Mente brillante
Il
problema dell'avere una mente brillante consiste
nell'incapacità di
ignorare i suoi consigli. Un essere intelligente non segue mai il
cuore: quando
questo fornisce cento motivi a suo favore, il cervello ne trova sempre
uno in
più.
La
mente, spesso, è una subdola consigliera: ti salva dalle
fregature,
ti permette di vincere qualsiasi sfida, ti fa guadagnare il rispetto
della
gente, ma allo stesso tempo t'impedisce di cogliere le sfumature della
vita, di
gustare la gioia che c'è in una cosa semplice come un
sorriso, un abbraccio, una
parola di conforto.
Chi
mi conosceva mi definiva brillante, intelligente, astuta, molto
più matura delle altre ragazze della mia età.
Chi
si limitava ad osservarmi mentre andavo in giro per strada, mai
con un capello fuori posto o con un’unghia appena scheggiata,
mi trovava
presuntuosa, saccente, spesso fastidiosa.
Ma
tutto ciò non mi toccava: ero convinta che chi non mi
sopportava
fosse solamente invidioso di me, che certe battutine acide e
sarcastiche
mirassero solamente a nascondere l'ammirazione provata nei miei
confronti.
Ero
convinta di poter calcolare tutto, di prevedere ogni conseguenza
delle mie azioni, di avere il controllo su ogni cosa. Non facevo mai
niente
senza pensarci bene prima.
Ero
fondamentalmente una persona molto egoista. E di conseguenza,
anche molto sola.
Mi
rifiutavo di scendere a compromessi, di sentire le ragioni altrui.
Mi rifiutavo, in definitiva, di mettermi in gioco veramente.
Ho
una domanda nel cuore da quel giorno freddissimo di metà
ottobre,
quando io e i miei compagni di classe eravamo radunati nel piccolo bar
a
pianterreno, mentre fuori una pioggerellina leggera faceva da
sottofondo ai
nostri pensieri. Una domanda che seppi mi avrebbe tormentato dal
momento esatto
in cui negai la verità che il mio cuore stava urlando,
mentre il cervello gli
tappava la bocca. Che cosa ne sarebbe
stato di me se, per una volta, avessi seguito il cuore al posto della
mente?
Mi
accorsi subito che quella giornata era strana. Era come se
nell’aria ci fosse stata nube di fumo denso e nero che
m’impediva di rendermi
conto con chiarezza di cosa stava succedendo e di conseguenza faceva
nascere in
me l’angoscia che assale solo colui che ha passato una vita a
vedere e
all’improvviso si ritrova cieco, nel posto più
pericoloso.
Sapevo
che lui non aspettava
altro che trovare il momento giusto per parlarmi. Era convinto che in
questo
modo, dichiarandosi senza un telefono o un video tra noi, avrei
finalmente
acconsentito a demolire il muro che avevo innalzato tra me e il mondo,
tra noi.
Io speravo di potercela fare, ma ero riluttante, incerta. Avevo
rimandato quel
momento all’infinito, ma lì, in quella stanza
piccola e con poche persone
presenti, niente in particolare da fare o sistemare, mi resi conto di
non avere
scampo.
E il
suo sguardo, quei due occhi color ebano, che per la prima volta
ostentavano sicurezza, diede la conferma ai miei timori.
Si
avvicinò con andatura dondolante, la schiena ricurva, i
vestiti
sgualciti indosso. Tutto ciò mi infastidiva, mi disturbava.
Il mio animo
perfezionista non riusciva a lasciarsi andare al pensiero che la gente
si
rendesse conto di quanto fossimo diversi, anche solo
nell’aspetto fisico, e che
lo facesse notando la profonda differenza tra i miei abiti, il mio
portamento,
la mia eleganza e i suoi. Mi sentivo osservata, come sotto esame, ogni
volta
che lui mi salutava più calorosamente o mi sorrideva, in
pubblico.
«Ciao»mormorò,
con un lieve tremolio nella voce.
«Ciao»risposi,
fissando la punta delle mie ballerine di vernice rossa,
regalo di compleanno da parte dei miei genitori.
Aspettai
che aggiungesse qualcosa, continuando a tenere lo sguardo
rivolto verso il basso. Lo sentivo agitarsi quasi impercettibilmente
accanto a
me, e il pensiero di essere il motivo di tanta inquietudine mi faceva
salire un
groppo alla gola tanto grande da rendermi difficile il semplice
deglutire. Anche
se avessi voluto dire qualcosa, non ci sarei riuscita.
«Avrei
voluto parlare di questa cosa con le tue amiche prima, ma
sentivo che non era il caso. Ho pensato che probabilmente era meglio
discuterne
a voce, io e te, da soli, senza nessun altro»disse.
