instabile
Piccola, piccola premessa.
Tutto quello che leggerete è da intendersi dal punto di vista prettamente di Yu.
Detto questo, vi auguro solo una buona lettura :)
Oh, prima che mi dimentichi...
Ringrazio l'Hu chan e Bella per la consulenza all'IC *-* Senza di loro sarei davvero persa <3
Ringrazio inoltre chi recensisce fedelmente tutte le mie ff e anche a chi capita, ogni tanto, di leggerle e apprezzarle *O*
Grazie a tutti voi <3<3
Instabile
-Mi sento…-
Un sussurro, un lieve mormorio. Qualcosa di difficilmente udibile ad orecchio umano.
-Yu, mi sento un poco… instabile…-
Questo uscì dalle labbra di poco spiegate di Allen, assieme all’alito vitale dei polmoni.
Una confessione, qualcosa di osceno da nascondere – da non pronunciare neanche.
Eppure lui era lì, davanti a
quel ragazzetto stupido, circondato da un silenzio profondo che rendeva
urla selvagge anche i respiri discreti dei dormienti.
Lo aveva sentito benissimo.
La forza delle parole può essere devastante.
Yu Kanda lo sapeva fin troppo bene – spesso ne aveva fatto
spregiudicato utilizzo, compiacendosi intimamente del potere che
gestiva così sapientemente.
La lama della sua Mugen non era tanto tagliente come poteva esserlo la
lingua, non era così fredda come poteva essere l’animo,
non era spietata come poteva esserlo una parola.
La volontà conosceva perfettamente il suo scopo – e lo
conseguiva con quanta energia aveva a disposizione nel corpo – e
determinata proseguiva nel suo cammino, fino alla sua conclusione, fino
al traguardo finale.
Acido, dalle sue labbra aveva grondato veleno come da una grondaia cade
pioggia durante i temporali, conscio che quello era l’unico modo
per salvaguardare il proprio spirito da domande, da questioni
inutilmente tediose.
Non voleva problemi, non voleva legami.
Aveva in realtà quanto già gli occorresse; altro proprio
non desiderava – o meglio, non poteva pretenderlo, e chi sa di
essere impotente non allunga neppure la mano nel tentativo di prendere
qualcosa.
Proprio per questo adoperava cotale arte nel migliore dei modi,
continuamente e senza alcun riguardo. Perché avrebbe dovuto
risparmiare chicchessia? Per vana cordialità? Non era certo
così ipocrita da considerare diversi tutti i vermi che
strisciavano nel fango che ricopriva totalmente la Terra.
Tutti uguali, ugualmente li trattava anch’egli.
Anche quel Walker, quel Maledetto, quella mammoletta senza spina dorsale.
Quel ragazzino che, facendosi come vanto di una terribile sofferenza,
si piangeva addosso senza porre realmente rimedio – senza farlo
minimamente – alla faccenda.
Pareva lui solo l’unico afflitto da qualche male.
Che razza di prima donna, che razza di essere particolarmente meschino e insopportabile.
Irritante oltre ogni misura.
Lo sfidava, continuava a farlo, con quella puzza sotto il naso degno di
ogni suo connazionale. Gli inglesi hanno la brutta mania di credersi
dannatamente superiori – Allen non differiva certo in questo,
proprio no.
I suoi dannatissimi sorrisi li odiava più di qualsiasi altra espressione capace di dipingersi sul viso.
Repressione, repressione; sempre repressione.
Non era capace d’essere semplicemente sé stesso, quel
bamboccio. Doveva apparire necessariamente come gli altri volevano che
egli apparisse. Era nauseante la sola idea.
Ma nonostante questo…
Forse era più un paradosso lui che tutto il resto della marmaglia che lo circondava.
Poteva almeno dire di essere coerente, questo sì. Ma era strano,
doveva ammetterlo, e insopportabile – perché niente che
fugge alla completa padronanza logica si può sopportare
facilmente.
Erano poche le persone che, nonostante tutto, nonostante fossero
toccate dal suo veleno, continuassero imperterrite a stare vicino alla
sua persona in un modo o nell’altro.
Chi ci aveva provato o era finito a terra schiacciato con più
ardore o semplicemente lo aveva lasciato di un’indifferenza tale
da palesare la loro sconfitta immediata.
Due sole persone si erano insinuate dentro di lui – con
discrezione – come una lisca nella gengiva. Non faceva male, ma
era dannatamente fastidiosa.
E Allen era una di queste due.
