Buonasera
fanciulle ( E
fanciulli, non si sa mai xD)!
Bene, bene, bene. Questa è una piccola, beh mica tanto
piccola, one shot che ho
partorito circa una settimana fa. Non ne sono molto entusiasta, ma un
paio di
persone che l’hanno letta (Chi vuole intendere intenda XD)
sostengono il
contrario. Ben venga, io la posto.
E’ prevalentemente sul comico, cosa che non mi riesce molto
bene ma ci ho
provato. Non sono una cima nel far ridere la gente, spesso quando
racconto le
barzellette sembra che stia facendo una predica a un funerale -.- Non
scherzo.
Coooomunque!
Spero
possa piacervi comunque anche se non è il massimo e ne sono
consapevole, un
commentino è sempre gradito. Insomma, combattete la vostra
timidezza e uscite
fuori tutti! XD
P.S.
Con questo mio scritto
non intendo dare rappresentazione veritiera di fatti o persone. I Tokio
Hotel,
purtroppo, non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro. Quanto
segue è
frutto della mia fervida immaginazione.
P.P.S.
Non fatevi ingannare
dalla lunghezza, è molto scorrevole da leggere.
P.P.P.S.
BUONA LETTURA!
XD
Ale
Lost…
And found
“Che
noia.” Sbuffò, guardandosi un’ unghia
laccata di nero, per poi portare la sua attenzione sulla strada che
scorreva
velocemente sotto di loro. Erano in America, a Los Angeles, da poco
più di due
settimane, ma non aveva fatto in tempo a visitare la città,
né a farsi
conoscere adeguatamente.. Il tempo era poco e gli impegni troppi..
“Che
insostenibile noia.” Continuò sbuffando,
cominciando a picchiettare le dita sul
tavolo del tourbus. “Che colossale, galattica, esponenziale
noia.” Strillò
acuto, battendo un piede per terra.
“Che
cazzo Bill! Guarda fuori dal
finestrino e tappati la bocca!” Lo riprese burbero il
biondino occhialuto
seduto di fianco a lui. “Se Georg si sveglia sono cazzi
amari.” Incrociò le
braccia al petto, riprendendo a leggere la rivista di macchine di
fronte a lui.
Era tardo
pomeriggio, stavano tornando
all’hotel dopo un interminabile sessione fotografica e un
altrettanto
interminabile intervista. Erano sbarcati da poco in quella nazione,
volevano
farsi conoscere anche li. Anche se era splendido poter girare a piedi,
più o
meno, indisturbati. La gente ancora non li riconosceva.
Erano
distrutti, ma l’unico super attivo
sembrava essere il cantante. Quello nemmeno le fatiche di Ercole lo
stancavano!
“Almeno
possiamo svegliare Tomi? Io mi sto
annoiando, Gus.” Mormorò, facendo sporgere il
labbro inferiore e allargando gli
occhi.
Gettò
un’occhiata al fratello, che si era
appisolato di fronte a lui con la testa appoggiata al finestrino e la
bocca
semi aperta. Stava lasciando una scia di bava fresca su tutto il vetro.
“Buona
fortuna.” Borbottò Gustav facendo un
gesto distratto con la mano. “A me piace vivere”
“Come
sei melodrammatico.” Bofonchiò,
sporgendosi sul tavolo quel tanto che bastava per poter toccare Tom.
“Tomi..”
Sussurrò, scuotendolo per una spalla.
“Tomi.” Continuò, mantenendo
più ferma la
voce e aumentando l’intensità delle scosse.
“Tomi!”
“Uhm.”
Biascicò l’altro, aprendo un occhio,
trovandosi davanti al viso l’enorme faccione di Bill,
completo di sorriso a
trentadue denti. “Che vuoi?” Farfugliò,
non ancora del tutto sveglio.
“Finalmente
Tomi.” Ridacchiò il fratello. “Come
stai?”
“Tu
mi hai svegliato per chiedermi come
sto?” Ringhiò, ripensando a tutte le ore di sonno
che avrebbe dovuto recuperare
una volta arrivato all’albergo. “E tu
gliel’hai permesso?” Continuò, spostando
lo sguardo su Gustav, che leggeva beatamente il suo giornale.
“Ehi,
fratello tuo problema tuo.” Alzò le
mani davanti al viso, stampandosi in faccia la miglior espressione
innocente
che potesse trovare.
“Dai
Tomi, facciamo una partita a ruba
mazzetto?” Bill tirò fuori dalla sua borsa un
mazzo di carte, sventolandole
sotto il naso del chitarrista. “Puoi cominciare tu se
vuoi.”
“Ruba
mazzetto.” Inarcò un sopracciglio,
guardando prima le carte poi il fratello.
Perché
a me tutta l’intelligenza?
