielo fuori
dalla finestra.
Comodamente
sdraiato sul materasso con le mani incrociate sotto la testa, Kiba aveva ormai gli occhi chiusi con un sorriso sornione
in faccia, aspettando le fatidiche parole che tanto aspettava.
“È diventata
mia sorella.”
“E quindi?”
insisté con fare divertito lo shinobi dei cani,
provocando dell’altro un leggero disappunto.
“Quindi,
cosa?!” sbottò Shikamaru ritornando a guardarlo “Hai
idea di cosa mi farebbe mia madre? Per non parlare di Sakura, che mi ha quasi
soppresso ieri non appena l’ha saputo.”
“Ahiai.”
Il tono
ironico dell’ultima frase del castano gli fece scattare un’intuizione.
E gli
occhietti vispi di Kiba accompagnati da un sorrisetto
birbante e puntati direttamente sui suoi, non fecero che dargli conferma.
“Me lo darai
un consiglio o no?” tentò, guardandolo sospettoso, ottenendo solamente
l’ennesima risatina sommessa da parte sua.
“Mmmmh.” Fece girandosi dall’altra parte sempre con le mani
dietro la testa “Non so.”
In quel
momento Shikamaru avrebbe volentieri fatto scontrare
un paio di volte o più la propria testa contro il tenero muro di casa sua,
tanto il mal di testa che lo aveva riassalito era forte. Ma perché la vita
continuava a mandargli complicazioni?
“Sai…” aveva continuato intanto Kiba,
sorridendo furbesco senza lasciarsi vedere dall’altro “… sono un po’ indeciso
se darti un consiglio d’amico o da rivale in amore.”
Ecco, ormai
lo scontro tra lui e l’angolo più duro di casa sua era assicurato.
“Tu cosa
preferisci?”
La mano di Shikamaru accolse gli occhi stanchi di quest’ultimo, ormai
troppo provato psicologicamente per mettere insieme un solo pensiero coerente.
Alle
orecchie di Kiba il silenzio del compagno valse più
di mille parole.
Chi è il baka
adesso?Eh?
Entrando in
casa Moriko si era guardata attorno un po’
intimorita, fermandosi sulla soglia principale con quasi ostinato terrore.
Sakura, dietro di lei, la guardò dispiaciuta, forzando subito dopo un sorriso
incoraggiante sulle labbra per poi con una mano darle una piccola spintarella
sulla schiena.
Ondeggiando
per via di quel gesto, Moriko si voltò, come
previsto, verso di lei e la rosa, rispose all’espressione incerta della cugina
con segno di assenso con la testa che voleva essere rassicurante.
Non ancora
del tutto convinta, la ragazza dalla treccia, si rivoltò verso il gradino
dell’entrata, fissandolo per un paio di secondi prima di abbassarsi verso i
propri sandali e cominciare a sfilarseli, per poi indossare le pantofole ancora
messe in disparte in un angolo a sua disposizione.
Itokosan…
pensò Moriko mentre saliva lentamente sul gradino del
parquet … mi dispiace...
“Non
preoccuparti Moriko.”
Le parole
della sua Itokosan però non gli diedero molto
conforto, tutt’altro.
Si girò
verso di lei, sempre con l’occhietto verde languido, esprimendo come meglio
poteva il suo sconforto ed il suo pentimento.
Fu allora
che dalle scale di casa Nara, Sakura sentì scendere rumorosamente Kiba e Shikamaru.
“Immagino
che la cosa ti faccia piacere.” Asserì Shikamaru,
chiudendo lentamente la porta della propria stanza e affiancandosi accanto a Kiba, ancora ghignante e soddisfatto.
“Cosa?”
chiese lo shinobi dei cani, facendo lo gnorri “Il
fatto che tu ti sia dimostrato più baka di me o che
adesso sono io ad avere più vantaggio su Moriko?”
A quelle
parole il giovane Nara si sentì toccato sull’orgoglio
e come per miracolo, il suo spirito combattivo si accese.
“Viviamo
sotto lo stesso tetto.” Disse quasi annoiato, ma senza perdere il suo cipiglio
serio.
“Ma siete
fratello e sorella.”
Uno a zero
per Inuzuka.
“L’hai
abbandonata sul ciglio di un burrone.”
Questa volta
fu il turno di Kiba di sentirsi provocato. Il
sorrisetto sereno si dissipò dalle sue labbra, lasciando il posto ad
un’espressione che, unita ad i suoi elementi animaleschi, andava ben oltre il
minaccioso.
“Mi ha
perdonato.” Ringhiò guardandolo dritto negli occhi. “E non mi sono mai sentito
tanto stupido quanto nel momento stesso in cui
me ne sono reso conto.”
“Punto tuo.”
Ammise quasi con uno sbuffo Shikamaru continuando a
camminargli accanto lungo il corridoio, dirigendosi verso le scale.
“Ah, e da
quel che mi ha detto Hinata il mio peluche le è
piaciuto.” Aggiunse Kiba
fermandosi improvvisamente con un nuovo sorriso (ebete secondo Shikamaru) stampato in faccia e con un tono di voce
entusiasta, simile a quello di un bambino che sa di aver fatto bene, ma vuole
sentirsi elogiare ancora un po’.
“Già.”
Liquidò con noncuranza Shikamaru, indispettendolo.
“Ah,
un’ultima cosa: …” fece l’Inuzuka passandogli
davanti, certo di star giocando il proprio asso nella manica “… a differenza di
te Shikamaru nii-SAN …”
Shikamaru cercò di non dare molto peso al modo in cui aveva
accentuato la particella onorifica “-san”, ma la cosa fu impossibile quando
sentì il resto della frase.
“…io sono diventato Kiba-KUN.”
