Premetto che sono cristiana e quindi
credo nell’esistenza
sia di angeli che di diavoli.
Questa shot è
semplicemente un esperimento, il tentativo di
dare un antefatto al secondo filone del mio libro (work in progress) e
parte da
un fatto accertato, la visione di Leone XIII del 25.04.1884 citata in
libri
come “Racconti di un esorcista” di Gabriele Amorth
e “I misteri di Karol
Wojtyla” di Antonio Socci. Da lì in poi,
è esclusivamente frutto della mia
immaginazione.
La visione di Satana e S. Michele
è personale e Sara
appartiene a me.
Buona lettura
TI ASPETTERÒ
“Ci
sono persone che,
quando le incontri, ti illuminano la vita per sempre”
Giovanni XXIII
“…
quelle persone
capaci di scaldare il cuore di chi sta loro intorno”
Anonimo
Il
25 marzo 1884, il successore
di Pietro, Leone XIII, durante la celebrazione della messa di
ringraziamento,
ebbe modo di ascoltare una conversazione decisamente particolare.
Si
svolgeva tra il Figlio di Dio
e l’avversario dello stesso; tra Cristo e Satana.
Tra
la voce dolce del Cristo e
quella traboccante d’arroganza del demonio.
“Se solo avessi il tempo e il potere per
metterla alla prova, riuscirei
a spazzare via la tua Chiesa!”
Ero
sicuro di quel che dicevo:
mai come allora avevo avuto a disposizione mezzi di ogni genere per
corrompere
l’umanità. I potenti erano già contro
la Chiesa: dovevo limitarmi a dare la
spinta finale per togliermi di torno quegli stramaledetti preti.
Però
… non potevo agire
liberamente, non fino a quel punto.
“Avrai il tempo che chiedi. Da ora al XXI
secolo; circa cento anni.
Sufficienti direi”.
Eh?
Diceva sul serio? Inaudito.
Mi concedeva, quanto odiavo dover dipenderne così, del tempo
per tentare di
distruggere i suoi?
Benissimo,
non chiedevo di
meglio.
Almeno
una battaglia importante
avevo la possibilità di vincerla.
“Perfetto. Quand’è
così, non ho più nulla da fare qui”.
“Non ho finito”.
Me
ne stavo già andando e tornai
indietro seccato. D’altra parte, se Lui comandava, io dovevo
ancora obbedire.
“Che c’è ancora?!
Altro che il tuo Vicario dovrebbe ascoltare?”
Mi
ero accorto fin dall’inizio che
aveva permesso al suo Papa di assistere al dialogo e la cosa mi seccava
enormemente. Potevo attaccare la Chiesa ma il suo pastore ne era al
corrente;
sicuramente non sarebbe stato con le mani in mano.
“Ciò che lo riguardava
è terminato. Nessun altro assisterà alla
visione, perché non li riguarda”.
“ E a chi interessa allora?”
“Te”.
Va
bene, se voleva lasciarmi
senza parole c’era riuscito. La domanda era
un’altra: perché mai?
Tutta
la mia intelligenza e
bastava una sillaba a non farmi capire più niente.
Più lo guardavo, più
risplendeva; più dovevo abbassare lo sguardo abbagliato.
Più mi piegava e più
l’odio cresceva … così tanto da non
poter mai essere quantificato. Al pensare
che una luce simile l’emettevo io … oltre alla
rabbia veniva a galla qualcosa
di pericolosamente simile al rimorso per troppe cose perse.
“Vuoi vederla?”
Insopportabile,
veramente.
Secondo Lui?! Certo che sì! Ovviamente, non avrei mai
permesso di mostrarmi
troppo interessato … anche se probabilmente sapeva da
sé.
“Già che ci sono
…”
Che bugia pietosa
… decisamente, non era
giornata.
“Allora guarda”.
“Che diamine …”
Mi
zittii. Dove prima vedevo la
Cappella Sistina (postaccio!) ora c’era la camera di una
bambina, a occhio,
piuttosto piccola. Eccola lì. Sui quattro anni, i capelli
già piuttosto lunghi
di un colore piacevole, una sorta di castano rossastro; i tipici
occhioni dei
marmocchi umani, incredibilmente profondi. Giocava con dei peluche su una distesa di cuscini.
Squillo d’allarme;
io stavo sempre in mezzo ai cuscini.
Strana
coincidenza. E le coincidenze non esistono.
Non
ho idea del perché, ma non
riuscivo a scollarle lo sguardo di dosso.