***
Sbuffò
guardando la sua suite. Aveva appena
svuotato le valigie e si era già fatto la doccia e asciugato
i capelli.
Si diede
un’occhiata in giro, era orribile
quella camera. Era..Spoglia, vuota. Ok, si.. Il televisore al plasma
c’era, il
minibar anche, la vasca idromassaggio non poteva di certo mancare,
però.. Un
po’ di colore, che diamine!
Cos’era
quel bianco smorto? E quelle tende
gialline? E la moquette grigiastra?
Sembrava un
ospizio. Una casa da vecchi,
ecco.
“La
conosco quell’espressione
insoddisfatta. Vedi di accontentarti fratellino.”
Sbottò una voce alle sue
spalle, che riconobbe come quella di Tom.
“E’
orribile questo posto. Ci potremmo
portare nonna!” Piagnucolò, sedendosi sul letto a
gambe incrociate.
“Non
fare la checca, Bill.” Scrollò le
spalle sconsolato. “Sono venuto ad avvisarti che tra due ore
David ci vuole
nella hall, a quanto pare ci ha fissato un’intervista a
sorpresa.” Borbottò. “Dovrete
pur farvi conoscere!”
Fece una smorfia, imitando la voce del manager
e sparendo dietro alla porta, chiudendola con un tonfo.
Uhm, due ore
eh? Un giretto posso farlo.
***
Complimenti,
Bill! Sei un genio! Non ti
hanno visto nemmeno di striscio, quei bestioni! Oh che mente superiore,
mi
bacerei da solo!
Prese a
camminare fischiettando, verso
nemmeno lui sapeva bene dove. Camminava e basta, aveva voglia di una
passeggiata pomeridiana.
Era magnifico
poter camminare liberamente
senza che nessuno lo riconoscesse, anche se per precauzione si era
ficcato su
un cappello e si era avvolto la faccia con una sciarpa. Fortunatamente
era
pieno autunno.
Era
già buio, nonostante fossero solo le
sei e mezzo di sera, e faceva anche piuttosto freddo. Cacciò
le mani in tasca,
calciando distrattamente un sassolino che aveva visto
sull’asfalto.
Era una bella
via, quella che stava
percorrendo. Gli alberi delimitavano la strada, crescendo proprio ai
bordi e
ombreggiando i marciapiedi. C’erano un infinità di
bar e pub con le loro
scritte al neon che brillavano nel buio. Da li poteva vedere,
attraverso le
vetrate, qualche signore seduto al bancone con il proprio cocktail tra
le mani,
o dei bimbi insieme ai loro nonni, davanti ad una cioccolata calda.
Era tutto così.. Normale.
Da quanto tempo
non andava a bere qualcosa
da solo con Tom? Quel’era stata l’ultima volta che
aveva camminato per così
tanto tempo, senza security al seguito?
Una vita, era
passata una vita.
Sorrise sereno,
tirando un sospiro di
sollievo, alzando il capo e guardando il cielo già cosparso
di stelle e la
luna.. Dio, gli sembrava di non aver mai visto una luna così
bella. Era più
luminosa e più grande. Forse non si era mai soffermato a
guardarla davvero..
Non aveva più tempo per le piccole cose.
Una passeggiata
era proprio quello che ci
voleva.
Si,
però ora dove sono?
Si
guardò in giro impaurito, doveva aver
svoltato un paio di volte da quando era partito. Bella mossa, ora
però non
aveva la più pallida idea di come ritornarci in quel fottuto
albergo.
Accidenti a me,
perché non sono andato
sempre dritto?!
Cominciò
a tremare impercettibilmente. Si
portò una mano alla tasca dei jeans. Vuota. La
tastò freneticamente, come se
per magia il suo cellulare potesse materializzarsi da un momento
all’altro.
Batté un piede a terra, con gli occhi colmi di lacrime
nervose.
Il cellulare
idiota. Quante volte ti ho
detto che il cellulare è come il pisello? Da tenere sempre
pronto all’uso!
La voce di Tom
riecheggiò nelle sue
orecchie, facendolo sentire tremendamente piccolo e tremendamente
spaventato.
“Tomi..”
Mormorò.
Non aveva
portato nemmeno il portafogli,
quindi una cabina telefonica era fuori discussione.
Anche
perché.. Che schifo! Le cabine
telefoniche le toccano tutti, chissà quanti batteri sono
appiccicati a quelle
cornette sudice.
Scosse la
testa, doveva smetterla di
pensare alle cazzate. Era una cosa seria, Cristo! Si era perso! Si era
perso in
una città sconosciuta, in cui non era mai stato. Che diavolo
si inventava
adesso?
Continuò
a camminare finché, in lontananza,
scorse una piazza su cui erano state messe un paio di panchine. Era
leggermente
illuminata.
E leggermente
vuota.