Terminò con tono da birbante il castano dalle guance tatuate.
Gli occhi si
Shikamaru si sbarrarono ad un livello indecente che
fece quasi scoppiare a ridere Kiba.
E il
cervello di Shikamaru cominciò a lavorare, dopo molto
tempo di oziosa inattività, scavando ad una velocità sorprendente tutti gli
elementi in suo favore, ma ne trovò solo uno, abbastanza semplice ed efficace
da poter essere tirato fuori così di punto in bianco. Non dovette neanche
sforzarsi tanto per trovarlo.
“E io sono
suo fratello.” Disse rimettendo
stancamente le mani nelle tasche dei pantaloni e ricominciando a camminare con
la solita andatura sciancata “… e come tale, ti proibisco di frequentare mia
sorella.”
Kiba ci rimase non poco di sasso. Osservò il moro
ondeggiare come un mezzo rimbambito verso le scale , per poi fermarsi e
sbadigliare clamorosamente in aria come se nulla fosse successo.
E lì
esplose.
“Coooooosaa???!!” urlò, spaventando inevitabilmente Akamaru nella sua giacca “Tu proibisci a ME?! Non se ne
parla!”
Shikamaru ridacchiò vittorioso, cominciando a scendere le
scale, sentendo la rumorosa presenza di Kiba dietro
di sé. Già, rumorosa, perché Kiba non era altro che
quello, un cane rumoroso, non certo il compagno ideale per lui che anelava alla
quiete di una collina 24 ore su 24.
Eppure,
dovette ammettere a se stesso il moro, mentre cercava di evitare i le mani di Kiba che tentavano invano di fermarlo, anche la rumorosità
di Kiba aveva i suoi lati positivi, specie sul suo
malumore, dal quale era riuscito a distrarlo con solo un paio di parole e
ringhi di sfida.
Non dovette
fare molta strada, però, prima di vedere il proprio attimo di serenità venire
spazzato via non appena, nell’entrata gli apparvero Moriko
e Sakura, certamente appena rientrate.
Gli occhi
pieni di biasimo della rosa lo inchiodarono sull’ultimo scalino, imprigionando
sulla gradinata anche Kiba, anche lui accortosi con
un groppo alla gola della presenza delle due cugine.
“Shimatta¹.”
Sussurrò Kiba tra i denti, facendo arrivare
l’imprecazione solo al suo orecchio.
Sakura non
sembrava aver nemmeno notato la presenza di Kiba,
tanto i suoi occhi color giada erano rimasti fissi sul giovane Nara, mentre le sue braccia si erano irrigidite ed
incrociate al petto.
“Credo che
tu abbia qualcosa da dire a Moriko, Shikamaru.” Sibilò facendo intendere bene tra le righe
quanto quell’ “abbia” intendesse un certo dovere nei suoi confronti.
Un dovere
molto pesante, che raddoppiò non appena notò che Moriko,
non accennava a voltarsi verso di lui, nonostante avesse ben intuito la sua
presenza.
Notò che
aveva irrigidito le spalle e che tremava appena.
Rabbuiandosi
di colpo, Shikamaru scese completamente dalle scale,
avvicinandosi a poco a poco, sotto lo sguardo sbalordito di Kiba,
alla ragazza dai capelli verdi.
Si fermò a
pochi passi da lei, fissandole le spalle con insistenza, quasi potesse
trasmetterle il suo desiderio che si voltasse verso di lui con il solo sguardo,
giusto quel tanto che lo potesse farlo sentire meno colpevole di quanto non
fosse.
Ma Moriko non si voltò, anzi, più passava il tempo, più le sue
mani, premute contro il petto, facevano fatica a trattenere quel tremore che le
invadeva il petto, causato dalla paura di risentire le stesse cose, le stesse
voci feroci e sibilanti urlarle nella testa non appena avesse incrociato lo
sguardo del suo nii-san.
“Gomenasai.” Fu il
sussurro che la fece sussultare sul posto, spingendola quasi a voltarsi verso Shikamaru.
Dietro di
lei, senza che lei potesse vederlo, Shikamaru si era
inchinato profondamente, nascondendo allo sguardo di Sakura e Kiba la propria espressione sofferente.
“Gomenasai, Moriko-chan.”
Ripetè abbassando ancora un po’ di più la testa “Avresti
tutte le ragioni a non volermi perdonare, ma…” fece
una pausa, mentre una piccola goccia di sudore gli colò lungo il viso. “Ti
prego Moriko, dammi un’altra possibilità. Dammi
un’altra possibilità per essere un onii-san migliore.”
Niente, Moriko ancora non accennava a voltarsi, ma almeno aveva
smesso di tremare.
“Ti prometto…” continuò intanto imperterrito Shikamaru “ …che non accadrà
più.”
“Me lo
promette?”
La voce di Moriko aveva finalmente rotto l’atmosfera pesante di casa Nara, facendo tirare un piccolo respiro di sollievo a
Sakura.
E così ha inizio…
pensò Sakura sorridendo appena, riconoscendo subito nell’atteggiamento della
cugina uno spiraglio.
“Sì,…”
rispose dopo un attimo di stupore Shikamaru, senza
mai alzarsi dal suo inchino “… te lo prometto.” Concluse, rimanendo fermo
ancora un po’ in quella posizione di pentimento, finché un singhiozzo non
eruppe dalla gola della ragazza dalla treccia.
“Sigh …, Nii… nii-san… sigh.” Piagnucolò flebilmente Moriko,
asciugandosi con le manine pallide i lacrimoni che, a
poco a poco, le stavano scivolando copiosi dall’occhio sinistro.