Per quanti sforzi Yu facesse con la lingua, egli non veniva via, in alcun caso.
Rimaneva lì, a torturargli la carne e a pungere la coscienza con
la sua presenza – rendendolo ancora più isterico di quanto
già non fosse di per suo.
E allora eccolo che urlava, eccolo che l’anima nera intravista
tra le parole d’astio veniva fuori prepotentemente, in ognuno dei
pugni che riservava alla faccia dell’altro.
Quell’odio era quanto di più genuino Yu avesse mai
provato. L’espressione dolorante e incavolata che Walker gli
rivolgeva ogni volta – quando erano a terra immersi nella polvere
e nello sporco – gli pareva così vera che sarebbe stato
intenso quanto un orgasmo fargliela vedere, schiaffargliela in faccia,
e rivelare così tutta la sua ipocrisia abilmente nascosta.
Era così difficile pretendere un poco di sincerità dalle
persone, ma Allen le superava davvero tutte in quanto a testardaggine,
e ciò era dannatamente irritante.
Perché, se le altre persone quantomeno avevano la decenza di
stargli lontano, Allen pretendeva anche di essergli accanto, e avere da
lui quello che nessun altro pretendeva: un motivo, un perché.
Per questo lo odiava, per questo gli era impossibile sopportarlo.
A parte quando a sua volta si riempiva la bocca di improperi e lo picchiava come se fosse stato una sorta di piccolo Akuma.
Che da questo fosse passato a cercare altre vie con le quali vedere la vera faccia di Allen non se lo spiegava razionalmente.
Forse – forse – desiderava solo che la propria vittoria
fosse più schiacciante, umiliante per l’altro. Allora si
sarebbe spiegato il motivo di tanto accanimento nei suoi confronti.
Le situazioni estreme, sì…
Ogni volta che Allen combatteva contro un Akuma particolarmente ostico
pareva abbandonare, almeno per pochi istanti, la sua maschera da
perfetto gentiluomo per diventare quello che in realtà tutti
loro erano: un mercenario.
Quando sfoderava la sua arma, quando la abbatteva contro
l’avversario, dimenticava ogni infida gentilezza, ogni cosa che
non fosse il proprio obiettivo.
E lì a Yu pareva di scorgere non altri che Allen Walker.
Ma erano anche altri i momenti in cui Allen pareva dimenticare di far vedere certe ipocrite emozioni.
Forse credendo nell’intimo che situazioni simili fossero degne
della più alta e pura sincerità, il ragazzo si muoveva
spinto da semplice genuinità, rivelandosi piuttosto goffo nel
mostrarsi così nudo davanti a occhi altrui.
Se n’era accorto la prima volta che l’aveva baciato.
L’impulso non sapeva da dove gli era venuto – non sarebbe
stato capace di spiegarlo neppure lui – eppure quando Allen aveva
spalancato gli occhi e l’aveva fissato senza riuscire a dire una
sola parola aveva capito di aver fatto centro.
Come era sincero nei gesti, era insincero nelle parole: Yu
l’aveva capito fin da subito. Parlando, riusciva a far rimanere
assieme i pezzi della falsità che a stento stava addossata alla
sua faccia.
Rimanendo zitto, da solo col proprio corpo che si muoveva scompostamente, non aveva modo di mascherare alcun ché.
E allora Yu intendeva benissimo il da farsi. Allen non avrebbe avuto
occasione di parlare, non avrebbe avuto la possibilità di
rifugiarsi da qualche parte lontano dal suo sguardo accusatore.
Per questo lo baciava – senza dargli tregua – per questo lo toccava, lo abbracciava con forza.
Ogni volta che imponeva le sue labbra su quelle dell’altro,
andando ad occupare la sua bocca con la lingua, muovendo le sue mani
sul corpo che tremava tutto, Allen gli appariva con chiarezza estrema
come mai era stato.
Era uguale ogni volta che, spingendolo senza esitazione, lo
obbligava contro una parete, addossandosi a lui e gravando con tutti il
suo peso; così come ogni volta che, preso per il braccio, lo
conduceva in un qualche angolo remoto della Home e si stringeva
così tanto a lui da credere quasi di mescolare la sua carne alla
propria – o, anche, quando riusciva a trascinarlo a forza in
camera, a stenderlo sul letto e lì a farci l’amore…
Lo sentiva, lo sentiva distintamente.