Sospirò
sconsolato, per l’ennesima volta.
Se non altro poteva sedersi a meditare, i piedi gli facevano un male
cane.
Quelle scarpe da ginnastica erano nuove di zecca e ancora non ci aveva
fatto il
callo.
Si
lasciò cadere a peso morto sulla panca
verde, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e reggendosi il viso con le
mani.
E ora?
Ricapitolando:
aveva camminato per circa
tre quarti d’ora, guardando vetrine e bar senza preoccuparsi
di memorizzare la
strada che stava percorrendo, aveva dimenticato il portafogli e il suo
preziosissimo cellulare in hotel, non aveva la minima idea di dove
fosse in
quel momento e, come se il resto non fosse già sufficiente,
non conosceva nemmeno
un fottuto centimetro di quella stramaledettissima città!
Uhm, carino,
bel quadretto.
Si
tirò dritto con la schiena, avvicinando
il polso al viso per controllare l’ora. Le otto. In quel
preciso istante
l’intervista sarebbe cominciata e lui era sperduto
chissà dove.
Oddio, Tomi mi
ammazzerà! E se sarà troppo
clemente ci penserà David a finire il lavoro per lui!
Tirò
le gambe verso di sé, appoggiando i
piedi alla panchina, circondandole con le braccia e nascondendoci in
mezzo il
viso.
Aveva una
stramaledettissima voglia di
piangere.
***
“Ehi..”
Si sentì tirare la manica del
giubbotto, ma le palpebre sembravano incollate e lui era troppo stanco
per
scoprire chi fosse. “It’s all right?” Si
sforzò di aprire gli occhi, almeno per
guardare in faccia il disturbatore del suo pisolino pomeridiano.
Pisolino
pomeridiano? Stai dormendo come un
barbone su una cazzo di panchina!
Sgranò
all’istante gli occhi, ricordandosi
immediatamente quello che era successo. Non era un sogno, per la
miseria!
Scattò
in piedi, guardandosi intorno
terrorizzato.
“It’s
all right?” Ripeté la stessa voce di
prima, che subito Bill associò ad una donna.
Abbassò
lo sguardo di qualche centimetro.
Davanti a lui c’era una ragazza che non doveva avere
più di vent’anni, i
capelli leggermente ondulati e castani, la pelle molto chiara e due
occhi
grigi.. Da far venire i brividi. Grigi come il ghiaccio.
“Eh?”
Manifestò tutto il suo disappunto
facendo una smorfia buffa, alla quale la ragazza non riuscì
a trattenere un
sorriso. Non era mai stato una cima a scuola, in inglese soprattutto.
“You
are ok?” Sorrise, mettendogli una mano
sulla spalle e pulendogli la manica della giacca, leggermente sporca di
terra.
“Why you’re sleep on the bench? You feel
bad?” Aggiunse poi, nella medesima
lingua che Bill non riuscì a capire. Un po’ per la
sua scarsa cultura
linguistica, un po’ per il suo stato semicomatoso.
“Ahm.
I’m Bill” Tentò di dire.
“I’m.. Ahm,
go.” Arrancò, facendo camminare l’indice
e il medio sul palmo aperto della mano
mimando il verbo andare “Go.. My brother.”
Dalla faccia
della ragazza, Bill capì di
non riuscire a farsi comprendere.
E te lo credo!
Le parli alla “Io Tarzan, tu
Jane”
“I
don’t understand” Scosse la testa
mortificata. “I’m Abigail” Si sedette di
fianco a lui, studiandolo attentamente,
non aveva idea di cosa potesse farci un ragazzo così carino
a dormire su una
panchina alle dieci e mezzo di sera.
“Abigail..”
Ripeté lui, annuendo debolmente
con la testa. E ora che sapeva il suo nome?
Rincoglionito,
ma non vedi che curve? Come
minimo io la..
Scosse
energicamente la testa, facendo
scemare la voce del suo Tom interiore. Non era il caso di farsi i film
porno
mentali con una sconosciuta. Anche se, insomma.. Era piuttosto carina. Decisamente
carina.
“Don’t
you have a place to go ?” Continuò,
imperterrita, a parlare quella lingua che Bill non riusciva proprio a
comprendere alla perfezione, nemmeno sforzandosi.
“Non
ti capisco..” Piagnucolò, coprendosi
la faccia con le mani, atterrito.
“Potevi
dirlo subito che sei tedesco.”
Ridacchiò Abigail, dandogli una spinta sulla spalla,
“Ci saremmo evitati questo
penoso teatrino!”
“Parli
il tedesco?” Gli occhi di Bill si
illuminarono e il suo sorriso si allargò, partendogli da un
orecchio e
finendogli all’altro. Sembrava avesse appena avuto una
rivelazione divina.
