Compleanno - Anima d’acquamarina
Alzò accigliato gli occhi
dal piatto della sua colazione quando gliela posi innanzi e gli chiesi:
“Che cosa crede che
sia?”
Holmes posò con lentezza
forchetta e coltello sul bordo del piatto ed allungata una mano verso la mia vi
lasciò scivolare delicatamente la finissima catenina d’oro bianco
e la piccola pietra che vi era assicurata per mezzo di un gancetto.
“Una gemma grezza, vede, ci
sono persino dei residui di semplice pietra calcarea lì...” mi
fece notare lisciandosi il mento “Un’acquamarina ad esser precisi,
ma niente di prezioso o d’inestimabile... forse l’ha persa qualche
piccolo furfante dopo averla rubata
in un negozio di bigiotterie e paccottiglie simil o magari la buttata di
sua sponte: il cassiere del banco dei pegni deve essergli scoppiato a ridere in
faccia. Piuttosto, dove l’ha...”
“Holmes...” lo
interruppi con un’espressione affatto stupita in volto che sicuramente
contribuì a zittirlo più di quanto non avrebbe potuto fare
qualsiasi mio altro richiamo alla sua attenzione “Quella è la mia
anima.”
Il detective alzò
sconcertato il suo sguardo d’acciaio su di me, lo riportò sulla
piccola gemma celeste e poi di nuovo verso di me, guardandomi come avrebbe
guardato un psicopatico schizofrenico appena evaso di manicomio, al che non
potei non scoppiare a ridere.
“Watson, non è che
lei ha fatto uso della mia soluzione al sette per cento, vero?” mi
chiese, sulla faccia un’espressione tanto allibita che neppure la
modernità di una foto avrebbe saputo davvero descrivere al meglio.
“Faceva un caldo terribile
e ad ogni passo che muovevo credevo che la mia pelle si sarebbe sciolta come la
cera di una candela.
A ripensarci adesso, però,
la sabbia era ancora peggio: ti s’infilava dappertutto, sotto gli abiti,
negli occhi fino a farti lacrimare, a scricchiolarti in bocca... deve essere
per questo che mi altero tanto quando Mrs. Hudosn non
lava bene le verdure.
Era come avere un immenso oceano
dorato tutt’intorno con i serpenti a sonagli e gli scorpioni a fare la
parte dei pesci, un oceano tanto bello quanto pericoloso che sa logorarti fuori
e dentro fino a lasciarti sfibrato, fino a che non diventi polvere anche tu e
non ti perdi nel vento.
Da allora non mi lamentai
più dell’eterno maltempo della mia patria.
Ah, e poi c’era anche il
soldato semplice Benjamin Hardley, due metri di
genuina simpatia e competenza, ma fu il primo di noi a perdere i sensi e
dovemmo portarcelo sulla schiena a turno...
La tempesta di sabbia che aveva
disperso il nostro già di per sé esiguo plotone ci aveva portato
fuori rotta e stavamo per fumarci l’ultima sigaretta assieme, tanto ormai
le riserve d’acqua erano finite e le borracce tristemente vuote,
quand’ecco che la luce scarlatta di un sole morente delineò i
contorni della civiltà.
C’erano casupole e baracche
sparse qua e là e al centro del villaggio ardeva un enorme fuoco che
avrebbe riscaldato la notte e attorno al quale uomini e donne delle più
svariate età stavano inginocchiati e scioglievano al vento una nenia che,
per l’atmosfera e per le poche parole indigene da me conosciute,
riuscì a riconoscere come una preghiera.
‘Salva la piccola anima!’ fu l’unica frase intera
che mi riuscì di cogliere e capì subito di cosa si
trattava...”
“Un bambino.”
intuì senza difficoltà alcuna Holmes prestando allora più
attenzione alle mie parole di quanto non credo avesse mai fatto in vita sua.
Annuì e tornai alla mai
narrazione.
“Era uno di quei non pochi
villaggi così piccoli e sperduti da non aver udito neppure gli ultimi e
più flebili echi della guerra. Non sapevano chi fossimo, non provarono
orrore alla vista delle nostre divise nemiche, ormai lacere, non ci
attaccarono, né ci furono ostili in alcun modo e, nonostante stessero
officiando quel sacro rito per loro così importante, ci accolsero e ci
dettero acqua, latta di cocco e la linfa dolciastra che estraevano dalla radici
delle poche piante presenti in quel luogo dimenticato da Dio.
Gli onori di casa li fece un
vecchio dalla pelle bruna, tesa come cuoio su di un corpo inscheletrito 1
dal sole e dagli anni.
Appena riuscii a poter parlare,
dopo aver bevuto, gli chiesi di
poter vedere la piccola anima per la
quale stavano pregando.
L’uomo allora mi prese per
mano come fossi stato un bambino smarrito e mi guidò in quella che
doveva essere la più grande tra le capanne di tutto quel minuscolo
agglomerato umano, un rifugio fatto di fango e sassi, coperto dalle fronde alte
delle palme e da altro fango e da altri sassi.