E
la cosa non mi piaceva
assolutamente. Io gli umani li ho sempre detestati, sempre. Da prima
che
fossero creati. Questo batuffolo non doveva essere diverso.
Mentre
ci pensavo, neanche mi
accorsi che il “batuffolo” mi fissava con
insistenza.
“Ciao”.
Ero
visibile?!
“Chi
sei?”
Ero
visibile.
Mi
voltai e Lo guardai malissimo.
“Questo si chiama colpo
basso”
sibilai.
“Non essere assurdo. Rispondi,
è educazione”.
E sembrava pure che divertirsi!
Quell’insulso
affarino continuava
a guardarmi; poi, d’un tratto,
s’illuminò.
“Beelleee!
Posso toccarne una,
per favore?”
Oh,
no.
No,
no, no; ti prego no.
E
invece sì: pure le ali si
vedevano.
Mi
accucciai per essere
all’incirca alla sua altezza. Visto che le mostravo un
po’ d’attenzione (non
poteva sapere quanto fossi frastornato) si mise seduta tutta impettita
e prese
fiato.
“Ri-ciao.
Io sono Sara. Tu chi
sei?”
Sara.
Principessa,
in ebraico.
La
moglie di Abramo.
“Dopo questa, non ricorderai
nessun’altra con quel nome”
“Ciao
Sara. Sai cosa vuol dire il
tuo nome?”
Che
diamine stavo facendo?!
Chiacchieravo con una bambina umana? E la trattavo pure bene?
Che
qualcuno mi tirasse un pugno.
Stavo davvero male.
“No.
Tu sì?”
Annuii.
“Principessa”.
Occhioni
sempre più grandi in
risposta “Davvero? Bello! Mi piace!” poi
tornò all’attacco “E tu ce
l’hai un
nome?”. Che potevo fare? Solo sperare che, così
piccola, non sapesse nulla di
me.
Non
mi andava di spaventarla. Strano
…
“Davvero?”
“Silenzio”
“Più
d’uno. Almeno tre”.
“Quali?”
“Hehel,
Lucifero e Satana”.
Era
perplessa. “Che nomi strani …
l’ultimo mi fa paura. Posso chiamarti solo Lu?”
Senza
parole. Annuii ancora,
troppo sconvolto per parlare.
“Senti,
mamma dice che gli angeli
hanno le ali bianche. Perché le tue sono nere e
grigie?”
Brutta
domanda, questa.
“Perché
non sono più un angelo”.
Tentò
un paio di volte di salirmi
in braccio e alla terza ci riuscì. Accoccolata tra le mie
braccia mi guardò “E
cosa sei?”.
Il
momento della verità.
“Il
diavolo”.
Tremò
appena, poi mi tirò i
capelli “Bugia. Il diavolo è brutto e cattivo,
odia le persone e fa male a
tutti. Tu sei gentile e non sei neanche brutto. Solo un po’
strano. Chi sei,
davvero?”.
Perfetto,
dico solo la verità e
neanche mi credono. Poi, gentile, io?! Ma quando mai?
“Davvero,
il diavolo” stavolta si
limitò a fissarmi “Davvero, davvero?”
“Sì”.
Sembrava
che non avesse ancora
deciso se avere paura o no.
“Se
sei il diavolo hai sempre un
sacco di cose da fare, cosa fai qui?”
“Non
ne ho la minima idea; non
l’ho deciso io di essere qua”.
A questo punto fece
l’unica cosa che mai avevo
e avrei visto fare a un essere umano.
Mi
abbracciò.
La
prima reazione fu di
irrigidirmi, ma non
durò a lungo.
“Sei
tanto freddo, lo sai? Però
le piume sono morbidissime” era contenta e non aveva neanche
un briciolo di
paura.
“Sara?”
“Sì?”
si era rimessa seduta.
“Perché
non hai paura?”
“Ho
il mio angelo custode e Gesù”
Custode che mi fissava in modo assolutamente ostile e annuì
decisa mentre le
restituivo l’occhiataccia “quindi,
perché dovrei?”.
Argomentazione
ineccepibile.
Acuta
per avere solo quattro
anni. Ma totalmente assurda.
“E
tu perché sei cattivo se non
sei nato così?”. Errore, pensai, io non sono nato;
sono stato creato. C’è una
bella differenza. Balenarono alcuni ricordi di prima della Caduta ma li
scacciai rapidamente. Non c’era bisogno d’infierire
ancora.
L’autolesionismo
lasciamolo agli
umani.