In un
attimo, Shikamaru si vide la sorella acquisita buttarglisi addosso, aggrappandosi quasi disperatamente
alla sua maglietta con le mani, stropicciandola e bagnandola con le proprie
lacrime.
“Nii-san!” urlò
alla fine buttandosi in un pianto disperato.
Shikamaru ci mise un po’ a capire quello che stava
succedendo. Tutto quello che riusciva a percepire in quel momento era il corpo
di Moriko: le sue mani sottili e diafane strette ai
suoi vestiti, la sua testa contro il suo petto, la sua maglietta che lentamente
assorbiva all’altezza del cuore il dolore e il sollievo del suo unico occhio
rimasto, e le sue spalle scosse dai singhiozzi.
La sua mano
si mosse lentamente sulla schiena della ragazza, tastandola e strofinandola
affettuosamente e il suo mento si poggiò sulla sua nuca, come al solito
intricata come un cespuglio di rovi.
“Gomenasai.”
Sakura
constatò che fosse meglio lasciarli soli e fu per questo che , cercando di non
attirare troppo l’attenzione, sgattaiolò fuori dalla porta principale,
dirigendosi poi velocemente, e con un sorriso sereno in viso, verso casa
propria: l’indomani avrebbero avuto gli allenamenti e di certo a lei non andava
proprio di sentire la signora Riiki biasimarla per non
essere riuscita a pulire la casa.
Durante il
suo tragitto fu però fermata da una mano sulla propria spalla, che la portò a
voltarsi incuriosita ed a incontrare un volto ben conosciuto, ma in quel
momento più prossimo allo svenimento che ad altro, a giudicare dalla profonda
occhiaia che gli solcava il viso non coperto dalla maschera e dal copri fronte.
Asuma le parve un poco in difficoltà nel sostenere con le
braccia il peso del Copia-ninja.
“Kakashi-sensei?” chiese stupita la rosa, sbattendo un paio di
volte le palpebre, non credendo ai propri occhi. Poi le tornò in mente tutto:
il combattimento in riva al fiume, Moriko nel bel
mezzo di quest’ultimo e l’intervento tempestivo di Kakashi.
Accidenti, è ridotto proprio male.
Constatò guardandolo meglio e deducendo di conseguenza che gli allenamenti non
ci sarebbero stati nemmeno l’indomani.
“Sakura…” disse con voce flebile il jonin,
trattenuto a stento dall’amico, che muto osservava la scena di cui non sembrava
comprendere molto “… dobbiamo parlare.”
Quelle
parole furono peggio di un campanello d’allarme nella testa di Sakura, ma ancor
di più a metterla in allerta fu il modo in cui l’occhio stanco e sofferente del
proprio sensei la guardò nell’attimo in cui terminò
la frase.
E stavolta…
voglio tutta la verità.
E rieccoli lì. In piedi sulla soglia di quella stupida
stanza. Tutti e tre in fila i fratelli Subaku, come
delle belle statuine, in attesa di una sua confessione.
“Allora,
Coco?” chiese con voce stanca Temari.
Coco la
guardò un attimo in faccia, dimenticandosi di essersi ripromessa di tenere gli
occhi ancorati alle coperte del letto: non aveva una bella cera, tutt’altro,
sembrava non aver chiuso occhio durante la notte.
Strinse gli
occhi, non capendo. Cosa c’era di tanto diverso da infrangere la sua maschera
da dura?
Spostò lo
sguardo su Kankuro, ma, nonostante i suoi sforzi, non
riuscì, a causa dell’ostinazione che quest’ultimo dimostrò nell’evitare
accuratamente i suoi occhi. Digrignò i denti infastidita, tentando per l’ultima
volta con Gaara.
I suoi occhi
acquamarina si impuntarono sui suoi, stupendola con la loro intensità.
Eppure…
pensò sentendosi sempre più nervosa, notando lo sguardo fisso ed incolore del
rosso … c’è qualcosa che non va.
“Questa è
l’ultima possibilità che hai per dirci la verità.” Continuò incurante del suo
stato d’animo Temari.
“E se non lo
faccio?” azzardò con il tono più strafottente ed ironico che riuscì ad
assemblare, mal dissimulando il proprio turbamento.
“Saremo
costretti a cacciarti dal villaggio.” Intervenne improvvisamente Gaara, senza battere ciglio.
Il respiro
di Coco le si mozzò in gola. Per un attimo ebbe quasi l’impressione che il suo
cuore avesse saltato di un battito, ma solo per un attimo. Un poco a fatica
distese le labbra in un sorriso, il meno convincente della sua vita.
“E come mai
non mi sbattete nelle celle degli interrogatori? Troppa paura che riesca a fare
fuori i vostri amati sensei?”
Un tonfo
sordo la fece sobbalzare. Alzò lo sguardo, trovando Kankuro
con una mano chiuso a pugno sullo stipite della porta, al quale aveva appena
dato un pugno rabbioso.
“Smettila di
fare la bambina!!” sbraitò il marionettista a testa bassa “È di te che siamo
preoccupati! Baka!”
Un silenzio
tombale scese sulla camera da letto.
Gli occhi
color giada di Coco si abbassarono involontariamente.
Preoccupati?
Per lei?
Come suonava strano. Qualcuno che si
preoccupava per lei. Fino ad allora nessuno mai si era preoccupato per lei. E
chi l’avrebbe mai fatto? Lei non l’aveva mai permesso a nessuno. Era
indipendente, testarda, egoista.
Egoista.
Sì forse era
quella la parola più adatta a lei. Egoista, completamente presa da se stessa,
così tanto da non riuscire nemmeno ad accettare gli altri, così tanto da
respingere con battute acide e sadiche ogni tentativo di approccio da parte del
prossimo nei suoi confronti. Ma lei non era così, lo sapeva bene chi era lei, e
di certo non era la Coco sanguinaria e cinica che faceva finta di essere.