Nel mezzo della primordiale
struttura giaceva agonizzante, disteso su di una sottile stuoia, un bambino che
non dimostrava più di sei, sette anni; gli stava accanto una giovane
donna, senz’ombra di dubbio sua madre, che piangeva sommessamente e che
si spaventò quando mi vide.
Pensava che fossi l’angelo
della morte venuto per strapparle il figlio.
Ci volle più di un
po’ prima che riuscissi a spiegar loro che volevo provare a curare il
piccolo, ma alla fine ci riuscì: lo ubriacammo e cominciai ad incidere
che il sole era appena sprofondato in seno al deserto cosicché furono le
luci delle fiaccole ad illuminare la mia prima e spero anche ultima
appendicectomia 2.
Quando fermai l’ultimo
punto di sutura era già l’alba, ma la preghiera che avevo udito
non appena messo piede in quel luogo non si era ancora spenta, e languiva lenta
e bassa come le braci di un fuoco che prima avesse arso vivo e vigoroso.
Vista la pacatezza dei nostri
salvatori fu semplice per me convincere gli altri a rimanere in quel villaggio,
almeno fintantoché non fossi stato sicuro che la piccola anima si fosse
effettivamente ripresa...”
“Sopravvisse?” mi
domandò Holmes con una sorta di ansia nella voce che mi lasciò
stupito per un attimo.
“Sì, incredibilmente
riuscì a superare le ventiquattr’ore posteriori l’intervento
e sette giorni dopo, con l’energia che solo i bambini possono avere, me
lo ritrovai che saltava già da una parte all’altra del villaggio,
mostrando fiero il taglio non ancora cicatrizzato del tutto con la stessa
fierezza con la quale avrebbe mostrato una ferita che si fosse procurato
combattendo contro una tigre.
Prima che ce ne andassimo e che
lasciassimo lì Benjamin, innamorato perso di una delle ragazze che vi
abitavano, lo stesso vecchio che ci aveva accolto, e che nel frattempo avevo
scoperto essere nientemeno che il capo villaggio di quella tribù, mi
riportò nella capanna in cui avevo salvato il piccolo e li mi
donò quel frammento di acquamarina.
‘Ha il colore della tua anima.’ mi spiegò.
In alcune civiltà gli
uomini, prima di morire, affidano la propria anima a qualcosa che pensano possa
preservarla affinché essa non vada perduta assieme al corpo: me la
donò come ricompensa questa gemma, perché rimanessi vigile al
consumarsi dei secoli, all’avvicendarsi dei millenni.
L’immortalità…
il premio più ambito.
Ma ho compreso che
l’eternità è ben poca cosa se mi dovesse far sopravvivere a
ciò che amo.
A chi amo.
Ed per questo che ora, con tutto
quello che questa pietra contiene, per quanto poco possa valere, voglio che
l’abbia lei.
Potrà farne ciò che
più desidera.
Può accettarla adesso e
metterla in una tasca di qualche giacca e dimenticarsela lì per poi
ritrovarla un giorno, senza più memoria alcuna del significato di questo
sassolino.
Può accettarla adesso e
vedere se è buona per qualcuno dei suoi esperimenti chimici... magari
nell’acido citrico si scioglie e lei non lo sa.
Può accettarla adesso e
perderla in una stazione di passaggio, mentre rincorre uno degli scagnozzi di Moriarty o lasciarla cadere inavvertitamente in una
pozzanghera, mentre dà istruzione all’ispettore Lestrade su come disporre i suoi uomini.
Oppure può accettarla adesso
e lasciarla semplicemente giacere sul suo petto, accarezzarla di tanto in tanto
quando se ne ricorda, stringerla forte tra le dita quando il mondo si fa
atrocemente nero ed io non le sono accanto, accostarvi le labbra piano e farmi
sussultare come un bambino cui innanzi agli occhi si schiuda di colpo un fiore.
Se potrà guadagnare anche
solo un paio di spiccioli di felicità dalla mia anima, mi creda,
sarò felice oltremisura…”
Vidi le sue iridi di acciaio
dilatarsi, le labbra fine tremare leggermente e gli sorrisi.
“Buon compleanno,
Holmes.”
Note:
1 Vi prego, passatemi
il neologismo ché mi piace da morire!
2 Secondo i dati
forniti da Wikipedia e da internet in generale
“La prima appendicectomia di cui si ha una sicura datazione fu eseguita
da un medico militare inglese nel 1735, la procedura si consolidò solo alla fine del
19° secolo” quindi ci può stare più o meno che Watson
abbia seguito le orme del suo collega in carne ed ossa, no?
Di sicuro sono sconfinata
nell’OOC, ma fa niente, così romantica è uscita e
così rimarrà, perché questo Watson logorroico ed
innamorato perso con una storia che l’ha segnato non poco da raccontare
così urgentemente, questo villaggio dal candore di pensiero, parola ed
azione ed infine questo Holmes che una volta tanto rimane sconcertato mi
piacciono assai.
Spero che anche a voi abbiano
fatto lo stesso effetto, almeno un pochetto.
ISI.