“Sei
ancora piccola. Non
capiresti molte cose” e l’ultima che volevo era
ricordare.
Mi
sorrise “Va bene. Però guarda
che quando sono più grande me lo devi spiegare”.
Impossibile;
voleva starmi tra i
piedi anche in futuro. Ma, in fondo, perché no?
“Affare
fatto. Solo quando avrai
diciotto anni e sarai adulta, però”.
Un’anima come la sua, una volta cresciuta, mai e poi mai
avrebbe fatto
un’evocazione perciò avrei dovuto cercarla io.
La
sua anima pura non si sarebbe
macchiata con un simile veleno.
Qualcosa
stava cambiando. Le
pareti della camera, per esempio. Si dissolvevano, trasformandosi in
quelle
affrescate della Sistina. No, pensai angosciato, non così
presto.
“Che stai facendo,
maledizione?!”
“Una visione non può durare
per molto”.
“È troppo presto!” anch’io
cominciavo a sparire.
“No, è il momento
giusto”.
“Non voglio! Ti è di troppo
disturbo evitare di tormentarmi?!” lui
non rispose più e io l’avevo appena sparata
grossa: non era certo lui a
tormentarmi, avevo fatto tutto da solo. Però ero furioso lo
stesso. La bambina
si era accorta che stavo andando via.
“Aspetta!
Non andare via …” la
voce si perdeva. Tese la mano per acciuffarmi almeno una piuma, gliela
diedi
prima di sparire definitivamente. Piangeva.
Un
battito di cuore umano ed era
di nuovo il 25 marzo 1884.
M’infuriai.
“Perché?! Maledizione, che
bisogno c’era?!”
“T’ho già detto che
era solo una visione . Per quanto piacevole, non
poteva durare molto”.
“Stavo bene per la prima volta da quattro
miliardi di anni,
dannazione!”
“Non era il momento! Devi sempre
ribattere? Non puoi fidarti, per una
volta? ” mi morsi la lingua; se fosse stato solo un
umano sarebbe stato decisamente
arrabbiato. Poi si rabbonì “Lei
non è
ancora nata e tu non sei ancora disposto a permettere a qualcuno di
sciogliere
il ghiaccio, non sei pronto”.
“Non lo sarò mai per
quello”.
Rise
“Vedremo”.
Che
nervi…
“Abbi pazienza”.
“La pazienza non abbonda a casa mia”
replicai più seccato che
furioso.
“Strano, pensavo che fosse una
qualità innata nei predatori”
ribatté imperturbabile lasciandomi perplesso. Stava forse
facendo del sarcasmo?
Quella era una mia “dote”, non sua.
Sentii
la presenza di Astaroth,
seppur distante “Mio signore? Potete venir via? Avremmo
alcune questioni da
sottoporvi” era nervoso e spaventato, “Aspetta.
Tieniti a distanza, non dovrei
metterci molto”.
“Posso andarmene adesso? Devo distruggere
la tua Chiesa … e cent’anni
passano in fretta”.
“Va’ pure. Ho solo
un’ultima cosa da dirti”. Sempre gentile,
sempre
disposto a rapportarsi con le sue creature, per quanto deviate.
Disposto a dare
la vita (quella di Dio!) per dei deboli mortali indegni di un simile
amore,
così facili da corrompere. Umani considerati e resi
più importanti di creature
perfette e spirituali come gli angeli, resi figli e non semplici
creature. L’argomento
migliore per farmi infuriare.
“Ossia?”
“Arriverà”.
Mi
bloccai. Possibile che potessi
veramente riavere la pace? E che a darmela fosse un umano?
A
sentir lui, sì. E Lui,
diversamente da me, non mentiva mai.
Cominciai
ad andarmene, sentendo
l’evidente sollievo del mio Generale.
Qualcosa
però non andava, non mi
sentivo a posto; come se dovessi aggiungere altro.
Mi
venne in mente e mi feci
precedere da lui nel ritorno all’inferno.
I
diavoli possono vergognarsi?
Sì, indubbiamente. Sono stupidi? Altrettanto sicuro, o
almeno, lo ero io.
Altrimenti non avrei mai fatto quello che feci.
“Grazie”
Poi,
scappai. Un comportamento
ridicolo, ma non avrei potuto fare altro.