No, lei era
semplicemente orgogliosa.
Orgogliosa.
Troppo
orgogliosa.
Temari, Gaara e Kankuro si scambiarono un’occhiata desolata l’un l’altro,
interpretando quell’ennesimo silenzio come il loro ultimo baluardo di speranza
che veniva infranto. La più grande dei tre si era leggermente voltata verso la
porta, questa volta per uscirne per sempre, quando la voce dura e leggermente
arrochita dalla sete della loro prigioniera si fece sentire, bloccandole i
piedi a pochi centimetri dalla soglia.
“Abeille sta per
AO-02.”
I tre fratelli
Subaku ritornarono ad osservarla, un po’ stupiti per
quell’improvviso cambiamento, un po’ sollevati per lo stesso motivo, ma
ugualmente incuriositi dal significato di quella frase che, veloce come un
soffio di vento, era uscita dalle labbra della biondina.
“A dirla tutta…” continuò con fare assente, senza mai alzare gli
occhi su di loro e stringendosi le ginocchia al petto “… il nome per intero
sarebbe Abeille Ouvriére,
esperimento numero 02.”
Il respiro
si mozzò in gola a tutti e tre, alla parola esperimento.
Stavano
entrando in un territorio pericoloso, con quella parola, specie se la parola in
questione viene associata ad un essere umano.
Gli occhi
verdi di Coco si rialzarono finalmente su di loro, accigliati come al solito, ma… vuoti, vinti.
“Volete
sapere la verità, bambocci?” chiese dando all’ultima parola una sottile
intonazione di rimprovero che fece ricordare con un certo conforto a Temari la grinta di cui era dotata l’altra “Fate pure, ma poi…” fece una piccola pausa tornando a guardarsi le
ginocchia “… non venite a dirmi che non mi credete.”
“Possiamo
farti delle domande, allora?” azzardò Kankuro
alquanto speranzoso.
Coco sospirò
pesantemente “Ovvio. Se mi mettessi a raccontare io da sola, non saprei da che
parte iniziare.”
Gaara lanciò un’occhiata d’intesa al fratello maggiore,
ricevendo da lui un segno d’assenso, e facendo un passo in avanti, segno che
sarebbe stato lui a condurre l’interrogatorio.
“Chi erano
quelle due che ti hanno minacciato?” fu la prima secca domanda.
“Ruri e Ryuuchi.” Specificò Coco
con voce stranamente atona “Sono mie cugine.”
“Eeeeh?!” esclamo immediatamente Kankuro
“Avevi detto di non avere parenti!”
Il solito baka…
pensò la biondina, vedendosi interrompere in quel modo.
“In un certo
senso è vero…” gli rispose immediatamente Coco “… i
miei genitori, zii e nonni sono tutti morti. Gli unici parenti rimastimi sono i
miei cugini.”
“E perché
non vivi con loro?” intervenne spontanea Temari,
incuriosita.
“Ti pare che
una pazzoide armata di spada ed un travestito ninfomane siano persone con cui
convivere?” domandò di rimando la biondina, guardando con la coda dell’occhio
la reazione di Gaara che, alle sue parole, era
sussultato appena percettibilmente.
“Travestito?”
chiese il rosso confuso.
“Ryuuchi è un uomo. Uno dei pochi sopravvissuti, ma odia
essere un maschio, per questo si traveste.” Cercò di spiegare alla bene e
meglio “In sostanza, si sente donna.”
“Bleah!” sentì
fare Kankuro e questo non fece che infastidirla.
“Ognuno vive
come vuole.” Sibilò, facendo morire sul nascere ogni possibile commento nei
confronti di suo cugino Ryuuchi. Non gli era molto
simpatico, a dirla tutta, ma nemmeno lo odiava. In fondo rimaneva sempre suo
cugino.
“Loro sanno
che sei un…?” riprese Gaara
facendo finta che il discorso sulla sessualità di Ryuuchi
non fosse mai avvenuto.
“…
esperimento?” concluse Coco al posto suo “Sì, lo sanno. In fondo anche loro lo
sono.”
L’ennesimo
scambio di occhiate tra fratelli.
Coco
sospirò: si stava andando per le lunghe.
“In
sostanza, …” ricominciò, preparandosi a spiattellare la realtà così come la
conosceva lei in faccia a quei tre “ … la mia famiglia è stata sterminata e gli
unici sopravvissuti più giovani sono stati chiusi in un laboratorio…”
Rialzò lo
sguardo di nuovo assente, sui tre fratelli.
“…
diventando soggetti da esperimento.”
“Esperimenti
per cosa?”
La domanda di Gaara,
quasi la fece sorridere: aveva centrato il nocciolo della questione e ora a lei
non spettava altro ch rispondere.
Si
rannicchiò su se stessa, poggiando la fronte sulle ginocchia.
“Creare
delle armi umane…” disse, sentendosi la gola in
fiamme ed improvvisamente secca “… atte unicamente all’uccisione di tutti i jinchuuriki.”
Il silenzio
che seguì dopo, spezzato soltanto da dei rapidi respiri di sorpresa, le fece
inconsciamente stringere di più le mani sulle proprie gambe, quasi volesse
farsi piccola piccola su quel letto.
“A ognuno di
noi…” continuò, sentendosi gli occhi inumidirsi
velocemente “ …fu dato un’appellativo,
un numero, un nuovo cognome… e un jinchuuriki
da uccidere.” fece una pausa per
nascondere quella piccola incrinatura che la sua voce aveva subìto alla fine.
