I romani ridono. Festeggiano dopo la vittoria. Assassini,
cani sacrileghi! Gli alberi bruciano, il santuario è stato raso al suolo.
Distrutte le sacre immagini degli dei. Rovesciate a terra le sacre offerte.
Assassinati i miei fratelli. Noi, i devoti della possente Quercia, dalla quale
ottenevamo conoscenza. Dov’è ora il nostro sapere, fratelli? Vedo i vostri
corpi a terra. Le tuniche e i mantelli lordati di sangue. Dov’è il falcetto con
cui potavi il sacro vischio, Gwilym? Dove sono le tue mani? I romani te le
hanno tagliate e ti hanno lasciato a terra a morire dissanguato, senza il
minimo rispetto per il venerando candore della tua barba. Fingal, Myrdinn,
Ceredic, Caelan... Svanita è la vostra saggezza, dalla vostra bocca esce solo
rosso sangue e più non pulsa il vostro cuore. Ma io sono vivo... Perché? Perché
gli invasori non mi hanno ucciso? Per infliggermi l’onta della schiavitù? Ah,
fortunati voi, fratelli, che siete già tornati là da dove i nostri spiriti
giunsero.
No, non la schiavitù. I romani credono che io, un barbaro,
non capisca la loro lingua. Ma, anche se le mie primavere sono poche, ho saputo
ben sfruttarle e ho imparato il linguaggio dei nostri nemici. Vogliono
interrogarmi perché io riveli loro dove sono gli altri. Il loro falso dio, il
loro imperatore, ha ordinato di sterminarci tutti. Per distruggere il nostro
potere che gli si oppone. Non gli è bastato il massacro di Alesia, sciagura
infinita per i nostri fratelli nello spirito, no, nemmeno il mare ha fermato la
potenza di questi mostri. Uomini senza cuore, che combattono non per l’onore,
né la gloria, ma per la ricchezza di un pugno di porci nella loro lontana Urbe.
Ceneranno con tre portate in più ogni sera grazie alle vessazioni che impongono
al popolo bretone.
Ma la colpa è dei nostri capi. Folli, stolti! Credevano che
si potesse ottenere un accordo con questi esseri falsi e doppi? Mai nessuno
aveva osato violare la sacralità del nostro santuario vicino ai laghi magici e loro
l’hanno fatto. Il sacrilego è quel cane di Svetonio Paolino. Ho sentito anche
che egli ha tradito la fiducia di Prasutago, capo degli Iceni, uno dei folli
che credeva potesse essere possibile un’alleanza con quelle serpi che si
fregiano di un’aquila come stemma. Ha reso schiavi i suoi guerrieri. Ha
frustato sua moglie, la regina. Ha violentato le sue figlie. E ora ha profanato
quanto c’era di più sacro sulla nostra amata terra.
Gli spiriti di questo luogo gemono!
Sento le loro urla di furia! Da ogni foglia bruciata, da
ogni filo d’erba insanguinato! Ma è vana la loro rabbia: che vendetta possono
chiedere a me, legato da catene di ferro a un muro di pietra? O dei, datemi la
forza di vendicare l’offesa che vi è stata fatta! Dei che siete in ogni cosa! Oggi
voi avete subito violenza! Nessuno dei nostri guerrieri è sopravvissuto, i miei
fratelli giacciono nel loro sangue e io, novizio del mio ordine, non posso fare
nulla!
Ma ecco che giungono finalmente.
-Dove sono gli altri druidi?- mi sento domandare nella mia
lingua. Alzo lo sguardo e scorgo un volto contornato da lunghi capelli bruni
avvolti in trecce. Attorno a lui quei demoni in sandali e toghe. Gli sputo in
faccia con l’ultima saliva che mi resta.
-Traditore del tuo popolo... Gli dei ti puniranno per
questo!- Si ritrae, ma non per spavento o timore: solo per permettere al mio
boia di darmi una frustata in volto. La luce svanisce dal mio occhio destro.
-Parla, druido, o ti uccideranno.- Rido di fronte alla sua
assurda minaccia.
-Vigliacco... Credi che io abbia paura della morte? Io ho
votato la mia esistenza al servizio degli dei e sono devoto alla dea custode
del guado, Morrigan la potente. Non temo nulla che i tuoi amici romani possano
farmi!-
Sento che traduce le mie parole nella loro lingua sibilante.
Gli rispondono di insistere, di farmi provare paura di loro. E io rido ancora
più forte. Sento il sapore dolceamaro del mio sangue in bocca eppure rido. I
loro sforzi sono vani.