«Hai
pensato bene»risposi, mentre un brivido mi percorreva la
schiena
all’idea che avrebbe potuto lasciare che qualcuno di esterno,
che non mi
conosceva realmente e si basava solo sull’apparenza,
giudicasse ciò che era
successo e stava succedendo fra noi. Tremai al pensiero che qualcuno
sapesse
come mi ero comportata con quell’individuo che nella scala
sociale non era
nessuno e contava meno di zero, quando predicavo di continuo che
l’apparenza è
tutto e che la bellezza, quando è interiore, è
del tutto inutile.
«Tutto
è cominciato da quella sera a casa tua, mentre guardavamo
quell’horror da due soldi che non avrebbe spaventato nemmeno
un bambino. Era
buio, e io non avevo nemmeno guardato su quale divano ti eri messa. Ma
quando
mi sei venuta in collo, abbracciandomi con una dolcezza di cui non
credevo tu
fossi dotata, mi hai spiazzato. Sono rimasto inerte, sicuramente
l’avrai
notato. Inerte come solo uno stupido può rimanere, tenendo
una come te sulle
ginocchia. Ma il mio cervello…» fece una pausa per
accrescere l’effetto, «era
partito alla velocità della luce e si stava perdendo in
congetture che ci
ritraevano insieme, mano nella mano, sotto una coltre di neve nel
periodo
natalizio, mentre ci scaldavamo l’un l’altro per
non battere i denti; oppure
stesi su un telo colorato, sotto il sole cocente di agosto, al
mare…»sospirò.
Il
mio cuore, che aveva immaginato tutte queste cose, scalpitava e si
agitava. Il cervello cercava di calmarlo, di impedirgli di fare rumore.
Sarebbe
stata la fine.
«Poi
si è accesa la luce nella stanza e sei scappata lontano da
me.
Non mi hai più abbracciato, ma ti lamentavi
perché io non lo facevo.
Quando ti assecondavo, scappavi di nuovo. Non
capivo più niente, cercavo di fare mille ipotesi che non
portavano a nessuna
soluzione. Penso di essermi innamorato di te, nonostante tutto. Non
trovo altri
nomi per i miei sentimenti. E proprio per questo ho deciso di
parlarti… perché
so che l’amore non può essere definito tale se
è a senso unico»disse, con la
tristezza nella voce di chi ormai si è rassegnato
all’evidenza.
Non
sapevo cosa dire. Era come se le parole, che di solito affluivano
nella mia mente e affioravano alle mie labbra con facilità,
fossero state
segregate sul fondo di un pozzo profondissimo al quale io non potevo
attingere.
E la
solita battaglia fra cuore e cervello aveva luogo dentro di me,
lacerandomi, spezzandomi in due parti nette, precise, entrambe
invitanti,
seducenti, convincenti.
Decisi
di alzare lo sguardo, commettendo l’errore che mi convinse
che
un rimpianto è meglio di un rimorso. La collezione di troppi
pentimenti viene
sempre rinfacciata dalla gente. La mancanza di coraggio
nell’agire, invece,
spesso è garanzia di stima. Nessuno può dire
nulla sui tuoi errori.
La
ragazza più popolare della scuola, quella di cui avevo
agognato la
vita, i lucenti capelli rossi, l’adorazione di ogni singolo
studente, la
schiera infinita di amici; quella che mi aveva spesso fatto complimenti
e dato
consigli, negli ultimi tempi, fino ad ammettermi nella cerchia dei
pochi eletti
che potevano starle accanto, passò di lì. E mi
fissò, con un tale disgusto
nello sguardo nei confronti di colui che mi stava accanto che trasalii.
Improvvisamente
realizzai che stare lontana da lui sarebbe stata la
soluzione migliore. Ignorarlo, trascurarlo, escluderlo per sempre dalla
mia
vita.
Senza
di lui, avrei brillato. Con
lui, avrei avuto solo il suo amore.
Ed
ero quasi sicura che non mi bastasse, perché negli esseri
dotati di
mente brillante, gli esseri razionali, precisi e ragionevoli,
l’affetto delle
persone non ha mai la priorità sul successo, sulla
convenienza data dall’essere
circondati di persone forse prive di sani principi ma dotate di un
certo valore
nella scala sociale, sulla popolarità, sulla fama.
E
agii di conseguenza. Dissi a quel ragazzo, di cui ormai non ricordo
nemmeno il nome, che i miei gesti erano stati dettati
dall’inesperienza,
inventai la scusa di non aver mai avuto un amico maschio per
giustificare il
mio comportamento ambiguo; proseguii per la mia strada, brillando in
tutti i
campi, tranne in quello dell’amore.
Ma
ancora oggi, qualche volta, mi chiedo: che
cosa ne sarebbe stato di me se, per una volta, avessi seguito il
cuore al posto della mente?
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