“Fummo tutti
quanti sottoposti ad operazioni dirette sul nostro sistema nervoso, sui nostri organi…” prese ancora una volta il respiro, sentiva le
lacrime gocciolarle sulle gambe, nei suoi occhi passavano come fulminei scatti
le immagini della sua infanzia, fatta di dolore, lividi ed odio. “Ognuno di noi
fu allenato fino allo sfinimento ogni giorno, per settimane, facendoci
raggiungere, anche con l’aiuto di tecniche proibite, la perfezione.”
“Quanti anni
avevate?”
Era stata Temari a farle quella domanda e, a giudicare dal suo tono
di voce, anche lei era sull’orlo del pianto.
“La più
grande ne aveva 16, Ryuuchi, Ruri
e un altro maschio ne avevano 12…” un’altra pausa “… io ed altre quattro bambine… eravamo tra i 4 e i 5 anni.”
Un
singhiozzo di Temari le fece capire che aveva
raggiunto il limite.
“Che fine
hanno fatto i promotori del progetto?”
Ancora una
volta Gaara la stupì, dimostrando di riuscire ad
esternare sicurezza e calma anche attraverso il tono di voce.
“I
finanziatori non li ho mai visti. So solo che… fui
messa sotto spirito per 8 anni, e che al mio risveglio…”
Rialzò
leggermente la testa per scorgere oltre l’orlo delle ginocchia i volti dei tre:
erano totalmente presi dalle sue parole “…la mia
cella si aprì da sola facendomi cadere per terra, sporcandomi la faccia della
polvere che si era formata da anni nella mia stanza.” Spostò la testa di lato,
poggiando la guancia sulle gambe, godendosi la nebbia acquosa che attorniava i
muri della stanza attraverso i suoi occhi.
“La porta
della mia stanza si aprì da sola…” ormai le parole
uscivano fuori meccaniche “.. e uscendo scoprii che tutti i dottori che
lavoravano lì erano morti.”
Un altro
sussulto da parte di Temari.
“In
corridoio trovai un foglietto con sopra scritto il simbolo di Konoha e più avanti, nella stanza di chi sembrava averlo
scritto, trovai una delle mie cugine con la mia stessa età.”
“Decideste
di andare a Konoha.” Quella di Gaara
era più un affermazione che una domanda.
Lei annuì
appena.
“La cugina
che aveva scritto quel foglietto era stata mandata a Konoha
per uccidere il jinchuuriki del Kyuubi
molto tempo prima.”
“Uzumaki Naruto.” Sussurrò Gaara tra l’allarmato e l’arrabbiato.
“Ma…?” la voce di Kankuro, a
quanto pare trovava strano che il biondino esaltato che aveva sconfitto il
fratello fosse ancora vivo nonostante gli fosse stato mandato un sicario anni
prima.
“Tua cugina
ha … ha deciso di non ucciderlo?” Temari non era la
sorella maggiore per nulla.
“Tutte noi
abbiamo rinunciato ad uccidere voi Jinchuuriki.”
Disse atona, rialzando finalmente lo sguardo, aveva finalmente smesso di
piangere. I suoi occhi si posarono uno ad uno sui volti dei presenti fermandosi
infine su quelli cerchiati di nero di Gaara.
“Perché?” fu
la domanda secca, ma smaniosa di una risposta, del rosso.
“La nostra
famiglia è stata distrutta , Gaara.” Puntualizzò
“Siamo completamente perse in un mondo in cui siamo state esiliate. Perché mai
dovremmo uccidervi?”
Un silenzio
imbarazzante.
“La vendetta
non ci porterebbe a nulla.” Sospirò “Voi jinchuuriki
non avete colpe, sono quelli che ci hanno fatto questo...” disse toccandosi
inconsciamente i capelli tagliati male ed ispidi “… i veri responsabili.”
Il suo
sguardo si fece duro e perso in un pensiero che non esitò ad esternare.
“E io spero
di non sapere mai le loro identità…” sibilò, turbando
non poco Temari e Kankuro.
“…perché so che non esiterei ad andare lì ed ammazzarli.”
Il tono di
voce che aveva usato, calmo e basso, era inequivocabilmente serio e fu per
questo che Temari non riuscì a trattenere un brivido
dal percorrerle lungo la schiena.
Solo Gaara, che ancora non smetteva di fissare Coco con lo
sguardo acquamarina fisso su di lei, sembrava non aver risentito di quel tono
di voce.
“Hai sempre
fatto finta di essere svantaggiata dalle mie tecniche di sabbia, vero?”
Le labbra
della biondina si incurvarono.
Si è accorto anche di quello…
“Già.” Fu la
sua unica risposta divertita.
“Dovevo
ottenere la tua fiducia.” La giustificazione, alle orecchie dei tre fratelli
non fece una grinza: di certo non si sarebbero mai fidati di una completa
estranea, capace anche di resistere agli attacchi micidiali del più piccolo di
loro.
“Uff.”
sbuffò contrariato Kankuro mettendosi le mani dietro
la nuca “Avremmo dovuto capirlo, per principio il fulmine non può essere più
debole della sabbia.” Terminò accennando ad un sorrisetto forzato, lanciando
un’occhiata d’intesa alla sorella.
“Eh.., sì.”
Disse inizialmente un poco incerta Temari, sorridendo
alle intenzioni del fratellino “È riuscita a farci fessi tutti e tre.”
Seguì una
risata nervosa da parte dei due fratelli maggiori.
Coco li
guardò allibita.
“Voi…” iniziò incerta “… voi mi credete?” chiese incredula.
“Certo.”
Rispose immediatamente Temari “Perché mai dovresti
mentirci?”
“Ma io… ho appena detto di essere stata mandata qui per
uccidere Gaara!” obiettò, mettendosi improvvisamente
in piedi sul letto, fregandosene altamente dell’igiene.