-Non mi piegherete mai...- dico nella loro lingua -Assassini
e vigliacchi! Cosa credete che possiate farmi di peggio? Avete distrutto il
santuario, ucciso il culto dei miei padri! E prima di questo avete soggiogato
tutta la mia amata terra. Essa freme sotto le vostre strade e i vostri ponti!
Gli spiriti dei fiumi gridano tormentati dai vostri acquedotti! Ma ancor di più
soffre il popolo bretone, reso schiavo! La loro vita più non è loro, l’avete
presa voi con la forza! E cosa vi avevamo fatto, luridi assassini, barbari! Sì,
barbari! So bene che voi così ci chiamate, ma voi più di noi meritate questo
nome. Avete ucciso i nostri guerrieri, reso schiavi i nostri bambini,
violentato le nostre donne e ora annientato la nostra religione. Avete fatto il
deserto e l’avete chiamato ‘pace’!-
I romani sono sorpresi di sentirmi parlare, di capirmi.
Questo impedisce loro di ordinare al mio aguzzino di finirmi subito.
-Ma io vi dico che la dea vi punirà! Morrigan, la sacra dea
della morte e della guerra, vi spezzerà! E sorgerà a Est, dove più voi avete
oppresso la mia gente! E le vostre difese crolleranno, le vostre città saranno
rase al suolo e il massacro oggi perpetrato ricadrà su di voi per venti
generazioni! Sentite il corvo gracchiare? È la dea che vi manda la sua minaccia
di morte! So che nella vostra lingua il suo verso indica speranza: infatti è la
speranza del popolo celtico che sta cantando il corvo. Viene dalla patria di
mia madre oltre il mare, voi la chiamate Hibernia... Potete averci ucciso oggi,
ma non godrete a lungo della vostra vittoria! Perché la dea vi punirà...-
Non mi rispondono ancora, sembra che confabulino tra loro.
Forse è giunto un messaggio da lontano? Ho sentito passi affrettati
avvicinarsi. Che dicono? Aria, portami le loro parole.
-La regina degli Iceni ha assediato Camulodunum.-
Ah, la mia prima profezia che si avvera! Gli dei siano
lodati.
-Tremate romani! La vendetta è ormai vicina! Morrigan in
persona guida il mio popolo! Non ci sottometterete mai!- A un gesto del grasso
romano al centro, forse Svetonio, il mio carnefice mi affonda la spada
nell’addome. Poi si allontanano lasciandomi lì a morire.
Il sangue esce dalle mie viscere e i colori del mondo
diventano confusi e vaghi. Il corvo cala su di me. Poi la vedo: i biondi suoi
capelli contornano il bianco viso della dea. Corvine le sue vesti, terribile la
sua spada, ma che splendore i suoi occhi castani.
Morrigan, sei venuta per chi ti è devoto! Sei ancora più
bella di quanto ti ho immaginata!
Non ho timore di morire, ma dimmi del mio popolo: vinceremo
un giorno contro l’invasore?
E allora la dea mi porge la mano e mi aiuta ad alzarmi. Poi
intona il suo canto meraviglioso:
Pace
fino al cielo,
il
cielo fino alla terra.
La
terra fino al cielo,
forza
in entrambi.
Una
coppa molto piena,
piena
di miele;
idromele
in abbondanza.
Estate
in inverno...
Pace fino
al cielo.
E i contorni delle cose perdono
significato mentre tutto si immerge in un bagno di luce.
Nota storica:
Nel 60 d.C. il proconsole
romano Gaio Svetonio Paolino condusse una campagna militare contro i druidi
dell’isola di Anglesey nel Galles settentrionale che culminò con la distruzione
del loro santuario. Gli Iceni e i Trinovanti allora si ribellarono e
assediarono e distrussero Camulodunum (Colchester). Erano guidati dalla regina
Boadicea, il cui marito Prasutago aveva lasciato in testamento il suo regno ai
romani in cambio della promessa che ne avrebbero lasciata metà alla moglie e
alle due figlie. Ma i romani non riconoscevano la successione in linea
femminile, perciò violarono le clausole del patto subito dopo la morte del capo
degli Iceni e si impadronirono del suo regno, confiscando terre e proprietà.
Secondo alcune fonti, nemmeno la regina e le sue figlie sfuggirono alle
umiliazioni inflitte dai vincitori (tuttavia ammetto di aver un po’ romanzato
la storia). Boadicea successivamente distrusse Londinium e Verulamium.
Tuttavia, Paolino riuscì a riorganizzare in fretta le sue truppe e, grazie alla
superiorità tattica, sconfisse l’esercito ribelle nella battagli di Watling
Street. La regina Boadicea, non volendo cadere ancora nelle mani dei romani, si
avvelenò.