“Si,
mia mamma è tedesca.” Sorrise
teneramente. “Ma non parliamo di me. Piuttosto, che ci facevi
addormentato qui
fuori al freddo?”
“Mi
sono perso.” Ammise, chinando il capo e
guardandola di sottecchi. Si sentiva terribilmente patetico.
Lo sei.
“Come
ti sei perso?”
Socchiuse la
bocca, guardandolo stupefatta. “Da dove vieni?”
“Non
lo so!” Strepitò, sentendo gli occhi
gonfiarsi di lacrime.
Non cominciare
con i piagnistei. Bill, sii
uomo!
“D’accordo,
calma.” Sospirò, chiudendo gli
occhi.
“Senti,
io sono un cantante! Canto in una
band! Se non torno subito all’albergo mio fratello mi uccide!
Ho già saltato
un’intervista e per questo il mio manager mi farà
subire le pene dell’inferno!
Devo tornare immediatamente da loro, capisci? Vorranno la mia testa su
un
piatto d’argento! Sono il frontman, hanno bisogno di
me!” Strillò concitato,
alzandosi in piedi e cominciando a camminare avanti e indietro, con le
mani
artigliate fra i capelli scuri.
Abigail
alzò un sopracciglio, guardandolo
scettica.
“Mi
sa che hai preso troppo freddo.”
Mormorò, alzandosi a sua volta. “Puoi venire da
me, se vuoi. A Louise non
dispiacerà sicuramente e poi non ti lascerei mai da solo in
centro città.”
Annuì sorridente, prendendogli un braccio.
“Non
sono pazzo! Sono davvero il componente
di una band! I Tokio Hotel!” Gridò
sull’orlo di una crisi nervosa.
“Certo.”
Annuì rassicurante, come si fa con
i malati mentali “Magari ti preparo un the caldo.”
Ci mancava la
bigotta malfidente!
***
“Who
is?” Chiese incuriosita una voce non
appena Bill mise piede nell’appartamento di Abigail.
Apparteneva ad
una ragazza leggermente più
alta dell’altra, con due profondi occhi neri e i capelli
biondo ossigenato
corti e sparati in aria. Era.. Mascolina.
“Lou
parla tedesco, questo è Bill, è nuovo
della città e si è perso.” Lo
guardò tristemente. “Non ha un posto dove
andare.” Sospirò dispiaciuta. “Bill
questa è Louise, mia sorella.”
“Ma
tu non sei il cantante di quella band
per ragazzini?” Alzò un sopracciglio scettica,
spostando il peso del suo corpo
da una gamba all’altra e portandosi le mani sui fianchi.
“Ti
amo!” Strillò Bill avvicinandosi a lei
e avvolgendola in un abbraccio stritolatore “Ti amo, ti amo,
ti amo, TI AMO!”
Continuò, saltellando.
“Abbie!
Levamelo di dosso, mi soffoca!”
Rise la ragazza. Lo trovava piuttosto simpatico, anche se molto scemo.
“Bill,
calmati.” Ridacchiò prendendolo per
una spalla e riportandoselo al fianco. “Hai detto la
verità prima” Aggiunse
pensosa, portandosi un dito sotto al mento.
“Vieni.” Lo prese per mano,
trascinandoselo dietro, mentre Louise seguiva la scena divertita.
“Questo
sono io, ovviamente, questo è Tomi,
lui è Gustav e quello li è Georg.”
Sorrise fiero, indicando i vari componenti
della band, con il dito sullo schermo del computer.
“Che
gruppo.. Eccentrico.” Constatò Abbie,
inclinando la testa di lato “Ma mi incuriosite,
sentirò le vostre canzoni. Ora
forse è meglio andare a letto, è tardi.”
“Io
vi saluto, domani la mia sveglia suona
alle cinque!” Louise scompare dietro la porta, fischiettando
e arrivando nella
sua stanza.
“Vieni,
ti faccio vedere la camera degli
ospiti.” Abigail prese una mano a Bill, accompagnandolo lungo
un corridoio.
Bill sorrise,
guardando la sua mano
intrecciata a quella della ragazza. Era tanto tempo che non si trovava
di
fronte ad una persona di sesso femminile che non piangesse, urlasse, o
sbavasse
in sua presenza, era parecchio confortante e piacevole poter stare
nella stessa
stanza con una ragazza che lo trattasse come essere umano e non come
Dio onnipotente.
“Ecco
qua.” Scosse la testa, risvegliandosi
dai suoi pensieri, e si guardo intorno. Era in una stanza abbastanza
spaziosa,
con le tende azzurre e le pareti del medesimo colore, c’era
un armadio in
mogano e una scrivania un po’ più chiara, su cui
era appoggiata un abatjour
verde acqua.
Il letto era ad una piazza e mezza, ricoperto da una trapunta
dall’aria
riscaldante, bianca a pois verde chiaro.