“Ma da quel
che ha sentito Gaara, ti sei rifiutata di farlo,
nonostante una delle tue cugine pazzoidi ti puntasse una spada alla gola e
comunque …” ribatté immediatamente la più grande riassumendo in pochissimo
tempo il proprio atteggiamento calmo ed autoritario “… giù i piedi da quel
letto, Coco.”
I piedi di
Coco si mossero meccanicamente, facendola cadere di peso sul letto ad occhi
sbarrati.
Incredibile.
“Quindi… voi…” balbettò, non
osando nemmeno incontrare il volto di Gaara, che
aveva intravisto abbozzare un sorriso sottile quanto un filo.
Temari si limitò soltanto ad annuire.
E la vecchia
Coco tornò a farsi sentire.
“Cretini! E
adesso come la mettiamo con le carte bomba?! Eh?! Non crediate di passarla
liscia dopo tutto quello che mi avete fatto passare, comunque!! Vi concerò così
male da implorare di essere morti!”
Temari e Kankuro sospirarono
all’unisono. C’era un non so che di tranquillizzante nel tono iroso e assetato
di vendetta della loro biondina.
Gaara intanto continuava ad osservare di sbieco la
ragazzina, cercando di non farsi notare dai fratelli. La guardò agitare
furiosamente le mani strette a pugno, dirette minacciosamente verso di loro,
mentre i suoi capelli si agitavano in aria allo stesso ritmo delle sue braccia.
Ancora
faceva fatica a mandare giù il passato di Coco, ma, per esperienza, sapeva che
quello che aveva passato era molto verosimile, se confrontato all’atteggiamento
che il mondo aveva avuto nei suoi confronti, nonostante fosse ancora bambino.
Arrivare a distruggere la vita di una bambina… pensò, stringendo inconsciamente le labbra,
constatando mentalmente che lui e Coco avevano dovuto fare i conti con la
violenza del mondo adulto più o meno alla stessa età.
Le lanciò
ancora una volta uno sguardo di sottecchi, studiandola per l’ennesima volta.
Abeille Ouvrère… Un’ape… ragionò mentre studiava ogni suo
atteggiamento.
“Un soprannome decisamente appropriato.”
Sussurrò senza riuscire a farsi udire né da Coco né dai propri fratelli, troppo
occupati a trovare un modo per riuscire a dirle che buona parte di quelle
carte-bomba, specie quelle che andavano dalla porta al letto, erano finte.
“FATEMI
USCIRE DA QUIIIII!!!!”
A Sakura la
stanza d’ospedale di Kakashi-sensei non era mai parsa
tanto inquietante quanto in quel momento.
Doveva
essere a causa del fatto che era pienamente cosciente di quello che Kakashi voleva sentire da lei: la verità su lei e Moriko. Dopo essere stato avvertito da Sasuke
pochi minuti prima delle sue ultime scoperte, aveva pregato Asuma-sensei
di aiutarlo a cercarla, finendo così per intercettarla nel momento che la rosa
ritenne il più sbagliato della sua vita.
Ma forse,
più specificatamente, era per l’effetto che lo sguardo fisso del suo sensei le stava dando, a trasmetterle quel senso di incicurezza.
Non era
passato molto tempo da quando Asuma, Kurenai e Gai-sensei erano usciti
dalla stanza, lasciandoli soli nonostante la richiesta del collega gli avesse
straniti non poco. Adesso lei era semplicemente in piedi accanto al letto del jonin, rigida a tesa come una corda di violino, mentre il Copia-ninja era semidisteso sul letto, con la schiena
sostenuta da un secondo cucino. Il coprifronte era
stato abbandonato sul comodino accanto a letto e questo le permetteva di vedere
la cicatrice che solcava verticalmente l’occhio munito di Sharingan.
Maledizione…
imprecò mentalmente Sakura, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
“Sakura…” la richiamò la voce stanca del suo sensei.
Non le servì
guardarlo in faccia per capire quanta delusione esprimesse il suo viso: poteva
benissimo intuirla. Gli aveva mentito, aveva tradito la sua fiducia e non era
cosa che potesse essere perdonata così alla leggera. Le sue mani strinsero più forte
la stoffa purpurea del vestito. Non poteva andare avanti in quel modo: il tempo
stava ormai per scadere, la donna che avrebbe dovuto pendere il posto di Hokage ancora tardava ad arrivare e lei sapeva che Moriko, stentava a resistere agli istinti di quelle cose
racchiuse dentro di lei.
Non poteva
più sopportare quella pressione. Aveva bisogno di qualcuno a cui confidarsi,
qualcuno che le credesse.
Alzò lo
sguardo sul suo sensei, stanco come non mai dal
combattimento avvenuto poco prima, e si decise.
Era Kakashi-sensei la persona di cui si fidava di più e non
l’avrebbe persa, non così. Sarebbe andata fino in fondo, questa volta. Niente
ripensamenti. Non più.
“Glielo
dirò.” Disse con voce flebile, vedendo la testa del sensei,
muoversi leggermente verso di lei a quelle parole.
“Glielo
dirò.” Ripetè, senza accennare ad abbassare lo
sguardo “Ma non dovrà dirlo a nessuno. Nemmeno a Sasuke.”
Specialmente a Sasuke.
Lo sguardo
monoculare di Kakashi incontrò il suo, interdetto.
“Va bene?”
insisté, ottenendo un segno di assenso da parte dell’adulto.
Rassicurata,
la rosa si avvicinò al letto dell’altro, premendosi nervosamente le mani al
petto.