Non
tornai all’inferno. Andai
piuttosto in un luogo abbastanza sperduto, nell’America del
Nord. All’epoca era
deserto, sconosciuto. Nessuno sentiva la necessità di
recarsi in luogo così
isolato per ammirare il cielo stellato dall’alto di un
impressionante ponte
naturale roccioso, tanto alto da farti sentire di nuovo parte di quel
cielo,
che ancora non mi era precluso. Erano infinite e splendevano
imperturbabili,
stupende. Vidi Venere, la “stella” a cui gli
antichi avevano inconsciamente
dato il mio nome. Meritava il titolo di portatrice di luce.
Sorrisi
ironicamente. Avevo fatto
un ottimo lavoro col genere umano. Alcuni di loro, studiando la
meraviglia che
contemplavo, avrebbero continuato a sostenere l’inesistenza
di Dio e del
sottoscritto.
Idioti.
Le stelle più di altro
erano la prova fisica della Sua esistenza. Nulla meno della perfezione
avrebbe
potuto creare uno spettacolo simile …
Mentre
mi godevo la lontananza
dall’inferno in un luogo che rifletteva pur minimamente la
mia casa, mi accorsi
che nell’aria aleggiava una melodia sommessa, malinconica e
incredibilmente
familiare.
Era
la mia voce.
Dopo
quasi quattro miliardi di
anni di silenzio, cantavo.
Nulla
in confronto a quand’ero la
luce, ma abbastanza sublime da incantare ancora.
Un'altra
voce, perfettamente
sincronizzata alla mia.
Michele.
C’era
sempre stato un rapporto
privilegiato, prima che iniziassimo a combatterci e, a quanto pareva, sopravviveva ancora. Anche
la sua canzone era
triste. Sapeva di perdita, di sofferenza.
Avrei
anche potuto aggredirlo ma
accantonai l’ipotesi. Non volevo combattere. E che se la
ghignassero pure
lassù, me ne infischiavo altamente.
La
musica di Michele vibrò,
diventando una risata soffocata “Non hai fatto niente da
meritarsi ghigni” “Ti
ho mai detto quanto odio che ascolti i miei pensieri
privati?” ride di nuovo
“Ma quale privato … a me pareva un messaggio
lampeggiante”. Alzandomi, mi volto
a guardarlo in quegli occhi così maledettamente azzurri, i
capelli bianchi come
i miei una volta, più corti e scompigliati “Cosa
sei venuto a fare qui?”
“Esattamente quello che sei venuto a fare tu.
Pensare”. Lo fulmino, non me la
conta tutta giusta “A che?”. Si avvicina e si siede
di fianco a dov’ero prima,
dandomi le spalle. Non si aspetta un attacco, si fida “Sei
uno stupido” lo
apostrofo, “mai fidarsi di me. È un lusso che non
ti puoi più concedere,
fratellino”. Sento che sorride “Chi dice stupido
è stupido … e se avessi voluto
attaccarmi l’avresti fatto appena ti sei accorto di me,
fratellone”. Calca
l’ultima parola. “Ho sempre sostenuto che i piccoli
vengono viziati troppo” “A
volte sono costretti a crescere di colpo, se i maggiori vengono a
mancare”
ribatte imperturbabile.
Continuiamo
per ore senza
accorgerci neanche che si avvicina l’alba.
Quando
il cielo schiarisce,
l’unica stella che ancora risplende tenace è
Venere.
Siamo
in due a fissarla, in un
silenzio pieno di pace.
Mi
alzo “E’ rilassante bisticciare
con te. Ma ora ho da fare, devo distruggere quei preti
cocciuti”
Mi
imita “Ha parlato la creatura
più testarda del creato. Io ti contrasterò in
tutti i modi, tanto per cambiare.
Potrebbe essere più originale la questione
…” ghigno “Vuoi provare a darmi il
cambio? Magari le ali nere non ti stanno poi così male
…” “Oppure tu potresti
tornare a usare i neuroni e tornare a casa con gli altri …
ma fintanto che sei
solo, mi sa che chiedo la Luna”.
A
questo non ribatto subito
“Nutrite troppe speranze in quel batuffolo”.
Sorride
sotto i baffi “No, non
credo. Il Signore non si sbaglia mai”.
Spiega
le ali candide come
le mie sono oscure e si alza in
volo, per così dire, continuando a guardarmi.
“Ci
vediamo, Hehel. Cent’anni
sono brevi … non farci trafficare troppo!”
Sospira
e scuote la testa,
svanendo “La Speranza non muore mai!”
È
ora che anch’io torni.
Rivedo
il viso della bambina e mi
imprimo a fuoco le Sue parole:
Arriverà
Benissimo,
vieni pure Sara.
Ti
aspetterò.
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