Questa
è una stanza come si deve!
“Che
graziosa.” Mormorò Bill, continuando a
guardarsi in giro. “Mi piace.”
Sentenziò, riportando il suo sguardo su Abigail,
di fianco a lui.
“Perfetto,
io ora vado a –“
“NO!”
Gridò il moro, preso dal panico. “No,
no. Tu devi restare con me! Io non riesco a dormire nei posto che non
conosco!
Tomi rimane nella mia camera la prima notte che passiamo un in albergo,
per
abituarmi, altrimenti non chiudo occhio!”
Piagnucolò lamentoso, tirandole la
manica della felpa.
“Sei
adorabile, sai?” Sorrise amorevole,
facendo qualche passo e sedendosi sul bordo del letto.
Bill
avvampò, sentendo le guance
arrossarsi, guardando quegli occhi grigi che lo mettevano in soggezione
come
pochi riuscivano.
“Ahahah
era nuda?! Oddio non ci credo!”
Strillò tra le risate Abigail, tenendosi la pancia e
asciugandosi con un dito
una lacrima sfuggita per il troppo ridere.
“Te
lo giuro! Era nella mia camera d’hotel
ed era completamente nuda! Ho rischiato l’infarto quella
sera.” Annuì,
ripensando a quella fan psicopatica.
“Oh
Gesù, lo credo bene.” Biascicò, una
volta che gli attacchi di risa si furono placati.
Era
più di un’ora che rimanevano rintanati
in quella camera a parlare e ridere insieme, sdraiati entrambi sul
letto, con
la schiena appoggiata alla testata.
Per Bill non esisteva niente di più piacevole.
“Senti
ma, dove state tu e la band durante
la vostra permanenza a Los Angeles?” Chiese ad un tratto la
ragazza “Magari
conosco il posto.”
All’hotel
Hilton.
“Ahm..
In un albergo.”
L’hotel
Hilton.
“Mi
dici il nome? Può darsi che sappia
dov’è.”
Hilton.
“Io
non so se.. Cioè, non credo di
ricordarlo”
Hilton.
“Come
non te lo ricordi?”
“Ci
sono stato così poco, nemmeno un’ora,
poi sono uscito e mi sono perso.. Non me lo ricordo.”
HILTON!
“Ok,
non ti preoccupare, in qualche modo
faremo.” Annuì incoraggiante, accarezzandogli un
braccio.
Bill sorrise
affabile, lasciandosi
accarezzare come un gatto. Se lo ricordava bene il nome
dell’albergo, oh se se
lo ricordava! Ma che male c’era se voleva rimanere ancora un
po’ con quella
ragazza? Entro un paio di giorni si sarebbe fatto ritornare la memoria.
Tomi ti
ucciderà, David ti farà a pezzi e
Georg e Gustav rinchiuderanno i tuoi brandelli in una valigia che
verrà gettata
nel fiume più profondo della città.
***
Sbatté
velocemente le palpebre, aprendo gli
occhi. Tentò di alzarsi ma qualcosa lo costrinse a rimanere
dov’era, anzi qualcuno.
Inclinò leggermente il viso di lato, notando la testa di
Abigail comodamente
appoggiata alla sua spalla.
Sorrise
intenerito, accarezzandole i capelli
e spostandoglieli dietro l’orecchio.
“Buongiorno.”
Sussurrò Abigail, la voce
ancora impastata di sonno. “Dormito bene?” Si
levò a sedere, guardandolo mentre
si stropicciava un occhio.
“Si
benissimo, grazie.” Annuì felice. “E
tu?” Inarcò un sopracciglio, divertito.
“Sei
un po’ spigoloso, ma fondamentalmente
comodo.” Rise lei, spingendolo debolmente per una spalla.
“Vieni, andiamo a
fare colazione.”
“Buona
questa roba, come hai detto che si
chiama?” Domandò Bill, con la bocca mezza piena,
mentre continuava a
trangugiare quel pane con su spalmata della roba deliziosa.
“Burro
d’arachidi.” Ridacchiò Abigail,
addentando la sua razione.
“E’
straordinariamente buono!” Sorrise
giocoso, saltellando sulla sedie e spalmandosene ancora su alto pane,
sembrava
un bambino che aveva appena scoperto le patatine fritte.
“Vuoi
fare un giro più tardi? Che ne so..
Magari ti viene un lampo di genio e ricordi la strada.”
Mormorò lei. Nonostante
lo conoscesse da poche ore, la sua compagnia la faceva sentire serena,
non era
poi così felice all’idea di perderlo.
“Uhm,
va bene.” Annuì poco convinto,
ingoiando l’ultimo boccone.
“Forse
è il caso che tu adesso faccia una
doccia rilassante, che dici?”