“Kakashi-sensei…” sussurrò, sentendosi colpevole come non
mai “… quello che le dirò ora sarà la verità. Quella vera.” Specificò, quasi facendo fatica a mantenere il contatto
visivo con l’occhio color pece del sensei, che
continuava ad ascoltare muto ed accigliato la voce della sua giovane allieva.
“Le chiedo
solo di credermi, sensei. La prego…
per quel che vale, detto da me. Mi creda.” Implorò, stringendosi le mani così
forte da farne defluire il sangue all’interno.
“D’accordo,
Sakura.” Fu la risposta biascicata a fatica dal più grande “Ci proverò.”
Lei annuì
comprensiva, si sedette ai piedi del letto dell’altro con un sospiro,
cominciando a scrutare con falso interesse il muro in legno opposto a lei,
racimolando nel frattempo le idee.
Poi, dopo
aver preso un breve respiro in petto, parlò.
“Sono stata
adottata.” Disse senza neanche osare guardare la reazione di Kakashi “Riiki Haruno non è mia madre. Io, Moriko
e Coco, siamo orfane.”
Fece una
pausa, aspettando per un attimo che Kakashi-sensei
mandasse giù la notizia.
“Non sei… di questo villaggio?” sentì balbettare l’uomo dai
capelli argentati.
Sorrise:
prevedibile come domanda.
“No, Kakashi-sensei.” Disse scuotendo la testa “Sono nata in un
piccola comunità fantasma costituita da un solo Clan. Il mio.”
“Che fine ha
fatto la tua famiglia?”
Abbassò lo
sguardo, ancora una volta, una domanda prevedibile.
“Venne
sterminata davanti ai nostri occhi quando avevamo 4 anni.” Disse, tentando in
tutti i modi di mantenere un tono di voce neutro “Delle persone ci trovarono …
e ci rovinarono la vita.”
Una lacrima
solitaria le scese su una guancia, nonostante le sue labbra fossero tirate in
un sorriso. Il silenzio di Kakashi valse più di mille
parole. Non capiva.
“Il mio clan
era famoso per il doujutsu²
di cui solo le donne potevano fare uso.” Spiegò con quanta più semplicità riuscì
a trovare, nonostante dentro si sentiva una tempesta di emozioni che le rendeva
quasi impossibile mettere insieme i pensieri.
“Un doujutsu che ha parecchie varianti e che è conosciuto come Kiishimugan, l’occhio dell’ammaliatrice.”
Si voltò
verso il proprio sensei, sconvolto tanto da farle
quasi paura, sorridendogli amaramente con ancora la guancia rigata di pianto.
“È l’unico
motivo per il quale io, Coco, Moriko e i nostri
restanti cugini, siamo rimasti in vita.” disse flebilmente.
“Come…?” fece Kakashi, confuso,
tentando di mettere insieme una domanda sensata, ma ancora una volta si vide
interrompere da Sakura, che era nel frattempo ritornata ad evitare il suo
sguardo, ora focalizzato sulla coperta punteggiata di shuriken
del suo letto.
“I nostri
occhi sono molto rari, Kakashi-sensei… è un doujutsu imprevedibile, penalizzante a volte, ma anche
molto efficace, specie se confrontato …” prese un respiro profondo “… con lo Sharingan.”
A quel punto
fece incrociare nuovamente i suoi occhi con quello di aperto si Kakashi, leggendovi stupore.
“Kakashi-sensei, ora
cercherò di usare il mio Kiishimugan su di lei, lei
provi a schermarsi con lo Sharingan.” Disse
velocemente la rosa, leggendo confusione sul viso del più grande. Sapeva di
star facendo una mossa azzardata, ma tutto dipendeva da quella dimostrazione.
“La prego solo di osservare il cambiamento dei miei occhi e di reagire in
fretta.” Aggiunse accigliandosi, parlando più chiaramente che poté.
Dopo un
attimo di incertezza, vide il volto dell’uomo prima rilassarsi, poi indurirsi
deciso ed annuire.
“Bene.”
Asserì la rosa, chiudendo per un istante gli occhi per poi riaprirli e
focalizzarli sull’occhio ancora chiuso e sfregiato del sensei.
Kiishimugan.
Richiamò intensamente per poi vedere la sua vista piombare nella più completa
oscurità, eccezion fatta per una piccola luce azzurrognola localizzata dove
prima stava il petto di Kakashi. Lei però non ci fece
caso ed aspettò.
Una luce
circolare e rosso sangue si accese dove lei aveva posato gli occhi l’ultima
volta.
Ora. Pensò, dando voce al primo,
stupido ordine che le venne in mente.
“Kakashi-sensei.”
Sentenziò con voce innaturale quasi echeggiante alle orecchie dell’adulto “Si strappi due fili di capelli e li tenga in
mano. Ora.”
A quelle
parole, il jonin si sentì per un attimo mancare, poi
travolgere da qualcosa di più forte, qualcosa di non suo. Il suo occhio
sinistro era ancora spalancato ed attivo prima che una delle sue mani si
alzasse, afferrando e strappando con un colpo netto due dei cuoi capelli
argentati, per poi, incredibilmente, abbassarsi, tenendoli fermi tra l’indice
ed il pollice.
Fu allora
che quella sensazione di pesantezza, quello strano torpore che aveva invaso
ogni singola cellula del suo corpo, si dissolse, lasciandolo libero di
abbassare lo sguardo sui due filamenti argentati da lui stesso strappati poco
prima.
“Ma come…?” sussurrò allibito, spostando subito dopo gli occhi
sul viso della propria allieva.
Gli occhi
verdi di Sakura lo scrutarono vitrei e privi di pupilla ancora per un istante,
prima di ritornare alla normalità.
Non c’erano
parole per descrivere quelle che stava provando in quel momento. Solo confusione.