E godeva come non mai avrebbe ammesso nel vederselo davanti agli occhi
col viso completamente rosso, con le labbra schiuse ma incapaci di dire
alcunché.
Entrava in estasi, ogni volta – dimentico per qualche attimo dello stesso proposito che lì lo aveva spinto.
-Yu, mi sento un poco… instabile…-
Ed ecco che con una semplice frase sembra incrinarsi il delicato
equilibrio che, senza neanche rendendosene conto, Yu aveva instaurato
tra lui e quel Maledetto.
Non aveva pensato, troppo preso dalla foga delle proprie azioni. Non
aveva calcolato che, tra un bacio e l’altro – tra il sesso
e la semplice carezza – Allen potesse trovare anche il tempo di
esprimersi.
Un bugia, una bugia come un’altra: ecco a cosa aveva istintivamente pensato Yu.
Perché dire una cosa del genere?
Instabile? Cosa mai poteva significare un aggettivo tanto insulso.
Nulla, appunto.
Eppure l’aveva colpito nel profondo. Forse col tono dimesso,
forse per il lungo silenzio che l’aveva preceduto e seguito,
forse anche per il fatto che Allen non osasse guardarlo in faccia
– e quello era un atteggiamento di un colpevole, di chi rivela
una scottante e scomoda verità.
Non rinunciava al proprio orgoglio neppure in quel momento.
Instabile, come la psiche compressa dal dubbio, come una vita che non
sa decidersi se continuare o lasciarsi andare tra le morbide braccia
della Morte.
Instabile, come un qualcosa che tende sia a destra che a sinistra, ma
non sa decidersi – ha paura di farlo perché non conosce il
traguardo né dell’una né dell’altra strada.
Instabile, come un giocoliere sull’alto filo che lo divide dalla
terra, in mano solo un lungo bastone col quale aiutarsi e tra le labbra
una speranza balbettata.
Semplicemente, instabile. Questo era quanto.
Non si trattava più di una scommessa, del tentativo di scovare
l’altro dietro ad atteggiamenti dalla certezza e interpretazione
preclusa.
Ora c’era sul piatto della bilancia qualcosa che non poteva
essere stimato ai suoi occhi – troppo enorme era
l’importanza di quella che definiva senza mezzi termini
dignità.
Non poteva più prendersi in giro.
Con quell’unica parola che gli rombava nelle orecchie –
peggio di un’eco spietata – era rimasto in silenzio fin
troppo a lungo.
Allora si tese, in quella piccola stanza buia e silenziosa. Si tese in avanti sul materasso, verso Allen.
Tese la mano, tese il corpo, tese appena le labbra in un bacio –
un lieve contatto – che non sapeva di sfida ma di
riappacificazione.
Allen era stato così dannatamente egoista che nel suo personale dubbio aveva trascinato con piene mani anche lui.
Solo un attimo però quel ballare scomposto lo aveva colto impreparato, subito si era ripreso.
Stretto al proprio petto, aveva inalato il profumo dei suoi capelli e
della sua pelle, non potendo mirare lo sguardo chiaro in tutta
quell’ombra.
Se la lingua era incerta non lo sarebbe stato il sentimento, questo era ciò che Yu voleva.
Stette zitto, mentre lo baciava lento sulla bocca, imprimendo una volontà che non poteva essere detta.
Sarebbe morta con lui la verità intesa nei gesti, ingabbiata
nella gola e mai esplicata fino a chiarirsi completamente alla mente.
Perché la comunicazione prima passava attraverso le mani – e la parola risultava terribilmente ingannevole.
Instabile…
Odiava l’espressione stessa, ciò che nascondeva.
Cosa c’era di vagamente romantico nel traballare incerto di un simile concetto?
Niente.
Yu non era fatto per queste cose – non aveva il tempo di concedersi il dubbio.
E se proprio Allen desiderava una ragione, un motivo valido per
continuare a respirare o, in alternativa, per continuare a lasciarsi
baciare da lui, lui gliela avrebbe data, con quanto impeto possedevano
le sue mani.
Questo era quanto.
Niente incertezze – perché ci vuole forza per lasciarsi galleggiare nell’oblio vuoto.
Un bacio fu subito seguito da un altro e un altro ancora, così
che nella mente di quella maledetta mammoletta non risuonasse altro che
il suono di un gemito sospirato e di un piacere atroce che dalle gambe
si espandeva fino a renderlo pazzo.
Eccola la unica e sola ragione che Yu ammetteva nella sua coscienza e nella propria.
Non altra.
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