“Sarebbe
fantastico.” Sorrise. Dopo
tutto quello che aveva passato una doccia era quello che gli serviva.
***
“Non
mi ricordo proprio che strada avevo
fatto, ieri.” Sospirò sconsolato.
E anche se me
la ricordassi non te la
direi. Non ancora.
“E’
un bel guaio.” Sbuffò atterrita. “Ma
non ti preoccupare, qualche cosa ci inventeremo.”
Camminarono
ancora un po’, quando si
ritrovarono nel parco comunale, pieno di alberi e cespugli.
“Entriamo?”
Chiese Bill, guadando allegro
quella distesa di verde. Non ricordava di essere stato in un parco,
negli
ultimi anni. Anzi, forse l’ultima vola in cui ci aveva messo
piede doveva
essere stato ancora alle elementari!
“Certo.”
Sorrise Abigail, prendendogli
timidamente una mano e conducendolo all’entrata principale.
Si sedettero su una
panchina marrone, in legno chiaro e massiccio, guardando i bambini
correre sul
prato, tenuti attentamente d’occhio dalle madri, che
chiacchieravano tra di
loro.
“Penso
di non essere mai stato tranquillo
come in questo momento, non ultimamente almeno.”
Sospirò Bill, girando appena
il capo per vedere l’espressione della ragazza.
“Mi
fa piacere che tu stia bene.” Sorrise,
guardando avanti a sé “E, in tutta
onestà, sono felice di averti trovato, ieri
sera.” Concluse in un sussurro, azzardandosi a guardarlo
negli occhi.
“Comincio
a trovare carina l’idea di
essermi perso.” Ridacchiò alzando la testa e
perdendosi a guardare il cielo
terso di quella mattina limpida e senza nuvole. Strano, in novembre.
La ragazza
tossì, avvicinandosi a lui e
prendendogli una mano, cominciando a disegnare cerchi immaginari sul
palmo,
rilassando così i lineamenti del moro.
“Sei..
Davvero bello, lo sai?” Mormorò
imbarazzata.
Alle orecchie
del moro, quel semplice
complimento, apparve come il più vero e sincero mai
ricevuto. Di solito si
sentiva dire “Sei figo” o “Ti
scoperei”, cose di questo genere, insomma.
Abigail invece si era limitata ad un tenerissimo “Sei
bello.” E lo aveva detto
con una dolcezza ed un’ingenuità tali da mandare
in fumo il povero cervello di
Bill.
“Sei
bella anche tu.” Annuì, intrecciando
le dita con le sue.
***
“Sono
a casa!”
“Ciao
Lou!”
Louise
entrò in cucina, trovando Abigail
intenta a sfornare quella che aveva tutta l’aria di essere
una teglia di
lasagne e Bill che la guardava deliziato.
“Ciao
rockstar.” Ridacchiò, sedendosi di fronte
a lui.
“Ciao!”
Trillò a sua volta, esibendo uno
dei suoi migliori sorrisi, rischiando di far ruzzolare a terra Abigail,
che si
era appena girata verso di loro per servire il pranzo.
“Com’è
andata al lavoro?” Chiese, rossa in
volto, distribuendo una fetta di lasagne a testa, per poi sedersi di
fianco al
moro, che la guardò sorridente.
“Tutto
a posto, Frank mi ha affidato un
nuovo incarico.” Annuì, ripensando a tutti i
disegni che avrebbe dovuto fare
per il nuovo numero della rivista che stava per uscire nelle edicole.
Lavorava
per un’azienda di grafica pubblicitaria. “Tu e
Bill?”
“Siamo
andati a fare un giro, lo smemorato
non ha idea di come tornare al suo albergo.”
Inarcò le sopracciglia, tutt’altro
che dispiaciuta.
Bill fece un
sorriso di circostanza,
addentando una forchettata di cibo per evitare di parlare.
“Non
ti staranno cercando?”
Se mi staranno
cercando? Quelli mi uccidono
appena mi ritrovano!
“Spero
che mio fratello non sia così
insensibile da fregarsene della mia scomparsa.”
“Forse
dovremmo mettere i volantini in giro
per la città, come si fa con i cani.”
Scherzò Louise, scoppiando in una
fragorosa risata allo sguardo accigliato e anche un po’
offeso di Bill.
“Lou,
non essere cattiva.” Esclamò Abbie,
mordendosi la risata che sentiva salirgli in bocca.
Bill sorrise,
respirando quell’aria allegra
e così fottutamente, dolorosamente normale.
Non
sarà per sempre, questo lo sai Bill,
vero?
***
Era stato un
pomeriggio fantastico. Bill,
Abbie Lou si erano piazzati davanti alla televisione a guardare un
film, con
pop corn, patatine, e le schifezze più impensate.