“Che cosa…?” balbettò ancora una volta, tentando una frase che
però non venne mai pronunciata, venendo immediatamente sostituita da una consapevolezza.
Lui si era schermato con lo Sharingan, lo aveva fatto davvero! Com’era potuto cadere nell’effetto di un’arte oculare?Era…
“Assurdo,
vero?” chiese Sakura, tornando a stirare la bocca in un sorriso amaro,
nonostante continuasse a guardarlo.
Sakura…?
“Si ricorda
l’esame dei chuunin, Kakashi-sensei?
La prova nella foresta della morte, intendo.” Gli chiese la sua allieva in modo
così veloce che non poté fare a meno di annuire.
“Sasuke era impazzito…” cominciò
senza troppi preamboli la ragazza, chiudendo gli occhi “… Naruto
era privo di conoscenza e Sasuke sembrava sull’orlo
di commettere un omicidio.” Fu la spiegazione che diede velocemente, in modo
sintetico come solo lei sarebbe riuscita a fare.
La vide
stringere spasmodicamente la coperta del suo letto.
“Non ce la feci…” singhiozzò la ragazza tra i denti “… mi buttai alle
spalle di Sasuke, costringendolo a guardarmi negli occhi…”
Una pausa
sofferente separò il resto della frase
“E gli
ordinai di fermarsi… esattamente…
come ho fatto poco prima con lei, Kakashi-sensei.”
Di nuovo il jonin si ritrovò incredulo.
Le lacrime
scendevano ormai copiose sulle guance di Sakura.
“Non avevo,…
altra scelta.” Singhiozzò la ragazza “Quella fu la prima volta…
in otto anni, che usai il Kiishimugan su qualcuno.”
“Kami-sama.”
Sussurrò l’uomo, posandosi una mano sulla fronte, intontito da quella
rivelazione. “Non posso crederci.”
“Mi creda, sensei.” Intervenne Sakura, supplichevole, ma senza mai
smettere di piangere, nonostante i singhiozzi avevano smesso di scuoterle il
petto “… è la prima volta in 8 anni che sono completamente sincera con
qualcuno.”
“Cosa sapete
fare tu e … le tue cugine?” fu la domanda improvvisa di Kakashi.
Avrebbe
potuto non rispondere a quella domanda, ma aveva deciso. Non sarebbe fuggita,
non una volta di più.
“Io so solo
imporre la mia volontà a quelli che mi ascoltano e che mi guardano negli
occhi.” Cominciò, ritornando a guardarlo “Potrei benissimo ordinare a qualcuno
di suicidarsi e quello lo farebbe.” Ammise, provocando nel jonin
un moto di terrore.
Kami-sama…
ripeté mentalmente.
“Moriko,…” riprese intanto la sua allieva “… ha una sorta di
retro visione. Una specie di terzo occhio interno che le permette di vedere nei
ricordi e nei cuori di persone e cose, a volte solo con un contatto visivo, a
volte con uno tattile.”
Kakashi la vide sorridere pensierosa, abbassando lo
sguardo, come presa da un ricordo.
“In un certo
senso, riesce a vedere la verità.”
“E Coco?”
A quella
domanda a Sakura parve di essere giunta all’ultima tappa del suo percorso, l’ultima
verità.
“Lei vede il
chakra altrui.” Spiegò “Riesce a catalogare i tipi di
chakra per tipologia, distinguendone gli attributi e
le capacità speciali per il quale vengono utilizzati.”
Come i doujutsu…
rammentò il sensei, ritornando con la mente al suo
primo incontro con la biondina, durante il quale era riuscita ad elencare non
solo i tipi di chakra suoi e di Sasuke,
ma anche la presenza dello Sharingan in entrambi.
“Come se
facesse un’analisi completa.” Sussurrò meccanicamente, ricevendo da parte di
Sakura un segno di assenso.
“Ora capisce
Kakashi-sensei?”
Di nuovo si
ritrovò gli occhi verdi della sua allieva confrontarsi con i suoi.
Non capiva
invece, perché non raccontarlo? Che cosa c’era di sbagliato nell’essere stata
adottata e nel possedere un doujutsu?
Fu Sakura a
dargli la risposta.
“Il mio clan
fu ritenuto troppo pericoloso a causa del Kiishimugan.”
L’occhio
destro di Kakashi si allargò.
Non era
possibile.
“Per il
Paese del fuoco, io non dovrei nemmeno esistere.”
Continua….
Note di
TRADUZIONE
¹Shimatta: altra imprecazione giapponese che si traduce
come un “dannazione” molto pesante.
²Doujutsu: arte innata oculare
ANTICIPAZIONI:
Il mio
compito è praticamente finito adesso.
“Sasuke! Svegliati!”
Ormai la
catena di eventi che cominceranno a susseguirsi inesorabili saranno unicamente
soggetti all’opera del destino.
“Naruto chi è quella donna che sì dà tante arie?”
“Tranquilla
Sakura! Presto Sasuke starà bene! Ti ho portato un
grande dottore!”
“Mi
dispiace, ma non potrai più essere uno Shinobi.”
La mia
volontà non conterà più … se non per me stessa.
“E tu? Come
ti chiami?”
“Moriko Nara, ojousan.”
Nulla potrà
fermare l’ombra che si aggira attorno a Konoha.
“Moriko-chan~!!”
Il prossimo
capitolo di Naruto Shippuden-Nana
hana ora diventato Nanaban Hana: I sette fiori insanguinati- il
risveglio, s’intitolerà “Verso il baratro.”Non perdetevelo!
Devo diventare più forte! A qualsiasi costo!
E le persone
a me più care, inizieranno una ad una ad allontanarsi.