Asintoti
La sua vita era riassumibile in un banale studio di funzione.
Nello scorrere degli anni si era
accorta di essere niente più che una piccola variabile, e
neanche poi così impazzita come agli inizi aveva immaginato. I
suoi studi le avevano rivelato un andamento estremamente ripetitivo
(riassumibile in intervalli di kpigreco, il cui unico pregio era di avere k piccolo a piacere,
e quindi impegnato a rimbalzare come la pallina di un flipper contro i
suoi bordi) , dandole la certezza che i suoi ostacoli prendessero vita
da una funzione trigonometrica del tipo sin x.
L'unico suo orgoglio nasceva proprio da quell'aggettivo,
"trigonometrico", la cui difficile pronuncia sembrava essere manifesto
di qualcosa di ostico ma, proprio per questo, incredibilmente
complicato e stimolante. Ciò non implica, matematicamente, che
le cose stessero davvero così.
Dato A, non B.
Analizzandola ancora più a fondo, mano a mano che guadagnava
esperienza, aveva rilevato degli asintoti verticali (il più
delle volte andandoci a sbattere il naso contro e restando intontita
per qualche istante, caduta di culo sulla traccia del sentiero fin
lì maturato a massaggiarsi la cartilagine dolorante) che
azzeravano tutto ciò che lei aveva guadagnato fino a quel
momento, costringendola ad annichilirsi in quel punto preciso per poi
riformarsi appena dopo averlo superato, ancora dolorante e
sconbussolata, riprendere fra le braccia i pochi cocci dei traguardi
passati e cominciare a ricostruire tutto da capo ancora una volta,
seguendo il medesimo periodo.
Naturalmente fin dall'inizio era stata conscia degli asintoti
orizzontali: difatti a causa della propria obbiettiva conoscenza e del
proprio orgoglio non poteva sbandare così a destra da liquefarsi
e conformarsi con la massa decerebrata che si stendeva al di là
del rigo netto in prossimità del punto denominato "gente
comune", ma nemmeno poteva andare troppo a sinistra: ad un certo punto
arrivava sempre a sbatacchiare la spalla contro la linea della "gente
intellettualmente emancipata ed economicamente realizzata".
Insomma: di una felicità superiore proprio non se ne parlava.
Sballottolata con andamento estremamente ripetitivo contro le pareti
della propria condizione di "persona non troppo mediocre ma nemmeno
geniale" aveva perso completamente la bussola e provava solo un
crescente senso di non-appartenenza accentuato dal giramento continuo
di testa che dava vita ad uno straniamento sempre più alienante.
Anche quando camminava fra la gente era come se fosse sola, ed i rumori
attorno le giungevano ovattati, resi irreali dai guard rail della sua
esistenza, che sembravano diventare una pellicola traslucida che si
trasformava e plasmava il tragitto in modo che niente le intralciasse
il cammino.
Naturalmente, ogni tanto la sua vita intersecava quella di un qualche cosin x:
era sempre bellissimo quando succedeva, e si ritrovava a sorridere
radiosa per quell'incontro (anche se era più che altro una
sovrapposizione di linee inevitabile, perchè per ogni sin x esiste un cosin x,
nulla di poi così speciale) a lungo agognato e a sperare in un
qualche cambiamento improvviso della propria periodicità.
Ma, come sempre quando iniziava a fantasticare, dimenticava che
l'intersezione non dura che un secondo, il tremolio di un battito di
ciglia e poco più, e quindi mancava l'attimo, osservando le
spalle di quell'incontro fatale mentre ormai si trovava già
troppo in lontananza.
Un giorno in cui camminava secondo il tracciato prestabilito intersecò l'ennesimo cosin x e,
come sempre, perse il momento buono per richiamarne l'attenzione;
stette degli istanti ferma ad osservare anche lui andare via, col viso
piegato verso sinistra ad inseguirne solo il fantasma opalescente.
Quando si arrese e, portando la testa a guardare innanzi a sè,
sospirò abbassandola, notò che gli era caduto qualcosa:
nel suo passaggio, il cosin x aveva abbbandonato dietro di sè un plico di fogli che le sbarravano il cammino.
Si guardò intorno preda del panico, girando il busto di qua e di
là con gli occhi preoccupati ed il cuore a mille: che fare?
Corrergli dietro per restituirglieli non poteva certo farlo: lo aveva
perso di vista, e poi le pareti non le avrebbero permesso di
raggiungerlo.
Ma nemmeno poteva lasciare quei fogli lì per terra, a rovinarsi.
Allora , accovacciandosi sui talloni, allungò titubante una mano
a sollevarli delicatamente, con un fruscio sommesso, e li lesse.
Fu così che scoprì le infinite dimensioni del piano, e
che non le era concesso andare solo a destra o a sinistra, avanti o
indietro: poteva spostarsi in qualsiasi direzione( sì, anche in
alto, oppure decidere di sprofondare per finire nel piano cartesiano
sottostante), poichè infiniti vettori partivano da lei con
avvolgendola con una potenzialità di movimento sferica e
vibrante di vita.
Quando si rialzò portò i fogli al petto, bagnandoli con
le lacrime della propria libertà appena scoperta, e li
cullò per qualche istante con tutti i suoi desideri stringendoli
forte e stropicciandoli appena; successivamente alzò la testa e
prese a correre diritta contro la parete opalescente, che come una
bolla di sapone si piegò finchè potè per resistere
alla sua pressione, ma alla fine scoppiò con uno schiocco che le
depressurizzò le orecchie e le fece perdere un po' l'equilibrio
in avanti. Barcollò per qualche passo prima di tornare
perfettamente eretta, e con occhi pieni di meraviglia si guardò
intorno in quello spazio libero che la circondava.
Per il momento era ancora vuoto, ma ci avrebbe pensato lei a riempirlo, col tempo e con la propria volontà.
L'unica cosa che si lasciò dietro fu un biglietto di
ringraziamenti verso quell'ignoto che le aveva fatto scoprire la vita,
lasciandovi sul retro un numero di telefono.
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