Avevano ascoltato le canzoni dei Tokio Hotel nel computer di Abigail, e
questa
le aveva considerate “Stratosferiche” rendendo il
povero cuoricino di Bill una
poltiglia indefinita.
Avevano cenato mangiando carne e patate fritte, per la gioia
incommensurabile
del nostro cantante, che aveva preteso addirittura la seconda razione.
Finito di mangiare Lou si era rintanata in camera per farsi una
dormita, visto
che il suo lavoro cominciava all’alba, mentre Bill e Abbie
erano nella camera
degli ospiti, questa volta senza richiesta di Bill.
“Sai,
devo confessarti una cosa.” Sussurrò
ad un certo punto il cantante, una volta che le loro chiacchiere
infinite sulla
loro vita e il loro interessi furono cessate.
“Dimmi.”
Sorrise incoraggiante, girandosi a
pancia in giù per poterlo guardare meglio.
Era disteso
supino, con un braccio piegato
dietro la testa, e l’altro teso verso di lei. Era bello,
straordinariamente
bello. Abbie non pensava di aver mai visto un ragazzo con un viso
così..
Mozzafiato. Aveva un viso delicato, tenero.. Per non parlare di certi
suo
atteggiamenti così.. Infantili e infinitamente dolci. Gli
occhi buoni e ingenui.
“Io
penso di averti detto una piccola
bugia.”
Piccola?
“Cioè?”
Boccheggiò, sgranando gli occhi.
Che bugia poteva mai avergli detto?
“Io
credo di saperlo il nome dell’hotel.”
Sospirò, rivolgendo gli occhi al pavimento, tirandosi
lentamente a sedere. Non
voleva vederla la sua espressione. Non voleva sapere se era arrabbiata,
o
triste, o sollevata.. Non voleva saperlo e basta.
“Quindi,
tu avresti mentito per.. Stare con
me?” Sfiatò, guardandolo con gli occhi lucidi e
increduli.
“Beh,
l’intendo era quello, si.” Borbottò,
incrociando le braccia al petto.
“Sei..
Adorabile.” Biascicò, avvicinandosi
a lui e abbracciandolo, appoggiando la testa sul suo petto.
Bill, sorpreso,
non potè fare altro che
accoglierla tra le sue braccia e stringerla. Stringerla
perché era consapevole
che presto, prima di quanto pensasse, non avrebbe più potuto
farlo e non si
spiegava il perché.. Non si riusciva a spiegare come una
ragazza potesse
essergli entrata così tanto nel cuore, nonostante la
conoscesse da appena due
giorni.
“Però..”
Mormorò Abigail, rimanendo stretta
al suo corpo. “Suppongo che adesso te ne dovrai
andare.” Bisbigliò con la voce
incrinata.
“Temo
di si..” Sussurrò nel suo orecchio,
con gli occhi tristi. “Sai dov’è
l’hotel Hilton per caso?”
“Temo
di si.” Annuì stancamente. Eccome se
lo sapeva, ci era passata davanti un sacco di volte. “Domani
ti ci porto.”
“Non
essere triste.” Sorrise Bill, per
quanto potesse riuscirci “Ci possiamo rivedere.” Le
alzò il mento con un dito,
costringendola a guardarlo negli occhi, perdendosi nei suoi grigi.
Stupendi.
Abigail
annuì, per poi.. Presa da una
frenesia tutta sua, avvicinarsi al viso di Bill e lasciarli un soffice
bacio
sulle labbra. Un bacio timido e leggero, sicuramente diverso da tutti
quelli
mai ricevuti da Bill, in una vita intera.
“Buonanotte,
Bill” Mormorò, accoccolandosi
al suo petto e cercando di prendere sonno.
Come faccio ad
andarmene?
***
“Eccoci..”
Mormorò Abbie, guardando dritto
avanti a sé, dove si ergeva l’enorme hotel a
cinque stelle. L’hotel Hilton.
“Eccoci..”
Ripeté assorto Bill, osservando
quasi sprezzante l’albergo di fronte.
“Senti,
non mi va di fare la
melodrammatica, non voglio inscenare un addio degno delle
telenovela.” Sorrise,
guardando il marciapiede. “Quindi ora abbracciami e.. Ci
vediamo, si.” Annuì,
più a se stessa che al ragazzo, stendendo le braccia verso
di lui.
Bill, dal canto
suo, non potè fare altro
che avvicinarsi a avvolgere il suo corpo magro e snello con le sue
braccia
rachitiche ma comunque forti. La strinse con prepotenza, quasi.
Gli sembrava assurdo e insensato, ma non voleva lasciarla.
“Ci
vediamo Abbie, promesso. Il mio numero
ce l’hai” Annuì, scostandosi e
baciandole una guancia, pericolosamente vicino
all’angolo delle labbra. Un bacio sulla bocca,
però, avrebbe reso le cose
tremendamente più difficili. Per lui, almeno.
“Stammi
bene e la prossima volta che vuoi
fare un giro da solo in un posto che non conosci, portati dietro il
cellulare”
Ridacchiò, allontanandosi di qualche passo.
“Lo
terrò a mente.” Sbuffò una risata,
mettendo la mano sull’enorme maniglia d’orata
dell’hotel.
La stavano
buttando sullo scherzò, ma il
magone che attanagliava entrambi era forte e potente.
Ed ora, la
parte più difficile.
“BILL
KAULITZ!” Strillò una voce adirata
alle sue spalle, si girò verso la hall, trovando davanti a
sé tutti i
componenti della band, il suo manager, due poliziotti e
l’intero staff.
“Ehi..”
Sorrise nervoso, alzando un braccio
vicino al viso. “Come va?”
“Bill.”
Tom fece un passo avanti, aveva due
profonde occhiaie violacee sotto gli occhi e questi ultimi sembravano
iniettati
di sangue. “Te lo giuro, se non cominci a correre ti inchiodo
un tacco nel
cervello.” Sillabò, apparentemente tranquillo,
sfoggiando una scarpa con un
tacco di minimo otto centimetri nella mano destra. Probabilmente era di
Dunja.
Gettò
un’occhiata al resto della comitiva:
lo staff aveva le mani nei capelli e lo guardavano sconsolati, Georg e
Gustav
sembravano nelle stesse condizioni di Tom, ma almeno loro se ne stavano
al
proprio posto e lasciavano che Tom sfogasse la sua ira funesta anche da
parte
loro. David aveva lo sguardo da pazzo e parlava concitato con gli
agenti,
probabilmente spiegando che era, più o meno, tutto a posto.
“Tomi..
Posso spiegare.” Pigolò spaventato,
allargando gli occhi, che divennero enormi e lucidi.
“Stai
zitto.” Ruggì, prendendo a correre.
Almeno ne
è valsa la pena.
Abbie..
***
“Complimenti
ragazzi! Ottima performance.”
David Jost si avvicinò ai suoi
ragazzi, picchiettando una spalla a
Georg, che sorrise raggiante.
“Grazie
Dave” miagolò il bassista,
portandosi alla bocca una bottiglietta d’acqua.
“Bill,
bravo anche tu.” Borbottò,
guardandolo di traverso. “Ma sono ancora profondamente
arrabbiato con te.”
“Si
lo so, lo so.” Fece un gesto con la
mano, rintanandosi nella zona relax, subito seguito da Tom, mentre
Georg e
Gustav si preparavano per l’after show.
“Che
ti prende?” Sorrise il chitarrista. A
lui la rabbia era passata in fretta, in tempo di lanciargli dietro i
tacchi di
Dunja e già lo aveva abbracciato come non aveva mai fatto.
Si era preoccupato a
morte. “Sei stato bravo, si. Ma ti trovo fiappo.”
Appoggiò la testa su una
spalla, sorridendo dolce.
“Mi
manca Abbie.” Mormorò malinconico. La
notte del suo ritorno l’aveva passata nella sua suite con
Tom, raccontandogli
la sua avventura nei minimi dettagli, non tralasciando nemmeno il
particolare
più superfluo.
“Non
disperarti, la rivedrai.” Gli diede
una pacca fraterna sulla spalla.
“Non
ne sono convinto, anche se ha il mio
numero.. Non credo mi chiamerà.”
Abbozzò un sorriso mesto, convinto delle sue
parole.
Non lo
farà perché tanto.. Che senso
avrebbe?
Salì
sul minivan nero, sedendosi accanto a
Tom e infilandosi le cuffie dell’ iPod nelle orecchie,
guardando nostalgico
fuori dal finestrino.
Gli sarebbe
mancata Los Angeles, gli
sarebbe mancato l’hotel Hilton. Gli sarebbe mancata lei.. Gli
sarebbe mancata
veramente, perché in sua compagnia era riuscito a sentirsi
apprezzato davvero,
non per i soldi, non per la fama. Per essere se stesso e basta..
Si era sentito normale.
Sospirò
mentre il minivan partiva con un
rombo. Guardò il nugolo di fan che lo acclamavano in strada,
reclamando un
autografo o una fotografia insieme a lui.
Non ho voglia,
ragazze.
E mentre si
apprestava a cambiare canzone,
il suo sguardo incrociò due occhi grigi che lo osservavano
sorridenti
attraverso il vetro leggermente oscurato del minivan.
Si
agitò ansioso sul sedile, prendendo la
mano di Tom e saltellando sul posto, incapace di formulare una frase di
senso
compiuto, mentre il fratello lo guardava come se fosse un bambino
ritardato.
Riuscì
solamente a sporgersi verso la
postazione dell’autista, con espressione allarmata e
impaziente.
“FRENA!”
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